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Autore: Nana_13    24/11/2017    2 recensioni
"...È successo tutto così in fretta che non so spiegarmi come diamine abbiamo fatto a ritrovarci in questa situazione. Vorrei solo aver dato retta alle mie amiche e rinunciato a questa stupidaggine. Potevamo passare una normalissima serata in tutta tranquillità e invece mi sono dovuta impuntare. Per cosa poi? Non lo so nemmeno io.
E adesso che forse sto per morire ho un solo pensiero che mi rimbalza in testa: non saremmo mai dovuti venire qui."
Questi furono i pensieri di Juliet la sera del ballo dell'ultimo anno. Lei e le sue amiche avevano creduto di passare una serata alternativa andando a quella festa, senza avere ancora idea del guaio in cui si stavano cacciando.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prologo


Corro. Corro e basta. 

Non so cosa spinga le mie gambe ad andare avanti, sono sfinita...

È successo tutto così in fretta che non so spiegarmi come diamine abbiamo fatto a ritrovarci in questa situazione. Vorrei solo aver dato retta alle mie amiche e rinunciato a questa stupidaggine. Potevamo passare una normalissima serata in tutta tranquillità e invece mi sono dovuta impuntare. Per cosa poi? Non lo so nemmeno io. E adesso che forse sto per morire ho un solo pensiero che mi rimbalza in testa: non saremmo mai dovuti venire qui.






 

Capitolo 1

 

L'ultimo giorno di scuola

 

Arroccato sulla cima di Jadkson Hill Ridge nella Contea di Beaverhead e circondato da una macchia di fitta foresta, il vecchio castello dominava la cittadina di Greenwood, nel Montana. Quel tipo di architettura non era tipica del luogo, poiché opera dei coloni spagnoli stabilitisi nella regione all'epoca della conquista del continente americano. Durante il puritanesimo, iniziarono a verificarsi misteriose sparizioni e tra la gente cominciò a farsi strada l'idea che il castello fosse abitato da fantasmi, così nessuno volle più frequentare le sue sale e pian piano cadde in rovina.

Fu solo negli anni Cinquanta che il bisogno della città di attrarre visitatori lo riportò agli antichi splendori. Le autorità investirono ingenti capitali nella sua ristrutturazione, con il supporto di albergatori e negozianti del luogo, anch'essi interessati ad acquisire notorietà. 

Da piccolo paese quale era, Greenwood divenne in breve tempo una fiorente e prospera città di provincia. Più di mezzo secolo dopo, il castello continuava ad accogliere turisti e appassionati, senza però vedere mai un proprietario, qualcuno che vi si insediasse stabilmente.

Fino a oggi.

 

-o-

 

Si stava avvicinando l'estate e nel liceo di Greenwood i ragazzi affrontavano gli ultimi esami tra l'afa e la voglia pressante di andarsene finalmente in vacanza. Quelli erano sempre i giorni peggiori dell'anno, perché il tempo sembrava non passare mai. 

Al suono della campanella, che annunciava la pausa pranzo, le classi si svuotarono e tutti si riversarono nei corridoi, mentre il chiacchiericcio aumentava sempre di più.

Rachel aprì l'armadietto e iniziò a svuotarlo da libri e cianfrusaglie varie. Qualunque studente l'avrebbe fatto a fine giornata, se non addirittura l'ultimo giorno, ma lei preferiva avvantaggiarsi. 

La precisione era una dote che aveva ereditato da sua madre, la stessa per cui il padre, tutt'altro che ordinato, la prendeva tanto in giro. Abitando loro due da soli, infatti, erano dovuti scendere a compromessi per non darsi troppo fastidio. Lei cercava di non assillarlo troppo con l'ordine, mentre lui si sforzava di mettere a posto le sue cose e aiutarla nelle faccende domestiche.

Stava infilando gli ultimi libri nella borsa, quando una ragazza mora dall'aria distrutta venne verso di lei, abbandonandosi pesantemente contro l'armadietto accanto al suo. “Ah, finalmente!” sospirò sollevata.

“Buongiorno anche a te, Claire.” le disse Rachel, continuando a sistemare.

“Non ho mai amato così tanto la pausa pranzo in vita mia.” la ignorò lei. “Odio Martin e le sue formule assurde!”

“Pensavo che ti piacesse trigonometria.”

Claire sospirò di nuovo, soffiandosi via un ciuffo corvino dalla fronte. “Dopo quest'esame non più.” sentenziò. “Cambiamo argomento che è meglio. Alla fine hai preso una decisione per quest'estate?”

Rachel frugò nella borsa alla ricerca di un fermaglio e si tirò su i capelli ricci, cercando sollievo dal caldo. “A dire il vero no. Tra gli esami di fine anno e mio padre che mi mette pressione con le domande per il college non ci ho proprio pensato.”

