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Autore: evelyn80    16/11/2017    22 recensioni
Prima classificata al contest “About Music” indetto da Soul_Shine sul forum di EFP, a pari merito con "Pietra su pietra" di Old Fashioned.
Quinta classificata, a pari merito con "Pietra su pietra" di Old Fashioned, e vincitrice del premio speciale "Miglior personaggio femminile" al contest "All in one (shot) Edizione I" indetto da Alexalovesmal sul forum di EFP, portato a termine dal giudice sostitutivo 6Misaki.
Sesta classificata al contest "Codici casuali" indetto da kira_bakapot sul forum di EFP
Prima classificata, a pari merito con "La maledizione di Rhoslyn May" di Dark Sider, al contest "This is Halloween!" indetto da MaryLondon sul forum di EFP
Al termine di un concerto Luca, giovane chitarrista di una Tribute Band, incontra una ragazza un po' strana dallo sguardo triste. Per nulla scoraggiato dalle premesse, il giovane tenta un approccio che lo porterà a vivere l'avventura più strana della sua vita.
Genere: Romantico, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
- Questa storia fa parte della serie 'Luca'
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Prima classificata al contest “About Music” indetto da Soul_Shine sul forum di EFP, a pari merito con "Pietra su pietra" di Old Fashioned.
Quinta classificata, a pari merito con "Pietra su pietra" di Old Fashioned, e vincitrice del premio speciale "Miglior personaggio femminile" al contest “All in one (shot) Edizione I” indetto da Alexalovesmal sul forum di EFP, portato a termine dal giudice sostitutivo 6Misaki.
Sesta classificata al contest "Codici casuali" indetto da kira_bakapot sul forum di EFP.
Prima classificata, a pari merito con "La maledizione di Rhoslyn May" di Dark Sider, al contest "This is Halloween!" indetto da MaryLondon sul forum di EFP.


Canzone di riferimento: “Tu che dormivi piano” di Vasco Rossi, tratta dall’album del 1978 “Ma cosa vuoi che sia una canzone”.
Link alla canzone: https://www.youtube.com/watch?v=R-9COp41YGE

Conteggio totale parole: n° 4681, compreso il testo della canzone.





 
Il canto della pernice


 
“Tu che dormivi piano, 
quasi non ti sentivo 
ed allungavo la mano, 
tra le lenzuola il tuo viso.” 

Luca aprì lentamente gli occhi e si stiracchiò, languido come un gatto. La luce tenue dell’alba entrava dalla finestra perché, la sera precedente, si era dimenticato di chiudere le imposte.
Un lieve sorriso gli increspò le labbra al ricordo della nottata appena trascorsa e, mentre fissava l’alto soffitto della stanza ancora avvolto dalla penombra, si concesse di ripercorrerla nella sua mente.

Lui e Fausto, il leader del suo gruppo musicale, erano andati a suonare in un piccolo ristorante trentino nella loro versione “duo acustico”, o “unplugged”, come amava dire il cantante. Luca adorava quei piccoli concerti in cui, all’inizio, l’atmosfera era calma e rilassata, per poi diventare incandescente non appena la voce di Fausto si fondeva armoniosamente con le note della sua chitarra. Anche in quell’occasione il pubblico, dapprima in rispettoso silenzio, prima della fine dell’esibizione era esploso in una ola da stadio, cantando in tono talmente alto da riuscire persino a sovrastare la voce potente del suo amico e collega.

Solo una persona aveva mantenuto un rigoroso mutismo: la stessa che ora riposava accanto a lui nell’ampio letto a due piazze.
Luca tese l’orecchio per ascoltare il suo respiro, talmente lieve da non riuscire nemmeno a percepirlo. Allungò una mano tra le lenzuola stropicciate per accertarsi che la sua compagna fosse ancora lì, voltandosi al contempo verso di lei. Il suo viso pallido non si distingueva quasi dal candore della federa. Solo i lunghi capelli, color castano scuro, spiccavano, incorniciando e mettendo in risalto i suoi lineamenti sottili e delicati.
Aveva la stessa espressione malinconica della sera prima, anche mentre dormiva. 

