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Autore: summers001    24/11/2017    3 recensioni
Everlark | Post mockingjay, pre epilogo | POV Peeta
Dal testo:
La terra bruciata, la polvere, lo spazio arido e secco che ricordava Katniss non c'era più. Una distesa d'erba copriva come un manto ogni dosso, ogni buca, tutto. Tra le nostre scarpe si muovevano file di formiche, fiorellini gialli e bianchi spuntavano qua e là in mezzo al mare verde. [...] Le persone sono come i fiori: puoi tagliarli tutte le volte che vuoi, ma quelli tornano a crescere. Ecco cosa avrei voluto dirle.
Raccolsi uno stelo d'erba, lo porsi a lei che mi guardò confusa, mentre cercava ancora di trattenere le lacrime. "Soffia." la incitai. [...] "Avanti," la incitai di nuovo "soffia!" le dissi di nuovo con voce spezzata. Katniss dovette notarlo perché non disse più niente e soffiò e basta, guardando quei piccoli frutti di dente di leone librarsi nell'aria. Ci finì tutto in faccia e fu la prima volta che la vidi accennare un sorriso che stava fiorendo, proprio come il prato.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Le persone sono come i fiori
 

 



"Ciao ciao, Peeta!" mi sorride una cliente, la solita, con voce svenevole, stucchevolmente acuta, agitando le dita lunghe ed eleganti. Beh, non si può dire che non l'abbia notata. Era cominciata subito dopo i primi Hunger Games, Johanna me l'aveva detto, non posso dire di non essere stato avvisato! Alcune donne mi lusingano, altre invece cercano solo di parlarmi quanto più possibile. In molte di loro vedo anche il dispiacere e la tristezza nel vedermi qui, figlio orfano della guerra, a continuare il lavoro di mio padre. Altre invece abbassano gli occhi ed arrosiscono, come Katniss.

L'ho notata, oh se l'ho notata!

Fa finta di niente, mi cerca, mi guarda e poi quando alzo gli occhi lei distoglie lo sguardo. Mi fa tenerezza quella Katniss, mi ricorda me poco prima di tornare al distretto, quando a quella grande tavolata insieme agli altri vincitori, tutti decisero di indire per un'ultima volta i giochi. La spiavo, la guardavo e mi nascondevo, perché persino allora nonostante il depistaggio ho rivisto la bambina con due trecce.

"Che voleva quella?" mi distoglie Katniss dai miei pensieri.

"Hm?" le chiedo ancora assorto in pensieri in fuga, mentre la sua figura di allora si sovrappone a quella di adesso. In un certo senso averla qui, poter stare con lei, mi rende felice perché so che loro non hanno vinto. Io sono ancora io (per la maggior parte del tempo). La guerra è finita. Abbiamo perso tanto, ma finalmente non dovrà morire più nessuno. Abbiamo un futuro radioso davanti. Loro non hanno vinto, riesco solo a pensare.

"Perché ti parlava così?" mi chiede lei, incalzando, sforzandosi di sembrare meno acida del solito.

"Mi parlava così perché..." e prendo tempo perché davvero non so come risponderle o che effetto può farle, ma mi viene da ridere ed almeno un sorriso non riesco a trattenerlo "perché sono un buon partito," le dico alla fine, facendomi prendere un po' troppo dallo scherzo "bello e simpatico." esagero alla fine per riprendere le redini della situazione.

"Pff." sbuffa Katniss voltandosi dall'altra parte.

Non lo so cosa siamo. Amici, credo. Quello che siamo sempre stati: amici con una cottarella, io almeno. Lo so che sto mentendo a me stesso, so di amarla più di quanto creda, più di quanto mi hanno sempre detto. Lo sapevo persino allora a Capitol. L'ho salvata per questo dopo tutto.
Amici gelosi, concludo alla fine.

"Ci vediamo stasera." mi dice più come un'affermazione che come una domanda, fingendo che tutto quanto non le abbia dato fastidio.

Sorrido di nuovo al pensiero di Katniss gelosa e prima che richiuda la porta alle sue spalle le dico "va bene", solo per non darle la soddisfazione di avere l'ultima parola, irritarla forse e bearmi del pensiero di avere un qualche effetto su di lei.
Pensando ancora a lei, guardo la vetrina e mi rendo conto che il pane è quasi tutto finito e non è neanche mezzogiorno. Ravvivo la fiamma del forno dietro di me, mi asciugo il sudore e recupero due panelle ed una per volta le schiaccio con le mani per renderle morbide e darle la forma che mi serve.
Non riesco a ricordare ancora molto di Katniss. Molte cose, ma non tutte. Mi ricordo della spiaggia, della cornucopia quando lei mi ha salvato. I momenti più semplici da ricordare sono quelli in cui non eravamo soli, quando avevamo degli alleati per esempio, gli altri sono ancora persi per ora. Quelli di cui sono pieno però sono i ricordi degli ultimi mesi: all'inizio è stato difficile, abbiamo pianto entrambi tutti i giorni, ma adesso non potrebbe andare meglio. Lei mi aiuta a stare meglio.
Siamo persone che si supportano a vicenda, concludo tornando al pensiero di prima.