Claire alzò gli occhi al cielo annoiata. Quel discorso era ancora un taboo per lei. Tutti in famiglia premevano perché andasse a Yale, visto che sia suo padre che suo zio si erano laureati lì, ma lei non si era ancora decisa a dir loro che non era stata accettata. Aveva fatto anche altre domande e alcune università avevano risposto positivamente, ma il problema non era scegliere il college quanto piuttosto decidere se andarci o meno. 

Sia lei che Rachel erano all'ultimo anno e, mentre l’amica aveva già le idee chiare riguardo al suo futuro, Claire continuava a rimandare decisioni che prima o poi avrebbe dovuto prendere per forza. Le aspettative di tutti erano che continuasse ad occuparsi dell'impresa di famiglia, un'azienda di telecomunicazioni famosa in tutta la nazione, ma lei non voleva saperne. Aveva in mente di viaggiare e fare nuove esperienze, non di restare incollata a una scrivania per il resto della vita.

“Rachel, rilassati. Questa è la nostra ultima estate da donne libere, dopodiché solo responsabilità.” Rabbrividì al suono di quell'ultima parola. “Comunque, tornando a parlare di vacanze.” riprese. “Zio Gordon ha detto che ci presta la sua casa in California. Potremmo partire subito dopo il diploma...”

Rachel scosse la testa. “Non lo so. Ancora non ho dato una risposta a mia madre.”

Erano anni che passava le vacanze estive in Francia, come specificato da una clausola del contratto di divorzio, ma quest'anno non era sicura di volerci tornare. In fondo, ormai era maggiorenne e poteva scegliere di andare dove voleva. La Provenza non le dispiaceva, aveva anche acquisito un'ottima padronanza della lingua, eppure iniziava a starle stretta e le sarebbe piaciuto visitare altri posti prima di dedicarsi completamente agli studi.

“Va bene, ho capito.” tagliò corto Claire. “Basta che prendi una decisione entro l'inizio dell'anno accademico.”

L'espressione che Rachel le rivolse somigliava più a una smorfia che a un sorriso, ma Claire non vi badò. Aprì il suo armadietto e vi buttò dentro i libri che aveva in mano. Richiuso lo sportello, notò una ragazza alta e bionda che veniva verso di loro a passo svelto, con tutta l'aria di chi sa qualcosa e non vede l’ora di raccontarla. 

“Ciao!” esclamò una volta arrivata.

“Ciao, Juls.” la salutò Rachel di rimando.

Juliet non aspettò oltre per tirare fuori tutto. “Non avete idea di cosa ho appena scoperto.” 

“Se l'avessimo non saresti qui tutta eccitata a raccontarcelo.” ironizzò Claire, che quella mattina doveva essersi alzata dalla parte sbagliata del letto.

Juliet ignorò quel commento. “Avete presente il ballo organizzato dal nuovo proprietario del castello a Jadkson Hill?”

“Quello a cui noi non andremo?” chiese Claire ironica.

“Esatto.” confermò lei. “Indovinate chi è stato invitato.”

Rachel sorrise, scuotendo la testa. “Perché non ce lo dici e basta?” 

“Le tre arpie.” rivelò Juliet finalmente, certa che le altre avessero capito subito a chi si stava riferendo. Le tre arpie non erano altri che Jacqueline, Jasmine e Josephine, che a sentire i nomi sembravano i personaggi di un cartone animato, ma in realtà si trattava di tre galline senza cervello, alte, bionde e con gli occhi azzurri e che neanche a farlo apposta facevano le cheerleader. Una combinazione degna della trama di uno di quegli stupidi filmetti per adolescenti.

Rachel e Claire si scambiarono un'occhiata nello stesso momento, per niente esaltate dalla notizia.

“Beh, non c'è molto da stupirsi.” disse Rachel. “Il padre di Jacqueline è il sindaco.”

Con non poco sforzo, Claire tentò di chiudere il suo vecchio lucchetto, che da anni era difettoso. “Sinceramente non è che mi importi molto di quello che fanno quelle tre.” 

“Ma come?” ribatté Juliet in tono deluso. “Loro andranno a quel ballo da sogno e noi no. Non trovate che sia ingiusto?” Giorni prima, aveva visto il manifesto che parlava dell'evento e da allora non era riuscita a togliersi dalla testa l'idea di partecipare. Per concludere l'ultimo anno di liceo sognava qualcosa di diverso che la solita festicciola organizzata nella palestra della scuola.

“Ammesso che lo trovassimo ingiusto, cosa credi che cambierebbe?” le chiese Rachel. “Noi non abbiamo ricevuto l'invito, quindi non possiamo andarci.” concluse pratica.

“Anche perché non ho intenzione di andare né a quello né a nessun altro ballo.” Claire aveva preso quella decisione subito dopo aver scoperto che il ragazzo con cui stava da quasi quattro anni se la faceva con un'altra di un anno più grande di lei. Avevano frequentato il liceo insieme, poi lui era andato al college e l'aveva lasciata, rifilandole la solita scusa di non volere una relazione a distanza. Prima di scoprire che fosse solo un modo per levarsela di torno senza dover confessare la verità, le aveva promesso di accompagnarla al ballo dell'ultimo anno.

