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Autore: Rohchan    05/11/2017    1 recensioni
Prima di quella di Inuyasha, c'è un'altra storia da raccontare. Prima dei suoi incubi, delle sue battaglie, dei suoi sogni e dei suoi amori, c'è stata la vita di altre due creature, un'umana e un demone maggiore. Loro sono l'inizio della sua storia, ed è la loro storia che vorrei raccontarvi.
Volete sedere accanto a me ad ascoltare?
***
"Se verrà, se di notte verrà,
colpiremo a morte il tuo amore,
bruceremo le vesti e il suo cuore,
se verrà lo Straniero..."
(A. Branduardi, "Lo straniero)
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: inu taisho, izayoi, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Lo straniero

 

Il luogo da cui ti scrivo, tesoro, è il tempio di Isuzu, dove da qualche settimana ci siamo trasferiti.

Tu sei ancora così piccolo, non so come farò a separarmi da te. Ma so, io lo sento, che la mia ora è infine giunta. Aveva ragione la mia balia, quando da bambina mi diceva che la vita non ci dà modo di scegliere il momento in cui morire senza infrangere le leggi di Buddha, ma ci dà modo di sentire che la nostra vita è giunta al termine, perchè ci si possa preparare per il lungo viaggio che ci attende una volta varcati i confini di questo mondo.

 

La mia balia è una delle prime persone di cui conservo il ricordo. Lei mi chiamava semplicemente col mio nome, Izayoi, e non pretendeva da me altro trattamento di quello che avrei riservato ad una vera madre.

Sono nata in un periodo di grandi guerre; mio padre, rispettando gli insegnamenti degli dei, non parlava quasi mai di politica in presenza mia o di mia madre, o di qualsiasi altra donna della casa. Che atteggiamento sciocco, viene da pensare. Ma mio padre, Sanada Yukimura, era un brav'uomo, ed il suo solo progetto nella vita era garantirci un'esistenza decorosa servendo con onore il Daimyo cui aveva giurato fedeltà. Ho scoperto poi, molti anni dopo, che le vite e gli struggimenti umani sono ben poca cosa rispetto alla vita e ai pensieri di altre creature, infinitamente più potenti e incredibilmente più astute ed intelligenti.

Fu tuo padre ad insegnarmi a vivere e pensare come un uomo, ma questa parte della storia è ancora molto lontana. Per ora ti basti sapere che sono cresciuta in una famiglia asservita ad un signore, schiava senza rendersene conto, affamata com'era di conquistare un posto di riguardo nella nostra terra. Mia madre, debole di salute come lo sarebbe poi stata la figlia, morì di febbre l'inverno successivo alla mia nascita, e mio padre prese in moglie un'altra donna, sperando di avere da lei il figlio maschio tanto desiderato.

Ma gli dei non erano d'accordo.

 

Così, la mia infanzia trascorse tra giorni di sole e pioggia, neve e vento, osservando il grande ciliegio del giardino fiorire, anno dopo anno. Il mio corpo si allungava, e spesso la notte soffrivo di tremendi dolori alle gambe, che la mia balia provvedeva a calmare con massaggi di mani calde umide di olio di canfora. Per molti quell'odore è incredibilmente fastidioso, ma per me è sempre stato il segnale della fine del dolore. Quando morirò, bambino mio, seppelliscimi sotto uno di quegli alberi, in modo che il mio spirito possa godere di quel profumo anche quando il corpo sarà ormai ridotto a sole ceneri. I miei capelli crescevano, folti e lucenti per le grandi cure che gli venivano riservate, neri come le notti senza luna che ora ti fanno tanta paura. Mio padre cercava di vestirmi come meglio poteva, mandandomi in giro in carrozza su e giù per tutti i territori del suo signore, cercando di vendermi come fossi stata un animale da monta. E per lui non ero che questo, un inutile, pesante fardello che non era in grado di reggere una spada, e che al Daimyo non sarebbe mai servito ad altro che a procurarsi nuovi soldati.

Ma per quanto avesse la mente annebbiata dal suo tempo, mi ha sempre amata, e ha cercato per me la migliore occasione possibile di avere una vita agiata.

 

La mia occasione si presentò, a cavalcioni di un magnifico baio, una mattina di tarda primavera dell'anno in cui divenni una donna. Avevo tredici anni, ed a quel tempo la mia sola compagnia erano i fogli di carta che a fatica mio padre riusciva a procurarmi, i pennelli e l'inchiostro da scrittura, il koto di mia madre ed una ragazza, una giovane serva di nome Shizuka, che sarebbe divenuta compagna di molte notti e custode di molti segreti.

Lui era bellissimo, ai miei occhi di bambina ancora così piccola. Ricordo che sembrava il principe Genji, così bello sul suo cavallo, vestito di un abito di broccato che nemmeno tutte le ricompense di battaglia di mio padre avrebbero potuto comprare.

 

Si chiamava Sorin, ed era uno dei figli del clan Otomo. Mi piacque perché era gentile, e perché le sue mani, quando quella sera presero dalle mie la ciotola di riso che gli porgevo, profumavano di cuoio ed erano un po' ruvide, proprio come quelle di mio padre. Fu facile invaghirmi di lui, e lui sembrava, se non amarmi, almeno volermi bene come fossi stata sua sorella. Ma il bonzo che venne per le nozze non credeva che io sarei stata una buona moglie; disse a Sorin che negli oracoli aveva letto che, con me, la sua famiglia sarebbe caduta in disgrazia, e che nel destino di quella bambina che lo guardava con un misto di affetto e soggezione c'era un'ombra scura, come un mostro con orribili zanne e poteri in grado di spezzare la sua vita come fosse stata un fuscello.

Sorin, però, non gli credette, e dopo aver celebrato il matrimonio nella mia casa, all'inizio dell'autunno, con una festa tanto sfarzosa che mio padre dovette mangiare riso bianco per le lune successive, mi portò nel suo palazzo distante dieci giorni di viaggio sul carro. Con me venne Shizuka, all'epoca solo di un anno più grande di me. Anche lei era felice, fiera ed orgogliosa che la sua padroncina fosse diventata Hime.

Hime, principessa. Divenni la principessa Izayoi, e fui felice, almeno per il primo anno di matrimonio. Sorin provvedeva ad ogni mia esigenza, ed in cambio chiedeva solo un abbraccio caldo e gentile in cui addormentarsi la sera, per poi sgusciare via, poco prima dell'alba, prima che qualcuno lo vedesse.

 

  
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