Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Ricorda la storia  |      
Autore: Flos Ignis    10/11/2017    4 recensioni
‘Seconda classificata al contest “Like an Hero-Eroe per un giorno” indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di EFP’.
Ambientata alla fine della guerra di Ishval.
‘Ignis aurum probat’, ovvero ‘il fuoco tempra l’oro’: è il significato più profondo della vita a mio parere.
I nostri protagonisti hanno appena vissuto l’inferno e quando una persona salta attraverso le fiamme può finire solo in due modi: in cenere, o più forte che mai.
Cosa accadrà a Roy Mustang, l’Alchimista di Fuoco? Le sue fiamme lo consumeranno, o saprà resistere e uscire da quell’inferno più forte che mai, pronto a cambiare il mondo grazie alla sua forza?
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maes Hughes, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Ignis aurum probat




A Manto, che mi ha salvata in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. Per me, tu sei la mia eroina. Ti voglio bene!


 

-Io ti maledico!-

Uno schiocco di dita, il tessuto dei guanti che crea una pericolosa scintilla: la vita dell’ultima persona del popolo di Ishval venne consumata dalle sue fiamme in pochi secondi, permeando la divisa del maggiore Mustang dell’odore nauseante di carne bruciata a cui si era suo malgrado abituato.

Lasciò cadere il braccio senza mutare la sua espressione: sentì chiaramente del sangue macchiargli il volto, ma rimase immobile come una statua finché di quell’uomo di cui non saprà mai il nome non restarono che frammenti di ossa annerite.

Solo allora chiuse per un istante gli occhi neri come ossidiane, ma vuoti come infiniti pozzi di disperazione… gli occhi di un assassino.


 

La guerra era finita. Roy poteva vedere questa consapevolezza sui volti dei suoi commilitoni, nella frenesia con cui raccattavano i loro poveri bagagli, nelle lettere scritte con gioia febbrile ad amanti e familiari per dirgli che sì, finalmente stavano per tornare a casa.

-Ehi, Roy.-

Una mano sulla spalla lo fece voltare, facendogli trovare il sorriso del suo migliore amico, il capitano Maes Hughes, a pochi centimetri da lui.

-Sono felice che sia finalmente finita. Ora potrò tornare a casa dalla mia amata Glacier, il mio dolce bocciolo…-

Lo sproloquio sarebbe andato avanti per svariati minuti se l’Alchimista di Fuoco non l’avesse frenato subito, distanziandolo velocemente allungando il passo. L’unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento era che voleva raggiungere la sua tenda per lavarsi via di dosso il sangue e la sabbia che gli impregnavano la divisa che non troppi mesi prima aveva ricevuto con l’orgoglio nel cuore, ma di cui ora desiderava solo liberarsi, soprattutto a causa dell’odore di morte che lo seguiva come un mastino fedele.

‘Manca poco… solo un altro poco…’

La nausea che lo accompagnava costantemente da quando aveva messo piede in quel Paese non accennava a diminuire, anzi, continuava a investirlo a ondate sempre più forti. Non avrebbe resistito ancora molto dal dare di stomaco.

‘Dio, abbiamo compiuto un genocidio.’

Questo pensiero gli piombò addosso con il peso di una montagna e lui si sentì sulle spalle il peso di tutto il male di quel mondo malato.

Non poteva sopportarlo.

Ignorò i richiami del suo amico, precipitandosi nella sua tenda con le poche forze rimastegli nelle gambe. Queste lo abbandonarono appena il pesante tessuto ricadde alle sue spalle: ora che a circondarlo c’era solo il buio soffocante del suo spazio privato, Roy poté abbandonarsi sul terreno, affidandosi alla discrezione dei suoi compagni affinché nessuno venisse a disturbarlo. Persino Hughes pareva aver intuito la sua necessità di rimanere da solo a farsi divorare dall’oscurità, dagli incubi che sicuramente avrebbero infestato il resto delle sue notti con bagliori funesti e spari tuonanti.

Per il principio dello scambio equivalente, quale punizione avrebbe dovuto espiare per tutte le persone che aveva brutalmente ucciso, dandole in pasto alle sue fiamme?

Eppure, nessuno meglio di un alchimista dovrebbe sapere che non esiste niente di equiparabile ad una singola vita, dato nulla a questo mondo poteva essere offerto di abbastanza prezioso per una trasmutazione umana, il più grande tabù dell’alchimia.

Le ultime parole dell’uomo che aveva ucciso poche ore prima continuavano a risuonargli come un temibile anatema nella mente…

“Io ti maledico!”

Se non avesse smesso di credere in un Dio qualunque già da ragazzo, agli albori dei suoi studi presso il defunto maestro Hawkeye, sicuramente si sarebbe chiesto quale divinità potesse abbandonato la sua gente ad un simile destino. Eppure nessuno di loro aveva rinnegato la sua fede, nemmeno dopo che lui e tutta Amestris avevano perseguitato ogni uomo, donna e bambino che aveva abitato in quella terra.

