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Autore: effe_95    25/11/2017    2 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
61.Trottola, Mio figlio e Proviamo.


Maggio

Lisandro avrebbe tanto voluto capire come avesse fatto a ritrovarsi dietro quella porta.
Non era qualcosa che avesse propriamente progettato, sua madre gli aveva semplicemente chiesto di andare a riportare quei piatti ai vicini.
Gli aveva anche detto che in casa non c’era nessuno, e siccome aveva fatto pressioni affermando che fosse qualcosa di assolutamente urgente, Lisandro non aveva trovato scuse per lamentarsi o filarsela. E dopotutto sua madre gli aveva detto che non c’era nessuno.
Beh, Lisandro dovette ammettere che sua madre l’aveva preso per i fondelli proprio bene.
Perché in casa qualcuno c’era eccome.
Aveva sentito i rumori solamente quando era entrato nella cucina semibuia e aveva riposto i piatti sul tavolo, con il bigliettino che la madre gli aveva ripetuto mille volte di consegnare.
Per un momento Lisandro aveva pensato si trattare di ladri entrati prima di lui, poi gli era preso un colpo quando aveva visto la porta della stanza di Sara, l’ultima del corridoio, semichiusa e illuminata.
Lo spicchio di luce si allungava sul pavimento di marmo aprendosi come una grande coda di pavone mano a mano che si allontanava dalla fonte.
Lisandro aveva osservato quel particolare con gli occhi sgranati e il cuore che batteva come un puledro impazzito nel petto, per un istante era rimasto fermo all’ombra in silenzio.
Aveva preso in considerazione l’idea di andarsene camminando in punta di piedi, era un’idea piuttosto ferma, quindi non seppe spiegarsi perché avanzò fino alla porta come un ladro.
La voce di Sara lo raggiunse prima ancora che accostasse l’occhio sulla fessura, e ci mancò poco si facesse scoprire immediatamente per un attacco di risate potenti quando la vide.
Sara se ne stava in piedi davanti allo specchio, indossava delle ciabatte a forma di elefante con la lunga proboscide afflosciata sul pavimento, accompagnate da calzettoni a righe multicolor sollevati  fino al ginocchio.
Sopra indossava una vecchia felpa completamente chiusa fino al mento, era talmente grande da arrivarle a metà coscia, e dava la sgradevole sensazione che sotto non indossasse altro.
Fortunatamente, in quella posa da diva imbarazzante che aveva assunto, con la gamba sollevata sul puff, la coscia in bella mostra, Lisandro poté constatare che indossava un paio di mutande a fantasia bianca con le coccinelle.
Il che non la rendeva nuda, ma nemmeno completamente vestita.
Lisandro rischiò di strozzarsi quando se ne rese conto.
I capelli asimmetrici erano stretti in un codino scomposto da bambina sul lato sinistro della testa, cosicché le numerose ciocche rosse prendevano a confondersi con il castano scuro.
Un paio di grosse cuffie gli coprivano completamente le orecchie.
Sara stava cantando in maniera del tutto stonata, senza preoccuparsi del ritmo o del fracasso che faceva, e utilizzava un vecchio pettine verde fosforescente con tre denti mancanti a mo’ di microfono. Lisandro si protese leggermente meglio verso la fessura e ascoltò.
Sara stava cantando una vecchia canzone di Mina, “Non credere”.
Quando erano bambini l’aveva sempre presa in giro per i suoi gusti musicali, Sara si arrabbiava sempre tantissimo, ma Lisandro non l’aveva mai presa sul serio.
In quel momento, nonostante la scena fosse alquanto imbarazzante e vergognosa, si pentì un pochino di averla presa in giro, Sara cantava con tale trasporto da intimidirlo.
Lo intimidiva nonostante scuotesse la testa come una scema, e muovesse i fianchi con una sensualità pari a quella di un bradipo addormentato.
<< Se lei ti amasse, ioooo! >> Urlò a squarciagola facendo una piroetta << Se lei ti amasse, ioooo! >> Fece un’altra piroetta, afferrò un vecchio peluche dal letto e lo mandò, in un tentativo di giravolta, contro il vetro della finestra, dove si schiantò con dignità << Saprei soffrire ed anche morire pensando a teeeee … >> Fece una sorta di spaccata per aria, in un tentativo piuttosto fallito di imitazione di una ballerina, e riafferrò il povero pupazzo << Ma non ti ama, nooooo! >> E prese a scuoterlo guardandolo con una sofferenza estrema << Lei non ti ama, nooooo! >> E lo rigettò sul letto con foga, abbracciandosi da sola mentre si muoveva goffamente sulle gambe sorprendentemente lunghe e magre << Ed io non voglio vederti morire, morire per lei! >> E si lanciò in una piroetta piuttosto enfatizzata che la vide inciampare nel tappeto e finire con il sedere per terra e le gambe all’aria.