Siamo arrivati al punto che tutto quello che ci resta è accettare quello che ci è successo. Quando sono tornato, diversi mesi dopo l'accaduto sapevo che stava negoziando l'accaduto con la morte: cercava spiegazioni, un responsabile, fino ad addossarsi la colpa. Haymitch mi aveva detto che Katniss continuava a ripetere che se lei non fosse partita per l'ultima volta per quella specie di miserabile e dorata arena, Prim sarebbe viva ed anche Finnick e tutti gli altri. Allora pensai che avesse ragione. Se lei non si fosse intestardita, sarei rimasto anch'io al tredici e non avrei fatto quello che ho fatto. Non riuscii a parlarle perché sapevo che aveva ragione, ma rispettavo il suo dolore ed i suoi morti e fu allora che mi ricordai di quelle primule che crescevano ai confini del bosco. Quello stesso giorno Katniss si arrese e cominciò a piangere. Quel giorno rividi la speranza ed arrivai con lei, mesi dopo, all'accettazione.

A volte urla e piange ed io so che sta pensando a Prim ed alle fiamme. La stringo come facevamo durante il tour della vittoria e piango anch'io con lei, ricordando i miei fratelli ed i miei genitori che hanno subito la stessa sorte.
Aveva paura di ricominciare. Katniss aveva paura di tornare nel distretto, di entrare nella stanza di Prim, di vedermi riaprire la panetteria o di provare qualunque tipo di emozione. Non si concedeva nemmeno il piacere di bere una cioccolata calda o di accendere un fuoco per proteggersi dal freddo, praticamente di fare qualunque cosa che le potesse suscitare un minimo di appagamento. Si muoveva solo nel villaggio dei vincitori e nella foresta, a volte senza giacca, aveva smesso persino di cacciare, così mi venne un'idea. Mi incamminai con lei verso i boschi con la scusa di farle compagnia per un po', sapevo da dove saremmo passati.

"Le persone sono come i fiori, come un prato." le dissi camminando di punto in bianco. Mi ero ben preparato quel discorso e probabilmente ero anche un po' nervoso, perché non sapevo che avrebbe fatto quando avrebbe capito quello che le volevo dire. Per me era fondamentale che capisse che non doveva diventare un cadavere per onorare i nostri morti o per chiedere perdono a tutti loro. Ero sicuro che pensasse che se Prim non poteva bere una cioccolata, allora non doveva neanche lei. Volevo dirle che Prim avrebbe voluto che lei vivesse in qualche modo.

Ma non con Gale, pensò una parte egoistica di me. Ecco quello di cui avevo paura, ma potevo metterlo da parte e forse accettarlo in futuro. Ma non subito, rispondeva un Peeta che conoscevo bene, che esisteva da prima delle torture di Capitol City.

Katniss mi guardò, decidendo se fossi pazzo oppure no, strizzò gli occhi e poi fece una smorfia poco convinta. "Le persone sono ben diverse dai fiori, Peeta." mi rispose più risoluta. Poi il suo tono di voce cambiò e si fece più basso e cupo "Un fiore non soffre, non gli importa degli altri fiori."
"Punto primo questo non puoi saperlo." le dissi con fare scherzoso, girandomi verso di lei "Punto secondo, guarda." e le indicai un punto più avanti.

Oltre quelle due querce che incorniciavano lo spazio come colonne portanti sormontate da un capitello di foglie, si apriva il prato. Mesi prima, prima che persino io tornassi al distretto, erano stati seppelliti lì tutti i nostri cari, o per meglio dire i resti di tutti quelli che avevamo trovato. Sapevamo entrambi dove stavamo andando e ci siamo innervositi: lei chiudeva gli occhi, si muoveva rigida e si mordeva la bocca; io stringevo i pugni e i denti, trattenevo le lacrime immaginando già quel cimitero.

La terra bruciata, la polvere, lo spazio arido e secco che ricordava Katniss non c'era più. Una distesa d'erba copriva come un manto ogni dosso, ogni buca, tutto. Tra le nostre scarpe si muovevano file di formiche, fiorellini gialli e bianchi spuntavano qua e là in mezzo al mare verde. Era esattamente quello il posto in cui volevo che riposasse la mia famiglia. Tutte quelle persone erano morte per noi, perché il prato risorgesse, perché i fiori potessero tornare a primavera, perché noi potessimo ancora vivere. Per me, per Katniss, per Gale, persino per Haymitch.
Le persone sono come i fiori: puoi tagliarli tutte le volte che vuoi, ma quelli tornano a crescere. Ecco cosa avrei voluto dirle.
Raccolsi uno stelo d'erba, lo porsi a lei che mi guardò confusa, mentre cercava ancora di trattenere le lacrime. "Soffia." la incitai.

"Peeta.." si lamentò lei, cercando qualcosa da dirmi per sottrarsi, ma riusciva appena a dire il mio nome ed io, come uno stupido, riuscivo solo a pensare che sulle sue labbra aveva un suono speciale.

"Avanti," la incitai di nuovo "soffia!" le dissi di nuovo con voce spezzata. Katniss dovette notarlo perché non disse più niente e soffiò e basta, guardando quei piccoli frutti di dente di leone librarsi nell'aria. Ci finì tutto in faccia e fu la prima volta che la vidi accennare un sorriso che stava fiorendo, proprio come il prato.