Rachel e Juliet si scambiarono uno sguardo eloquente prima di seguire Claire verso la mensa.

“Credevo che l'avessi superata.” disse Rachel cauta. Era parecchio tempo che non affrontavano l'argomento e credeva che ormai se ne fosse fatta una ragione, anche se era stato un boccone davvero duro da mandar giù. Un conto era lasciarsi di comune accordo, un conto scoprire che lui la tradiva già da tempo.

“Sì, certo.” Claire annuì. “Ma quella storia non c'entra niente, semplicemente non ho voglia di andarci.”

Juliet si pentì di aver introdotto il discorso, così deviò l’argomento su un altro fronte. “Ho sentito dire che il castello è stato allestito a festa e che il nuovo proprietario è un uomo molto affascinante.”

“Stavate parlando di me?”

Si voltarono, mentre un ragazzo dal sorriso familiare usciva da un’aula vicina e veniva loro incontro. 

“Ovviamente.” scherzò Rachel, riprendendo a camminare.

“Lo so, faccio questo effetto alle donne.” continuò Jason Wright con aria superba.

Risero alla battuta del loro migliore amico, ormai praticamente un fratello visto che si conoscevano da quando erano piccoli. Quel giorno era particolarmente contento per via dell’esame di storia, che raccontò entusiasta di aver superato con successo. Tra loro, era l’unico in grado di rivaleggiare con Rachel per quanto riguardava la scuola.

Entrarono in sala mensa e lasciarono le borse al primo tavolo che trovarono, per poi dirigersi ai banconi, dove le cuoche distribuivano il menu del giorno.

Rachel prese un vassoio e cominciò a dare un’occhiata alle pietanze esposte. 

“Cosa passa il convento, oggi?” chiese Jason di fianco a lei; poi guardò le vivande e storse la bocca, facendola ridere.

In effetti, era piuttosto raro trovare cibo decente su quei banchi, così alla fine optarono per pollo fritto e un sostanzioso mestolo di purea, che la cuoca sbatté con ben poca grazia sui loro piatti. 

“Se non ti va bene, cambia ristorante.” disse in tono acido, di fronte all’espressione velatamente disgustata del ragazzo.

Jason ricambiò con un finto sorriso cordiale. “Oggi sei più affabile del solito, Gladys. Si vede che siamo alla fine dell’anno scolastico.” replicò sarcastico, prendendo il suo vassoio e allontanandosi con Rachel, che stentava a nascondere le risate.

 

Quando tornarono al tavolo, Claire e Juliet stavano già mangiando. Non parlarono per un po', ognuno troppo impegnato a consumare il proprio pasto, poi Juliet ruppe il silenzio, rivolgendosi a Jason. “Hai saputo del ballo al castello?” 

Claire alzò gli occhi al cielo, addentando una fetta di pane e chiedendosi per quale motivo quello stupido ballo fosse tanto importante per lei.

“Ho sentito qualcosa.” annuì Jason con scarso interesse. “Ma non è una festa privata?”

“Sì, ma a quanto pare per Juls è un dettaglio.” commentò Rachel.

“Tanto io non potrei venire comunque.” replicò lui. “Quel weekend sono da mio padre. Dobbiamo finire di organizzare le ultime cose per il viaggio post-diploma.”

Il padre di Jason insegnava archeozoologia all’università di Missoula e aveva trasmesso la passione per gli animali morti anche al figlio, che lo seguiva in quasi tutti i suoi viaggi. 

“No, questa non ci voleva.” Rachel lo guardò delusa. “Eri la mia unica chance.”

Jason ricambiò lo sguardo con aria perplessa. “Perché?”

“Speravo che mi avresti accompagnata.”

“Mi dispiace.” si scusò. “Possibile che non te l'abbia chiesto nessuno? In questa scuola ci sono troppi giocatori di football decerebrati.” 

“Beh, non è la sola. Anch'io non so con chi andarci.” disse Juliet affranta.

“Ma smettila.” la rimbeccò Claire. “Ne hai una decina che ti sbavano dietro.”

“Ha ragione.” concordò Rachel. “Per esempio, Nick Henderson non ti ha staccato gli occhi di dosso nemmeno un secondo da quando siamo arrivate.” Fece cenno di guardare dietro di sé. 

Juliet si voltò appena, per poi tornare velocemente sugli amici. “Mi dispiace di averlo mollato, ma era troppo appiccicoso. Comunque…” riprese, cambiando discorso. “Dico solo che sarebbe bello partecipare a un evento così esclusivo. In questa città non capitano tanto spesso occasioni del genere.” Lasciò la forchetta e prese a fissare il vuoto davanti a sé con aria sognante. “Non voglio andarci con il primo che capita, vorrei che fosse un momento speciale e... romantico.”

“Juls è solo uno stupido ballo, non ti aiuterà a trovare l'uomo della tua vita.” replicò Claire con il consueto ottimismo.

L'amica fece per ribattere, ma glielo impedì il suono della campanella che annunciava la fine della pausa pranzo.