Una ciabatta volò pericolosamente su una mensola carica di libri.
Lisandro ebbe una reazione del tutto particolare a quella vista, si premette la mano sulla bocca più che poté ma non ce la fece a trattenersi, scoppiò a ridere come un forsennato, si piegò in avanti e picchiò con la testa sulla porta, spalancandola del tutto.
Sara cominciò a strillare come una matta, spaventata a morte dallo scoppio di risa e dall’improvvisa apparizione di Lisandro, e gli tirò per riflesso il pettine contro.
L’attrezzo micidiale lo centrò in pieno sul cavallo dei pantaloni.
Non fu dolorosissimo, ma piuttosto umiliante.
Lisandro si portò momentaneamente le mani sul viso, piegandosi su se stesso in preda ad un attacco di dolore, risate e umiliazione cocente, mentre Sara si toglieva le cuffie e lo fissava oltraggiata e sconvolta, totalmente senza parole.
Per un istante nella stanza cadde un silenzio assordante.
Un silenzio interrotto solo sporadicamente dai mugolii imbarazzati di Lisandro e dal respiro affannoso di Sara, ancora seduta a terra in maniera scomposta con il petto che si alzava ed abbassava freneticamente, gli occhi spalancati e le guance arrossate.
<< C-che … che cazzo stavi facendo Lisandro?! >>.
Sara urlò con così tanta potenza che Lisandro si domandò come facesse ad avere ancora tutta quella voce dopo aver cantato come se non ci fosse un domani solo fino a pochi istanti prima. Ad ogni modo, non rispose.
Rimase in quella posizione, con le mani sul cavallo dei jeans e la faccia nascosta nelle braccia. Gli sembrava di essere totalmente impazzito se anche solo ci pensava.
Perché non se n’era semplicemente andato? Perché aveva dovuto spiarla in quel modo?
Come gli era anche solo venuto in mente di fare una cosa del genere?
Perché da quando Beatrice l’aveva respinto si comportava in quel modo?
Lisandro avrebbe potuto passare l’intera giornata in quella posizione a rimuginare. Sicuramente l’avrebbe preferito all’andare a scuola, perché negli ultimi tempi gli era diventato piuttosto difficile alzarsi la mattina e affrontare ancora quel tormento.
Il tormento di vederla e provare una vergogna così grande da non riuscire nemmeno ad articolare due parole di fila senza arrossire, balbettare, farla sentire in colpa e allertare Enea.
Lisandro lo sapeva che Enea aveva capito tutto, non era di certo stupido.
<< Ohi! Sto parlando con te, brutto porco spione della malora! >>
Fu il calcio di Sara a risvegliarlo dai suoi turbamenti, la ragazza l’aveva colpito con il piede privo di ciabatta, senza troppi complimenti, sul braccio.
Il dolore fu abbastanza forte da distrarlo.
<< Mi fai male, animale! >> La richiamò scostandole malamente il piede.
Sara barcollò leggermente, poi si mise ritta e incrociò le braccia al petto.
Mentre lo fissava dall’altro, con quel cipiglio nervoso, Lisandro la trovò sorprendentemente simile ad un generale, molto simile a quella bambina dispotica che aveva tanto odiato.
<< E sarei io l’animale eh?! >> Continuò a rimbeccarlo lei, pungolandogli la caviglia scoperta con la punta del piede, Lisandro le scoccò un’occhiataccia contrariato.
<< Lo sapevo io, che dovevo lasciare i piatti e andarmene >> Mugugnò il ragazzo imbronciandosi come un bambino, le lentiggini sul viso pallido piuttosto marcate.
<< A proposito, tu come ci sei entrato in casa mia, eh? >> Sbottò lei riprendendo a colpirlo con la punta del piede, questa volta sul gomito del braccio, Lisandro le rivolse uno sguardo ancora più minaccioso, senza tuttavia reagire.
<< Tua madre ha lasciato le chiavi alla mia! >> Replicò irritato.
<< E che bisogno ce n’era? Ti costava così tanta fatica suonare il campanello? Oppure dovevi compiere il tuo dovere di porco per bene, a spiare la gente? >>.
Lisandro avvampò quando sentì quelle parole, avvampò di collera e di vergogna.
