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Autore: Biblioteca    02/11/2017    1 recensioni
Hitler, Mussolini, Stalin e Mao sono finiti all'Inferno dopo morti. Una notte, scoprono che c'è un modo per riuscire a scappare.
Accompagnati dall'ambiguo e misterioso demone Demon, riescono ad uscire. Dovranno fare i conti con il mondo moderno e con gli angeli e i demoni spediti da Dio e da Satana per riportarli all'Inferno.
Ne vedrete delle belle!
(In questa storia ci sono riferimenti religiosi fatti con rispetto nei confronti di qualunque credo religioso. E' solo una storia, non voglio offendere nessuno)
Genere: Satirico, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Cari lettrici e lettori, buonasera.
Vi prego di leggere attentamente questo messaggio prima di procedere. Vi racconterò di come è nata questa storia e di perché, almeno per un po’, sarà interrotta e incompiuta.
Questa storia era stata originariamente pubblicata su un altro sito, il 2 novembre del 2010 (sì, era guarda caso il giorno dei morti) ed è stata spostata su efp quasi un anno dopo (il 3 ottobre del 2011); tutti i capitoli che potete leggere erano presenti anche su quel sito e riportati qui con le correzioni e le modifiche necessarie.
Inutile che vi dica che il 2010 era un periodo diverso da oggi: io andavo al liceo, internet girava ancora poco sui cellulari, non esistevano i selfie (o comunque non andavano di moda come adesso), Obama era ancora il presidente della pace e così via… sono passati solo sette anni, ma a me sembra passato un secolo. Tante cose sono cambiate, io stessa ho vissuto in situazioni (ora nerissime, ora luminose) in cui non avrei mai immaginato di finire.
La storia nacque in un periodo di cui ho tutto sommato un bel ricordo.
Le storie erano uno svago importante, un allenamento continuo, un modo per uscire dalla realtà che già non mi piaceva. Le prendevo seriamente, ma sapevo anche divertirmi. Anche oggi è così, anche se credo ci sia stato un aumento nella serietà e nell’attenzione.
L’idea per questa storia mi venne mentre ero sull’autobus per andare a scuola.
Immaginai proprio Hitler, Mussolini, Stalin e Mao che cercavano di scrivere un discorso da recitare all’Onu, nel tentativo di riprendere il potere ormai perduto; da quella piccola scena, come spesso mi capita, ha iniziato a prendere vita tutta la storia. Doveva essere una cosa divertente, da non prendere sul serio (anche se fedele il più possibile in quanto date e descrizioni), per cui nessuno doveva rimanere offeso.
Leggendo i vostri commenti, vedendo quanto e come è stata seguita, sono felice di dire che sono riuscita nel mio intento. Mi sono divertita e ho fatto divertire. A chi invece questa storia non è piaciuta, ha comunque capito la sua “innocenza” e si è limitato al silenzio. Non ho mai ricevuto insulti o accuse di blasfemia, né qui né sul vecchio sito.
Come dicevo però, il tempo ha cambiato tante cose. Questa storia è sì, ancora mia, la sento ancora “viva” se la rileggo. Lo spirito di allora, nonostante tutto, mi è rimasto.
Ma lo svolgimento che mi aspettavo per lei ormai non lo posso più seguire. Ho rivisto molte delle mie idee, tanto sulla storia (in realtà ancora simili al mio periodo liceale) quanto sulla politica attuale (dove invece il mio pensiero è cambiato radicalmente ed è completamente opposto a quello di quando ero ragazzina, ma questo si chiama “crescere”) e in buona parte anche sul concetto religioso.
