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Autore: TaliaAckerman    19/11/2017    3 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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QORREN, ARIADOR SETTENTRIONALE



- Dubhne, smettila di fare stronzate e vieni a darmi una mano!
Il volto di Claya era una maschera di concentrazione e sudore mentre pronunciava quelle parole. In piedi sulla cima del primo anello di mura di Qorren la ragazza si stava battendo come una furia per difendere l'attracco di una delle scale d'assedio per impedire che gli altri alleati delle Cinque Terre venissero ributtati indietro.
Come se fosse facile, pensò Dubhne con la mascella serrata.
Era rimasta appesa a fatica a un doccione in granito che sporgeva dal muraglione interno dopo che un Ribelle aveva tentato di scaraventarla sul selciato di sotto. Con il cuore che le batteva a mille, stava disperatamente cercando in primo luogo di non mollare la presa, e in secondo di trovare un modo per tirarsi su e riprendere a dare man forte alla compagna.
Dopo il disastro di Hiexil aveva pensato che Claya fosse morta, andata perduta insieme ad altre centinaia di alleati.
Ma si era sbagliata e, nel ritrovarsi davanti quei brillanti occhi dorati, non aveva avuto dubbi sul fatto che evidentemente la sua vecchia compagna d'armi doveva essere riuscita, in qualche modo, a sopravvivere.
Proprio mentre riusciva a concentrare forze per assestare un colpo di reni e puntellarsi con i gomiti sulla sommità delle mura, una freccia si conficcò nella calce a qualche centimetro dal suo orecchio. La ragazza quasi lasciò la presa per lo spavento.
Si voltò freneticamente e individuò l'arciere che da terra aveva rischiato di ammazzarla.
- Fanculo! - gridò con rabbia rimanendo appesa con una sola mano ed estraendo il pugnale dalla cintura con l'altra. Nel momento stesso in cui l'Uomo del Nord incoccava una seconda freccia e si preparava a tendere l'arco, lo scagliò contro di lui con quanta forza le permetteva la sinistra.
Non un gran tiro di certo, ma ebbe fortuna. La lama cozzò roteando contro il flettente dell'arco e, dallo spavento, il Ribelle inciampò rovinando all'indietro.
Facendo conto su tutta l'atleticità che si era guadagnata grazie ai durissimi ritmi d'addestramento imposti da Malcom Shist, Dubhne si diede lo slancio con le gambe e riuscì ad issarsi lateralmente sul camminamento.
Si guardò freneticamente intorno per individuare Claya ed ebbe un tuffo al cuore nel vederla a terra, sovrastata da un guerriero che stava cercando di tagliarle la gola. Con la lingua fra i denti per lo sforzo, la donna teneva le mani serrate intorno ai polsi del nemico nel disperato tentativo di tenere lontana la lama del suo coltello.
Oh no che non lo fai.
Dubhne scattò in avanti e con in un unico, veloce movimento abbatté la scimitarra sull'avversario, mozzandogli di netto la testa dal collo.
- Appena in tempo - decretò Claya con voce strozzata mentre la compagna l'aiutava a rimettersi in piedi. - Grazie, Dubhne.
La ex Combattente non ebbe il tempo di controbattere; una guarnigione di Ribelli si era fatta strada lungo una delle scalinate che conducevano alla sommità delle mure e in pochi secondi si abbatté su di loro.
Le due, coadiuvate dal gruppetto di soldati delle Cinque Terre che erano riusciti a raggiungerle, ripresero a combattere con foga, anche se la stanchezza ormai stava cominciando a farsi sentire.
Quella mattina Caley ed Edgar Priest, comandante della compagnia cui Claya si era aggregata dopo essere fuggita da Hiexil, le avevano condotte in battaglia che non era ancora l'alba per sostituire il battaglione proveniente da Lialel, reduce dall'aver sostenuto un estenuante sessione notturna di combattimenti, mentre Jack era rimasto al campo. Mezzodì doveva essere ormai vicino - o almeno questo suggerivano i tenui raggi del sole che filtravano nella coltre di nebbia e in quell'ora mitigavano leggermente i rigori dell'inverno - ma nessuno aveva dato cenno di voler ritirare la loro compagnia dai combattimenti per una pausa.