Perciò, Dio di Ishbal, se esisti davvero, esaudisci il desiderio dell’ultimo fedele che ti ho strappato: scaglia la tua furia su di me, vendicando la morte sua e di tutti coloro che lo hanno preceduto.

Probabilmente quella era la preghiera più sincera, oltre che l’unica, che mai avrebbe fatto in vita sua.

Restò immobile, prostrato a terra dal malessere che gli stava facendo rimettere anche l’anima insieme al sangue, senza tentare di rialzarsi nemmeno quando finalmente il suo stomaco parve riassestarsi.

Nessuna punizione divina, nessuna morte pietosa era giunta a porre fine a tutto l’orrore che si portava dentro.


 

Restò in quella posizione per quelle che gli parvero ore. Forse lo furono davvero, perché quando da fuori giunse la voce del suo amico a chiamarlo per il rancio serale la luce aveva smesso di filtrare attraverso lo spesso tessuto.

-Roy? Sei ancora lì dentro?-

Non trovò la forza di rispondere, troppo occupato a cercare di rialzarsi per darsi una parvenza di contegno. Aveva ancora un briciolo d’orgoglio, sepolto sotto il mare di sangue che grondava da tutta la sua persona.

-Ehi amico, la guerra è finita. Non siamo morti, si torna a casa.-

-E cosa accadrà, una volta tornati ad Amestris?-

Il capitano lo guardò accigliato, indurendo lo sguardo. Gli occhi granitici del suo migliore amico gli facevano paura, quella scintilla di rabbia che sembrava avergli ridonato la parola pareva far ardere di fiamme maligne l’Alchimista di Fuoco.

-Piano piano torneremo alla vita quotidiana che ci siamo lasciati alle spalle venendo qui. Il mondo non si ferma solo perché degli esseri insignificanti come noi si fanno la guerra l’un l’altro.-

-Questa non è stata una guerra, è stato un massacro ingiustificato.-

Ora quegli occhi neri erano puntati su di lui, quasi a sfidarlo a contraddire quelle parole che sapevano di disperazione, nascosta sotto la patina di rabbia che gli aveva dato forza.

Ma non gli diede il tempo per ribattere: si chinò sulla sua sacca da viaggio, prese qualcosa e gliela lanciò con un disprezzo così marcato in volto da far credere che tutto il male del mondo fosse concentrato in quel piccolo oggetto.

Maes lo prese al volo d’istinto, senza soffocare un verso di sorpresa quando capì la vera portata di ciò che aveva tra le mani.

L’orologio d’argento, il simbolo di riconoscimento che veniva dato agli Alchimisti di Stato, sembrava brillare debolmente in quella cupa ombra che nascondeva agli occhi del mondo quanto stava accadendo in quella tenda.

-Non voglio vederlo mai più. Fanne ciò che vuoi, lo affido a te. Distruggilo, conservalo, buttalo... se vuoi, consegnalo al Comandante Supremo Bradley. Questo gesto viene considerato tradimento dall’esercito, ma non mi importa di diventare un disertore.-

Hughes capì che in quel momento non sarebbe servito a nulla cercare di far ragionare il suo testardo amico, perciò sospirò a occhi chiusi, come a nascondere a sé stesso il timore per ciò che sarebbe accaduto a quell’uomo dall’animo devastato davanti a lui, poi mise il prezioso orologio al sicuro nella tasca interna della giacca blu dell’uniforme.

-Lo terrò io al sicuro per te… per ora. Ma ti prego di non prendere decisioni avventate: prenditi del tempo per riflettere attentamente sulla situazione, io nel frattempo aspetterò. Non intendo certo portarti davanti alla corte marziale. Ricordi cosa ti risposi quando mi chiesi il motivo per cui combattevo?-

Un cenno d’assenso fu tutto ciò che ottenne, ma almeno Roy lo stava ancora ascoltando.

-Non volevo morire. Ora sono qui, di fronte a te e nei prossimi giorni torneremo tutti alle nostre case e alle nostre vite. Perciò, lascia che ti dica solo un’ultima cosa, amico mio: io sono felice che tu sia vivo, perciò vedi di non morire proprio ora in modo sciocco, buttando via questa vita che ti è rimasta. Non sei mai stato un codardo, perciò non iniziare adesso a scappare.-

Roy strinse le labbra, in evidente dissenso con le sue parole, ma chinò il capo, in una muta accettazione di ciò che gli era stato detto.
-Ora andiamo, alcuni dei tuoi sottoposti mi hanno mandato a chiamarti per la cena. A quanto ho capito, vorrebbero parlarti.-


 

Due giorni più tardi Roy si stava ancora aggirando per l’accampamento come un fantasma, osservando con poco interesse alcuni dei sottoposti che l’avevano ringraziato per averli protetti salire sui veicoli che li avrebbero riportati a casa.

Ormai non erano rimasti molti soldati all’accampamento: ad attardarsi tra quelle tristi dune erano per lo più alcuni ufficiali di alto rango e i feriti più gravi, che prima di essere trasferiti in ospedali attrezzati avevano avuto bisogno di qualche giorno per essere stabilizzati dai medici del campo.