Dunque, lo svolgimento pensato inizialmente per questa storia, sebbene divertente e in linea con l’inizio che voi potete ancora leggere, ormai non lo posso più scrivere. Non lo sento mio, l’unica cosa che potrei fare è modificarlo radicalmente ma questo richiede del tempo che ora non posso assolutamente dedicare a questa storia. Nonché uno studio ex-novo dei personaggi trattati (sì, ho fatto anche esami di storia all’università ma sono arrugginita). In più ho altre storie da finire. Tra “La clinica senza dottori” interrotta da troppo tempo e “Il mondo di Felicia Fortunata” che ha in qualche modo intrappolato la mia mente in questo periodo, nonché un gran numero di lavori originali da concludere nella realtà, “Fuga dall’inferno” è giusto che venga messa da parte; almeno per un po’. Ma invece di lasciarla totalmente orfana, ho deciso di dedicargli questa specie di “finale”, scrivendo appunto proprio il capitolo del “Discorso a 4 alle nazioni unite” dove tutto ha preso vita in una mattina d’autunno di sette anni fa.
Inoltre volevo approfittarne per dire GRAZIE a tutti voi. A tutti voi che avete recensito, preferito, ricordato e seguito questa storia.
Siete stati importanti ed è anche per voi che scrivo quest’ultimo capitolo: se vorrete smettere a questo punto di seguirla, potrete farlo. È anche giusto.
Ma se comunque vorrete tenerla per ricordo a me farà più che piacere.
E chissà, un giorno la riprenderò proprio per darle finalmente la conclusione che merita.
Grazie a tutti voi dunque, per avermi seguito fino a qui.
Spero che anche questo capitolo vi possa divertire.
Vi auguro buona lettura e… Alla prossima!

 
(adesso siamo nel 2010 a Roma, i quattro dittatori sono “sfuggiti” dal controllo di Demon. Devono ancora adattarsi alla modernità. I proprietari della casa dove si sono sistemati sono partiti per un lungo viaggio. Non hanno assunto alcun aspetto fasullo, sono proprio come li ricorda la gente, cercano di mascherarsi con i vestiti.)
 
“Ho preso tutto!” disse Mao entrando trionfante, cercando di non inciampare nei ridicoli pantaloni a vita bassa che aveva indossato per confondersi con gli “indigeni”, assieme ad un’orrida felpa nera con un teschio gigante disegnato al centro e un cappellino con visiera con su scritto sopra “IMTHEBOSS”.
Benito, Adolf e Stalin lo aspettavano con indosso le loro divise.
Era la prima volta in tutta la loro vita che usavano le divise per stare in casa e non per uscire.
Anzi, per uscire dovevano indossare quei ridicoli abiti moderni che mai avrebbero messo, nemmeno per dormire o per riverniciare una parete.
E la famiglia che avevano scelto, aveva purtroppo un pessimo gusto nel vestire. Almeno gli elementi maschili.
Gli abiti della signora Rossi non erano stati degnati di attenzioni.
Mao poggiò sul tavolo una busta con dentro un quaderno, una penna e un’altra penna di colore bianco.
“Si chiama ‘bianchetto’, il negoziante ha detto che serve per cancellare gli errori.” Spiegò Mao rispondendo alle mute domande dei compagni di evasione.
“Cancellare?! Ai miei tempi si tirava una riga e si proseguiva.” Commentò acido Ben aprendo il bianchetto e provando il suo inchiostro bianco sul dito per poi odorarlo.
Dei quattro, era quello che più aveva da ridire su quanto lo circondava. Faceva commenti su qualsiasi cosa. Forse pure il legame che aveva con Roma, trovata profondamente cambiata (ovviamente in negativo secondo i suoi canoni) rispetto all’ultima volta che l’aveva vista.
“Meglio sarebbe stato raderla al suolo durante la guerra…” aveva detto a un certo punto.
“Io invece la trovo una cosa geniale! Chissà… se lo usano anche per falsificare i documenti…” Stalin prese il bianchetto e lo provò subito sul quaderno.
Mao era andato a cambiarsi. Anche lui non sopportava i vestiti moderni.
Rimessa la divisa, tornò in salotto.
“Non sprecatelo. Passiamo alle cose serie.” Mao prese il quaderno dalle mani di Stalin e la penna.
“Che fai?”
“Che faccio… Dobbiamo scrivere il discorso per l’Onu? Avevamo detto che provavamo a lavorarci oggi?”
“Ma non lo puoi scrivere tu.”
“Ma certo, lo scriviamo tutti insieme!”