La nota positiva in tutto ciò era che ancora non si era vista traccia della tanto famigerata strega rossa, evidentemente impegnata stabilmente nella gestione di Hiexil. Sebbene la ragionevolezza suggerisse a Dubhne che fosse nettamente meglio così, la parte più recondita e ancorata alle abitudini passate del suo animo ancora reclamava a gran voce una vendetta su quella donna che quasi l'aveva uccisa e che - e questa era l'onta più grande - aveva scelto arbitrariamente di risparmiarla.
- Mertin! - esclamò Claya per sovrastare il fragore che imperversava tutto intorno a loro. - Corri da Priest e informalo che la sezione sudorientale delle mura è sicura!
Mentre si liberava del cadavere dell'ultimo Ribelle che aveva trafitto, Dubhne volse lo sguardo verso la figura allampanata di Mertin che oltrepassava il parapetto e si affrettava a calarsi a terra lungo la scala d'assedio che avevano impiegato per salire. Una nebbiolina raggelante percorreva il camminamento e avvolgeva il terreno alla base delle mura, cosicché il ragazzo parve esserne inghiottito.
L'udito di Dubhne era ovattato; percepiva sì schiamazzi e clangore di spade provenire da qualche parte da ambedue i lati delle mura, ma non riusciva a stabilire quanto fossero distanti da loro, e tutto si riduceva ad una sorta di insistente ronzio. Le pulsavano le tempie.
Erano quelli i momenti di maggiore fragilità, quelli in cui più si doveva stare in guardia. Quando il corpo sfinito vedeva la possibilità di una pausa e lasciava crollare le difese che fino a quel momento aveva mantenuto erette. Fu per questo motivo che, mentre gli altri si concedevano un paio di minuti di respiro, lei continuò a guardarsi intorno tenendo d'occhio la situazione su ogni lato. Aguzzò l'udito più che poté ma, mentre ai suoi lati continuava a giungere qualche voce indistinta, la ragazza non riuscì ad udire nulla che provenisse dal basso.
- Atmosfera spettrale eh? - Claya le si avvicino con aria altrettanto preoccupata. - Non capisco. Questa nebbia gioca strani scherzi, ma ora sembra davvero che a terra non ci sia più nessuno.
- Credi che dovremmo andare a controllare?
Claya aveva le palpebre socchiuse, la fronte aggrottata. - Non saprei, ma di sicuro faremmo meglio a mandare qualcuno di là - con la testa indicò il proseguo del camminamento prima alla propria destra, poi alla sinistra. Almeno per capire se c'è qualcuno che ha bisogno del nostro aiuto.
Dubhn fece per rispondere, ma quando la faccia di Mertin spuntò nuovamente di fronte a loro, le due donne quasi sobbalzarono per la sorpresa. - Si può sapere che succed-
- Una guarnigione di Ribelli ci ha attaccati alle spalle! - esclamò il giovane guerriero in tono concitato, gli occhi fuori dalle orbite. - Non verrà nessuno ad aiutarci, dovremo sbrigarcela da soli se vogliamo sopravvivere!
- Stai scherzando? - fece incredulo uno dei soldati intorno a loro, ma Dubhne già si era mossa per scavalcare il parapetto.
- Ehi, ma che fai? - l'apostrofò Claya afferrandole il braccio. - Il nostro compito è prendere il primo cerchio della città, non possiamo abbandonare adesso.
- Non resterò a guardare mentre i nostri soldati fanno la fine che hanno fatto a Hiexil.
Dubhne si liberò con malagrazia dalla sua stretta.
Non avrebbe permesso che i Ribelli li mettessero con le spalle al muro una seconda volta. Almeno non senza combattere e, soprattutto, non senza averne portato con sé nella fossa il maggior numero possibile.
- Sai almeno se la strega rossa è con loro? - chiese Claya tornando a rivolgersi a Mertin, e nel sentire quel nome le viscere di della ex Combattente si contorsero dalla rabbia.
- Non ho sentito niente su di lei, o almeno non ancora.
- Se fosse qui ce ne saremmo già accorti - sentenziò l'uomo appena di fianco a Claya. - Di certo non ce ne potremmo stare qui così tranquilli.
