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Autore: Raptor Pardus    25/11/2017    0 recensioni
Dell'ultima guerra dell'uomo, dii come terminò il Secondo Medioevo e di come arrivarono l'inverno nucleare e il Grande isolamento.
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oltre il braccio di Orione

 
L’ampio e candido corridoio del Palazzo della Libertà era vuoto e silenzioso, per nulla invaso dal frastuono proveniente dalle strade intorno, invase dalle fanfare che attraversavano il quartiere governativo della metropoli in festa.
L’Autarca Arseius osservava i gonfaloni di seta rossa e nera appesi ai muri lungo tutto il corridoio, in due infinite file, leggermente sospinti dalla brezza che si insinuava nel dedalo di stanze attraverso i balconi che ornavano la facciata principale del palazzo, troppo distanti perché lui li potesse vedere.
<< Bello stemma, vero? >> chiese il console Vessimer, avvicinandosi con calma alle spalle del capo di Stato. << Sono rimasto sveglio tre notti per giungere al bozzetto finale. >>
Arseius fissò il vessillo più vicino a lui, scrutando con occhio critico e poco convinto il grifone rampante rosso rubino che torreggiava sopra tre rose a trentadue punte, rosse anch’esse, allineate diagonalmente, da cui poi si allontanavano altre cinque rose, posizionate quasi a formare una clessidra in cui la bestia alata si ritrovava rinchiusa, urlando contro lo sfondo nero che la circondava, incapace di liberarsi.
L’immagine, che avrebbe dovuto rappresentare la loro nuova nazione su ogni pianeta liberato dal giogo della Federazione, gli scatenava in realtà più dubbi di quanto il suo collega e amico avrebbe voluto ma, proprio in nome della loro amicizia, preferì ingoiare il rospo e tacere piuttosto che smontare le convinzioni dell’uomo alle sue spalle.
<< Non è male. >> concluse infine dopo lungo indugiare, e si voltò verso la fine del corridoio, dove la folla lo attendeva << Come procede la campagna nel sistema Coriolis? >>
Si incamminò verso quello che lui affettuosamente chiamava “il patibolo”, seguito immediatamente dal console, che si pose al suo fianco ed estrasse un sorriso orribilmente finto.
<< Gli ultimi rapporti sono buoni, la Federazione batte in ritirata e lascia indietro molto materiale bellico. Vedo già la fine della guerra, non più di due anni, fidati. >> rispose con tono mieloso il console.
<< Vorrei fidarmi, Vessimer, ma il nostro ruolo lo impedisce. Procedi con i piedi di piombo, non possiamo permetterci errore. >> rispose l’Autarca, fissando il viscido compagno con la coda dell’occhio.
<< Tranquillo, la Terra deve ancora riprendersi dalla Piaga, e noi siamo imbattuti da Betelgeuse. >>
<< C’è sempre una prima volta, amico mio. Spera che sia ancora lontana. >> concluse cinico Arseius, facendo immediatamente sparire il sorriso dal volto del militare. << Ah, che infausto giorno quello in cui l’umanità torna a combattere con sé stessa. Sai quando è stata l’ultima guerra tra uomini? >>
<< No. >> rispose cupo Vessimer.
<< Oltre mille anni fa, prima ancora che la Terra iniziasse a colonizzare i pianeti al di fuori del sistema solare. Quanto grande è il fardello di cui ci siamo fatti carico… >>
Arrivarono davanti ad un bivio, al centro del quale era posta una grande porta in rovere sintetico; voltarono l’angolo e giunsero fino al termine del corridoio, che si allargava in un’ampia sala candida, piena di sfarzi, dorature e pesanti arazzi su cui erano narrate le grandi gesta della Grande Rivoluzione degli uomini extrasolari.
Sulla parete davanti a loro, sotto l’attenta guardia di due soldati rigidi sull’attenti, completamente avvolti nella loro lunga uniforme nera, si apriva una marmorea balconata, da cui provenivano i rumori della folla urlante, di uomini in marcia, di fuochi d’artificio e le feroci strofe del nuovo inno dell’Autarchia di Orionis, la nuova pedina sullo scacchiere galattico, che in pochi mesi era passata dall’essere la scintilla di una rivolta, nata in seno al Nucleo Interno Federale, a nuova potenza dominante e guida della razza umana.
Arseius poggiò le nocche sulla fredda balaustra in pietra e guardò in basso, scrutando con sommo piacere le truppe in parata che marciavano nella larga strada a venti corsie che girava tutt’intorno al palazzo e tagliava in due la città, colonne di fanti in perfetta sincronia, tutti con lo sguardo inchiodato sulla sua persona, i volti nascosti dalle maschere antigas e dai visori a infrarossi, i corpi perfettamente allenati gravati dal peso dell’attrezzatura militare e del gibernaggio.