Per il giorno successivo era stato fissato l’ultimo viaggio di ritorno, in quel posto non sarebbe rimasto altro che la sabbia del deserto e le macerie di un popolo che non avrebbe più fatto ritorno.

Il Maggiore Mustang non aveva più aperto bocca da quando Hughes l’aveva condotto dai suoi soldati, che con tanto rispetto avevano affermato la loro fiducia in lui: a detta loro, le sue portentose fiamme avevano fatto loro da scudo, facendo in modo che non morissero invano.

“Lei non ci ha mai abbandonati. Grazie a lei, alchimista di fuoco, non siamo morti. Per noi, lei è un eroe. È per merito suo se molti di noi sono sopravvissuti. Le siamo grati, maggiore.” *

Le parole di quel soldato per un momento avevano tamponato le ferite del suo animo. Gli era riconoscente per questo… era grato a tutti loro per essere sopravvissuti.

Si era fatto dire i loro nomi: avendo scordato i molti compagni caduti e i troppi nemici uccisi, aveva sentito il bisogno di ricordare almeno i nomi delle persone che era riuscito a proteggere.


Ma il sollievo che aveva provato per quel breve istante si era volatilizzato non appena era andato a dormire e dei terribili incubi l’avevano tormentato, senza concedergli di riposare serenamente nemmeno per poche ore.


Cercando di resistere alla tentazione di tornare sulla sua brandina per chiudere gli occhi e smettere di vedere su ogni cosa su cui posava lo sguardo lo scarlatto del fuoco e del sangue, continuò a camminare tra alcuni ruderi, fregandosene della terra che si attaccava ai calzoni e dei richiami di questo o quel soldato.

Voleva restare solo.

Quasi a beffarsi di quel suo desiderio, Roy arrivò vicino all’unica persona che non sarebbe mai stato capace di ignorare, nonostante l’incrociarne lo sguardo affondava ogni volta mille lame taglienti nel suo cuore.

Riza Hawkeye stava china su un piccolo tumulo di terra, mentre posava un piccolo fiore azzurro sotto la croce di legno di quella tomba improvvisata.

Le dita di quella giovane ragazza non erano fatte per premere il grilletto di un fucile: per quanto la sua mira fosse indiscutibilmente precisa, un vero talento naturale, Roy aveva sempre pensato che quelle lunghe dita pallide fossero perfette per accarezzare i tasti di quel pianoforte che il suo maestro teneva in soggiorno come ricordo della defunta moglie… non erano fatte per togliere la vita, per ghermirla e soffocarla nella loro stretta.

Vederla congiungere le mani in quel momento, con quel particolare modo che aveva lei di piegare la testa verso sinistra quando pregava mentalmente, gli fece tornare alla mente come un flashback una scena molto simile, quando in una giornata di pioggia avevano assistito al funerale del signor Hawkeye. Quella volta, avrebbe giurato che un soffio di vento avrebbe potuto portarla via per quanto gli era sembrata piccola e fragile.

Ora capiva di essersi sbagliato completamente: nonostante la giovanissima età, era già una donna capace di cavarsela da sola, di sopravvivere su un campo di battaglia in cui moltissimi soldati più esperti di lei erano caduti.

Si trovò a provare un tiepido moto di felicità al pensiero che almeno lei si era salvata.

Forte di questo pensiero, uscì allo scoperto interrompendo il silenzio di quegli istanti.

-Era un tuo commilitone?- le chiese a bassa voce.

-No… era un bambino di Ishval, lasciato a morire sul ciglio della strada.-

-Sono in molti ad essere finiti come lui. Forza, vieni: la guerra è finita, dobbiamo tornare a casa.-

-A casa, dice? Ad una vita normale? Lei crede sia possibile?-

Roy distolse lo sguardo, incapace di mentire a quegli occhi nocciola, un tempo caldi e ingenui, ora solo disperati.

-Si ricorda di quando morì mio padre?-

-Ma certo!- le rispose istintivamente stupito da quel brusco cambio di argomento.

-Lei mi disse che sarebbe entrato nell’esercito, che ci avrebbe passato l’intera vita… che non poteva promettermi che non sarebbe morto. È per questo che decisi di mostrarle il codice alchemico che mio padre aveva inciso sulla mia schiena. Ho creduto in lei e nei suoi ideali, tanto puri che ho creduto avrebbero davvero aiutato molta gente.-

Riza si decise finalmente ad alzarsi, voltando le spalle alla tomba su cui aveva pregato per guardarlo fisso in viso. Mustang aveva un pessimo presentimento, sentiva che non gli sarebbe piaciuto per niente quello che sarebbe derivato da quel discorso.

Non sapeva quanto avesse ragione.

-L’alchimia dovrebbe portare la felicità, dunque perché viene usata per uccidere le persone che abbiamo giurato di proteggere?-


Lo afferrò per la giacca blu della divisa, avvicinando i loro visi più di quanto non lo fossero mai stati. In una situazione normale si sarebbe imbarazzato moltissimo, ma il vuoto che sentivano dentro di loro era tale da annullare qualsiasi sentimento futile quale il piacevole disagio per il contatto con l’altro sesso.