- Ancora meglio - proruppe Dubhne a denti stretti. - A maggior ragione io torno indietro. Possiamo dare una mano.
Non restò ad ascoltare le repliche di Claya e degli altri commilitoni e si portò aldilà delle mura, poggiando i piedi sul primo piolo della scala d'assedio da cui Mertin era appena smontato. Mentre cominciava a scendere verso terra sentì un paio di compagni imitarla.
- D'accordo Dubhne, sai che ti dico? Fai quello che vuoi, noi restiamo a presidiare la zona.
In risposta la giovane fece con la mano un cenno affermativo senza appurare che la compagna effettivamente lo notasse.
Quando atterrò con i piedi sulla terra rigida si guardò intorno; in lontananza, attraverso i banchi di nebbia, vedeva muoversi ombre amorfe.
- Restiamo uniti - Dubhne fece segno agli altri di seguirla.
Man mano che si avvicinavano al campo delle Cinque Terre, vedevano spuntare dalla nebbia altri soldati che, come loro, si erano resi conto che qualcosa non andava.
- Andiamo, si può sapere che succede? - imprecò Joan Lamar di fianco a lei, mentre i loro respiri si facevano più affannosi. La visibilità era quasi nulla; in tutta la sua vita Dubhne non aveva mai visto niente di simile.
Fu solo grazie ai propri riflessi fuori dall'ordinario che la ragazza riuscì a salvarsi. Alla sua destra spuntò dal nulla una sagoma con l'arma levata, pronta ad abbatterla su di lei, e la ragazza ebbe modo di rendersene conto appena in tempo per bloccare il colpo con la sua scimitarra.
Fu con gli occhi sgranati dallo stupore che si rese conto di averne incrociata una seconda. Stupore che si impose di superare in fretta, sottraendosi al contatto mentre due uomini che l'accompagnavano afferravano il guerriero per le spalle allontanandolo da lei e ingaggiando un rapido scontro.
Una volta che il nemico fu crollato a terra, la schiena trafitta da due pugnali, Dubhne si chinò a raccogliere la sua scimitarra per esaminarne l'elsa. Vi era inciso un blasone accompagnato da lettere in caratteri che mai aveva visto prima. Una cosa era certa: non era un Nordico. Anche i capelli rosso scuro e la carnagione abbronzata ne erano chiara spia. Sopra l'armatura indossava un mantello color acquamarina, colore che non appartenva a nessuna nazione o affiliazione di Fheriea.
Poche storie, Dubhne. Muoviti!
Non c'era tempo per farsi domande. Presero a correre.
In una manciata di secondi raggiunsero le prime tende del loro accampamento. Appena più in là, era il caos.
Nemmeno la presenza dei tendaggi riusciva a diradare in parte la fitta foschia - dettaglio che spinse Dubhne a dirsi che dovesse trattarsi di un qualche sortilegio - ma ora erano abbastanza vicini da vedere le sagome affaccendarsi e combattere dinnanzi ai loro occhi.
- Andiamo! - disse la giovane con un attimo di ritardo, senza accorgersi che i suoi compagni l'avevano preceduta. Senza pensarci un attimo lei balzò in avanti pronta a gettarsi nella mischia.
Si combatteva ovunque, fra le tende, nei sentieri in terra battuta. Ovunque ci si guardasse intorno era una confusione di ariadoriani, soldati delle Cinque Terre e... chi diavolo erano gli uomini che li avevano attaccati alle spalle? Gli occhi leggermente a mandorla e la carnagione abbronzata ne davano un'immagine leggermente esotica. Nulla di più lontano dall'algido aspetto dei Nordici.
Con un movimento fluido ne bloccò uno che stava tentando di attaccarla e lo trafisse sotto lo sterno, lasciandolo ricadere a ridosso di una tenda disfatta; proprio lì accanto c'era il cadavere di una guaritrice.
Fu solo allora che Dubhne, con un tuffo al cuore, si ricordò di Alesha.
Come tutte le guaritrici quella mattina era rimasta al campo attendendo che la giornata di combattimenti terminasse per curare i feriti che tornavano alle tende e, eventualmente, spingersi nel primo cerchio della città, raccogliere i morti e dare aiuto anche ai nemici feriti.