Era stata proprio quella a colpirlo: mentre tutta la sala faceva baldoria, cantando e battendo le mani, lei se ne era rimasta seduta composta al suo tavolo, in disparte, lo sguardo perso nel vuoto e, sulle labbra, un sorriso triste.
Com’era possibile che non si fosse lasciata trasportare dalla musica, come tutti gli altri? Quali pensieri mesti le correvano per la testa, da non farle neanche alzare lo sguardo verso i musicisti?
Luca si era posto quelle domande, e anche molte altre, mentre di tanto in tanto alzava lo sguardo dalla tastiera della chitarra per osservarla, sperando di incontrare i suoi occhi e di scorgere in essi un luccichio di interesse. Ma niente…
Addirittura, quando il concerto era finito e gli avventori si erano alzati per andarsene, tutti le erano passati accanto senza neanche degnarla di un’occhiata, come se nemmeno la vedessero.
Lui si era trattenuto con la scusa di riporre accuratamente la chitarra nella sua custodia, per rimanere l’ultimo a lasciare la stanza. I camerieri si affaccendavano a sparecchiare, andando e venendo dalla cucina carichi di bicchieri e tovaglie sporche, e pure loro avevano ignorato il tavolo della ragazza misteriosa, forse perché già sgombro.
Aveva lasciato che Fausto lo precedesse fuori della sala, poi si era alzato lentamente dalla sedia mettendosi la custodia della chitarra a tracolla e, altrettanto lentamente, si era avvicinato al tavolo della ragazza, ancora ferma nella stessa posizione con lo sguardo perso nel vuoto.
Non appena le si era accostato l’aveva vista sospirare lievemente, come se uno dei suoi pensieri segreti l’avesse turbata più degli altri. Luca si era fermato proprio davanti a lei, chinando un poco il capo per riuscire a vederla bene in viso.
«Ciao…», aveva mormorato, tentando di attirare la sua attenzione. «Tutto bene?».
La ragazza aveva alzato lentamente la testa, fissandolo con occhi sgranati, come se fosse stata sorpresa della sua presenza.
«Posso sedermi?», le aveva chiesto ancora Luca, indicando la sedia libera. Lei aveva mosso la testa in un cenno affermativo.
Il chitarrista si era accomodato, appoggiando il suo strumento contro il muro. In quel momento Fausto, forse non vedendolo arrivare, aveva fatto capolino nella stanza.
«Luca, ma che cazzo fai? Dobbiamo andare al nostro albergo!», aveva esclamato, picchiettando col dito sulla cassa dell’orologio.
«Arrivo subito, solo un momento».
«Guarda che sta cominciando a nevicare, e io non ho voglia di mettere le catene! Qualsiasi cosa tu abbia intenzione di fare, sbrigati!».
Luca aveva guardato la ragazza seduta di fronte a lui che, nel frattempo, aveva fissato di nuovo gli occhi a terra, lo sguardo vacuo. Era troppo curioso di conoscerla, di sapere perché fosse così triste, e non voleva certo liquidarla in cinque minuti.
«Tu avviati», aveva risposto a Fausto. «Casomai prenderò un taxi».
Il cantante aveva borbottato qualcosa riguardo alla stupidità dei giovani prima di voltargli la schiena e andarsene. Il chitarrista aveva scosso le spalle ed era tornato a dedicare tutta la sua attenzione alla ragazza triste.
«Devi scusarlo, sai… È un po’ rude, ma in fondo ha un cuore d’oro», le aveva detto, riferendosi all’amico, ma la giovane donna non aveva prestato attenzione alle sue parole.
«Tu mi vedi?», gli aveva chiesto con voce flebile, riprendendo a guardarlo sorpresa.
«Certo che ti vedo!», aveva riso Luca. «Perché, non dovrei?».
«Non mi nota mai nessuno», aveva risposto lei in un sussurro.
 


“Io respiravo piano 
in quel silenzio caldo, 
il giorno entrava dal vetro, 
più che indeciso, sorpreso!” 