“Dico, tu scrivi cinese, quindi qualunque cosa noi ti dettiamo, poi se la dobbiamo rileggere non la capiamo.”
Per un lungo secondo i due dittatori comunisti si fissarono in silenzio, mantenendo una fredda inespressività. Poi Mao lanciò la penna da una parte e si alzò in piedi.
“Se proprio vogliamo fare i pignoli, in teoria noi non dovremmo nemmeno essere in grado di capire la gente di questo paese e di questo tempo! Eppure ci riusciamo!”
“Sì, ma un conto è il linguaggio orale, un conto quello scritto. E comunque, la gente di questo tempo la capirai tu. Perché io francamente… Adolf, ti ricordi quel tizio? Quello che ci ha tipo fotografato al supermercato, com’è che ci ha detto?”
“Che fighi che siete con quei baffi! Datemi facebook, che vi taggo!” Disse Adolf, cercando di imitare anche il tono di voce.
“Ecco, dimmi te Mao se questo è modo di parlare! E cosa ci facesse un ragazzino di quella giovane età in giro da solo…”
“Ti ha fatto una foto?!”
“Ci ha fatto una foto, sì.”
“E tu cosa hai fatto?!”
“Io ho pensato che uno così giovane, in giro da solo, che fa foto a dei perfetti estranei, fosse uno in cerca di soldi. Così gli ho messo in mano cinque euro e l’ho spinto verso il bancone del pane.”
Mao si colpì la faccia con la mano: “Ma che… Oddio… Stalin cazzo cos’è che avevamo detto!? Non dovevamo per nessun motivo essere rintracciati! Ora di noi gira una foto! Demon potrebbe riprenderci da un momento all’altro!”
“Ma va là! Figurati se quella foto finisce nelle sue mani. Se la sarà tenuta il ragazzino.”
Mao stava per esplodere in un’altra delle sue sfuriate (era l’unico ad aver in qualche modo capito come funzionavano le cose nel 2010) quando Benito li interruppe: “Discorso alle nazioni unite, di Adolf, Benito, Mao e Stalin. Introduzione.”
Mentre parlava scriveva sul quaderno.
I tre lo guardarono storto.
“Scusate ragazzi, ma così non la finivamo più.”
Mao si sedette di nuovo.
“Hai ragione. Procediamo.”
“Bene, dunque…. Popolo Italiano!”
“No fermo” lo interruppe subito Adolf “siamo alle nazioni unite, non ci rivolgiamo solo all’Italia.”
Altra pausa.
“Ci sono! Popoli del mondo!”
“Aspetta…” lo interruppe Stalin “Non ti sembra un po’…”
“Un po’?”
“Un po’… sai, come dire…”
“Cosa?”
“Un po’ troppo fascista.”
“Fascista?! ‘Popoli del mondo’ ti sembra una frase fascista!?”
“Guarda” soggiunse Adolf rivolto a Stalin “ti dico subito che se hai intenzione di farlo iniziare con ‘Compagni!’ io al discorso non partecipo.”
“Meglio.”
“Meglio cosa?”
“Meglio, uno in meno.”
Stalin e Adolf si fissarono e sembrarono pronti ad azzuffarsi, quando Mao, alzando la mano, disse: “Ce l’ho ce l’ho!!! Iniziamo così: Signore e signori, buongiorno a tutti!”
Pausa.
“Mi piace!”
“Sì, infatti è il saluto meno politicizzato di tutti.”
“Perfetto, allora è deciso.”
Benito scrisse: Signore e signori, buongiorno a tutti!
“Bene adesso… Adesso…”
“Siamo tornati!”
“Eh?”
“Beh, dobbiamo presentarci no? Diciamo così: signore e signori, buongiorno a tutti, siamo tornati!”
I tre fissarono Adolf.
“A me non convince molto…” disse Ben.
“Nemmeno a me.” Disse Stalin.
“Però ha senso…” disse Mao.
Pausa.
“Signore e signori, buongiorno a tutti, siamo tornati…. Forse, detto col tono giusto…”
“Mettiamolo così poi in caso si cambia.”