Ebbi paura di liberarla più tardi quel giorno, di farle capire che poteva bere una cioccolata se le piaceva, stare al caldo, vestirsi con abiti non sgualciti, rimanere cinque minuti in più sotto la doccia... perché avevo paura che tornasse da lui, da Gale. Ed allora li vedevo insieme nella mia testa, vestiti in abiti bellissimi e scintillanti, mentre io venivo torturato da qualche parte.

Ma ormai è passato.

Torno al presente e guardo la pagnotta. Mi bagno le mani, le do una forma, ci faccio due tagli obliqui perché abbia un mio marchio di fabbrica e poi la metto in forno. Passano altri clienti, altri uomini, altre donne, altri bambini a cui regalo dolci come mio solito. Mi faccio pagare e chiedo scusa. Scusa perché i soldi per adesso non mi mancano, ma cominciano a scarseggiare ed odio chiedere qualcosa alla gente che non ha niente. Non ancora. Ma le cose andranno meglio, me lo sento.

Al tardo pomeriggio chiudo e vado a casa. Avrei dovuto tenere aperto ancora un po', ma ormai ho finito tutto e le strade sono deserte. Mi piace camminare per il distretto. Ha qualcosa di diverso rispetto a prima: dalle case, ancora incomplete, si sprigiona sempre odore di carne e brodo; le luci delle candele sulle finestre creano un sentiero di fiammelle; la mancanza di elettricità rende il cielo nitido e si può sempre udire un chiacchiericcio e le urla di bambini che giocano.

Arrivo al villaggio dei vincitori, silenzioso e così diverso dalla città. Passo per quella che dovrei sentire come casa mia, mi lavo, mi vesto e preparo uno zainetto con i vestiti per domani. Lo faccio ogni giorno: mi porto delle cose da Katniss e riporto i vestiti sporchi qui. Lo faccio forse per non sembrare invadente o per avere sempre una via di fuga. Non ne abbiamo mai parlato, né di noi, né del nostro rapporto, né del fatto che dormiamo insieme tutte le notti. Non sapevo come comportarmi all'inizio, ma questo sembra funzionare per ora.

Chiedendomi di nuovo cosa siamo, passo da Haymitch, busso alla porta e mi risponde con un "sì, sì" poco convinto quando gli domando di fare la strada insieme. Aspetto qualche minuto e poi lascio perdere e vado da Katniss.

E' strano, ho sempre pensato che casa fosse quel posto che ti manca quando ne sei lontano. Casa di Katniss mi manca sicuramente più della mia quando sono a lavoro, ma non è la prima volta. Persino prima della seconda arena avevo sentito una sensazione simile. Forse perché casa sua era sempre piena di persone o per l'odore di cibo caldo che le cucinava la madre. Mi sento di appartenere più qui che alla villetta dall'altra parte del vialetto.

"Kat?" la chiamo quando non vedo nessuno. Sento il rumore di una pentola che bolle sul fuoco, corro in cucina e vedo il coperchio che sbatacchia ed una schiuma marroncina che cola dai lati. La spengo e torno in salotto. Mi guardo in giro, la chiamo ma di nuovo non c'è nessuno.

"Sono di sopra." mi urla poi lei.

Decido di aspettare qui per non importunarla in camera da letto. Accendo il fuoco e mi piazzo sulla sedia a dondolo davanti al camino. Gioco da solo con i pezzi degli scacchi, finché non la sento scendere le scale ed allora mi sporgo ed acuisco la vista. Katniss percorre un gradino alla volta con una lentezza che non le appartiene e man mano che avanza si scopre di quel vestito d'ombra che il gioco di luce le ha donato. Se ne sta a piedi scalzi sul pavimento freddo. Indossa dei pantaloni neri opachi e stretti e forse li riconosco da qualche parte nella mia memoria, ma non ho ancora tutti i ricordi al loro posto e così lascio perdere. Una camicia bianca le avvolge il busto e le lascia scoperto un triangolo di carne che dal collo le punta verso il seno. Deglutisco prima che lei possa accorgersene, immaginado tutto quello che solo un tessuto può nascondere e mi chiedo quante altre volte l'ho già fatto. Alla fine esce e si rivela: si è fatta una treccia, che è la sua idea di farsi bella.

Katniss scende, mi raggiunge, mi rivolge un ciao un po' imbarazzato, le rispondo un po' su di giri per l'aspetto che ha oggi. Resta poi davanti a me e non sa che dire o che fare. Accenna con un dito verso la porta della cucina ed io annuisco, pronto a vederla sparire di nuovo. Mi viene in mente di punto in bianco che non esistiamo solo noi. "Haymitch?" le chiedo prima di lasciarla andare, forse sperando che lui non verrà e di restare da solo con lei.

Katniss fa per rispondermi, accenna la scusa che lui le avrà rifilato, ma io come uno stupido non sto ascoltando ed anzi non riesco a trattenere un "sei carina". Dovrei pentirmene, ma quel suo rossore e il modo in cui distoglie lo sguardo mi catturano il cuore. Mi risponde con un flebile "grazie" e poi sparisce per davvero in cucina.