<< Ma chi diavolo vuole spiarti?! Mia madre mi ha detto che non c’era nessuno, altrimenti col cavolo che ci venivo qui! >> E pronunciate quelle parole con estrema collera, dopo l’ennesimo spintone di Sara, le afferrò la caviglia per strattonarla e la ragazza precipitò a terra a gambe all’aria, dandogli una vista piuttosto ampia della sua biancheria intima.
Lisandro lasciò la presa dalla caviglia, inorridito, il volto in fiamme.
Sara si rimise a sedere, i capelli sfuggiti al codino, gli occhi sgranati e …
<< E adesso perché piangi? >> Mormorò Lisandro con disperazione.
Sara aveva le lacrime agli occhi.
<< Non dirmi che ti sei fatta male vero? >> Nel pronunciare quelle parole Lisandro le rivolse uno sguardo veloce, imbarazzato, ma l’unico punto in cui si posarono i suoi occhi fu sulle lunghe gambe flessuose del’amica e provò un disagio così grande da stordirlo.
Che cosa gli stava prendendo esattamente? Era Sara, era solo Sara.
<< No, idiota! >> Commentò la ragazza asciugandosi in fretta il viso, poi, con estrema sorpresa di Lisandro, si mise seduta a gambe incrociate di fronte a lui e lo fissò.
Lui si trovava ancora in quella posa ridicola, rannicchiato come un ladro.
<< È solo … è solo sollievo >>
<< Sollievo? >> Lisandro pronunciò quella parola con estrema sorpresa.
<< Uhm, sai … credevo che non saremmo mai più stati in grado di parlarci così >>.
E cadde il silenzio, prepotente e infingardo.
Lisandro sentì le spalle sprofondargli nella schiena, se si fermava a riflettere, anche solamente un attimo, riusciva a vedere perfettamente quanto fosse strana quella situazione.
Non aveva parlato molto con Sara negli ultimi tempi, non l’aveva fatto perché la detestava per quello che aveva combinato con Enea, perché ignorarla era qualcosa che lo appagava.
Ma ancora una volta era stato egoistico da parte sua, aveva sempre pensato a se stesso.
Lisandro aveva avuto come l’impressione di imperversare come una trottola in quei giorni.
Girare andando a sbattere contro le cose senza nemmeno sapere cosa provare.
E in effetti, non aveva provato proprio nulla da quella volta con Beatrice.
Aveva solamente cercato un modo per distrarsi, un modo per smetterla.
Quel pomeriggio di fine Maggio, nella stanza della ragazza più improbabile del mondo, per la prima volta Lisandro ebbe come la sensazione di essersi finalmente fermato.
Si era fermato dolorante, pieno di contusioni e con la testa che gli girava freneticamente.
<< Era da tantissimo tempo che non mettevo piede nella tua stanza >>.
Le parole di Lisandro uscirono quasi come un mormorio mentre si guardava intorno, nessuna risposta, nessun accenno a ciò che aveva detto Sara; e lei lo accettava, lo capiva.
Era un altro posto, era un’altra vita, altre persone.
Non c’erano più né scodelle, né spade di legno o giocattoli per bambini.
Era la stanza di una donna, una donna con delle belle gambe, una donna fastidiosa e dispotica, un po’ matta, impicciona e quindi l’esatto opposto di lui.
<< Cosa c’è, vuoi giocare al principe e alla principessa? >>
Lo prese in giro Sara, spingendolo di nuovo con il piede, Lisandro probabilmente avrebbe preso in considerazione l’idea di amputarglielo se non fosse stato troppo impegnato a fare una smorfia disgustata, degna di un bambino eccessivamente lamentoso.
<< Dovrai prima accopparmi >> Dichiarò con solennità.
Sara ridacchiò, distogliendo lo sguardo, e Lisandro ne approfittò per guardarla meglio.
Aveva il viso piccolo e spigoloso, le sopracciglia folte e marcate, i capelli lunghi sul lato destro che le ricoprivano la spalla e quelli corti sul lato sinistro fissati con delle forcine.
Se si concentrava bene Lisandro riusciva ancora a vedere la bambina che era stata.
Nonostante tutte le cattiverie che si erano detti l’ultima volta.
Nonostante fossero in realtà soltanto due estranei.
<< Sara sai, ho detto a Beatrice di amarla >>.
Le parole gli uscirono da sole, senza sapere per quale motivo, semplicemente guardandola di sottecchi, Lisandro aveva avuto come l’impulso di farlo, di gettarle fuori.
Disse a se stesso che era solamente una conseguenza del fatto che non potesse parlarne con Enea, era per quel motivo che gli erano sfuggite così a rotta di collo.