All'istante qualunque altra preoccupazione svanì dalla mente della Combattente: doveva trovarla alla svelta e allontanarla dalle zone dello scontro più calde; non le importava quanto la ragazza avrebbe protestato, lei non poteva permettere che rimanesse bloccata in una confusione simile.
Mentre si faceva largo tra alleati e avversari, cominciò a chiamarla a gran voce: - Alesha! Al dove sei?
Fermò un giovane ariadoriano che conosceva afferrandolo per la spalla. - Sai dove sono le guaritrici, Naeth? - chiese febbrilmente.
- No, ma credo che si siano disperse quando è iniziato l'attacco!
Senza ringraziare, Dubhne riprese a correre senza badare in che direzione.
Ad un tratto una sagoma le attraversò la strada davanti agli occhi, ma non era Alesha. Era Jack. Era la prima volta che lo vedeva nella mischia da quando era stato promosso a comandante fisso del loro battaglione.
- Chi sono questi bastardi Jack? - gli chiese Dubhne col fiatone, afferrandolo per un polso, ma questi scosse freneticamente la testa.
- Non lo sappiamo, non ancora. L'ipotesi più probabile è che Theor abbia pagato per bene dei mercenari del Popolo del Mare...
Ecco spiegata l'origine del colore dei loro mantelli, dunque.
Proprio in quel momento furono interrotti da due guerrieri che gli capitarono letteralmente fra capo e collo. Mentre Jack affrontava l'altro, Dubhne incrociò la lama con quella del mercenario più vicino a lei e fu sorpresa dalla ferocia con cui quello le si era scagliato contro. Deviò un montante e cercò di eludere la sua guardia con un affondo immediato, ma l'altro balzò all'indietro senza venirne scalfito. La afferrò per un polso e la attirò a sé tentando di strapparle di mano la scimitarra. L'idea di venire separata dalla sua arma la riempì di una rabbia abbastanza irrefrenabile da permetterle di liberarsi dalla sua stretta; senza più perdere tempo, assestò all'avversario una testata con tutta la forza di cui disponeva. Poté immaginare il suo zigomo scricchiolare, ma non si fermò a controllare. Allungando la mano a tentoni dietro di sé incontrò la fredda impugnatura di un pugnale assicurato alla cintura del mercenario. Senza pensarci due volte lo estrasse e glielo conficcò in ventre.
Mentre il nemico ricadeva dietro di lei Dubhne alzò lo sguardo e incontrò quello di Jack, nella sua stessa situazione.
La ragazza fece per voltarsi per riprendere a cercare Alesha, ma l'uomo la trattenne per un braccio.
- Dubhne... - fece con la voce impastata. - Resta viva.
- Anche tu - rispose Dubhne, il volto a pochi centimetri dal suo. Poi si voltò e sparì di nuovo nella bolgia della battaglia.
Non aveva idea di che piega avesse preso, o stesse per prendere, la situazione; non sapeva nemmeno se gli alleati delle Cinque Terre avessero realmente persistito nel tentativo di conquistare la città.
L'unico aspetto positivo di quella situazione, una volta appurata l'assenza della strega rossa, era il fatto che quei mercenari del Popolo del Mare fossero apparentemente privi di poteri magici.
Questo pensava Dubhne per cercare di tenere su il morale e impedire che le gambe le cedessero sotto i colpi della paura che ad Alesha fosse capitato qualcosa di male, questo almeno finché non vide qualcosa in lontananza: al limite del suo campo visivo, un uomo a cavallo disarmato mulinava le braccia con un fluidità che a Dubhne parve piena di una sorta di inquietante grazia, e a ogni suo gesto un prodigio si compiva ai suoi occhi: soldati ariadoriani che venivano scagliati via, accartocciandosi insieme alla tende distrutte, spade si abbattevano su barriere invisibili, fiammate che divampavano dal nulla abbattendosi sui suoi avversari. E se i tratti degli altri assalitori avevano destato non poche perplessità in tutti loro, la provenienza del mago era indubbia: pelle candida e capelli biondi, anche se più scuri della norma degli Uomini del Nord. Era il Ribelle che aveva guidato l'offensiva mercenaria per prestare soccorso a Qorren.