Riemergendo per un istante dalle sue reminiscenze, Luca osservò ancora attentamente il profilo della giovane donna che dormiva al suo fianco, respirando piano per paura di svegliarla. Fuori aveva nevicato tutta la notte e sui vetri della finestra si era formato un velo di condensa. Nella stanza, invece, c’era un piacevole calduccio, tale da aver permesso loro di dormire svestiti. Il giovane scostò lentamente le lenzuola scoprendo il corpo nudo di lei, candido come la neve. Con le sue forme morbide e burrose forse non era perfetto, ma a lui era piaciuto molto perdersi dentro di esso. E, in fondo, osservò tra sé e sé, la perfezione non aveva nessuna importanza perché nemmeno lui la possedeva, non con quel nasone e quei dentoni da scoiattolo che si ritrovava. 
Il primo raggio di sole nascente entrò nella camera, accendendosi pian piano, come se non volesse disturbare i due giovani amanti. Indeciso, o forse sorpreso dal trovarli nello stesso letto. Luca osservò per alcuni istanti il chiarore che, con lentezza, si faceva strada nella stanza diretto verso i loro visi, prima di tornare a perdersi nei suoi pensieri, appoggiandosi su un gomito per tenere la testa sollevata a guardare la sua giovane compagna.

Si era sistemato meglio sulla sedia ed aveva fatto per presentarsi. «Mi chiamo…», aveva iniziato a dire, ma la ragazza aveva scosso la testa.
«I nostri nomi non hanno importanza».
Luca era rimasto un po’ sorpreso da quella frase, ma poi si era stretto nelle spalle: era così curioso di conoscerla che preferiva assecondarla piuttosto che controbattere. Aveva tralasciato quindi i convenevoli ed era passato ad una conversazione più animata.
«Ti è piaciuto il nostro concerto? Perché, sai, mentre tutti cantavano e battevano le mani, non ho potuto fare a meno di notare che non hai fatto altro che startene ferma immobile, in silenzio».
Lei aveva sbattuto le palpebre diverse volte prima di rispondere, come se non avesse saputo cosa dire.
«Sì, mi è piaciuto. Ma non era la musica che mi aspettavo di sentire».
Il chitarrista aveva inarcato le sopracciglia. «In che senso, scusa? Non sapevi che la nostra è una Tribute Band di Ligabue?». La giovane donna aveva scosso la testa e lui aveva ripreso. «Non hai letto la locandina, fuori?».
«No. È da molto che non esco», gli aveva risposto lei, con semplicità.
Luca aveva sgranato gli occhi e si era grattato la testa. Che quella misteriosa ragazza fosse in realtà un po’ svitata? E che fosse quello il motivo per cui tutti l’avevano evitata? Già si pentiva di essersi fermato a chiacchierare e non aver seguito Fausto in albergo.
Come se gli avesse letto nel pensiero, la ragazza si era mossa a disagio sulla sedia.  
«Forse non avresti dovuto fermarti a parlare con me», gli aveva detto in tono triste, abbassando lo sguardo. «Ma sono contenta che tu l’abbia fatto. Era da tanto che non parlavo con qualcuno».
Improvvisamente, il giovane chitarrista aveva provato pena per lei. Non la conosceva affatto, forse era davvero una povera disgraziata con qualche venerdì in meno, ma non per questo si meritava di essere ignorata da tutti quanti. Per questo aveva deciso di non andarsene e di continuare a parlare con lei, tentando di farla sentire meno sola.
La ragazza aveva risposto diligentemente ad ogni sua domanda, e lui aveva così scoperto che aveva ventisette anni e che viveva ancora con i suoi genitori e suo fratello, i quali avevano in gestione uno degli alberghi della zona. Frequentava quel ristorante da sempre, proprio perché spesso ospitava alcuni gruppi musicali, e lei era convinta che, quella sera, si esibisse una Cover Band dei Queen.
«Mi dispiace di aver deluso le tue aspettative», le aveva detto Luca, sorridendo. «Fausto ed io non siamo certo all’altezza di Freddie Mercury e Brian May. Però non siamo poi così malaccio…».
«Siete stati molto bravi. E tu sei anche molto carino», gli aveva detto la ragazza, con una semplicità disarmante. Si era sentito arrossire per quel complimento così sincero e diretto, ma non aveva fatto in tempo a dire niente che uno dei camerieri si era avvicinato al loro tavolo, battendo il piede a terra con impazienza.
«Mi scusi, ma è l’ora di chiusura».
Il giovane aveva guardato l’ora e, con sorpresa, si era accorto che erano già le due e mezza di notte.
«No, mi scusi lei!», aveva esclamato, alzandosi in piedi di scatto ed afferrando al volo la custodia della chitarra, preparandosi a seguirlo. Ma, quando aveva attraversato la porta della sala, si era reso conto che la ragazza non si era mossa dal suo posto.
«Che fai, tu non vieni? Non hai sentito il cameriere? Se non ci sbrighiamo ci cacciano a pedate!», aveva riso.
La giovane donna lo aveva fissato sorpresa, poi si era alzata lentamente e l’aveva seguito a passi altrettanto lenti.
Prima di uscire dal ristorante, Luca si era fatto dare il numero della locale azienda di taxi, poi era uscito stringendosi nel suo giubbotto di pelle. La neve aveva preso a cadere fitta e l’aria fredda della notte gli aveva punto le guance. Mentre prendeva il cellulare dalla tasca per chiamare un taxi si era accorto che la ragazza era uscita senza giacca.
