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Autore: Saelde_und_Ehre    28/11/2017    11 recensioni
[Questa storia è uno spin-off di "Das Lied der Vergessenen Helden" ed è ambientata circa vent'anni prima dell'inizio delle vicende narrate nella suddetta storia. Non ha legami diretti con la trama principale, quindi può essere letta senza temere spoiler.]
Franconia, 1156.
Il barone Ulrich von Mörle e sua sorella Hildegard, di ritorno dalla città di Limburg, trovano un giovane gravemente ferito sul ciglio della strada. Impietosita dalle condizioni del povero sventurato, Hildegard riesce a convincere suo fratello a portarlo al castello e a offrirgli le cure di cui necessita.
Ma chi è, effettivamente, questo misterioso sconosciuto, e perché è giunto fin lì?
*ATTENZIONE: la storia, originariamente strutturata come una one-shot, è stata divisa in due parti
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sælde und êre'
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Premessa:

Come specificato nelle note introduttive, questa storia è una spin-off di "Das Lied der Vergessenen Helden".
Non è obbligatorio aver letto la "storia madre" per avventurarsi nella vicenda qui narrata, però essendo questo racconto concepito appunto come una spin-off, non mi soffermerò particolarmente a spiegare cose relative ai personaggi e nozioni storico-culturali e linguistiche che ho già chiarito all'interno dell'arco narrativo principale.

Il titolo è in alto tedesco medio (Mittelhochdeutsch), ovvero tedesco medievale (1000-1350), nella sua variante parlata in Austria e Baviera (bairisches Mittelhochdeutsch).
È tratto da una poesia di Walther von der Vogelweide (maggiori informazioni nelle note) ed è una sorta di "preghiera del viaggiatore", il cui significato è, all'incirca "che io possa viaggiare con la fortuna (sælde) dalla mia parte".

 

***

"Mit sælden müeze ich hiute ûf stên, 
got hêrre, in dîner huote gên 
und rîten, swar ich in dem lande kêre."

Walther von der Vogelweide [*]


 

Nei pressi della contea di Limburg, Franconia
A.D. MCLVI, none di marzo [1]

 