-Non esiste perdono per quelli come noi, maggiore Mustang, né espiazione. Non possiamo ambire ad ottenerli, non li meritiamo e sarebbe come disonorare i morti di questa guerra se li volessimo. È stata una mia scelta indossare questa uniforme, non intendo pentirmene o tornare indietro, tuttavia… -

Il tramonto stava infiammando i capelli biondi di Riza, rendendola parte integrante di quel paesaggio deserto dai colori caldi della terra e del fuoco. Lei prese coraggio insieme al respiro, per poi chiedere finalmente ciò di cui aveva bisogno per andare avanti per la sua strada.

-La prego, bruci con le sue fiamme la mia schiena. Faccia in modo che non nasca mai più un Alchimista di Fuoco, che nessuno possa più sfruttare le ricerche di mio padre per scopi tanto crudeli!-


 

Quella notte, Roy Mustang si introdusse nella tenda della sua vecchia amica, ancora incredulo di aver acconsentito a una richiesta tanto disperata. Far volontariamente del male a lei, per qualche motivo, gli sembrava un crimine equiparabile agli omicidi che aveva compiuto in quella dannata guerra di sterminio.

Il buio, il silenzio, l’aria immobile che circondava quel luogo contribuivano al senso di soffocamento che stava provando l’uomo. Avrebbe voluto essere in qualsiasi luogo, tranne che in quella tenda.

-La ringrazio davvero, signore.-

Molte lacrime non versate, troppe urla trattenute e infinite parole mai pronunciate tra loro: erano talmente tangibili da essere soffocanti, incrementavano l’ansia e si posavano sulle loro spalle, pesanti come macigni.

Fu Riza a muoversi per prima: gli voltò le spalle, togliendosi giacca e maglietta d’ordinanza, rivelandogli per la seconda volta i segreti dell’Alchimia di Fuoco incisi sulla sua pelle. Da un certo punto di vista, gli stava concedendo un onore non da poco, oltre che un onere non indifferente: lui era stato il primo e unico a cui era stato concesso quel sapere e sempre a lui era stato chiesto di cancellare dal mondo l’esistenza stessa di quella conoscenza.

Con mano tremante si avvicinò al corpo seminudo di quella piccola donna coraggiosa. Era davvero giusto ciò che stava per fare?

-Questa guerra mi ha abituato fin troppo a bruciare le persone. Ti farò meno male possibile, basterà bruciare i primi strati di pelle nei punti chiave delle formule.-

-Non mi importa del dolore, faccia come meglio crede. Non si preoccupi per me.-

-Non smetterò mai di preoccuparmi per te.- lo mormorò d’istinto, senza quasi accorgersene.

Non le diede il tempo di stupirsi per quelle parole così estranee al suo carattere, perché indossò il guanto con il cerchio alchemico e schioccò le dita.

Una, due, tre volte apparvero delle lingue di fuoco che accarezzarono la pelle non più immacolata della ragazza, che si morse a sangue un labbro per evitare di urlare. Ci riuscì, ma l’uomo la sentì gemere di dolore, mentre i muscoli le tremavano con violenza mentre cercava di restare il più ferma possibile.


Aveva fatto tutto nel più breve tempo possibile, credendo che un intenso dolore fosse più sopportabile di una lenta agonia. Cercando di lenire quelle piaghe, usò una pomata che aveva chiesto preventivamente ad uno dei pochi medici rimasti al campo, senza che lei emettesse più un suono.

Lo odiava? Quello era stato una specie di simbolico addio? Un modo per tagliare i ponti non solo con suo padre e l’alchimia, ma anche con lui?

Sorpreso che il suo cuore potesse ancora provare un tale terrore e un simile tormento, si congedò da lei con un inchino che lei non poté vedere, immobile sulla sua brandina e con il volto premuto sul materasso sottile e duro tipico dei militari.

Con la mente vuota e l’anima lacerata, si diresse a passo felpato lontano da lei, per non vedere più tutto il dolore che le aveva inflitto.
Fu la sua voce, un po’ affaticata dal dolore ma sincera come sempre, a fermarlo.

-Non volevo chiedere troppo. La prego, mi scusi per averle chiesto un favore di tale portata. Lo so cosa pensa di sé stesso, signore, ma mi lasci dire una cosa: grazie.-

Poi svenne, lasciando al suo corpo la possibilità di ristorarsi nell’incoscienza.


 

‘Mi ha ringraziato per averla ferita.’

Seduto sulla nuda terra, al riparo da occhi indiscreti grazie al buio della notte, Roy Mustang prese una bottiglia di birra che teneva nascosta nella sua sacca da viaggio e ne bevve un lungo sorso, lasciando che fosse il letto a sostenere la sua schiena.

La sofferenza insopportabile che aveva rigettato giorni prima era stato il dolore della sua anima, il rifiuto di un essere umano davanti all’indifferenza del mondo e delle sue crudeli leggi.