Ben scrisse: Signore e signori, buongiorno a tutti! Siamo tornati!
Ben osservò la frase poi aggiunse qualcosa vicino.
“Che scrivi?” Chiese Adolf.
“Ho scritto: e siamo molto delusi da quello che abbiamo trovato.”
“MA NO!” sbottò Stalin “Così rovina tutto! Avevamo appena detto che dovevamo usare il tono giusto! Con quest’aggiunta mandi a benedire tutta la frase!”
“Anzitutto si dice, e ancora si usa, ‘mandi a puttane’. Secondo, non mi direte che siete contenti di questo tempo!”
“Io sì.” Disse Mao.
I tre gli lanciarono un’occhiataccia. Lui cambiò argomento:“Comunque non si può iniziare un discorso così, ci tireranno addosso i pomodori!”
“Devono solo provarci.”
“Adolf, non siamo più ai tempi dove potevi metterli in galera se lo facevano.”
“No! Infatti! Ora siamo ai tempi dove discorsi così non vengono fatti di fronte al popolo, ma lontano da esso! Loro seguono tutto da questi così orribili, infernali, chiamati schermi! Altrimenti sai te quanti pomodori prenderebbero in testa quei deficienti che stanno adesso al posto nostro! Invece no! Loro si parano tutto grazie agli schermi! Gente senza palle proprio….” Ben respirò a fondo nel tentativo di calmarsi “Ora… Se proprio volete lo tolgo, ma secondo me prima o poi sarà il caso di dirlo.”
“Meglio poi che prima.”
Ben sbuffò e tracciò una linea per cancellare.
“Idee per proseguire?”
Il quartetto rimase in silenzio per un po’. Adolf cominciò a giocherellare con il bianchetto, colpendo ritmicamente il tavolo e facendolo girare tra le dita, con il fare nervoso di chi vorrebbe parlare ma non ha il coraggio di farlo.
“Adolf, a questo punto di quello che vuoi dire.”  Sbottò Ben seccato dal rumore.
“Possiamo metterlo un paragrafo sugli ebrei?”
“No.”
“Ma se non lo facciamo troppo esplicito?”
“No! Dobbiamo rivolgerci a tutti! Ormai il mondo è diverso da come ce lo ricordavamo!”
“Io dico di no.” Stalin si riempì un bicchiere di vodka e bevve.
“Come dici Stan?”
“Io dico che la gente si illude che il mondo sia cambiato. In realtà non è cambiato niente. Pensateci bene: esistono ancora forme di censura, favoritismi, sgambetti tra nazioni, accordi sottobanco e discriminazioni. Le vittime sono cambiate, il modo per coprirsi è cambiato. Noi usavamo il pugno di ferro, loro usano la democrazia. Ma se si va a vedere chi si candida, beh, sono sempre gli stessi. Io ieri ho usato quella cosa che si chiama… come si chiama?”
“Internet dici?”
“Esatto! Mi sono andato a vedere tutti quelli che hanno governato le nazioni, inclusa ovviamente la Russia. Oh, gira e rigira sempre gli stessi sono! Forse l’unica cosa che è cambiata è che ora molto potere si misura attraverso i soldi. Questo per esempio ai nostri tempi era meno… beh meno, diciamo che si notava di meno. Alla fine, l’atteggiamento di un capo rimane sempre lo stesso: io posso farlo, voi no. Non importa che sia un nobile, uno che pretende di essere figlio di una divinità, uno superiore per meriti fisici o intellettivi o più semplicemente ricco sfondato; alla fine, somigliano a noi molto più di quanto non lo vogliano far credere.”
“Io” intervenne Ben “personalmente non voglio associarmi a quel tipo che sta alla casa bianca.”
“Obama?”
“Esatto. Assomigliare a quello? Lungi da me.”
“Se è per il fatto che è nero…”
“Non è per quello… non solo per quello. Hai sentito quello che dice?”
“A questo punto possiamo concludere che gli unici realmente onesti sono i cinesi.” Disse Mao.
“I cinesi?”