Ma tutto sommato gli era successa la stessa cosa anche quella volta che aveva pianto, era disperato, aveva visto Sara e le aveva gettato tutto addosso come fosse stato veleno.
Lo stava esattamente rifacendo, e non sapeva il perché.
<< Finalmente, eh? >> Lo rimbeccò Sara, Lisandro sollevò uno sguardo truce per rimproverarla, ma quell’espressione se ne andò come venne, perché Sara era lì che lo fissava con un sorriso leggero e triste sulle labbra, quasi lo stesse compatendo.
<< Ha fatto meno male di quanto ti aspettavi, vero? Ti sei sentito meno pesante dopo? >>.
Lisandro la guardò battendo le palpebre, in silenzio.
<< Si, ma adesso mi sembra di impazzire. Gliel’ho detto, sono libero, ma … ma cosa posso fare adesso per togliermi tutto questo dalla testa? Come faccio a sbarazzarmene? >>.
Sara non rispose, e d’altra parte Lisandro non si aspettava che lei fosse in grado di farlo.
Era fatta in quel modo dopotutto, Sara non dava risposte alle domande che non capiva.
Non dava risposte se non le sapeva.
<< Vuoi giocare al principe e la principessa per distrarti? >> Gli domandò lei dopo un po’, quando il silenzio diventò troppo pesante, prendendolo in giro.
Lisandro sorrise nonostante tutto, e le fu immensamente grato per questo.
<< Mi presti tu i tacchi? >> Le domandò con rassegnazione, sbuffando.
<< Ho i piedi troppo piccoli Lis … e poi, credo che ormai ti lascerei fare il principe >>.
Quella frase produsse uno strano effetto nell’aria, un po’ come se Sara avesse gettato un incantesimo. I due rimasero a fissarsi negli occhi, le pupille dilatate al massimo.
Lisandro tornò ad essere consapevole dell’eccessiva nudità dell’amica e il suo corpo reagì di conseguenza. Gli dava fastidio, improvvisamente, trovarsi lì con lei, così vicina.
“E che mi dici di Sara? Tu le piaci, si vede”.
Le parole pronunciate da Beatrice gli tornarono in mente all’improvviso, senza preavviso.
Lisandro sussultò senza riuscire a controllarsi e si spostò, automaticamente.
<< Devo andare, Sara >> Mormorò prendendola in contropiede.
Lisandro riuscì a leggere, come un libro aperto, tutta la delusione che le attraversò il viso.
<< Oh, va bene … ci vediamo in questi giorni? >> Replicò lei tirandosi in piedi, sembrava improvvisamente timida, come se si fosse accorta solo in quel momento di essere in mutande. Giocherellava con le maniche dell’enorme felpa che indossava.
Lisandro si tirò in piedi a sua volta, goffo, e annuì grattandosi leggermente la testa.
Aveva così tanta fretta di andarsene, che quando si girò di scatto non vide la porta.
Vi si schiantò dentro con prepotenza, rimbalzò all’indietro, finì addosso a Sara ed entrambi si ritrovarono schiacciati per terra, sul tappeto, le gambe aggrovigliate e la faccia di Lisandro inequivocabilmente schiacciata tra i seni floridi della vicina di casa.
Per un momento nessuno dei due fiatò.
Schiacciato contro il suo petto Lisandro sentiva il cuore di Sara agitarsi come un uccellino intrappolato, sentiva il suo respiro scomposto dalla sorpresa, il suo profumo al caramello e anche tutte le ossa dello sterno. Inoltre, era evidente che non indossasse il reggiseno.
Lisandro strizzò gli occhi a quel pensiero e fece per tirarsi su, ma non ci riuscì.
Prima che potesse anche solo sollevare la testa, le braccia di Sara lo avvolsero dietro le spalle e le sue dita magre, flessuose, con le unghia smaltate di rosso, curate, si insinuarono nei suoi capelli con gentilezza, nonostante fossero estremamente corti.
Lisandro rimase attonito a quella carezza, schiacciato sul suo petto, tra braccia sconosciute che mai, nemmeno una volta, avrebbe pensato l’avrebbero stretto in quel modo.
<< Puoi restare un po’ così? Puoi restare con me per una volta? >>.
Successe una cosa strana dopo che Sara ebbe pronunciato quelle parole, Lisandro vi colse dentro molto più di quanto esprimessero, il respiro si calmò da solo, il cuore smise di ballargli nel petto come avrebbe fatto quello di un dilettante alle prime armi.
Si era reso conto, lì, tra braccia che avrebbero dovuto fargli ribrezzo, che non aveva pensato a Beatrice per più di venti minuti da un anno a quella parte.