Torna pochissimi secondi dopo, neanche il tempo di mettermi a sedere, armeggiando con la pentola di prima, calda, forse ancora bollente, piena di quello che credo essere stufato ed almeno quattro posate in entrambe le mani.
"Potevi dirmelo, ti avrei aiutato!" le faccio e la raggiungo.

"Ce la faccio." si ribella lei, ma non mi interessa ed insieme riusciamo a portare la pentola a tavola e versare due grandi mestolate per entrambi.

Per fortuna ha recuperato l'appetito. La prima volta che l'ho vista quando sono tornato ho quasi pensato che sarebbe morta di lì a poco se non avesse ricominciato a mangiare. Mi sono arrabbiato con lei ed ho fatto finta di niente, perché non sapevo se fosse giusto o sbagliato per la nostra relazione: tornare dopo qualche mese di silenzio stampa e dirle di mangiare e di smetterla di spaventarmi a morte. Mi sono arrabbiato con Haymitch allora, che quasi non ce la fa più a sopportarci, ma ha funzionato ed adesso sta bene, stanno bene entrambi e sto bene anch'io.

Cominciamo a mangiare, ma col gomito urto una forchetta che mi cade a terra ed allora mi chino per riprenderla. Si china anche lei e batto la testa contro la sua, mi esce fuori un "oh" di dolore che non volevo. In quel momento mi compare un'immagine scintillante di un'arena, la prima, riconosco la grotta e la vegetazione, persino il cibo. Agito la testa e mi massaggio il cranio, allontanandola prima che possa provare a rovinare quella sera.

"Scusa." mi chiede a voce bassa, riportandomi anche alla realtà. Credo che l'abbia notato, credo di fare una smorfia quando uno di quei flash compare, e forse è per quello che parla. "Sono goffa." continua, giustificandosi, ma studiandomi nel frattempo. Lei mi guarda gli occhi quando mi succede. Lo so e vorrei che non lo facesse, mi confonde. Sa anche questo ed allora ripete "Scusa." in un ultimo tentativo di riportarmi alla realtà.

E' goffa, già. Quella frase mi fa pensare a lei in vestito elegante a Capitol City, coi tacchi alti che non riusciva a camminare bene. Sorrido al ricordo e dopo un attimo mi rendo conto che quello c'è, non è sbiadito, né modificato o cancellato. In preda ad un incredibile ottimismo le prendo allora la mano e incrocio le mie dita alle sue. Katniss sussulta per un attimo e poi fa finta di niente, si adatta a quella presa e lascia impronte bianche sotto i suoi polpastrelli sulle mie nocche. Sorride tra sé e sé e questo mi da la forza di fare un'altra mossa azzardata ed accarezzarle la mano che sto stringendo col pollice.

"Oh!" fa lei come se si fosse appena ricordata di qualcosa. "Aspetta." mi dice alzandosi e lasciandomi là come un cretino a guardare la sua figura che scompare dietro allo stipite della porta. Rimango a fissare la coda lunga della sua camicia che gira l'angolo. Sospiro allora e mi guardo attorno. Penso a quanto stranamente mi senta a mio agio in quel posto. C'era stato un momento, prima dei giochi della memoria, in cui io, lei, sua madre e Prim eravamo lì. Di sera veniva anche Gale e restavamo tutti davanti al camino, lei mi guardava disegnare o parlavamo e basta e mi sentivo a casa anche allora in questa villa. Mi accontentavo di fare parte della sua vita, della sua famiglia accogliente, dove ero sicuramente più importante che a casa mia. Lì, allora, maturai l'idea che ci fossero troppe persone che tenessero a Katniss e troppe poche che tenessero a me.

Il rumore di una bottiglia stappata mi fa ritornare al presente. Katniss è tornata e fa scivolare instabilmente una bottiglia aperta sul tavolo. Il suono del vetro contro il legno mi graffia le orecchie. La vedo armeggiare coi bicchieri, svuotandoli dell'acqua e controllando che non ci sia più niente dentro.

"Adesso bevi vino?" le chiedo, perché non ricordo di averla mai vista farlo né l'ha fatto di recente. Non davanti a me almeno. Le immagini di Haymitch e di Katniss si sovrappongono addirittura e vorrei quasi chiederle vero o falso, se abbiamo mai bevuto vino insieme.

"Perché no?" fa lei, giustificandosi in poche parole e scrollando le spalle.

Versa un bicchiere appena a metà con del vino bianco, me lo passa ed io lo accetto. Me lo tengo in mano aspettando che si prenda anche il suo. "A che brindiamo?" le chiedo curioso nel frattempo. La guardo attentamente e non mi sembra così esperta con quella bottiglia in mano. Ringrazio il cielo e dimentico Haymitch.

"Alla tua panetteria." risponde mente versa per sé. Faccio per ringraziarla, ma la sua voce un po' flebile mi interrompe: "Al panettiere bello e simpatico." aggiunge con ironia ed è strano e piacevole sentirla scherzare.