“Ragazze, devo scappare.” Jason afferrò il vassoio e si alzò in fretta. “Ho l'esame di biologia tra cinque minuti.” Le salutò, prima di aggregarsi a un gruppo di amici e uscire dalla mensa. 

Visto che avevano un’ora libera, decisero di dirigersi al cortile interno per godersi un po’ di sole e, su insistenza di Rachel, ripassare gli argomenti di filosofia per l'esame dell'ora successiva.

Claire si abbandonò pesantemente sulla solita panchina libera a poca distanza dall'entrata e prese a osservare l’amica mentre tirava fuori gli appunti dalla borsa. “Ti prego, abbi pietà.” sbuffò esausta.

Indifferente alle sue suppliche, lei aprì il quaderno di scatto e le pagine svolazzarono. “Senti, io vorrei diplomarmi con dei voti alti, se non ti dispiace. Tu fai come ti pare.” Accavallò le gambe e vi poggiò il quaderno sopra, preparandosi a isolarsi per un po' da qualsiasi conversazione. Aveva appena finito di leggere la prima riga, quando l’intera squadra delle cheerleader le oltrepassò senza degnarle di uno sguardo, andando a sedersi poco più avanti. 

Per un momento sembrò che fosse finita lì, finché una cascata di risatine non arrivò all'orecchio di Claire, che sollevò la testa per guardare con disappunto nella loro direzione. 

Jacqueline ricambiò l'occhiata, dopodiché si voltò di nuovo verso le amiche e insieme ripresero a starnazzare come oche giulive, senza preoccuparsi di dare fastidio agli altri studenti.

Disturbate dal rumore, anche Rachel e Juliet alzarono gli occhi e le fissarono, ma cercarono di fare finta di niente nella speranza che prima o poi la smettessero. Speranza vana, visto che il chiacchiericcio continuò senza nessun ritegno.

Si sentivano solo loro in tutto il cortile, ma nessuno si decideva a prendere l’iniziativa, così Claire pensò fosse arrivato il momento di farla finita. Con slancio atletico si alzò dalla panchina, avvicinandosi alle cheerleader. “Vi dispiacerebbe piantarla?” domandò in un tono tutt’altro che amichevole, attirando la loro attenzione. “A voi sembrerà strano, ma qui c’è chi vuole studiare. Non potreste andare a perdere tempo da un’altra parte?”

Jacqueline, che non capitanava solo la squadra ma anche i pensieri delle altre, la guardò con finta compassione. “Oh, scusa. Vi stiamo disturbando?” chiese a mo’ di scherno, mentre le altre ridacchiavano stupidamente. “Beh, siamo in un luogo pubblico e non sarai certo tu a dirmi cosa posso o non posso fare.” Detto questo, si riavviò una lunga ciocca di capelli dietro le spalle e, rivolgendosi di nuovo alle amiche, tornò a ignorarla. 

Claire ci avrebbe scommesso. Era esattamente da Jacqueline rispondere in quel modo, ma non per questo gliel’avrebbe fatta passare. In tanti anni che conosceva quelle tre, non era mai riuscita a mandar giù le loro occhiate e il loro modo di fare. Si credevano chissà chi solo perché avevano genitori influenti, ma si dava il caso che anche lei li avesse. “Ti senti potente davanti alle tue dame di corte, vero? Scommetto che da sola non vali neanche la metà di quello che sembri.” la sfidò.

Punta sul vivo, la cheerleader si alzò di scatto con le fiamme negli occhi. “Prova a ripeterlo.” disse tra i denti.

Claire non avrebbe esitato e questo Jacqueline lo intuì. Stavano per passare alle vie di fatto, quando Rachel e Juliet le raggiunsero, giusto in tempo per trattenere l’amica dall’afferrare quella fluente chioma bionda e strappargliela dalla testa.

“Dai, vieni.” mormorò Rachel, cercando di convincerla a lasciar perdere.

“Ecco, brava. È meglio che dai retta alla sfigata.” disse Jacqueline con disprezzo, seguita subito dallo scroscio di risatine delle altre.

Troppo imbufalita per ignorarle ancora, Claire tornò sui suoi passi, decisa ad avere lei l'ultima parola.  “Ti dirò Jacqueline, meglio essere sfigata che una subdola stronzetta come te.”

Dopo quell’insulto, la cheerleader assunse una colorazione tra il rosso e il nero fumo. Fuori di sé, venne verso di lei e con una spinta la mandò a finire per terra. 

“Ma sei fuori di testa?” Juliet raggiunse l'amica, seguita a ruota da Rachel, e insieme la aiutarono a rialzarsi. “Poteva farsi male.” Guardò Jacqueline sconcertata, mentre lei e la squadra scoppiavano a riderle in faccia.

“Questa non ve la faccio passare.” minacciò Rachel furiosa.

Una delle altre cheerleader guardò le amiche e tutte finsero di essere spaventate a morte. “Ragazze, siamo nei guai.” ironizzò, mettendosi una mano sulla bocca. “La secchiona si è arrabbiata.”