«Non hai un giubbotto?!», le aveva chiesto, tremando per il freddo nel vederla così poco vestita.
«No», gli aveva risposto lei, per niente turbata. «Non ho freddo».
Ed, in effetti, alla luce aranciata dei lampioni non l’aveva vista rabbrividire nemmeno una volta mentre aspettava il taxi. Il respiro gli si condensava in nuvolette bianche davanti al volto, mentre quello della giovane donna era perfettamente invisibile, come se si fossero trovati in due climi completamente diversi. Aveva allungato una mano a sfiorarle il viso, in una tenera carezza affettuosa, ed aveva sentito che la sua pelle era fredda come la neve che cadeva in grandi fiocchi sui loro capelli, ma lei pareva perfettamente tranquilla ed a proprio agio.
La ragazza non aveva accennato ad allontanarsi, rimanendo ferma immobile al suo fianco mentre lui saltellava sul posto per scaldarsi. 
«Sei a piedi? Non hai una macchina?».
«No. Ho distrutto la mia auto tempo fa».
La semplicità delle sue risposte continuava a disarmarlo ed a lasciarlo perplesso. Trovava che fosse sì carina, ma anche particolarmente strana. «Puoi approfittare del taxi che ho chiamato, se vuoi», le aveva detto mentre continuava a dimenarsi per il freddo.
«Grazie».
Quando l’automobile bianca era finalmente arrivata, Luca aveva aperto lo sportello per far salire la ragazza, poi l’aveva seguita in fretta, lieto di poter finalmente sentire un po’ di tepore. Dopo aver dato l’indirizzo del suo albergo all’autista aveva appoggiato la schiena contro il divanetto posteriore, sistemandosi meglio la chitarra sulle gambe. La ragazza era rimasta in silenzio, fissando la strada che correva veloce fuori del finestrino. 
Luca non si era meravigliato troppo del fatto che non avesse ancora dato il suo indirizzo. Di sicuro preferiva attendere che lui fosse sceso prima di farlo. Ma si era stupito, e molto, quando lei era scesa dal taxi subito dopo di lui una volta arrivato a destinazione.
Aveva pagato l’autista e si era rivolto alla giovane donna. 
«Senti, non so che intenzioni tu abbia, ma…», aveva cominciato a dire, ma lei lo aveva interrotto con un bacio.
Era stato un bacio casto, dolce, a fior di labbra, ma lo aveva lasciato con una stranissima sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco quando lei si era ritirata. All’improvviso, aveva desiderato ardentemente di stringerla tra le braccia e di baciarla con passione e lei ancora una volta, come se avesse veramente avuto il potere di leggergli nella mente, gli si era accostata e lo aveva baciato di nuovo, questa volta con ardore. 
Luca aveva perso la cognizione del tempo e dello spazio. Aveva dimenticato che fino a pochi minuti prima l’aveva considerata un po’ vanesia, e persino il fatto che la sua lingua fosse gelida come un pezzo di ghiaccio era passato in secondo piano. In quel momento aveva sentito che non poteva fare a meno di sentirla così, abbandonata tra le sue braccia e che, se lei gli avesse chiesto la luna, lui gliel’avrebbe portata di sicuro. 
Non era riuscito ad articolare altri pensieri che non fossero quello di prenderla, portarla nella sua camera e fare l’amore con lei fino all’alba; fino a che non fossero crollati, esausti, tra le lenzuola.
E così aveva fatto. Si era staccato con riluttanza da lei, l’aveva presa per mano e, dopo aver frettolosamente ritirato la chiave della sua stanza, l’aveva condotta fin dentro la camera, travolto da una strana frenesia che non aveva mai provato prima di allora. Non era la prima volta che andava a letto con una delle sue ammiratrici, ma quella ragazza era di gran lunga l’ammiratrice più atipica che avesse mai trovato, ed anche quella che gli stava infiammando di più il cuore.
Lei si era lasciata spogliare e Luca l’aveva fatto con lentezza, lasciando vagare lo sguardo sulla sua pelle bianca come la neve che cadeva all’esterno, ed altrettanto fredda. Si era spogliato anche lui, poi l’aveva fatta stendere con dolcezza sul letto e le aveva tracciato una scia di baci dal ventre fino al collo, le sue labbra ardenti che si scontravano con il gelo del corpo di lei.
«Sei gelata…», le aveva esalato all’orecchio, «…ma io sono qui per riscaldarti. Stanotte non avrai freddo…».
La ragazza aveva riso – un suono argentino che lo aveva fatto stranamente rabbrividire – prima di accoglierlo dentro di sé. Luca si era perso in lei, dimenticando ancora una volta tutto ciò che lo circondava. L’aveva amata dandole tutto se stesso, in un miscuglio di emozioni che non aveva mai provato in vita sua. Aveva sentito la sua anima fondersi con quella della giovane donna che danzava nel letto sotto di lui, al ritmo della musica della loro passione. Forse sarebbe stato solo per quella notte, aveva pensato confusamente, ma non avrebbe mai dimenticato le sensazioni che quella unione gli stava dando.