Vessimer attendeva nell’ombra, nascosto dietro una tenda, gli occhi pieni di invidia fissi sull’Autarca, intento a passare in rassegna gli squadroni di carri armati levitanti che stavano passando sotto di lui in quel momento, ruotando le torrette corazzate e alzando i loro cannoni verso il balcone.
<< Vieni avanti, Vessimer. Non penso la folla ti divorerà. >> disse Arseius senza distogliere lo sguardo dalla parata, troppo concentrato sul salutare i suoi cittadini.
Vessimer fece un passo avanti, rivelando la sua pelle pallida alla luce della gigante rossa che dominava il cielo attraversato dai droni-telecamera dei mass media e da caccia lanciati in spericolate acrobazie.
<< È il momento, non trovi? >> chiese Arseius, sorridendo malinconico.
<< Penso di sì, mio Autarca. >>
Arseius allargò le braccia, lasciando che la folla si lanciasse in un’assordante ovazione, e sorridendo, in diretta interplanetaria, proclamò l’indipendenza dell’Autarchia di Orionis, mentre nella Federazione Terrestre ancora impazzava la Guerra Civile Galattica.
 
<< È inammissibile! Il Senato non può assistere passivamente ad un tale atto di sedizione! >> sbraitò il senatore Doralis davanti alla platea senatoriale, il pugno alto sopra la testa in un aperto segno di sfida nei confronti del Cancelliere Beotium, un anziano uomo ormai affaticato dai suoi doveri di capo di Stato e prossimo allo sfinimento, soverchiato dalle responsabilità e dai travagli che avevano afflitto per ormai un decennio il suo governo.
Doralis era al contrario un uomo giovane – per quanto possa essere giovane un senatore della Federazione – e pronto all’azione, di comprovata lealtà, come aveva dimostrato sui campi di battaglia della Grande Guerra Galattica, arguto e dalla fredda logica calcolatrice, sicuro del sostegno di molti dei presenti in sala, perfettamente in grado di ambire alla carica di Cancelliere della Federazione.
Il generale Gregorius lo fissò dalla loggia per gli ospiti che correva lungo tutta la sommità dell’enorme anello che componeva il palazzo del Senato, facendolo sembrare una versione molto più grande e moderna del Colosseo che ancora si ergeva su quello stesso continente.
<< Pensi che con lui al comando la situazione si risolverà? >> chiese uno scarno e baffuto colonnello seduto accanto a lui.
<< Non lo so, Drusus, ma tanto peggio di così non può andare. >> Gregorius si massaggiò la fronte e si spazzolò i cortissimi capelli neri, tagliati secondo l’etichetta militare. << La Piaga ha lasciato la nostra economia e il nostro esercito a pezzi, nessuno ha più fiducia nel governo centrale e la lealtà di interi sistemi diventa sempre difficile da trovare. >>
<< La leva potrebbe risolvere la carenza di reclute. >> suggerì il colonnello.
<< Ma ci inimicherà ancora di più la popolazione, salda sulle sue posizioni pacifiste. Siamo di fronte a un bivio, ed entrambe le strade portano verso il patibolo: se non rinforziamo l’esercito, i sistemi centrali saranno travolti dall’ondata rivoluzionaria e perderemo la guerra in meno di sei mesi, se rinforziamo l’esercito invece perderemmo il supporto popolare e non ci vorrà molto prima che i sistemi periferici si uniscano alla ribellione. Siamo condannati. >> osservò Gregorius fissando sconsolato il colonnello.
<< Le guerre civili non sono mai facili. >> disse Drusus.
<< Tu nei hai mai combattuta una? >> chiese con acido sarcasmo il generale.
<< No. Ho combattuto due guerre, però, penso siano abbastanza simili. >> rispose apaticamente il colonnello.
Il generale si zittì e tornò a seguire l’arringa del politico reazionario.
<< Come va la gamba? >> chiese dopo poco. << Fa ancora male? >>
<< No, ma il tessuto sintetico è una vera seccatura, necessita continuamente di essere idratato. >>
<< Perché non la fai controllare? Il ministero dovrebbe ancora coprire le spese di manutenzione. >>
<< No, grazie, non ci tengo a tornare sotto i ferri per un aggiornamento dalla dubbia utilità. >>
<< Pensaci bene. >>
<< Cos’è, vuoi di nuovo spedirmi al fronte? >>
<< Effettivamente, ho ricevuto l’ordine di muovere tre divisioni nell’Orlo Esterno, per rinforzare lo spazioporto di Palladium prima che cada in mani nemiche, pensavo di inviare anche il tuo reggimento. >>
<< Sarei onorato, generale. >>
<< Bene allora, prepara i tuoi uomini, hai dieci giorni. >>
<< Sarà fatto, signore. >>
Il colonnello abbandonò il loggiato, ritirandosi negli ombrosi corridoi interni.