“Fammi il piacere.” ribatté Jacqueline spavalda. “Ma l'avete vista? Perfino sua madre è scappata in un altro continente pur di non averci a che fare.”

Quella fu l'ultima goccia e Rachel perse completamente il controllo di sé. Le si avventò contro, mollandole una sberla tale da farle voltare la testa. Subito dopo, sconvolta e incredula per quello che aveva appena fatto, indietreggiò, fissandosi la mano.

Mentre le altre ragazze la fissavano con gli occhi sbarrati, Jacqueline si portò una mano sul viso e quando la abbassò c'era del sangue sulle sue dita. Lo schiaffo di Rachel le aveva spaccato leggermente il labbro e a quella vista impallidì.

“Tu sei una pazza squilibrata!” gridò in tono isterico, prima di spingerla con forza. 

A quel punto Claire scattò in avanti, lanciandosi contro Jacqueline e buttandola a terra. Tra strilli e insulti cominciarono a lottare, menando schiaffi su qualunque parte del corpo scoperta. Claire afferrò una ciocca di capelli dell’avversaria e la tirò con forza, facendola urlare di dolore. Lei comunque non si diede per sconfitta e rispose con altrettanta violenza, provando a darle una ginocchiata per levarsela di dosso. 

Intanto, una folla di curiosi si era avvicinata e si stava godendo la scena, senza fare assolutamente nulla per fermarle, anzi, c’era chi rideva, chi incitava alla lotta e chi addirittura riprendeva il tutto con il cellulare. Claire le avrebbe strappato fino all’ultimo capello, se non fosse intervenuto il signor Ramirez, il professore di geografia, che stava passando per caso da quelle parti. Facendosi largo tra la folla, l’afferrò per la vita e la sollevò, dividendola da Jacqueline, che ansante si rimise in piedi aiutata dalle compagne di squadra. Entrambe erano ridotte in condizioni pietose. La messa in piega della cheerleader era andata a farsi benedire, così come la sua divisa, prima fiammante e ora scomposta. 

Nonostante lui la tenesse sollevata, Claire continuava a scalciare, incurante di star dando spettacolo. 

“Signorina Farthman, si calmi!” le intimò Ramirez, cercando di tenerla ferma. 

Ci mise un po’ a ritrovare il controllo di sé e quando finalmente ci riuscì il professore mollò la presa, permettendole di rimettere piede a terra. 

Jacqueline non le diede neanche il tempo di dare spiegazioni e si lanciò subito all’attacco. “Professore, è una pazza! Mi è saltata addosso senza motivo!” la accusò indignata, puntandole il dito contro e accertandosi che il labbro spaccato fosse in bella mostra. “Lei e le sue amiche ci hanno insultato, per poi aggredirci!” Indicò anche Rachel e Juliet, che la guardarono indignate.

“Non è vero!” scattò Claire, trattenendo l’impulso di picchiarla ancora. “Avete iniziato voi a insultarci!”

“Mi stai dando della bugiarda?”

 “Adesso basta!” le interruppe Ramirez con voce tonante. “Non so chi di voi abbia iniziato, ma queste manifestazioni di violenza non sono tollerabili. Il preside verrà informato.”

 

-o-

 

“Io non capisco perché hanno messo in punizione solo noi.” Claire si abbandonò su una sedia, buttando la borsa per terra in malo modo. “Che vuol dire che quelle imbecilli avevano le prove per lo spettacolo del diploma? È evidente che vengono favorite.”

“Dici?” chiese Juliet, sempre fiduciosa nel prossimo. “Però non me lo aspettavo. Dopo tutte le donazioni che tuo zio ha fatto alla scuola, credevo che l’avresti scampata.”

“Figurati.” rispose Claire, convinta che questo non fosse sufficiente. La figlia del sindaco sarebbe sempre stata in una botte di ferro. “Tanto lo sapevo che andava a finire così. Tu piuttosto, non eri inclusa nella punizione, potevi andartene a casa.”

L’amica fece spallucce. “Nessun problema. L’ho fatto per solidarietà.”

Rachel a malapena le ascoltava. Si sedette in silenzio, tirò fuori un libro dalla borsa e cominciò a ripassare geografia. Dopo lo spettacolo penoso a cui aveva assistito, era certa che Ramirez non ci sarebbe andato tanto leggero. Se non altro era un modo per sfruttare quelle due ore extra. Inoltre, studiare l'avrebbe distratta dal pensiero fisso dell’esame di filosofia e da quello che aveva combinato, talmente era nervosa. Meno male che il diverbio con le cheerleader era avvenuto alla fine dell’anno e la sua domanda per Stanford era stata già accettata, altrimenti quell’episodio avrebbe segnato la fine dei suoi sogni di gloria. 