Mi esce un sorriso spontaneo nell'udire le parole che le avevo rivolto stamattina. Mi piace passare il tempo con lei: mi fa ridere, è spontanea, dolce a volte e così premurosa. Cerco di non domandarmi se sia stata sempre così con me. Forse sì, so che è così, ma vorrei tanto ricordare.

"Uno, due..." mi incoraggia lei "tre." e manda giù un sorso. Io mi avvicino solo il bicchiere alla bocca ed il suo odore forte mi fa già venire la nausea. Allora la guardo e scopro un'espressione disgustata sul suo viso che forse sembra uguale alla mia e mi metto a ridere.

"Non ridere!" mi chiede nascondendosi e questo mi colpisce ancora di più e non riesco a smettere. "E dai!" mi urla alla fine, suonandomi uno schiaffo sul braccio.

Mi calmo decellerando le risa, metto le mani davanti per proteggermi quando la vedo ancora minacciosa che finge di essere offesa ed arrabbiata. Lo so che finge perché ride sotto sotto, con gli angoli della bocca. Indietreggio anche se non ne ho voglia e lei avanza, ma alla fine mi arrendo. "Va bene, va bene!" alzo bandiera bianca. "Uno..." comincio a contare e recupero il bicchiere. "Due..." lo avvicino al mio naso di nuovo ed ho paura che questo metterà fuori gioco il Peeta sano di mente, facendo venir fuori l'assassino. "Tre." e mando giù.

Sorso dopo sorso mi dimentico persino di quanto avessi torto marcio: il vino ci rende brilli, confusi, giovani, disinibiti. Finiamo di mangiare e lasciamo tutto sul tavolo disfatto. Siamo finiti davanti al fuoco e stiamo tirando in mezzo storie di Haymitch e delle sue oche, di quanto poco le sfami, di come sembrino loro ricreare degli hunger games, ma nel vero senso della parola. Poi passiamo ad Effie e ci viene in mente una cosa sola all'unisono. "E' mogano!" ripetiamo insieme imitando la donna sul treno, quel giorno di tanti anni fa, con il suo accento strano e scoppiamo a ridere di nuovo.

"Oh, oh e alla festa!" le ricordo io, investito come un treno dalla mia stessa memoria. Tiro un dito in aria e la fermo mentre cerca di dirmi qualcosa, ma non riesco a fermarmi e sinceramente non voglio. "A casa del presidente Snow, quando quando..." e mi agito una mano vicino alla testa in difficoltà, ma mi riprendo subito "... testa in su..." inizio a ripetere imitando Effie di nuovo.

"...e sorridi." diciamo insieme e senza accorgercene stiamo anche muovendo le mani da veri capitolini. E le dimostro intanto anche che mi ricordo quelle cose e lei sorride ed io sorrido.

Le predo la mano come ho fatto al tavolo. So che è colpa del vino, è quello che mi da coraggio e forse senza non l'avrei fatto. Le guardo le dita intrecciate alle mie, i lampi di luce gialla ed arancione del fuoco che si riflettono sulle nostre unghie. La accarezzo sul polso dove mi ricordo che c'è una cicatrice, una delle tante, colpa delle patch di pelle sintentiche. La copro col dito e faccio finta che non ci sia. "Ci pensi mai?" le chiedo.

"A cosa?" mi fa lei e mi scruta. Ha le guance rosso fuoco, accese e calde. La sua espressione rispecchia leggerezza, cosa che forse non è mai stata sua. La vita le dona su quella pelle pallida ed i capelli scuri. Penso che non mi viene in mente un momento in cui sia stata più bella di così e che darei tutto per ricordarla in abito da sposa in televisione prima della seconda arena.

"Alla mietitura." le rispondo tornando sui miei pensieri. "Se non fossimo mai stati sorteggiati." le spiego, dimenticandomi che il suo nome non fu estratto la prima volta.

Katniss prende un respiro profondo, forse domandosi perché tirare in ballo quell'argomento proprio allora o forse sollevata di poterne parlare di nuovo con me. Mi scruta, cerca di capire se ce la faccio oppure no. Le sollevo le sopracciglia per spronarla e lei abbassa gli occhi sul bicchiere, guardando il vino come se ci galleggiasse dentro chissà qualche grande verità. "Non ci saremmo mai parlati." conclude lei, come se fosse l'unica cosa che sarebbe cambiata, come se la guerra ed i morti ci sarebbero comunque stati. E almeno su questo concordo con lei.

L'atmosfera s'è fatta pesante di nuovo e so dove la sua mente sta vagando: sua sorella sarebbe comunque morta, si sarebbe comunque lanciata a soccorrere quei bambini e sarebbe comunque morta, ghiandaia della rivoluzione o no. Decido allora di scherzare e riportare la conversazione dove prima, per vederla di nuovo ridere. "Ehi, prima o poi ti avrei parlato!" le spiego facendo il finto offeso "Avrei trovato il coraggio e ti avrei parlato!"