 
“Illuminava scontroso il tuo viso,
geloso o forse stupito. 
Ma ecco i tuoi occhi si schiusero appena. 
«Da quanto tempo sei sveglio?»" 

Il raggio di sole, giunto infine ad illuminare il volto della giovane donna, fece tornare Luca al presente. Al solo pensiero di quello che aveva provato quella notte il suo cuore aveva preso a battere all’impazzata. Perché non chiederle di rivedersi? Dopotutto, che male c’era se forse era un po’ pazzerella. “Non lo siamo tutti, in fondo?”, pensò sorridendo.
La luce chiara proveniente dalla finestra sembrava accarezzare la pelle pallida della ragazza, come se fosse stata gelosa del giovane chitarrista sdraiato al suo fianco.
«Beh, caro il mio sole», sussurrò Luca, «dovrai accontentarti di una semplice carezza, perché lei sarà solo e soltanto mia…».
Forse disturbata dal chiarore, o forse perché aveva udito le sue parole, la giovane donna schiuse lentamente gli occhi, fissandolo tra le ciglia mentre un lieve sorriso le compariva sulle labbra.
«Buongiorno… Pensavo dormissi ancora. Da quanto tempo sei sveglio?».


 
“Io sono qui da sempre, anima mia, 
tu sei... beh. 
Vidi un sorriso bagnarsi di pianto. 
«Dimmi soltanto il tuo nome».” 

Gli sembrava di essere lì, fermo in quella posizione a guardarla dormire, da sempre. Come se il tempo si fosse fermato intorno a loro, permettendogli di godersi quel momento di pace in eterno.
«Buongiorno. Ti stavo guardando da un po’. Sei così bella mentre dormi…». 
Il sorriso della ragazza divenne cupo all’improvviso, mentre una lacrima solitaria le appariva all’angolo dell’occhio. A quella vista, Luca sentì il suo cuore perdere un colpo. Perché era diventata così triste tutto d’un tratto? Quale pensiero era venuto a disturbare la loro quiete?
«Cosa c’è che non va? Ho detto qualcosa di sbagliato?», attaccò a chiederle, ma lei scosse il capo facendo svolazzare i suoi lunghi capelli castani.
«Pensi veramente che io sia bella?».
Il chitarrista sorrise. «La ragazza più bella del mondo».
«Anche se mi trovi un po’ strana?».
Luca trasalì, sorpreso. «Non ho mai detto che ti trovo strana».
«Ma lo hai pensato».
Il giovane tacque, non sapendo cosa risponderle. Era vero, lo aveva pensato la sera prima, ma ora, dopo tutto quello che era successo tra di loro, non aveva più alcuna importanza.
«Non preoccuparti, non fa nulla», riprese lei, con lo stesso sorriso triste. «Ma devo essere sicura che mi stai dicendo la verità».
«Se non provassi qualcosa per te non avrei certo passato la notte ad amarti, non trovi? Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono un dongiovanni impenitente», rispose Luca, sorridendole e carezzandole i capelli. La ragazza rispose al suo sorriso.
«Dimmi soltanto il tuo nome», gli chiese, e solo in quel momento il chitarrista ricordò che, la sera prima, non si erano nemmeno presentati. Aveva fatto l’amore con una ragazza, donandogli tutta la sua anima, senza sapere nemmeno come si chiamava.
«Mi chiamo Luca. E tu?».
Ma lei non rispose. Socchiuse gli occhi e gli passò le braccia attorno al collo, attirandolo contro di sé. Luca non si lasciò pregare e scivolò sopra di lei.