Dopo aver rimandato tutti in classe, il professor Ramirez le aveva portate nell'ufficio del preside insieme alle cheerleader e lì avevano dovuto spiegare i motivi di quella scenata. Alla fine il preside si era convinto a non chiamare le famiglie, anche perché erano tutte maggiorenni, e a non prendere provvedimenti disciplinari che sarebbero finiti sui loro curricula scolastici. Lei e le amiche però si erano beccate due ore di punizione da scontare dopo gli esami del pomeriggio, mentre le cheerleader se l'erano cavata con la scusa delle prove.

Nella stanza c'erano loro tre, un tizio seduto al primo banco che sembrava strafatto, un metallaro con un giacchetto di pelle e borchie, e una ragazza dai capelli viola con il viso coperto di piercing. Infine, altri due ragazzi all'apparenza anonimi se ne stavano seduti nei banchi in fondo a farsi i fatti loro.

A controllare che non combinassero guai c'era un professore anziano, che se ne stava seduto alla cattedra intento a leggere il giornale.

Juliet decise di imitare Rachel e aprì un libro, mentre Claire metteva le braccia sul tavolo e vi appoggiava il mento, intenzionata a farsi un sonnellino. Al momento, lo studio era l’ultima delle sue fantasie. 

Rachel tentò di concentrarsi sulle pagine, ma il metallaro e la ragazza con i piercing si stavano scambiando effusioni decisamente poco caste e concentrarsi risultava difficile. 

“Cavolo, le sta risucchiando la faccia...” sussurrò Juliet sconcertata. 

Senza staccare gli occhi dal libro, Rachel ridacchiò. 

“Disgustoso eh?” 

Uno dei ragazzi seduti in fondo si era avvicinato senza che se ne accorgessero. Aveva un viso familiare, probabilmente perché era capitato di incrociarlo nei corridoi, ma non si erano mai parlati. Strano però che nessuna di loro avesse ben in mente la sua immagine, visto che nel complesso non era per niente male. Alto, biondo, con profondi occhi azzurri e un sorriso smagliante. Difficile non notarlo.

Senza aggiungere altro, annuirono in segno di approvazione e tornarono a studiare. 

Pensavano che fosse finita lì, ma lui invece spostò una sedia davanti al loro banco e ci si sedette al contrario, in modo da poterle guardare una per una. “Comunque, piacere.” continuò imperterrito, come se fosse stato invitato. “Cedric Butler.” disse cordiale, aspettando di sentire i loro nomi.

Le presentazioni però vennero interrotte dalla risatina disturbata del ragazzo al primo banco, che si fissava le mani in maniera morbosa, come se fosse la prima volta che le vedeva. 

Si voltarono a guardarlo perplessi, prima che Juliet tornasse su Cedric, sorridendo a sua volta. “Piacere, Juliet. E queste sono Rachel e Claire.”

Gli occhi di Cedric si ridussero a due fessure e la guardò con fare pensoso, accarezzandosi il pizzetto. “Dov’è che ti ho già vista? Forse a qualche corso…”

“Può darsi.” rispose lei. “La scuola non è così grande.”

“E come mai siete qui?” chiese curioso, abbandonando già il tentativo di ricordare. “Non avete l'aspetto delle cattive ragazze.”

Rachel intuì subito dove volesse andare a parare con quell’aria da Casanova, ma decise comunque di rispondere per non apparire maleducata. “Abbiamo avuto un diverbio con delle cheerleader...”

“Ah, quindi siete voi quelle che hanno fatto a botte in cortile!” la interruppe stupefatto. 

Sembrava trovasse la cosa estremamente divertente.

“Ced, non esagerare. È imbarazzante.” lo richiamò l’altro ragazzo, visibilmente a disagio. A giudicare dal suo aspetto, era strano pensare che quei due fossero amici. Di solito i tipi come Cedric stavano con i loro simili, alti e ben piazzati. Questo invece era più magro e tutto di lui faceva intuire che fosse una specie di intellettuale: gli occhiali e il modo in cui se li sistemò sul naso, come si esprimeva. Inoltre, con quei capelli scuri e gli occhi verdi, sembrava l’esatto opposto dell’altro. 

“Scusatelo, a volte non riesce a contenersi.”

A quanto pareva, era anche la sua parte razionale, che gli impediva di continuare a dire sciocchezze. Una sorta di coscienza.

Cedric gli lanciò un'occhiataccia. “Che ho detto di male?”

Lui ignorò la domanda e gli parlò sopra. “Mark, piacere di conoscervi.”

Cedric, però, non sembrava voler rinunciare a conoscere i dettagli di quella storia. “Allora, chi di voi è saltata addosso a Jacqueline?”

In un primo momento, Claire fu troppo imbarazzata per rispondere, ma poi alzò appena la mano.

Cedric strabuzzò gli occhi. “Wow! Hai tutta la mia stima.” commentò sorpreso, prima di darle una rapida occhiata generale. “A guardarti non sembri un tipo violento. Sei così piccola...”

“Vuoi mettermi alla prova?” lo sfidò sostenuta, apprezzando comunque il tatto con cui aveva alluso alla sua statura. 