Katniss mi guarda prima seria poi scoppia a ridere di nuovo e siamo punto e accapo. Lo so che ride di me, ma non mi importa. Ricordo anch'io quel ragazzino che spiava la più grande delle sorelle Everdeen a scuola, lungo il vialetto, davanti alla panetteria, persino quando portava gli scoiattoli a mio padre. Mi nascondevo sulle scale e li guardavo interagire ed immaginavo che un giorno mio padre sarebbe stato troppo impegnato ed allora avrebbe chiesto a me di "ritirare la carne". Forse allora le avrei parlato. Scoppio a ridere anch'io immaginandomi la scena.

"Certo!" fa lei, scettica ed ironica "Saresti finito con Delly." si corregge poi ancora ridendo, immaginandosi un futuro radioso per me "Tua madre ti avrebbe obbligato a sposarti e lavorare e..." ci pensa ed io penso alla donna della panetteria di stamattina e forse la immagino di nuovo gelosa "... e saresti finito con Delly."

"Tu con Gale." le rispondo immediatamente per controbattere ed ingelosirmi anch'io, per dividere anche quel fardello. Mi mordo immediatamente la lingua riconnettendomi alla realtà, ricordando di Gale e delle bombe. La guardo, la studio, ma sembra non averci fatto caso.

"Oh no!" si difende subito mettendo le mani avanti, come se il pensiero la infastidisse. Una parte di me pensa che un rapporto con Gale la infastidisce ora, ma prima le piaceva. Scuoto la testa e torno alla realtà. Ma la realtà è questa e forse quello che ho pensato era vero: all'epoca voleva Gale, ma adesso è con me, vuole me, guarda me, è gelosa delle altre donne che ci provano con me. Forse fino ad adesso non me ne ero ancora reso conto. L'avevo capito, ma l'informazione non mi era ancora arrivata al cervello con le sue implicazioni.

C'è un silenzio imbarazzante adesso. Gale ha chiuso il nostro momento di giochi come al solito. Katniss mi guarda, distoglie subito lo sguardo, sbatte le palpebre, si stringe nelle braccia ed alla fine raccoglie il bicchiere di prima e beve. Una ciocca di capelli scuri le finisce sulle labbra, bagnandosi inevitabilmente, fa per allontarla con la lingua, ma non ci riesce. Il vino le inumidisce la bocca per intero.

E' dolce, è bella così. Mi avvicino e le tolgo quei capelli appiccicosi ed umidicci dalle labbra. Mi trattengo un attimo di troppo sfiorandole la pelle calda. In un attimo sono vicino a lei senza rendermene conto. Il suo fiato sa di vino e non me ne importa. Mi ritrovo a pochi millimetri dalla sua bocca, con le guance bollenti, entrambi bollenti, quasi avessimo la febbre, sbadati, distratti. Siamo dei ragazzi, dei normali ragazzi, adesso. Voglio prenderle le labbra, ma ho paura che mi spinga via ed allora resto lì a respirarla. Aspetto che si muova, che si allontani, ma non lo fa. Anzi apre la bocca e prende grandi boccate all'inizio, una lunga pausa e poi affanna. Quando la sento affannare non resisto e la bacio.

Neanche adesso Katniss se ne va. Mi stacco da lei, mi prendo un momento ad occhi chiusi per non dover affrontare la realtà di un suo rifiuto e poi la guardo. Non ho neanche il tempo di metterla a fuoco che lei mi bacia non una, non due, ma centinaia di volte. Mi assale letteralmente e mi chiedo se questo ha qualcosa a che vedere con la donna di questa mattina. Benedetta donna!

Katniss mi prende alla sprovvista e mi spinge sempre di più contro il divano. Sono sorpreso da questa irruenza, non che mi dispiaccia, ma non mi aspettavo arrivassimo fin qui in pochi secondi. Le rispondo allora e le sto al passo, sfidandola quasi, fino a quando si calma ed i nostri baci diventano soffici e languidi. Quando mi sembra troppo distante la prendo per le mani e le braccia e me la tiro addosso. Katniss risponde con un istinto e delle movenze che di certo non sapeva di possedere.

Apro gli occhi e lei è a cavalcioni su di me. E' bella, fiera, incredibile: ha i capelli spettinati che le sfuggono dalla treccia, attorno alle mie dita; gli occhi appena aperti dietro alle palpebre che nascondono il grigio, le labbra schiuse poco distanti dalle mie; il fuoco le illumina la pelle abbronzata dai raggi del sole nei boschi. E' un'amazzone in camicia e pantaloni neri.

Istintivamente le mani mi scivolano sui suoi fianchi, la stringo ed anche lei mi stringe e mi attira di nuovo a sé. La bacio ancora ed ancora, finché lei fa una cosa e sono io allora quello paralizzato dallo stupore e dall'ammirazione che nutro per lei. Katniss si aggrappa alla mia maglia dietro la mia schiena. Arriccia il tessuto nelle dita ed a mano a mano me lo tira su fino a che quello mi copre a malapena le spalle e braccia. La guardo e lei mi guarda, sembra quasi pregarmi di capire quello che ha intenzione di fare.

Col cuore a mille abbasso il capo e lei mi sfila l'indumento dalla testa e dalle braccia, che alzo prontamente. Si allunga per tirarmelo via dai polsi ed io resto a guardare il suo seno minuto e tondo sotto la camicia.