Gregorius fissò il Cancelliere, visibilmente abbattuto, mentre veniva costretto ad assistere ad un’altra arringa, stavolta da parte del Senatore Irrakhis, un marziano brizzolato e dalla pelle cotta dal sole.
Tutta quella vicenda aveva dell’incredibile: prima l’aggressione Khorsiana e la Grande Guerra, poi a nemmeno un anno dall’armistizio la Piaga, un’invasione aliena dalle origini ancora poco chiare, che era cresciuta rapidamente come un cancro insinuandosi tra le Frange Orientale e Occidentale, spaccando in due la galassia per oltre tre anni, e mentre diversi sistemi erano ancora costretti alla quarantena e alla legge marziale in attesa che la loro disinfestazione si concludesse, questo.
Le prime agitazioni popolari erano state sottovalutate, affermando fosse colpa del duro periodo, ma quando le proteste erano cresciute e le richieste di maggior supporto da parte dei governatori locali erano state dibattute in Senato era ormai troppo tardi, e i ribelli, fatte affluire grandi quantità di uomini, mezzi e armi nel sistema di Alpha Orionis, avevano iniziato una vera e propria operazione militare, riuscendo in poco tempo a prendere il controllo dell’intero sistema e a trasformarlo in una fortezza inespugnabile, da cui poi avevano iniziato a muoversi in tutto il settore, accolti su molti pianeti come liberatori.
Come una tale manovra fosse passata inosservata era ancora motivo di indagine, ed i vertici militari sulla Terra avevano concluso quasi con invidia che l’operazione era stata ineccepibile sotto ogni aspetto, avrebbero osato dire perfetta, se questo non fosse significato giocarsi il posto di lavoro.
Era improbabile che i ribelli avessero agito da soli, ma nessuno aveva ancora avuto il coraggio di mettersi a scavare nella pozza di segreti e intrighi nascosta all’interno del Senato, perché era ovvio che, per qualcosa del genere, l’aiuto doveva essere arrivato da qualcuno molto in alto.
Gregorius si alzò e si stiracchiò, ascoltando con delizia lo schiocco delle ossa indolenzite intente a rimettersi in sesto.
Se non risolvevano velocemente la questione nell’Orlo esterno, presto tutta la Frangia Orientale sarebbe stata contro di loro, minacciandoli costantemente a pochi passi dalla loro porta di casa.
 
Il sergente Maester fissava le stelle attraverso l’unico oblò della sua cuccetta, che lui divideva con l’equipaggio del suo carro, e si domandava quando sarebbe tornato a casa, se fosse tornato a casa.
Maester non veniva dalla Terra, né da un qualsiasi altro pianeta del sistema solare, bensì era originario di un piccolo mondo polveroso nascosto tra le Pleiadi, proprio davanti alle porte dell’inferno, dove tutto era cominciato.
La campagna per quell’ammasso di stelle era durata abbastanza poco, e la Federazione ovviamente ne era uscita sconfitta e con la coda tra le gambe.
Maester non vedeva la sua famiglia da quasi un anno ormai, quando la divisione corazzata di cui faceva parte era stata inviata su un lontano pianeta nel braccio del Sagittario, al confine con l’Unione, per disinfestare il corpo celeste ormai prossimo a capitolare.
Prima che potesse tornare a casa Alpha Orionis era improvvisamente indipendente e le Pleiadi erano state invase.
Da allora nessuna notizia di sua moglie, dei suoi tre figli, dei suoi genitori, di suo fratello…
Chissà che fine avevano fatto i suoi amici rimasti là, chissà che fine aveva fatto quella compagna di scuola che non vedeva da una vita, chissà cosa era successo alla tavola calda dove aveva lavorato da ragazzo.
Probabilmente di loro non rimaneva che cenere, portata via dal vento in mezzo alle macerie fumanti dove avevano trovato la morte.
Ma lui poteva solo immaginarlo.
Pochi erano riusciti a fuggire dalla zona di guerra, colpa anche il fatto che i possessori di astronavi personali erano poche centinaia di persone a fronte di una popolazione di migliaia di miliardi.