Lui alzò le mani, ridacchiando. “No, no. Però non sai quanto mi è dispiaciuto essermelo perso.”

Juliet guardò i due con aria perplessa. “Quindi, vuoi dire che tutta la scuola lo sa?”

“Scherzi, è l'argomento del giorno. Non si parla d'altro.” 

Rachel richiuse il libro di colpo, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Bene, fantastico.” A fatica lo infilò nella borsa, già piena di altri libri e quaderni. “Ci manca solo che la voce arrivi fino a Stanford e posso dire addio alla mia reputazione per i prossimi quattro anni.”

Satura delle sue paranoie sul college, Claire sbuffò e le si rivolse in tono perentorio. “Primo, Stanford è lontana chilometri da qui, secondo, la tua media è la più alta degli ultimi dieci anni, terzo, fai parte di almeno cinque club, tra cui la squadra di Pentathlon, e, quarto, non hai mai trasgredito una regola. Perciò puoi stare tranquilla, questa storia non rovinerà la tua immacolata reputazione.”

Rachel ricambiò lo sguardo afflitta, per poi abbandonarsi a un sospiro. “Certo, se tu avessi lasciato perdere, invece di attaccare briga con Jacqueline...”

“Di nulla, figurati.” ribatté Claire risentita. “Non c'è bisogno che mi ringrazi per averti difesa.”

“Scusate se mi intrometto. Anche tu hai fatto domanda per Stanford?” le chiese Mark interessato. 

Lei distolse l’attenzione da Claire per guardarlo. “Sì, mi hanno accettata.” annuì, rincuorata dal fatto che la cosa interessasse a qualcuno.

“Hanno preso anche me. Lì hanno la migliore facoltà di biologia degli Stati Uniti. E tu che cosa hai scelto?”

“Giurisprudenza...”

“Ehi, scusate...” li interruppe Cedric, annoiato dalla conversazione. “Tutto ciò è molto interessante, ma siamo ancora al liceo. Godetevi quest’ultima estate di libertà, prima di seppellirvi di nuovo tra i libri.” scherzò.

Juliet ridacchiò, anche lei d’accordo. A differenza di Rachel, l’idea di andare al college non l’aveva mai attirata granché. “E voi perché siete finiti in punizione?” chiese curiosa ai ragazzi.

Cedric accennò un sorriso. Chiaramente perché lei gli aveva ricordato il motivo per cui erano lì. “È una storia lunga.” Guardò Mark, che sorrise a sua volta. “Diciamo solo che la chimica non fa per me.”

Juliet assunse un'aria interrogativa, invitandoli a spiegarsi meglio.

“Ced ha rovesciato una provetta durante l'ora di chimica e...” iniziò Mark.

Cedric, però, lo interruppe, lanciandogli un’occhiata di traverso. “Non l’ho mica fatto apposta!”

“E la Shelman ci è scivolata sopra, slogandosi un polso.” concluse lui, facendo finta di non averlo sentito. “Quindi, visto che eravamo in coppia, sono finito qui anch’io. Grazie, Ced.” 

Ricambiando il sorrisetto di scherno dell’amico, Cedric ribatté: “Per quanto tempo pensi di rinfacciarmelo? E poi la Shelman ha avuto una reazione esagerata, secondo me. Dovrebbero prescriverle dei tranquillanti.”

“Mi sembra normale, dato che si è slogata un polso. Sei tu che ti muovi peggio di un elefante in una cristalleria.”

“Okay, è sempre colpa mia…” 

Le ragazze assistevano alla diatriba un po’ spaesate. Continuavano a far finta di discutere, quando si capiva benissimo che si prendevano in giro a vicenda.

“Sshh!”

Non si erano accorti di parlare a voce troppo alta e quando il professore gli intimò il silenzio, si voltarono tutti insieme verso la cattedra, ma lui si era già rimesso a leggere.

Rachel stava per proporre di riprendere lo studio, ma ormai la conversazione era partita e Juliet sembrava trovarsi molto a suo agio nel chiacchierare con i ragazzi. Così rinunciò per una volta al suo lato giudizioso e poco dopo si ritrovò a parlare con Mark dell’università, mentre Cedric provava a strappare a Claire qualche dettaglio in più sulla rissa. 

Grazie a loro, le noiose ore di punizione passarono tutto sommato in modo piacevole, fino a quando non suonò la campanella che li autorizzava a tornarsene a casa.

 

-o-

 

La campanella di fine ora risuonò per i corridoi e decine di studenti uscirono dalle classi, diretti alla prossima lezione. Anche Claire lasciò l'aula per raggiungere il suo armadietto. Lo aprì con difficoltà e iniziò a sistemarne il contenuto in previsione dello sgombero. Quello era l'ultimo giorno che trascorreva in quella scuola e non poteva più rimandare l'inevitabile. Fissò l'interno con aria assorta, indecisa se aspettare l'ultima ora o cominciare a svuotarlo subito. Sarebbe stato meglio iniziare subito, ma non ne aveva nessuna voglia, così sbuffò e richiuse lo sportello, rimandando per l'ennesima volta. 