Le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi in quel momento erano incontrollabili come una tempesta e rappresentavano il dolore del suo cuore di uomo, che non riusciva ad accettare di aver ferito a tal punto una parte di se stesso… quella parte di cuore che aveva originato quelle stille salate, quella che portava inciso il nome di Riza Hawkeye, la quale giaceva svenuta nella sua tenda con la schiena bruciata.

Quella pelle che aveva ustionato con le sue stesse mani in modo che i segreti che custodiva diventassero cenere come la sua coscienza, disintegrata da quell’ennesimo peccato che gravava su di lui insieme a tutte le vite che aveva spento, accendendo con uno schiocco di dita delle fiamme che iniziava a credere provenissero direttamente dall’inferno.

Passò così l’intera notte, con le lacrime agli occhi e la bottiglia alle labbra.


 

-Roy, amico mio, sei sveglio?-

-Sì. Entra!-

La faccia di Hughes alla vista del suo amico in uno stato tanto pietoso parlava da sé di comprensione e disapprovazione, ma evitò di commentare. In quel momento, per lo meno.

-Andiamo, il Comandante Bradley ha radunato gli ultimi soldati per controllare che tutti siano presenti e pronti alla partenza di stasera.-

Si incamminò senza dire una parola, sicuro che Maes l’avrebbe seguito; il suono dei suoi passi lo tenne ancorato al presente, impedendogli di impazzire del tutto. La vista del Comandante supremo, così tanto più in alto di tutto loro rischiò di farlo scoppiare.

Essere lì in sua presenza metteva a tacere il dolore e faceva esplodere la rabbia, l’insofferenza e l’odio che provava per l’esercito e ciò che avevano fatto, per cosa erano stati costretti a diventare. Assassini.

Hughes gli mise la mano sulla spalla, capendo le sue emozione semplicemente guardando i suoi occhi: mandavano lampi neri di furia indomabile, era impossibile non notarla nonostante il resto del suo viso non rivelasse nulla dell’ira che portava dentro.

-Sono stato ringraziato per aver salvato la vita di qualche soldato, io che volevo proteggere tutti… per aver seppellito per sempre l’alchimia di fuoco bruciando la schiena di una vecchia amica… Mi faccio schifo!-

-La forza di un essere umano ha un limite: non puoi sperare di fare tutto da solo, Roy.-

-Con le mie mani ho potuto salvare solo poche persone, ma diventerò più forte e proteggerò ciò che per me è importante. A loro volta, quelle persone difenderanno altri, così da creare una piramide in cui chi sta al vertice aiuterà chi sta sotto di lui.-

-Il tuo non è altro che un sogno irrealizzabile. Noi adulti non dovremmo essere così immaturi.-

-Non mi importa di essere un immaturo. Se questo ideale si realizzerà davvero, avrò dato prova che era possibile.-

Voltò le spalle a tutti dirigendosi fuori dall’accampamento, in modo da restare solo.

Quella notte aveva versato tutte le sue lacrime e la rabbia aveva preso il suo posto, divampando dentro di lui. Gli dava energia e sosteneva le sue membra stanche per la mancanza di adeguato riposo.

Aveva riflettuto a lungo, tra un sorso di birra e l’altro.

Il loro era un mondo imperfetto, bellissimo e crudele.

Non era disposto ad accettarlo: non sarebbe rimasto inerme a subire ulteriori ingiustizie, non avrebbe tollerato oltre il regime che governava le loro vite con tanta superficialità.

Giorni prima aveva pensato di disertare, chiudere gli occhi per non vedere, allontanarsi da quella vita e cercare di dimenticare.

Poche ore prima, quando aveva impedito a chiunque altro a conoscere l’alchimia di fuoco, aveva addirittura preso in considerazione l’idea di creare un gruppo di rivolta contro l’esercito: con il malcontento generale che regnava tra i soldati, non sarebbe stato difficile convincere molti di loro a seguirlo.

Ora però, aveva preso una decisione diversa.

Non gli servì voltarsi per percepire la presenza di Hughes: riusciva benissimo a immaginarselo, quei capelli neri un po’ scompigliati, gli occhiali a malapena sorretti sul naso, un sorriso appena accennato, le mani nelle tasche dei pantaloni, la posa rilassata.

Roy non si era accorto di aver chiuso gli occhi mentre si perdeva nelle sue riflessioni, ma dovette riaprirli per svelare la strada che aveva scelto al suo amico. Le parole che gli aveva rivolto pochi minuti prima non erano certo frutto del caso, aveva pesato ogni sua singola parola.

-Hughes. Ho riflettuto su quanto mi hai detto e ho fatto la mia scelta.-

Erano soli in quella terra desolata, non avevano nulla da temere: nessuno avrebbe potuto ascoltarli. Roy prese un respiro profondo, facendosi forza della sua risolutezza. Si guardarono negli occhi, il tempo dell’attesa era finita, come quello della disperazione e della rinuncia.

Era tornato il tempo di combattere.