Una sirena risuonò per tutto il ponte dell’astronave porta-truppe su cui si trovava, segnalando che presto sarebbero iniziate le operazioni di sbarco.
Guardò in basso, osservando la superficie scura del pianeta sul quale stavano per atterrare, così inospitale, così malsano.
Ispirava altamente il desiderio di non essere lì semplicemente guardandolo, colpa anche le vistose tempeste d fulmini che si scatenavano repentinamente qua e là nell’alta atmosfera.
Gli uomini si radunarono rapidi nelle rispettive baie di imbarco, dove furono assegnati ai loro mezzi.
Maester attraversò tutto il vasto hangar predisposto per i mezzi corazzati e camminò davanti a file e file di carri armati perfettamente disposti, temibili nel loro torreggiante aspetto, con corazze spesse fin quasi a 30 centimetri in acciaio, ceramiche e leghe di cui persino a lui sfuggiva il nome, tutti freschi di verniciatura con la nuova mimetica a toni di grigio, fino a giungere davanti al suo mezzo, dove gli altri due uomini del suo equipaggio lo attendevano, già pronti a infilarsi dentro gli angusti spazi del veicolo.
<< Sergente. >> salutarono gli uomini portando una mano alla tempia.
<< Riposo. >> disse Maester issandosi sulla torretta del mezzo ed estraendo dalla botola di accesso della sua postazione il suo casco integrale. << Siete freschi, ragazzi? >>
<< Ho la nausea da quando mi sono alzato dalla cuccetta, sergente. >> sbottò il pilota, visibilmente infastidito.
<< Prendi una pasticca, vedi che passa. >> rispose Maester scivolando con grazia all’interno della botola.
<< No, signore, preferisco rimanere lucido. >>
<< Non posso darti torto. Forza, controllo operatività. >> concluse il sergente chiudendo la botola sopra di sé.
Dopo venti minuti i carri vennero sollevati, pochi per volta, da un apposito argano che li infilò nei rispettivi VTOL, dove già i piloti attendevano la luce verde per decollare.
Attesero finché l’emisfero sopra il quale volavano non fu completamente avvolto dall’oscurità della notte e, sotto lo sguardo di una piccola luna sanguigna al primo quarto, iniziarono l’invasione, annunciata da un pesante bombardamento orbitale durato giorni.
Non appena abbandonarono i ganci magnetici a cui erano agganciati Maester scese dall’angusto carro e raggiunse i piloti nel loro spazioso abitacolo, da dove poteva osservare l’orizzonte, oltre il quale spariva ogni luce, farsi sempre più grande.
Quando il loro VTOL entrò nell’atmosfera, Maester poté osservare lo scuro cielo notturno saturo di gas di scarico, come era sempre in ogni sbarco Federale.
Una squadriglia di cacciabombardieri planò davanti a loro, scendendo carica di bombe intelligenti contro il suo poco inerme bersaglio.
<< Sembra più facile del previsto. >> sussurrò Maester osservando le luminose scie dei traccianti sparati contro di loro dalle mitragliere antiaeree.
Qua e là il cielo si illuminava a giorno, rischiarato dalle abbaglianti esplosioni dei razzi lanciati alla cieca contro l’ondata in arrivo, mentre tutt’intorno il buio li proteggeva, costringendoli però a fare completo affidamento solo sulla loro strumentazione, incapaci di vedere con chiarezza dove stessero volando.
<< Ci sono disturbi. >> osservò il copilota, indicando quello che Maester intuì essere un altimetro impazzito.
<< Possiamo stare tranquilli? >> chiese, sperando in una risposta positiva.
<< Sì, cercano solo di farci accendere i proiettori per individuarci. >> lo rassicurò il pilota, fin troppo sicuro di sé, per i suoi gusti.
Davanti a loro apparve una muraglia brumosa, che attraversarono rapidi e silenziosi, trascinando con loro i lembi strappati della coltre di nubi.
Il vetro dell’abitacolo iniziò a ricoprirsi di pioggia, gocce di acqua larghe almeno un pollice che impattavano contro la superficie trasparente esplodendo.
Un tuonò rombò sopra di loro, illuminando spettralmente le schiere di velivoli in rapida discesa.
<< Prepararsi allo sbarco. >> comunicò il pilota.
Il fuoco della contraerea si fece poco a poco più accurato, iniziando a mietere le prime vittime.
<< Cambio di rotta, stiamo incontrando troppa resistenza. >> disse il pilota al suo collega mentre Maester abbandonava l’abitacolo e tornava a bordo del suo mezzo.