Che per un breve, piccolo istante, Beatrice era sparita del tutto.
<< Ehi, Sara … >> La chiamò, completamente abbandonato su di lei.
<< Si? >> Mormorò lei, le mani che ancora gli accarezzavano la nuca.
<< Mi lasceresti fare il principe per questa sera? >> A Lisandro la sua stessa voce risultava estranea, diversa, ma non si frenò << Mi daresti il permesso di usarti per dimenticare? >> Mentre parlava, gli sembrava di avere cambiato per un attimo personalità << Posso usarti per un tempo indeterminato, per vedere se riesco a dimenticarla? >> Non riusciva nemmeno a rendersi conto di essere crudele mentre pronunciava quelle parole, non riusciva a immaginare all’eventualità che avrebbe anche potuto ferirla, continuò, continuò perché sentiva di non avere scelta.
Perché sentiva di non avere alcuna scelta se non voleva morire soffocato da se stesso.
<< Fai l’amore con me, adesso, ora. Vuoi? >>.
Non si guardarono negli occhi, non si mossero, Lisandro aspettò il suo “no”.
<< Si >>.
 
Cristiano non aveva mai provato una sensazione sgradevole come quella in vita sua.
La sensazione di dover raccogliere le forze per fare qualcosa di altamente indesiderato.
In quel momento si sentiva così saturo di quel sentimento che le mani, strette a pugno lungo i fianchi, continuavano a formicolargli fastidiosamente.
Era fermo di fronte quella porta da almeno cinque minuti, avrebbe dovuto alzare quella benedetta mano e bussare, avanzare con passo fermo e deciso, dire quello che pensava.
Ma non ci riusciva.
Era una brutta vecchia abitudine che proprio non riusciva a farsi andare via, quella terribile apatia che aveva accompagnato la sua vita fino a quel momento.
Il cocente desiderio di fregarsene di qualsiasi cosa ed andarsi a nascondere sul vecchio divano impregnato d’alcool di sua madre … poi si ricordò che quel divano non c’era più.
Che l’uomo dall’altra parte della porta, quell’uomo che aveva paura di affrontare, aveva gettato tutte le cose di sua madre come se non fosse mai esistita, come se non avesse fatto altro che aspettare quel momento con ansia.
Il momento di rimpiazzarla con una donna altrettanto volgare e rumorosa.
Per Cristiano gli ultimi mesi in quella casa non erano stati facili.
Non l’aveva mai davvero considerata come il luogo dove rifugiarsi, ma da quando quella donnaccia si era trasferita da loro, cambiando anche quelle poche cose che gli erano sempre sembrate familiari, per lui viverci era diventato quasi insostenibile.
Mentre sollevava la mano stretta a pugno, ripensò con tristezza al libro di matematica che aveva lasciato aperto pochi istanti prima sulla scrivania della sua stanza.
Avrebbe preferito ripassare tutto il programma di matematica piuttosto che cominciare quella conversazione con suo padre; fu solamente il volto di Sonia, apparso chiaro e limpido nella sua mente, a fargli finalmente battere quel pugno sulla porta di legno intarsiata.
<< Avanti >> La voce apatica e fredda di Emanuele gli giunse ovattata alle orecchie.
Cristiano spinse la porta senza esitare oltre e mise su la maschera che gli usciva meglio, quella che aveva indossato per tutti quegli anni, la maschera che aveva fatto aderire così perfettamente al suo viso da non sapere nemmeno più dove cominciasse e dove finisse.
La maschera dell’indifferenza.
Emanuele Serra sollevò lo sguardo dal portatile di ultima generazione aperto sulla scrivania.
La luce blu del desktop si infrangeva sinistramente sul suo viso spigoloso, mettendo in mostra un gioco d’ombre piuttosto inquietante; Emanuele non riuscì a trattenete un accenno di sorpresa quando si ritrovò davanti il figlio.
Cristiano era entrato solamente una volta in quello studio da che ne aveva memoria.
Quando era bambino gli era assolutamente vietato, e crescendo aveva perso tutto l’interesse per quel posto, non aveva mai davvero voluto varcare il ‘regno’ di suo padre.
Vi era entrato pochi mesi prima quando era morta sua madre, quando aveva tentato di rifilare un cazzotto al padre, cazzotto che, purtroppo per lui, non era mai andato a segno.
<< Cristiano … che ci fai qui? >> Chiese l’uomo ritrovando subito la sua compostezza.
Cristiano non rispose immediatamente, rimase in piedi incrociando le braccia al petto.
Aveva sempre detestato il modo in cui assomigliava terribilmente al padre.