Ed era bravo, comprese Dubhne, dopo la strega rossa probabilmente il più bravo che avesse visto fino a quel momento.
In modo del tutto fuori luogo, la giovane ebbe una fugace visione di Jel Cambrest che combatteva al posto suo allo stesso modo e fu percorsa da un brivido. Non è il momento di perdere la testa Dubhne. Rimani lucida. Roteò la scimitarra e prese un bel respiro.
Il mago del Nord le dava le spalle in quel momento e sembrava presissimo da ciò che accadeva non più in là del suo naso. Tanto valeva tentare.
Falciando gli avversari che trovava sulla sua strada e scansando con forza gli alleati, la Combattente si diresse verso di lui.
C'era un carretto rovesciato proprio dietro al destriero del combattente nordico. Dubhne lo adocchiò quasi per caso, ma comprese all'istante che poteva sfruttarlo a proprio favore. Era una follia, ma se fosse riuscita sarebbe stato qualcosa di spettacolare. Proprio mentre il Ribelle evocava una gigantesca massa d'acqua per abbatterla sui soldati che lo attorniavano, Dubhne spiccò la sua corsa.
Con una coordinazione che nemmeno avrebbe pensato di poter possedere, utilizzò l'ammasso di legno come pedana dandosi tutto lo slancio possibile e caricò il colpo con la scimitarra.
Vide il giovane mago volgersi verso di lei come percependone la presenza, lo vide lasciar perdere la sua Evocazione nel disperato tentativo di erigere una barriera fra sé e la lama della ragazza. Dubhne la abbatté su di lui con tutta la forza di cui le sue membra stanche ancora disponevano.
La scimitarra urtò contro un incantesimo di scudo abbastanza forte da deviare il colpo ma non abbastanza da respingerlo; la punta della lama scivolò di lato fino a incontrare il limite della protezione al che, ancora mossa dallo slancio di Dubhne, penetrò nella spalla dell'uomo fino all'elsa.
Mentre cadeva a terra, la giovane la liberò con uno strattone estraendola dalle carni del nemico che, con un grido di dolore, si lasciò cadere in avanti, aggrappandosi con un braccio al collo del suo cavallo.
Fu proprio in quel momento che le urla trionfanti degli ariadoriani segnarono la decisiva svolta della battaglia.
- Il battaglione del generale Marat! Il battaglione del generale Marat è qui!
Centinaia di visi si rivolsero in quella direzione ma Dubhne, da terra, ancora intontita dal colpo alla testa che aveva rimediato cadendo, cercò con gli occhi solamente il comandante nordico, decisa a finirlo una volta per tutte. Così quando vide il suo destriero cominciare a farsi largo al galoppo tra i nemici, la giovane lanciò un urlo di frustrazione.
Rialzatasi, menò un fendente al mercenario più vicino a lei e cercò disperatamente di lanciarsi al suo inseguimento; ormai era una cosa personale.
Ma dovette rinunciare molto in fretta. Gli ariadoriani stavano spingendo i nemici rimasti nella direzione da cui sarebbero arrivati i rinforzi, mentre il mago fuggiva a tutta velocità nella direzione opposta. Fu così che Dubhne si ritrovò sospinta nella mischia, impossibilitata a continuare l'inseguimento.
Rivolse al comandante un'ultima feroce occhiata, ma poi si convinse a lasciar perdere e dare il suo contributo alle ultime fasi della battaglia.


La città era presa. Incredibile, ma ce l'avevano fatta.
L'atmosfera nel campo ariadoriano semi distrutto era stanca ma allegra, al calare del sole. Una generale soddisfazione aleggiava fra i resti delle tende e i sentieri disseminati di pozze di sangue. Le numerose guaritrici che erano riuscite a scampare alla battaglia erano entrate in azione, accostandosi ai feriti e chiudendo gli occhi ai morti.
Dubhne avanzava tra i soldati sopravvissuti, ricevendo strette di mano e complimenti per la vittoria, ed elargendone a sua volta. Aveva intravisto Jack pochi minuti prima, ma il comandante era sparito prima che lei potesse raggiungerlo. Claya le veniva incontro, malconcia ma con un gran sorriso stampato in volto.