Rabuleius, il pilota del carro, sonnecchiava all’interno della sua postazione, ignaro dell’inferno che lentamente andava scatenandosi all’esterno di quelle pareti d’acciaio.
Hakritus, l’artigliere, stringeva una foto tra le mani tremanti, il volto chino su di essa.
Maester picchiò col pugno lo scafo del carro, richiamando l’attenzione del suo equipaggio.
Rabuleius sobbalzò e si raddrizzò.
<< È ora? >> chiese.
<< Sì. >> disse Maester infilandosi nuovamente nella sua botola e facendo calare il visore dell’elmo sul suo volto, lasciando che la sua testa fosse avvolta dal complesso sistema protettivo.
Si calò nel piccolo antro e chiuse la botola sopra di sé, immergendosi nella luce pallida che illuminava il claustrofobico vano.
Sentì il mezzo inclinarsi paurosamente, trascinato dalle manovre del VTOL, messo in difficoltà dal fuoco in arrivo.
Sotto di loro sentiva il vuoto, mentre il velivolo si abbassava e riprendeva quota a più riprese in maniera repentina.
La luce divenne verde, e con piacere udì il suono rombante del vano di carico del trasporto che si apriva in due, rivelando la morsa magnetica a cui loro erano agganciati, calandola rapida sul soffice terreno sotto di loro e sganciando il carro sul suolo.
<< Andiamo, ragazzi! Si balla! >> urlò Maester nel microfono del casco, attaccandosi immediatamente all’iposcopio davanti a lui.
Fuori dal carro pioveva a dirotto, e sul terreno molle andava raccogliendosi una lieve foschia che nascondeva i dettagli dell’ambiente introno a loro.
Ogni tanto qualche lampo lontano rischiarava l’orizzonte, segnalando i combattimenti che stavano avvenendo a grande distanza da loro.
<< Ricongiungiamoci al nostro plotone, Rabu, sterza a destra. Hakritus, gira a sinistra di centoventi gradi, alzo di quindici, due colpi al fosforo in rapida sequenza, ora. >>
La torretta ruotò rapida, puntando il cannone da 120 mm, e sparò il primo colpo, vibrando violentemente sotto il rinculo dell’arma.
Una scia bianca attraversò il suo visore, seguita a breve distanza da una seconda annunciata dal boato del cannone, e scomparve dietro l’orizzonte, alzando una colonna di fumo bianco e una pioggia di scintille.
Per qualche secondo la notte divenne giorno, e il rumore di spari aumentò di intensità via via che le scintille cadevano lente e leggere al suolo.
<< Rabu, sterza a destra, dieci gradi, motori a media potenza. Avviciniamoci con calma. >>
I suoi uomini eseguivano i comandi in silenzio, senza osare fiatare nel microfono dei loro elmetti.
<< Hakritus, un colpo HEAT, attendi il mio segnale. >>
In mezzo alla bruma iniziò a delinearsi una sagoma scura, bassa e schiacciata.
Maester controllò il telemetro laser; segnava duemila metri.
<< Hakri, carro nemico davanti a noi, sulla destra, lo vedi? >>
<< Sì, sergente. >> gracchiò la voce dell’artigliere nella cuffia.
<< Ingaggio a millecinque. >>
<< Sì, sergente. >>
Il carro avanzò, solitario, girando intorno al nemico immobile.
<< Aspetta. >> ordinò Maester, avendo ora messo maggiormente a fuoco il bersaglio.
Era un semovente di artiglieria distrutto, la canna contorta e piegata in più punti, la torre verniciata di nero ulteriormente annerita dalle vampate dell’incendio che doveva essere scoppiato all’interno del mezzo.
<< Annullare. Rabu, di nuovo a sinistra, cerchiamo gli altri. >>
<< Nessun segno del nemico? >> chiese Hakritus, il viso incollato al poggiatesta da cui poteva prendere la mira per il cannone.
<< No. >> rispose Maester. << Né radar né visore termico segnalano niente. >>
Il carro girò sul posto e proseguì la sua marcia sotto la pioggia battente, mentre intorno a lui iniziavano a radunarsi diversi reparti di fanteria e i colpi lontani andavano via via scemando.
<< Ma dove sono tutti? >> si chiese Maester tra sé e sé, interrogando vanamente la radio.
Ogni tanto sparavano ancora un proiettile al fosforo per illuminare l’orizzonte, ma ancora non vedevano il nemico.
In poco tempo raggiunsero gli altri carri e fu presto approntato un primo perimetro per la testa di ponte appena sbarcata, ma quella notte non fu incontrato nessun nemico.
   
 
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