 
“Le anime calde si fusero insieme 
sospese in mezzo alla stanza, 
mentre il soffitto sembrava cadere 
stringevo in pugno la vita.” 

Le loro anime si fusero insieme ancora una volta, come sospese sopra di loro, mentre i loro corpi si univano con passione e tenerezza. Luca sentiva il cuore battergli frenetico nel petto, come se fosse sul punto di scoppiargli. La testa gli girava a tal punto da dargli l’impressione che il soffitto gli stesse cadendo addosso ma, allo stesso tempo, si sentiva così vivo da credere di essere invincibile. Allacciò le dita con quelle di lei, come a voler completare la loro unione mentre le loro labbra e le loro lingue danzavano insieme in un bacio lento e sensuale, che seguiva alla perfezione il ritmo dei loro movimenti.
Forse, si sorprese a pensare il chitarrista, per la prima volta nella sua vita stava facendo l’amore con una ragazza. Prima di allora, il suo, era stato solo sesso. Le sensazioni e le emozioni che gli provocava lo stringere a sé il corpo di quella ragazza, di cui non conosceva nemmeno il nome, non avevano paragoni. Era come se si sentisse finalmente completo, come se avesse trovato la sua anima gemella.
La giovane donna staccò lentamente le labbra dalle sue per andargli a sussurrare all’orecchio, mentre raggiungeva il piacere. «Ti amo, Luca…».
Quelle semplici parole lo mandarono, se possibile, ancora più in estasi e mentre anche lui arrivava al culmine le ripeté, con convinzione. «Ti amo, piccola mia…».
Mentre riprendeva fiato, disteso sopra di lei, la sentì scoppiare a ridere, una risata argentina come il suono di una campanella. La guardò in viso e la vide finalmente felice. La ragazza gli posò un bacio scherzoso sulla punta del naso e lo fissò negli occhi.
«Come sei bello», gli sussurrò, senza staccare lo sguardo dal suo viso. «Chissà se anche gli angeli sono belli come te».
Luca arrossì al complimento e scivolò di lato, scendendo a malincuore dal suo corpo morbido. Le carezzò il viso e lo sentì ancora gelido. 
«Hai freddo, copriti», le disse, afferrando le lenzuola per fargliele scivolare addosso, ma lei scosse la testa.
«Ora posso andare via. Grazie, Luca», replicò, sfiorandogli i capelli biondi con le dita.


 
"«Guarda che puoi restare qui, 
qui... fino a quando vuoi». 
Lei non rispose, uscì dal letto e poi 
potrei giurarlo... volò via.”