-Sono pronto a riavere il mio orologio.-

Il suo amico gli sorrise, evidentemente soddisfatto. Tirò fuori dal taschino interno il simbolo di riconoscimento degli Alchimisti di Stato che gli era stato affidato, per poi lanciarglielo, proprio come era accaduto giorni prima. Questa volta però, i ruoli erano invertiti.

-Hai quindi deciso di restare? Ammetto di essere sollevato.-


-Resterò nell’esercito, ma non credere cha passerò sopra tutto questo come niente fosse. Non mi piace per niente come viene gestito il nostro Paese. Ho imparato l’alchimia per aiutare le persone e non ho cambiato idea da quel momento.-

-È per questo che poco fa hai affermato di voler realizzare un sogno impossibile?-

-Sì. Voglio poter riformare il nostro Paese, perché ci sono persone che devono essere salvate. Voglio proteggere non solo le loro vite, ma anche la loro innocenza. Assumerò su di me tutte le responsabilità, tutto il sangue che è stato versato; anche in futuro, farò in modo che nulla di male possa accadere a ciò che ho deciso di difendere. Sono convinto che Amestris abbia il diritto di essere governata in modo retto e giusto, ma per com’è ora l’esercito…-

-Vuoi dunque ergerti a paladino del mondo? Vuoi diventare l’eroe che ha salvato il nostro Stato da se stesso?-

-Diventerò l’eroe, il nemico o qualunque cosa sia necessaria, purché abbia il potere per fermare stragi come questa, per impedire che persone come te e Hawkeye debbano nuovamente macchiarsi le mani di sangue.-

Maes aveva sempre saputo che dietro quell’aria arrogante si nascondeva un uomo degno d’onore, questa era solo l’ennesima prova del fatto che avesse avuto ragione, tanti anni prima, a credere che quello davanti a lui sarebbe diventato un grand’uomo.

E ora, stava assistendo ai primi passi dell’uomo d’onore che quel ragazzo di cui era diventato amico ai tempi dell’accademia militare stava diventando.

-Amico mio, sono davvero fiero di te.-

-Piantala Hughes, non parlare come se fossi mia madre!-

Quasi si commosse a sentire un frammento del vecchio carattere di Roy riprendere vita davanti ai suoi occhi, tanto che si trattenne a malapena dal fare un saltello di vittoria assai poco dignitoso. Ciò non gli impedì di mollargli un paio di poderose pacche sulle spalle per poi stringerlo al collo col suo braccio, festeggiando a modo suo.

Ovvero, il modo in cui sapeva avrebbe infastidito l’altro.

-Sono il tuo migliore amico, devo festeggiare quando tu prendi decisioni tanto saggie ed eroiche!-

-Ma levati, sei fastidioso!-

Iniziarono una piccola zuffa amichevole che li fece finire entrambi a terra, sdraiati con i piedi a pochi centimetri di distanza e le teste lontane.

-Sono felice che tu mi abbia dato ascolto.-

-Di cosa parli, Hughes?-


-Ti ho detto di far tesoro della tua vita, di non fare il codardo. Con la decisione che hai preso, fai l’una e l’altra cosa. Hai scelto la via più impervia, quella che ti permetterà di cambiare il nostro Paese dall’interno… e hai deciso di percorrerla per amore.-

-Amore… credo di aver dimenticato il significato di questa parola.-


-Ti sbagli, amico mio. È perché nel profondo di te stesso dai valore a questo sentimento che ti sei rialzato, che dopo aver perso te stesso in questo deserto di disperazione hai ritrovato la strada. Anzi, siccome quella di prima non ti convinceva hai voltato le spalle a tutto e hai fatto il primo passo su una via tutta nuova, che costruirai con le tue stesse mani ogni giorno.-

Roy mugugnò sconfortato, rimanendo in silenzio. Era chiaro come il sole che avrebbe voluto ribattere a quella fin troppo lusinghiera visione del suo amico, ma sapeva anche che qualunque insulto o contraddizione avesse pronunciato gli sarebbero stati ritorti contro.

Maes era decisamente soddisfatto dell’esito della loro conversazione e ancora di più di ciò che non era stato detto: il suo amico era davvero troppo orgoglioso per ammettere ciò che gli aveva fatto cambiare idea sul suo futuro.


C’era stato un momento in cui aveva creduto che tutto quello fosse davvero troppo per lui, che avrebbe mollato come gli aveva confidato di voler fare giorni prima. Aveva temuto di vederlo spezzarsi definitivamente, soprattutto dopo la notte prima: gli aveva raccontato tutto quella mattina all’alba, quando era entrato nella sua tenda e l’aveva trovato con gli occhi rossi e i segni delle lacrime seccate sulle guance.

Ma era stato proprio quando aveva toccato il fondo che si era rialzato, spinto da una rabbia accecante contro se stesso e contro l’esercito. Avrebbe potuto scegliere di assecondarla e lasciarsi guidare da essa, finendo per compiere qualche sciocchezza, ma la forza d’animo dell’Alchimista di Fuoco si era rivelata ancora una volta: aveva ideali troppo forti perché sparissero di punto in bianco, anche dopo l’inferno che avevano passato.