“Non mi pare che loro dicano di essere migliori di altri! Non hanno questa pretesa!”
“Probabilmente no, ma lo pensano di sicuro! Anzi, secondo me si scoprirà presto che voi siete più razzisti di noi!”
Mao e Ben si fissarono furiosi per un attimo, con Stalin pronto a scattare nel caso si fossero attaccati.
Quando all’improvviso Adolf balzò in piedi e gonfiando il petto iniziò a recitare, quasi urlando: “Signori e signore! Siamo tornati! E lasciatecelo dire, bello schifo che vediamo! Credevate di esservi sbarazzati di noi, vero? E magari celebrate anche le nostre morti con gioia, vero?! E invece no! Vi siete solo chiusi in un’altra prigione! E ogni volta che associate me o i miei compagni qui presenti a uno dei pagliacci che avete messo voi al potere, lasciatevelo dire, invece di rivoltarmi nella tomba mi metto a ridere! Rido perché so che quando ci rivedremo tutti quanti all’inferno, perché così sarà, capirete di non aver imparato nulla dalle terribili esperienze che vi abbiamo fatto passare! Finita una discriminazione, ne avete inventate di nuove, sparito un capro espiatorio loro ve ne hanno dato uno tutto nuovo! E voi che fate? Li seguite! Pecore eravate, pecore siete rimasti! Ed è inutile che mi mettete davanti il femminismo, l’equità razziale, i diritti civili… Guardatevi intorno, più cercate di essere fratelli più finite per odiarvi! E io rido perché a questo punto sono anche più onesto di voi! E mi vergognerei a definirmi vostro governante! Quindi sapete che vi dico!? Andatevene tutti affanculo!”
E pronunciò le ultime parole battendo forte tre pugni sul tavolo.
Finito lo sfogo si ritirò nella stanza del figlio minore.
Mao, Stalin e Benito rimasero seduti in silenzio. Adolf aveva in fondo detto quello che tutti e tre avevano pensato, ritrovandosi nel futuro. Anche lo stesso Mao, pur essendo orgoglioso di come si era sistemata la sua terra, aveva capito che anche lì qualcosa non andava.
“Secondo me, la cosa migliore è dormirci su.” Disse Ben abbandonando quaderno e penna.
“Sono d’accordo.” Stalin si alzò.
“Vi seguo anch’io.”
Ognuno tornò nella stanza da letto che si era scelto, ripromettendosi di ripensarci il giorno successivo.
 
“E poi mi ha messo cinque euro in mano e mi ha spinto verso il bancone del pane.”
Demon teneva in mano il cellulare del ragazzino osservando le facce perplesse di Adolf e Stalin sullo schermo. Anche se indossavano dei cappelli, e Adolf portava dei ridicoli occhialoni da vista, erano evidentemente loro.
“E qual’era il supermercato dove li hai visti?”
“Te l’ho detto, girato l’angolo lo trovi.”
Demon si guardò intorno: un quartiere ricco, ma non troppo, pieno di abitanti, case e negozi. Quel supermercato dietro l’angolo non era di certo l’unico.
Se erano abbastanza furbi, cambiavano spesso il posto dove procurarsi il cibo.
“Scusa, ma cosa hanno fatto questi?”
“Te l’ho detto ragazzino, sono scappati di prigione.”
“In effetti sembravano dei mezzi carcerati. Ma non puoi dirmi cosa hanno combinato?”
Demon fissò negli occhi il ragazzino.
“No, ma se vuoi ti posso portare con me nella caccia.”
“Davvero!?”
“Sì. Mi basterà possedere il tuo corpo.”
“Cosa?!”
Prima che il piccoletto potesse far qualcosa, la mano di Demon si era allargata a sufficienza da stringergli tutta la testa, per infine entrarci dentro.
Preso il controllo del ragazzino, Demon respirò l’aria a pieni polmoni. Tossì.
“Smog. Me lo ricordavo diverso…”
Iniziò a muoversi, prima con goffaggine, poi sempre più con sicurezza.
“Sto venendo a prendervi, traditori….”
  
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