Luca non capì per quale motivo all’improvviso avesse tutta quella fretta. Lui voleva rivederla, conoscerla meglio. Voleva frequentarla, perché sapeva nel profondo del suo cuore che quella era la ragazza giusta per lui.
«Aspetta, non andartene! Puoi restare qui fino a quando vuoi, io non ho nessuna fretta di tornare a casa! Credo proprio di essermi innamorato di te! Voglio conoscerti meglio. Cavolo, non mi hai nemmeno detto come ti chiami! Qual è il tuo nome? Dove abiti? Voglio sapere tutto di te!», la tartassò.
Lei non rispose. Con un ultimo sorriso ed un’ultima carezza si alzò dal letto, leggera come una piuma. Percorse a passi lenti la distanza che la separava dalla finestra e, ancora nuda, ne spalancò le ante. L’aria fredda entrò come un turbine nella stanza facendo rabbrividire il giovane chitarrista, ma lei non parve avvedersene. Alzò le braccia verso il cielo, lasciando che il raggio di sole invernale la illuminasse tutta e, velocemente, iniziò a svanire in un alone di luce soffuso che volò via con la brezza gelida.
La bocca di Luca si spalancò per lo stupore mentre, inchiodato sul letto, fissava il vano della finestra ormai vuoto. Dopo alcuni secondi di incredulità scese dal materasso e corse ad affacciarsi per guardare fuori. In lontananza, nel cielo di un azzurro slavato, volava un uccello bianco come la neve che era caduta durante la notte, ammantando il paese di montagna. Non c’era alcun segno della ragazza misteriosa.
Boccheggiando come un pesce fuor d’acqua si passò le mani tra i capelli, mentre lo stupore lasciava il posto al panico. “Che cazzo è successo?! Con chi cazzo ho passato la notte?!”, pensò, correndo fuori della stanza nudo come un verme e fiondandosi a bussare alla porta della camera di Fausto.
«Fausto! Fausto!», gridò, tempestando di pugni l’uscio. 
Il cantante aprì la porta dopo alcuni istanti, con gli occhi ancora cisposi per il sonno ed i lunghi capelli ricci tutti arruffati.
«Che cazzo hai da urlare?», gli chiese, mettendosi a sedere sul letto e grattandosi la guancia ispida di barba. «Ma che cazzo, sei nudo!», esclamò quando, ad una seconda occhiata, si rese conto delle condizioni in cui versava il giovane.
«Quella ragazza! È volata via!», urlò Luca, gli occhi sgranati per la paura ed il cuore che gli batteva furioso nel petto.
«Che ragazza?», chiese Fausto in mezzo ad uno sbadiglio.
«Quella che ho abbordato al ristorante, ieri sera! Quando mi sono fermato al suo tavolo mentre tu sei andato via!».
L’amico lo guardò inarcando le sopracciglia. «Guarda che, ieri sera, a quel tavolo non c’era proprio nessuno! È per questo che ti ho dato del coglione, perché non capivo per quale cazzo di motivo ti fossi fermato».
Luca indietreggiò, appoggiandosi con la schiena al muro. «Ma io l’ho vista… Ti giuro che l’ho vista!», ansimò, portandosi una mano al petto. 
«Avrai bevuto troppa birra, ieri sera. L’alcool gioca brutti scherzi, a volte. Io ne so qualcosa…», commentò Fausto, grattandosi la testa.
«Che cazzo, Fausto!», gridò ancora il chitarrista. «Io ci ho fatto l’amore stanotte! Due volte!».
«Ti sarai scopato il cuscino», commentò il cantante, stringendosi nelle spalle. «Succede… Ti prometto che non ne farò parola con nessuno». Gli dette una pacca consolatoria sulle spalle. «Ora vatti a dare una lavata, vestiti e poi scendiamo a fare colazione. Ho voglia di tornarmene a casa».
Luca avrebbe tanto voluto chiedere a Fausto di accompagnarlo nella sua stanza, ma si vergognò ad ammettere di essere spaventato dall’idea di aver visto quello che, oramai ne era certo, fosse un fantasma. “Un fantasma molto carnale, però…”, pensò mentre si vestiva dopo una rapida doccia. Fausto era convinto che la sua fosse stata un’allucinazione, ma solo lui sapeva ciò che aveva provato mentre faceva l’amore con lei, ed era certo che non si fosse trattato di un sogno. Aggrappandosi ai suoi ricordi riuscì a dominare la paura. “Sarà stata anche uno spirito, però mi ha fatto sentire molto più vivo di molte altre ragazze vive e vegete”.