Mi faccio avanti con le labbra e le bacio il collo. Katniss apre la bocca, respira e persino il suo respiro mi sembra diverso, più dolce, più audace. Si lascia baciare mentre torno con le mani sui suoi fianchi sollevandole appena la camicia oltre l'ombelico.

Mi prende di nuovo alla sprovvista, si porta le mani al petto, no, sui bottoni e comincia a toglierli ad uno ad uno. Mi incanto guardandola e devo avere il respiro pesante perché mi accorgo di aver emesso un grosso sbuffo d'aria ed un "wow" che non sono riuscito a controllare. Strizzo gli occhi vergognandomi della figura da adolescente arrapato che sto facendo, ma quando li riapro lei sta sorridendo ed allora la fermo. Non deve fare tutto da sola, non devi fare tutto da sola. La bacio sulle labbra e le tolgo la camicia, così che lei non possa guardarsi o rendersi conto, sperando di attenuarle in qualche modo l'imbarazzo che so che sta provando.
"Wow" le dico, stavolta volontariamente prendendomi in giro da solo.

Katniss sorride di nuovo. Ho sempre saputo che ero capace di divertirla. Negli ultimi mesi ho fatto di tutto per rivedere ogni giorno quel sorriso. Da qualche parte dentro di me ce l'avevo stampato e quella mattina sul prato me l'ha soltanto rievocato.

Si nasconde dietro le braccia ad un certo punto e non so se stia cercando di nascondere le cicatrici, che le tagliano la continuità perfetta della pelle, oppure il seno che sporge e mi invita. "Sei bellissima." le dico per rassicurarla in qualche modo.

"Anche tu." mi risponde subito lei.

Mi rendo conto tardi che mi ha fatto un complimento, così le sorrido dopo qualche secondo e la ringrazio. Si avvicina e ci baciamo di nuovo. Sento la pelle del mio petto a contatto con la sua ed è elettrizzante. Ne voglio sempre di più e la tengo stretta. E' fredda, nonostante il fuoco acceso e si scuote dei brividi da dosso che si trasformano prontamente in pelle d'oca. La guardo con ammirazione e penso che sono io, che sono per me quei brividi.

Le bacio una spalla che sa di buono, di pelle calda e nient'altro. E allora lei approfitta di quella poca distanza che s'è creata tra noi, infila le mani tra noi due ed arriva alla mia cintura. Alzo le braccia per lasciarla fare e sorrido come non ho fatto mai. Le prendo il viso tra le mani, la bacio di nuovo, ma non voglio che smetta e lascio perdere.

Katniss trema, tentenna, è imbarazzata. "Sembra l'arena." mi dice con un filo di voce. Lo so che sta cercando solo di nascondere il suo imbarazzo, che vuole provare a sdrammatizzare, che vorrebbe farmi ridere, ma un ricordo a lampo mi colpisce la retina e sono costretto a chiudere gli occhi un po' per focalizzare e capire, un po' per nasconderle le pupille che so già si stanno muovendo. Katniss infatti si sporge per controllarmi. Io vedo solo noi due in riva ad un fiume, l'arena, Katniss che mi spoglia e poi mi affoga. No, no, l'acqua luccica, non è corretto. Che ha fatto dopo lei? Mi ha lavato i vestiti, scrostato il fango dalle gambe, cercato una ferita che...

Le sue labbra sono di nuovo sulle mie. Prova a tirarmi indietro e ci riesce. Mi riprendo ciò che è mio (e suo), mi riprendo il presente e la bacio. Ha le labbra calde, le guance calde, la pelle calda. Mi gira le braccia attorno al collo con le dita che le penzalano sulla mia nuca. Le muove e mi da i brividi.

E' un vortice travolgente, elettrizzante.

Il suo seno mi preme sul petto, il suo bacino è sopra il mio e le sue ginocchia mi stringono le gambe e non riesco più a pensare, ma non me ne frega niente. La tengo per le spalle, la distendo e sono sopra di lei. Le bacio il collo, le clavicole...

"Ehi, ma che cavolo..." urla qualcuno da fuori alla porta, facendoci saltare seduti e rovinando il momento. Sentiamo Haymitch che prova ad aprire la porta, ma la trova stranamente chiusa. Deve averla chiusa Katniss senza che me ne accorgessi. Mi sale un moto d'orgoglio e la guardo: lei non voleva essere disturbata, non voleva che noi venissimo disturbati. Meditava questo, di baciarmi, di spogliarmi, di guardarmi... Le prendo la mano anche se lei non mi sta pensando per ora.

"Vattene via!" gli urla lei. Guarda la bottiglia di vino e solo quando Haymitch urla "Ridammi la mia bottiglia, serpe!" capisco a che si riferiscono entrambi.

Poi Katniss mi guarda con un dito sulle labbra, intimandomi di far silenzio con un'espressione maliziosa e complice che sorride, viva. E' così viva. Sprigiona energia e vita da ogni poro, in ogni cosa che fa. Si lecca le labbra prima di tornare ad urlare verso alla porta. "Ti ho detto di andartene!"