Roy Mustang non si era fatto piegare dalla rabbia, l’aveva afferrata a piene mani, l’aveva fatta sua e domata come fosse stata un cavallo imbizzarrito, usandola a suo vantaggio per trovare il coraggio di fare ciò che era giusto. Aveva scelto di usare la rabbia per alimentare il suo coraggio, un coraggio che avrebbe usato per costruire un mondo migliore per coloro che amava.

- Non esiste uomo tanto codardo che l’amore non renda coraggioso e trasformi in un eroe. Non ricordo chi lo disse, ma credo proprio si adatti a te questa frase, amico mio.-

Roy fece un verso di scherno, ma Maes sorrise con semplicità, muovendo una mano a caso nell’aria per mettere a tacere le sue prevedibili proteste.

Non lo ascoltò minimamente mentre gli dava dello stupido illuso, sapeva qual era la verità e a quella si sarebbe aggrappato.

Era per amore della loro patria che Roy sarebbe rimasto al suo posto nonostante il forte desiderio di fuggire, che avrebbe affrontato giorno dopo giorno i suoi incubi e li avrebbe messi a tacere, così che nessun altro avrebbe fatto la sua stessa fine.


Era per amor suo che avrebbe scalato i gradi dell’esercito, per preservare altri amici dal diventare assassini, così che la prossima generazione di uomini avrebbe retto la loro nazione con animo integro.

Era per amore di Riza che sarebbe arrivato in cima, per proteggere chi stava sotto di lui, per impedire che altri innocenti dovessero convivere con un simile fardello, perché le giovani come lei potessero dedicarsi alla famiglia e al lavoro piuttosto che indossare divise macchiate di sangue per proteggere i loro cari.

Maes sapeva che a far decidere definitivamente il suo amico era stato il disgusto per ciò che si era sentito in dovere di fare alla sua vecchia amica, aveva visto l’orrore nei suoi occhi e ne aveva avuto timore.

Ma se è vero che l’amore può distruggere una persona, altrettanto vero è che può salvarla.

Tutto ciò che gli restava da fare, era farlo capire anche al suo testardo amico.

-Roy, voglio vedere fin dove arriverai con i tuoi ideali, perciò ti starò accanto. Ma ricordati che come me, molti altri credono in te. Quei soldati che hai salvato… per loro sei un eroe! Per quanto riguarda Hawkeye, se è stata lei a chiedertelo significa che si fida di te, che aveva davvero bisogno di quel favore… per quanto difficile sia stato per te.-

-Un eroe, dici? In questa guerra non ci sono eroi.-

Dopo quella replica sferzante, Mustang si alzò in fretta, andandosene senza aspettarlo. Doveva immaginarlo, per un giorno solo avevano fatto fin troppa conversazione a cuore aperto secondo i suoi standard.

Hughes si schermò gli occhi dal sole, deciso a riposare ancora qualche minuto prima di seguire il suo irritabile amico. Non l’aveva dato a vedere, ma era stato davvero in pena per lui, aveva avuto paura che perseguisse nelle sua folle idea di abbandonare tutto.


Le sue parole di prima erano state un tale sollievo per lui… Ora poteva tornare a casa dalla sua amata Glacier senza il peso che l’aveva quasi soffocato in quei giorni.

Incredibile quanto un piccolo orologio d’argento possa pesare…

 



Sei mesi più tardi

 

-Soldato semplice Hawkeye a rapporto, signore!-

Un perfetto saluto militare, lo sguardo deciso. La ragazza che era stata Riza sembrava essere scomparsa nelle lande del deserto di Ishval, lasciando al suo posto un soldato fatto e finito.

-Dopo tutto ciò che è accaduto, hai deciso di restare nell’esercito?-

-Sì, è così. Ho capito che noi soldati dovremmo essere gli unici a sporcarci le mani di sangue. I ricordi come quello di Ishval dovremmo essere solo noi a portarceli dentro. Se è vero che la verità del mondo si rivela tramite lo scambio equivalente come dicono gli alchimisti, se saremo noi adulti a caricarci di fiumi di sangue la nuova generazione potrà godersi la felicità.-

Mustang chiuse gli occhi, concorde a malincuore con quelle parole, deluso da quella verità. Pronto tuttavia a cambiarla, con tutte le sue forze.

Ma l’Alchimista di Fuoco sapeva che ormai non poteva più fidarsi di sé stesso dopo ciò che aveva fatto, dopo aver tradito la fiducia che lei gli aveva accordato mostrandogli i risultati dello studio di suo padre, confidando che quella alchimia avrebbe portato sogni e speranze alle persone.

-Proporrò di farti lavorare come mia assistente. Voglio che tu sia dietro di me, che mi protegga… Capisci cosa voglio dire? Lascerò che sia tu a guardarmi le spalle e ciò significa che potrai spararmi in qualsiasi momento.- *

Respirò profondamente, fissandola dritta negli occhi, affidandole quella vita che sapeva di non meritare. Che sapeva non appartenergli, perché da quando aveva indossato l’uniforme l’aveva messa al servizio del suo Paese.