Gli stessi capelli mossi e riccioluti, gli occhi dal taglio orientale e la mascella squadrata.
Erano talmente simili, che guardare suo padre gli provocava il voltastomaco.
Cristiano aveva sempre pensato che, se avesse fissato negli occhi di quell’uomo per troppo a lungo, non avrebbe fatto altro che vedere se stesso.
E non lo sopportava.
<< Devo parlare con te >> Si limitò a dire, fissando la punta delle sue scarpe.
Emanuele in compenso aveva già smesso di prestargli attenzione, lo sguardo nuovamente puntato sul computer, lo schermo luminoso riflesso nelle scure pupille.
<< Me ne vado >> Continuò Cristiano impassibile, sapeva che Emanuele non gli avrebbe riservato molto del suo tempo, era già troppo che avesse alzato lo sguardo su di lui.
Quelle parole tuttavia dovettero sortire un qualche effetto su di lui, perché fece qualcosa che Cristiano non si sarebbe mai aspettato, chiuse il portatile, incrociò le braccia al petto e lo invitò a sedersi su una delle sedie davanti la scrivania.
Accorgendosi che Cristiano non sembrava per nulla intenzionato ad eseguire quell’ordine, Emanuele incrociò le dita sotto il mento e si limitò a fissarlo, troppo intensamente.
<< Ti ascolto >>.
Cristiano si ritrovò a deglutire, a disagio, non si era di certo aspettato quella reazione.
Non aveva preso nemmeno in considerazione l’idea che la conversazione potesse farsi più lunga del necessario.
Non era preparato per un confronto così diretto, Emanuele stava decisamente barando.
I giochi non erano andati in quel modo, quella variante non c’era nelle regole.
<< Io- >> Cristiano si morse la lingua per quel tentennamento << Io vado via, una volta che sarò diplomato, a Settembre. Prendo Marta e me ne vado >> Dichiarò con forza, prendendo finalmente il coraggio di guardare suo padre negli occhi << Sono maggiorenne ormai >>.
Emanuele Serra lo osservava con uno strano sorriso accennato sulle labbra.
Sembrava quasi stupito di suo figlio, come se lo vedesse davvero per la prima volta.
<< Beh, va bene allora >>.
Cristiano rimase spiazzato dalle parole del padre, non avrebbe mai voluto assumere quell’espressione sorpresa di fronte a lui, ma non riuscì proprio a trattenersi.
<< Va bene? Ti dico che voglio andarmene e tu mi rispondi “va bene”? >> Sbottò carico di incredulità, poi si lasciò scappare una risata esasperata e fissò il padre con gli occhi pieni di fuoco, quel fuoco che raramente si era risvegliato in lui << Non te ne frega proprio niente, vero? Non c’è nulla che ti tocchi eh, papà >> Sputò con disprezzo, enfatizzando con estrema caricatura l’ultima parola << Prima ti sei sbarazzato della mamma, sarà stata una manna dal cielo la mia proposta, vero? Bene, ti accontento! >>.
Quando smise quell’invettiva che sapeva del tutto inutile, chiuse gli occhi di botto, respirando a fatica, infuriato con se stesso per essersi lasciato andare in quel modo.
Si portò il pollice e l’indice della mano destra alla radice del naso e respirò profondamente.
Non aveva alcun senso che continuasse a stare in quella stanza.
<< Cristiano! >> Emanuele pronunciò il suo nome con una tale autorità che Cristiano si fermò sul posto, raggelato << Vedo che l’abitudine di trarre conclusioni affrettate non l’hai persa per nulla, eh? >> Continuò l’uomo riprendendo un tono di voce normale.
Cristiano aveva lo stomaco serrato, avrebbe voluto che finisse tutto in fretta.
<< Prima di tutto, non mi sono sbarazzato di tua madre. Secondo, io e tua madre ti abbiamo desiderato ardentemente, quindi non capisco perché dovrei essere felice di averti lontano. E terzo, ti lascerò la libertà di andartene solamente ad alcune condizioni >>.
Cristiano sbatté ripetutamente le palpebre, si sentiva leggermente frastornato.
Aveva come la terribile sensazione di aver perso quella battaglia in tutti i sensi.
Io e tua madre ti abbiamo desiderato ardentemente, quindi non capisco perché dovrei essere felice di averti lontano”.
Scosse la testa e decise finalmente di sedersi, fronteggiando suo padre faccia a faccia.
<< Ti ascolto >> Replicò piccato, tornando alla sua solita espressione scocciata.
Emanuele incrociò le braccia al petto e si rilassò contro lo schienale nella poltrona.