“Ehilà!”

Colta di sorpresa, Claire sobbalzò, prima di accorgersi che a pochi centimetri da lei, appoggiato all’armadietto accanto al suo,  Cedric le sorrideva con la sua solita aria tronfia.

“Come va?” chiese allegro.

“Prima dell’infarto? Bene, grazie.” rispose, tenendo ancora la mano sul petto per calmare la tachicardia; poi intravide Rachel e Juliet che la stavano aspettando in fondo al corridoio e si avviò nella loro direzione, sperando che lui non la seguisse. 

Speranza vana.

Cedric continuò a camminare dietro di lei, senza smettere di parlare. “Ancora un’ora ed è finita, finalmente.” commentò in tono sollevato. “Da adesso inizia la vita vera.”

Gli occhi azzurri di Claire rotearono, ma lui non se ne accorse. Se in quel modo pensava di accalappiarla aveva decisamente sbagliato metodo. Era stato abbastanza facile per lei inquadrarlo come il solito belloccio che pensa di avere tutte le donne ai suoi piedi. Proprio il tipo che cercava di evitare con tutte le sue forze.

“Dove sei diretta?” le chiese.

“In C9. Ho l’esame di letteratura con la Kellings.” rispose Claire. “Anzi, scusami, ma avrei una certa fretta.” aggiunse, aumentando il passo. 

Cedric però non sembrava demordere. Il dubbio che volesse liberarsi di lui non lo coglieva minimamente. “Davvero? Ma pensa, anch'io.” Sorrise. “Allora ti accompagno.”

Claire pensò che qualcuno lassù in cielo volesse punirla, anche se non sapeva perché. Mentre le amiche ricambiavano il caloroso saluto di Cedric, lanciò loro un'occhiata eloquente e fece cenno di incamminarsi verso l'aula della Kellings, sicura che avrebbero capito. 

“Aspettate, devo darvi una cosa prima di entrare.” le bloccò Cedric, mentre poggiava lo zaino per terra e iniziava a rovistare all'interno.

Le ragazze attesero che riemergesse da lì dentro, preoccupate di non arrivare in tempo per la consegna del test, ma dopo un momento lui si rialzò con in mano un mucchio di volantini gialli e gliene diede uno a testa.

“Sta aprendo un nuovo locale in città.” spiegò. “Domani sera c'è l'inaugurazione e il primo drink è gratis. Potreste andarci, se vi va.”

Juliet lesse il volantino incuriosita, poi guardò le altre. “Sembra carino.” 

“Okay, ci penseremo.” tagliò corto Claire, concedendogli un mezzo sorriso. “Adesso però dovremmo proprio andare.” 

“Aspetta.” la fermò di nuovo. “Perché non mi dai il tuo numero? Non si sa mai, potreste perdervi...”

“Il mio numero?” ripeté lei, per niente sicura di aver sentito bene. 

“Ma sì.” si intromise Juliet. “Ha ragione. In città ci sono parecchi locali, come faremo a riconoscerlo?”

Rachel alzò un sopracciglio. “Juls, siamo a Greenwood non a Las Vegas.”

Juliet ridacchiò. “Vero, ma sarebbe comunque meglio dargli il suo numero.” 

Claire non poté fare a meno di chiedersi perché proprio il suo. La strategia di Juliet era più che ovvia, ma lei era preparata. “Mi piacerebbe, ma non ho il cellulare con me e non me lo ricordo a memoria, perciò…”

 “Va bene, gli do il mio.” si offrì Rachel spazientita. Dopodiché, lo dettò a Cedric, che lo inserì in rubrica; poi le salutò e diede loro le spalle, facendo per andarsene.

 “Ehi, ma non avevi anche tu l'esame di letteratura?” gli chiese Claire alle spalle, ma quando lui si voltò di nuovo per farle l’occhiolino capì che la sua era stata tutta una messinscena per prolungare il loro incontro. Indispettita, lo guardò allontanarsi e, dandosi della cretina, si ripromise di non dargli corda mai più.

“È carino, no?” chiese Juliet maliziosa. 

“E con questo?”

Lei sbuffò seccata. “Niente, era solo un’osservazione. Secondo me dovresti superare questa diffidenza cronica. Non sono mica tutti come…” Si interruppe all’ultimo momento, evitando di pronunciare quel nome, mentre Claire la stava già guardando di traverso.

D'un tratto, alle loro spalle si sentì una cascata di risatine civettuole. Si voltarono insieme per capire cosa le avesse provocate e videro Cedric che distribuiva volantini a un gruppetto di ragazze. Doveva aver fatto una delle sue solite battute piacenti, provocando l'ilarità generale. 

Claire rivolse all’amica un'occhiata eloquente. “Dicevi?” 

“Beh, m-ma che vuol dire...” balbettò Juliet, arrampicandosi sugli specchi.

Con un sospiro annoiato, lei troncò il discorso e si diresse all'aula di letteratura. “Forza, siamo in ritardo.”

   
 
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