Aveva tradito la fiducia di quella ragazza usando l’alchimia di fuoco come portatrice di morte. Lei aveva assunto quello sguardo a causa sua, aveva lo sguardo di un assassino perché aveva deciso di proteggerlo a qualsiasi costo. Il minimo che potesse fare, per il principio dello scambio equivalente, era affidarle la sua misera vita, mettendo a sua disposizione quel potere che per prima gli aveva affidato.

Secondo i gradi militari lei sarebbe stata la sua subordinata, ma la realtà era ben diversa: se avesse fatto un passo falso, se avesse tradito nuovamente quella fiducia e quegli ideali che erano bruciati insieme alle vite di Ishval, trovando nelle ceneri la forza di risorgere… ebbene, questa volta in mancanza di Dei sarebbe stata lei a punirlo.

Non voglio morire, aveva detto il suo amico Hughes.

Nemmeno lui bramava la morte, perciò l’unica alternativa accettabile era continuare a perseguire al sua strada di immaturi ideali, certo di avere le spalle coperte. E un grilletto alla nuca, giusto per essere sicuro di non deragliare nuovamente da essi.

-Se farò qualcosa che non dovrò fare, uccidimi tu con le tue mani. Hai la mia autorizzazione. Mi seguirai?- *

Lei abbassò lo sguardo, chiudendo gli occhi sotto il peso di quella vita, di quel destino a cui sarebbero andati incontro.

-Se questo è ciò che desidera, sono pronta a seguirla sino all’inferno.-

Con quelle parole, sigillarono il loro destino in un'unica, impervia strada che avrebbero percorso insieme, fino alla fine. E se fossero arrivati in cima, avrebbero cambiato il loro Paese.

Sì, Roy Mustang sarebbe arrivato in cima, ma non avrebbe abbandonato nessuno lungo il tragitto: avrebbe portato con sé tutti quelli che gli sarebbero stati accanto, senza abbandonarne nemmeno uno.

Il cammino verso la vetta era appena iniziato.




 


*tratto dal manga.

Note:
Complimenti a tutti voi che siete arrivati fin qui!
Il titolo è in latino, significa “il fuoco tempra l’oro”. Ho voluto dare questo titolo poiché mi piace molto il suo significato: ovvero, passando attraverso la sofferenza le persone diventano più forti, più gentili. Dopo il dolore, il protagonista trova la forza di reagire, e io trovo questa cosa il vero senso della vita. Cadere, rialzarsi…
Mi sento in dovere di dirvi che oltre ad aver ripreso tre o quattro frasi dal manga, anche un paio di scene sono derivate dai capitoli stupendi di Fullmetal Alchemist, tuttavia li ho modificati e adattati ai miei scopi, scombinando persino la linea temporale delle scene, anche se di poco.
Spero davvero che abbiate gradito la mia storia, io ho amato scriverla fin dal primo momento. L’occasione di scriverla è giunta con un contest per eroi.
Ora, io vorrei chiedervi: chi è l’eroe di questa storia? Voi che dite? Mustang, Hughes, Hawkeye?
Eccovi la risposta: tutti e tre. In una scena mancante, ma di cui si vedono le conseguenze, dei commilitoni ringraziano Mustang per aver salvato loro la vita, dicendogli chiaramente che per loro, lui era un eroe.
Tuttavia, non mi volevo concentrare su questo.  Il protagonista è indubbiamente il nostro amato Alchimista di Fuoco, ma non è lui l’eroe della storia, non solo lui almeno: in realtà, non è colui che salva, ma colui che viene salvato.
Sono Riza e Maes, in un modo o nell’altro, più o meno direttamente, che salvano dal baratro della guerra il loro caro amico.
E solo dopo essere stato salvato, può essere lui l’eroe della situazione: qui ho voluto mostrare i primi passi di colui che scalerà i gradi dell’esercito per poter cambiare la situazione del paese. Io sono profondamente convinta che Roy Mustang ami profondamente il suo paese e la gente che lo abita, perciò ho voluto mostrare a più livelli l’amore che lo renderà il colonnello che tutti noi amiamo.
L’amore per il suo paese, per il suo migliore amico, per Riza (avrei voluto mostrarli come coppia, ma è davvero troppo presto per quello… anche se un germoglio io lo vedo già) lo renderanno un vero eroe.
E a proposito di Roy e Riza… alzi la mano chi li shippa insieme! *alza la mano saltellando*
Va bene, dopo questo attimo di sclero… vi saluto tutti, sperando che recensiate e mi facciate sapere cosa pensate di questo exploit di cui non sono proprio sicura, ma che ho adorato scrivere dato che mi ha emozionato moltissimo.
Se avete dubbi o commenti, passate pure da me! Ritornerò presto su questo fandom (promessa o minaccia? Bah…), ma per ora… Sayonara!
Flos Ignis

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Flos Ignis