<< Ti lascerò andare dove vorrai, con chi vorrai, ma a patto che tu ti metta a studiare per prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia >>.
<< Stai scherzando?! >> Cristiano contrasse le sopracciglia, incredulo.
Emanuele Serra non era mai stato tipo da fare scherzi, era un uomo d’affari, freddo, calcolatore e tremendamente solo. Cristiano si ritrovò a ridacchiare con cattiveria.
<< Ah, ma certo! Ora capisco tutto, era ovvio >>.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente, avrebbe dovuto aspettarselo da suo padre.
Emanuele non faceva mai nulla per caso, voleva tenersi vicino Cristiano solamente per un proprio tornaconto, probabilmente, aveva voluto un figlio proprio per quel motivo.
<< No, non lo farò >> Replicò tranquillo, e fece per alzarsi.
<< Allora puoi scordarti Marta >> La replica di Emanuele fu immediata, istantanea.
E Cristiano rimase bloccato su quella sedia ancora una volta, frustrato, colpito nei suoi punti deboli, colpito in quell’unico misero legame che mai, mai avrebbe reciso.
<< Ma che cosa te ne frega di me? Mi hai voluto solamente per questo? Hai sposato la mamma solamente per avere un cazzo di erede?! Perché vorresti dare l’azienda a me? >>.
Cristiano aveva alzato ancora la voce, ed era una seconda volta di troppo per lui.
Aveva sempre perso le staffe con suo padre.
<< Perché sei mio figlio >> La replica di Emanuele fu immediata e assoluta.
Cristiano rimase fermo sulla sedia, rigido come un pezzo di ferro, impassibile.
“Porterai indietro Sonia, diventerai indipendente e creerai il tuo futuro lontano da quell’uomo, senza necessariamente spezzare quel legame.”
Improvvisamente, senza preavviso, le parole che una volta Zosimo gli aveva rivolto, in un giorno qualsiasi di scuola, gli tornarono in mente quasi a tradimento.
Cristiano non era interessato a conoscere i motivi di suo padre, non era interessato a conoscere le sue ragioni, ma doveva ammettere con estrema fatica, con dolore, che era l’unica famiglia che avesse.
L’unico legame, sebbene frammentato, corroso e malato, che possedesse.
Non poteva reciderlo, ma poteva allentarlo.
<< Va bene >> Si ritrovò ad acconsentire, deciso << Ma dovrai stare fuori dalla mia vita >>.
Emanuele lo guardò negli occhi per un po’, se vi passò del rimpianto attraverso, Cristiano non lo notò, e nemmeno avrebbe voluto farlo. Si limitò ad alzarsi da quella sedia, le mani strette troppo a pugno, la testa dolorante per la tensione.
Era finita.
Hai visto Zosimo? Avevi ragione tu. Non ho spezzato nulla.
Cristiano sorrise mentre pensava quelle parole, chiudendosi la porta alle spalle.
Non l’avrebbe mai dette davvero al suo migliore amico.
 
Lisandro non riusciva a staccare lo sguardo dal soffitto.
Aveva contato tutte le crepe e le bolle d’aria, ma il respiro gli era tornato regolare solamente da alcuni minuti, e il tornado di emozioni si era placato da pochi istanti,
Non sapeva se sarebbe stato in grado di muoversi, di parlare o di fare altro.
Inoltre, Sara gli si era completamente accasciata addosso come un sacco di patate, quindi non sarebbe stato in grado di muoversi nemmeno se avesse voluto.
Era stata l’esperienza più strana della sua vita.
Aveva sempre pensato di non essere capace di fare sesso con qualcuno senza amore, invece con Sara era stato completamente diverso. Non era stato né sbagliato né disgustoso come si era aspettato, c’era stato dell’affetto, qualcosa di strano a cui non avrebbe saputo dare nome.
Era stato quasi come fare qualcosa di già fatto con una persona familiare.
E poi, Lisandro non aveva pensato a Beatrice nemmeno per un istante, e quella cosa lo faceva letteralmente impazzire di insicurezza, la testa piena di domande.
<< Non credo che riuscirò a muovermi per un po’ >> Mormorò Sara all’improvviso, rompendo il filo dei suoi pensieri distorti e affannosi, aveva la guancia schiacciata sulla sua spalle, il seno premuto sul suo petto e le mani intrecciate alle sue.
<< Beh, nemmeno io >> Lisandro si sorprese nello scoprire che poteva ancora parlare.
Aveva la voce roca, ma funzionava bene.
Sara ridacchiò e si tirò su a fatica, guardandolo negli occhi, avevano entrambi il viso arrossato, erano sudati e sembravano avere appena combattuto una battaglia.