Dall'altro lato si sente uno sbuffo, mi immagino Haymitch mettersi le mani sui fianchi e decidere cosa fare. "Va bene!" urla alla fine anche lui contrariato, dopo aver considerato che non può fare niente se non buttare giù la porta e di certo non ce la farebbe. "Salutami il ragazzo!" fa alla fine prima di andarsene, sapendo che questo l'avrebbe fatta morire dalla vergogna, prendendosi un'ultima vendetta.

Katniss si paralizza, scoperta con le mani nella marmellata, ed allora io le vado in soccorso. "Ciao anche a te, Haymitch!" lo saluto senza muovermi, anzi afferrandole la mano e tirandola fuori dall'imbarazzo.

"Sì, sì, ciao." lo sentiamo bofonchiare e ci scappa un sorriso. Poi la guardo di nuovo e le sorrido.

"Dove eravamo rimasti?" le chiedo con malinzia, lei aggrotta la fronte ma si scioglie lo stesso quando la bacio.

La riporto sotto di me e le sfilo i pantaloni. La guardo ed ho un flash. Vorrei poter pensare che questo è simile ad un ricordo, a qualcosa che ho già vissuto e che loro hanno distorto, ma non è così. Quello che luccica stavolta è una mia privata e personalissima fantasia: ci siamo io e lei, così come adesso, mi abbraccia e poi affonda un coltello dietro alla mia schiena. Scuoto la testa e lei lo sa che sta succedendo.

Vorrei piangere ed urlare perché anche questo momento mi è stato rovinato. Mi fermo per prendere aria, chiudo gli occhi e mi appoggio sulla sua pancia, guardando il suo ventre dalla pelle calda e l'odore dolce. Allungo la mano, un dito, pensando di poterlo raggiungere, ma l'arto mi si affloscia e le sfioro appena la stoffa della biancheria. Sospiro e respiro profondamente la sua pelle, nascondendomici. La sento fare dei respiri profondi e poi mi accarezza la testa ed io mi calmo, chiudo gli occhi e mi calmo.

Sono io a non essere pronto adesso. Vorrei, vorrei tanto. Dio, quanto lo vorrei. E' così sciocco da parte mia, l'ho sognato tutta la vita, da prima che mi crescessero i peli in faccia, da prima di trovare il coraggio di parlarle, dal primo bacio, dalla prima carezza, la prima notte insieme. Ma non posso, non adesso. Apro gli occhi, la guardo e.... sì che posso, mi dice qualcosa che non è il mio cervello. Ma per fortuna lei capisce, è furba, è perspicace.

Katniss mi tira su, si distende sul divano, aspetta che io faccia lo stesso e poi si nasconde sotto al mio collo sul mio petto. Ma lei è ancora nuda e mi fa effetto, mi eccita da morire ed io non riesco a smettere di pensarla infuocata e ribelle, scomposta e intraprendente com'era prima. Mi rendo conto che le sto premendo il bacino addosso e che lei forse se ne sia accorta, allora mi sposto appena un po' perché non voglio metterla a disagio con le mie fantasie oscene e dannatamente perfette, ma lei mi tiene fermo e mi impedisce di andar via.

Vuole me, adesso lo so. Non riesco a smettere di sorridere, sono felice. So che non dovrei, che dovrei sentirmi almeno un po' in colpa, ma non mi interessa. Tutto ci ha portato qui ed ora. Le sposto i capelli dalla fronte e la bacio per un tempo troppo lungo, forse oscillando, neanche me ne rendo conto. La stringo di nuovo a me mentre trattiene uno sbadiglio e fa sbadigliare anche me.

"Buona notte, amore mio." mi concedo di dirle prima di addormentarmi.





[nd. alcuni momenti rievocati dai protagonisti appartengono ai libri, altri ai film]




Angolo dell'autrice
Salve a tutti! 
E' un po' che non scrivo in questo fandom (anzi, questa è solo la mia seconda volta!) e mi sentivo di mancare. Un giorno ho aperto la sezione e boom tutti i feels ed idee hanno cominciato a prendere forma. 
E' stato strano usare un POV maschile e sono sicura che tutto quello che ho scritto non descrive minimamente quelli che potrebbero essere i pensieri di un giovane uomo xD però dai, si fa per scrivere e per uscire fuori dalla realtà. 
Il mio maestro indiscusso per questo racconto è stato mr James Joyce. Non volevo un racconto lineare. Non volevo che fosse una storia, quanto più volevo che fosse... beh Peeta! Mi è piaciuto molto giocare con la fuga dei pensieri (anche se piuttosto limitata!), raccontando in questo modo una parte della sua storia dopo il romanzo. In più quando scrissi la mia prima ff in questa sezione usai il POV di Katniss e volli mantenere tutto più cupo e più duro, rispecchiando un po' l'animo del personaggio. Ora con Peeta ho fatto un po' il contrario, è tutto più leggero: si gode le piccole cose come una passeggiata dopo il lavoro, ha una visione più ottimistica della vita e in più ho aggiunto quella sua visione di Katniss che "non capisce l'effetto che fa". 

Beh credo di aver finito. Vi saluto qui sperando che mi vengano altre idee per questa sezione anche in futuro e vi invito a lasciarmi una recensione di qualunque tipo se vi è piaciuta, ma anche se non ;) 
xoxo

  
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