Fece colazione in silenzio, continuando a pensare all’esperienza che aveva appena vissuto. Fausto non fece alcun cenno sull’accaduto e Luca si decise a tenere tutto quanto per sé, finché non andarono alla reception per pagare e riprendere i loro documenti. Su un angolo del bancone dietro cui si affaccendava un giovanotto c’era la foto incorniciata di una ragazza dai lunghi capelli castani. La stessa con cui aveva passato la notte.
Non appena la vide il chitarrista si sentì mancare e, se Fausto non fosse stato subito dietro di lui, pronto a sorreggerlo, sarebbe caduto a terra come una pera cotta.
«Che hai, Luca? Ti senti male?», gli chiese l’amico, guardandolo con compassione. «Eh… Te l’ho detto. Troppa birra ieri sera!». 
Lui, per tutta risposta, indicò la fotografia con il dito che gli tremava. «È lei… È lei…».
Il giovane impiegato dietro il bancone notò la scena e si intromise. «La conoscevi, per caso? Era mia sorella». Con un sospiro triste prese in mano la foto e la contemplò per alcuni secondi prima di rimetterla al suo posto.
«Tua… tua sorella?», balbettò Luca, raddrizzandosi con fatica ed avvicinandosi lentamente al bancone per appoggiarsi.
«Sì. È morta nel luglio di due anni fa in un incidente stradale, mentre stava andando al “Piccolo chalet”».
Il chitarrista trasalì nell’udire il nome del ristorante in cui si erano esibiti la sera prima. Fausto espresse a parole il suo pensiero. «Anche noi abbiamo suonato lì, ieri sera».
L’albergatore annuì. «Mia sorella lo frequentava spesso, perché andava lì ad ascoltare la musica. La sera in cui è morta si esibiva la sua Cover Band preferita».
«Una Cover Band dei Queen», esalò Luca mentre sentiva le gambe che gli diventavano di nuovo molli.
Sia Fausto che il ragazzo dietro al bancone lo guardarono sorpresi. «Sì», rispose quest’ultimo. «I “Breakthru”. Li conosci?». Il chitarrista non rispose, troppo impegnato a tentare di non svenire, ed il giovanotto riprese. «Mia sorella si era infatuata del loro chitarrista e diceva sempre che, prima di morire, lo avrebbe fatto innamorare di lei». Sospirò di nuovo. «Purtroppo non ce l’ha fatta. Un ubriaco le è andato addosso col suo furgone, mandandola a schiantarsi contro un muro», concluse.
«Forse non con lui», mormorò Luca per non farsi sentire dagli altri due, «ma di sicuro ce l’ha fatta con me».
Ora si spiegava tutto: perché la gente sembrava ignorarla, perché non sapesse che quella sera si sarebbero esibiti loro, perché gli era parsa così strana. Persino perché non avesse avuto la giacca: era morta in luglio. Lo spirito di quella povera ragazza era rimasto sospeso tra il loro e l’altro mondo, fermo lì da due anni nell’attesa di far innamorare di sé un chitarrista. E c’era riuscita proprio con lui che, innamorandosi di lei senza neanche conoscerla, aveva liberato la sua anima, permettendole di andare finalmente oltre.
«Come si chiamava?», chiese, con la voce che gli tremava. 
«Eleonora», rispose semplicemente il fratello.
Dopo aver saldato il conto Fausto e Luca uscirono dall’albergo, diretti alla macchina del cantante. 
«Come cazzo facevi a sapere che quella povera disgraziata stava andando a vedere un concerto di una Cover Band dei Queen?», gli chiese Fausto mentre apriva la portiera.
«Me l’ha detto lei», rispose calmo il chitarrista.
Il cantante scosse di nuovo la testa, mormorando qualcosa a proposito della birra e dei suoi effetti deleteri. Luca alzò il viso verso il cielo e vide un uccello, completamente bianco come la neve, che volava in cerchio sopra di lui. Lo stesso, forse, che aveva visto poco prima fuori della finestra della sua stanza.
«Addio, Eleonora», mormorò, rivolgendosi ad esso.
L’uccello, una pernice bianca dalle zampe piumate, gli rispose con il suo canto roco.

Fine

 
Spazio autrice: Eccomi qua, questa volta con l'audace idea di partecipare ad un contest. Il nostro Luca ha avuto un incontro ravvicinato addirittura con il sovrannaturale,e la canzone a cui faccio riferimento e a cui mi sono ispirata ha avuto molta influenza su questa scelta. Spero di aver scritto una one-shot carina e che possa piacervi.
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