Le due donne si corsero incontro e si assestarono reciprocamente una pacca sulla spalla. Alla fine la tensione da sciogliere ebbe la meglio e le due si abbracciarono di getto. Erano stanche e faticavano a parlare, ma l'euforia per la vittoria era troppa. - Ci siamo riusciti Dubhne, è fatta - proruppe Claya con gli occhi che le brillavano. - La città è nostra.
- Lo so, lo so - fu tutto quello che riuscì a rispondere lei. Non si sarebbe propriamente potuta definire commossa, ma di certo ci era andata vicina. - Ma come mai gli assediati hanno smesso di fare resistenza quando sono arrivati i rinforzi?
- I Ribelli all'interno della città si erano ritirati entro le mura del secondo livello; speravano che l'intervento dei mercenari avrebbe permesso loro di guadagnare tempo e riorganizzare le difese attorno alla città vecchia.
- Non è stato così invece, eh? - sorrise Dubhne.
- Se avessimo agito tutti come te a questo punto la battaglia non sarebbe ancora finita.
Riluttante, la Combattente dovette ammettere che aveva ragione.
Fecero un tratto di strada insieme alla ricerca delle proprie tende - o di quello che ne rimaneva. Dubhne squadrava con occhio critico la compagna d'armi: non sembrava presentare ferite profonde, ma aveva il fianco del corpetto di cuoio squarciato da un lungo taglio slabbrato. Non poté fare a meno di notare che la donna zoppicava, ma non riuscì a capirne esattamente la causa. Forse una slogatura o la rottura di qualche legamento.
- Devi fartela sistemare quella - osservò alludendo alla ferita al fianco, ma Claya scosse la testa sbrigativamente.
- Non prima di aver dormito un po' - fu la sua risposta.
C'era una guaritrice a pochi passi da loro, tutta indaffarata su un corpo a terra.
- Anche tu sembri piuttosto provata - continuò Claya indicandole la fronte con un cenno. Stupita, Dubhne si tastò l'attaccatura dei capelli e fu sorpresa nel constatare che erano intricati in una massa di sangue rappreso; appena sotto la pelle sembrava essere stata raschiata, esponendo all'aria la carne viva.
- Non me n'ero neanche accorta - ammise la ragazza a bocca aperta.
Claya le strizzò l'occhio. - Ho l'impressione di non essere l'unica ad aver bisogno di dormire.
Il sorriso che si era disegnato sulle guance di Dubhne si gelò quando la figura di Layanne - la riconobbe solo in quel momento - si scostò dal corpo su cui era china. La guaritrice era in lacrime e sembrava troppo incredula per parlare; barcollando un poco, apriva e chiudeva la bocca senza riuscire ad emettere suono.
Fu come se il tempo avesse all'improvviso cessato di scorrere regolarmente. Colta da un orrendo presentimento, Dubhne la scansò facendosi avanti.
Dovette coprirsi la bocca con una mano per impedirsi di urlare, annientata dalla ineluttabilità dell'immagine che le si era parata davanti.
Stesa a terra, con una pozza di sangue che si allargava dietro la nuca impregnandole la massa di capelli biondi, c'era Alesha.
Era morta.

















NOTE:

Un bel respiro... Ok, avete tutto il diritto di uccidermi. Lo so, sono crudele. Ma ho capito che Alesha sarebbe dovuta morire nel momento stesso in cui ho deciso di reinserirla nella narrazione. È importante per Dubhne, capite?, è un fattore decisivo, un ultimo ostacolo da superare prima della definitiva maturazione. Accidenti, devo dire che è stato molto difficile anche per me, uccidere un personaggio che è stato tra i primi che ho creato... Quando ho messo il punto all'ultima frase del capitolo mi sono sentita davvero strana.
Per i pochi che avranno letto il capitolo, spero vi sia piaciuto nonostante l'epilogo drammatico e, spero, inaspettato. Così si conclude la seconda parte della storia, uno snodo importante, per questo vi chiedo, anche solo per stavolta, di fermarvi a lasciare una recensione. Per favore :')
Un bacio, TaliaBaratheon.
  
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