<< Sono stata troppo impetuosa? >> Domandò ammiccando con lo sguardo.
Lisandro arrossì, ma non doveva essere troppo evidente quel particolare, accaldato com’era.
<< In effetti mi sono chiesto dove avessi imparato … certe cose >> Balbettò spostando lo sguardo, avrebbe potuto scostarsi, togliersela di dosso ma, la verità era che non voleva.
Gli piaceva averla così addosso, quella sensazione di calore e dei loro corpi incollati e sudati.
Lisandro si sarebbe preso a schiaffi in faccia se avesse potuto farlo.
E forse, dopotutto, una volta tornato a casa l’avrebbe fatto davvero.
<< Credevi che fossi vergine? >> Domandò Sara sollevando magistralmente un sopracciglio.
Lisandro la fissò negli occhi scuri, luminosi, vivi, e annuì risoluto.
<< Ho avuto due ragazzi Lisandro! Che ti credevi, che nessuno mi volesse? >>.
Sbottò Sara rivolgendogli un’occhiataccia un po’ piccata, Lisandro tentò di far finta di nulla e nascondere l’evidente sorpresa che quella rivelazione gli aveva provocato.
In effetti, Sara gli era sembrata anche troppo esperta a riguardo.
<< Beh, non credevo che esistesse qualcuno in grado di sopportarti >>.
Commentò Lisandro con fare incurante, e fu un pessimo errore, perché Sara si mise a cavalcioni su di lui e lo colpì in mezzo alle costole con uno schiaffo non molto gentile.
Lisandro rimase senza fiato per alcuni secondi, senza capire bene quale fosse la causa.
<< Non ti muovere! >> La minacciò, afferrandole i fianchi.
Non sarebbe stato in grado di ragionare se Sara si fosse mossa solamente di un millimetro.
Sorprendentemente Sara obbedì, e non si mosse.
Lisandro strizzò gli occhi e la fissò, non sapeva bene cosa dirle.
<< Questa cosa che è successa Sara … >> Esordì, e tentò di non farsi scappare un gemito quando lei sussultò e gli si strusciò contro inconsapevolmente << … mi piacerebbe succedesse altre volte. Non – non ti sto dicendo che ti amo, perché non è così. E anche tu, non mi ami. È così evidente! >> Trasse un respiro profondo, doveva fare in fretta a parlare, non avrebbe resistito per molto a stare in quel modo << Ma stavo pensando … perché non ce la prendiamo con calma? Perché non vediamo che cosa succede? >>.
Pronunciando quelle parole, Lisandro la guardò, Sara abbassò il viso e gli diede un bacio a timbro sulle labbra. Non aveva molto da aggiungere.
<< Proviamo >> Mormorò, e prima che potesse realizzarlo Lisandro le afferrò i fianchi con violenza e la ribaltò, incastrandola sotto di lui.
<< Però adesso il principe lo faccio io! >>
La minacciò, e Sara rise.
 
 
 
 
 
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Effe_95
 
Buongiorno a tutti!
Se ve lo stava te chiedendo, si, sono ancora viva ^^’
Allora, vi confesso che non ho passato un bel periodo, la laurea si avvicina e ho avuto seri problemi familiari, quindi il tempo e la voglia di scrivere non c’erano proprio.
Ad ogni modo eccomi qui, ho scritto un capitolo molto più lungo del solito e spero di essermi fatta perdonare in questo modo :D Vi prego, perdonatemi!
Cercherò di essere più veloce nel pubblicare il prossimo, prometto.
Come avrete notato negli ultimi capitoli ogni situazione sta trovando la propria conclusione, ed è anche il caso di Sara e Lisandro e Cristiano ed Emanuele.
Questo mi piace definirlo un po’ il capitolo delle “sospensioni”, perché per la prima volta ho lasciato per questi personaggi un finale totalmente aperto, soprattutto per Sara e Lisandro.
Che cosa ne pensate? Vi è piaciuta l’idea?
Ovviamente, per motivi di tempo, non potevo dedicare troppo alla coppia Lisandro/Sara, ma è un po’ come se per loro, pieni di fantasmi, la storia cominciasse adesso.
Starò a voi immaginare come potrebbe proseguire.
Siamo sempre più vicini alla fine della storia, sigh!
Comunque ringrazio davvero di cuore le persone che ancora leggono la storia, chi la segue solamente e in particolar modo chi trova ancora il tempo e la voglia di lasciarmi una recensione. Spero di riceverne un po’ di più questa volta xD
Grazie mille, siete la mia forza!.
Alla prossima :)
 
  
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