La campagna francone era imbevuta dei pallidi raggi del Sole d'inizio marzo, già alto in cielo. Scortati da una coppia di armigeri, il barone Ulrich von Mörle e sua sorella Hildegard, di ritorno dalla vicina città di Limburg, percorrevano la strada poco trafficata che conduceva alla loro dimora, discutendo amabilmente. Quel tratto di strada, invaso dai cespugli e costeggiato da un fosso scavato proprio sul limitare di un'irta selva, incuteva un timore ancestrale in tutti gli abitanti della contea, che vociferavano di strane presenze annidate nei suoi recessi e se ne tenevano debitamente a distanza. Tutti, tranne Ulrich von Mörle, che si era sempre mosso con disinvoltura lungo quel sentiero, diffidando delle superstizioni del volgo.
Hildegard, invece, avvertiva uno strano senso d'inquietudine che aleggiava tra quelle fronde intricate, oltre le quali non si potevano intravedere che tetre ombre prive di forma. Tutti i suoi sensi erano vigili; nessun fruscio sfuggiva al suo orecchio, i suoi occhi riuscivano a catturare ogni minimo movimento.
"Heilige Maria!" [2], esclamò a un certo punto, tirando le redini con uno scatto così secco che il suo palafreno quasi s'impennò nitrendo.
Il barone sussultò. "Che succede, Hilde…" Le parole gli morirono in bocca.
Sulla ghiaia del sentiero si disegnava nitida una scia di sangue, che si arrestava improvvisamente sull'orlo del canale di scolo. Hildegard sentì il cuore balzarle in petto e strinse più forte le redini, ma non ebbe il coraggio di muovere un muscolo.
"Andiamocene", ingiunse Ulrich, dando decisamente di sprone alla sua cavalcatura.
"Aspetta, Ulrich", mormorò la sorella, superato lo sbigottimento iniziale.
Il barone si voltò con uno scatto, gli occhi sbarrati. "Come sarebbe?"
"C'è… qualcosa… tra i cespugli", rispose la fanciulla. Di fronte allo sguardo sbigottito del fratello, smontò di sella con un balzo e si avvicinò guardinga al ciglio della strada.
"Hildegard, per carità, torna subito qui! Lascia perdere!", ululò Ulrich, in preda al terrore.
La fanciulla ebbe la netta sensazione che il sangue le si stesse gelando nelle vene: tra le fronde si occultava un uomo, steso a faccia in giù. Forse un cadavere. Vincendo ogni timore, scavalcò il fosso mentre il fratello continuava a urlarle dietro, si avvicinò allo sventurato e gli tastò il polso, avvertendo una debole pulsazione. "Ulrich! Vieni qui, ti prego. C'è un uomo qui, ed è vivo!"
"Sarà uno di quegli incauti forestieri che si smarriscono e vengono aggrediti nottetempo dagli scherani o dalle fiere…", borbottò il barone.
Hildegard lo redarguì in tono duro, le mani puntate sui fianchi. "Ma è possibile che tu sia così insensibile? Quest'uomo è ferito… se anche fosse morto, dovremmo chiamare il prete per fargli dare una sepoltura prima che le belve notturne facciano scempio del suo cadavere!"
Ulrich, dopo un breve istante d'esitazione, sbuffò e scese da cavallo, avvicinandosi alla sorella. "Sorprendente", commentò, chinandosi accanto all'uomo ferito. "Mi meraviglio che l'abbiano lasciato qui ad agonizzare, invece di tagliargli la gola e spogliarlo del tutto…"
"Ulrich!"
Il forestiero era disarmato e non aveva nulla con sé; dovevano avergli rubato tutto. I suoi panni da viaggio, sporchi e laceri, erano di lana pregiata, ma non eccessivamente sfarzosi: portava una semplice tunica rossa lunga fino al ginocchio, sguarnita, con le maniche strette ai polsi, e le calzebrache grigie gli aderivano alle gambe. Il suo respiro era quasi impercettibile, e si intuiva, dall'erba macchiata sotto di lui e dall'odore ferrigno che esalava, che dovesse aver perso molto sangue. Aveva una ferita da affondo nella schiena.
Ulrich sospirò. "Dai, aiutami a rivoltarlo."
Hildegard si appoggiò la testa dell'uomo in grembo e gli scostò i capelli dalla fronte. Nonostante il suo viso fosse sporco e insanguinato, di un pallore tendente al giallognolo, sotto vi si indovinavano lineamenti di virile bellezza: a tratti spigolosi, ma addolciti dalla morbida piega delle labbra e dall'ovale del volto, che non dimostrava più di venticinque anni. I capelli erano di un castano nocciola, lunghi fino alle spalle, e una corta barba bruna gli ricopriva le guance. A giudicare dalla corporatura solida e robusta, doveva essere sicuramente un cavaliere o un uomo d'arme, forse addirittura un nobile. Era ricoperto da molte ferite, alcune di esse da taglio: doveva aver affrontato a mani nude la lama di un pugnale o di una spada, forse nel tentativo di scampare dalla morte, e il buco nelle calzebrache, circondato da un vasto alone purpureo, lasciava intuire che si era strappato una freccia dalla coscia.
"Chissà che cosa gli è successo…", si lasciò scappare Hildegard, senza riuscire a staccare gli occhi da lui. Involontariamente, si sentì quasi dispiaciuta.
"Il sangue è ancora fresco: non deve essere passato molto tempo da quando questo poveretto è stato aggredito. Non stava viaggiando di notte", constatò Ulrich. Si guardò intorno circospetto. "Potrebbe essere una trappola. È bene se ce ne andiamo."
"Ma… e quest'uomo?", ribatté lei, con veemenza. "Non vorrai mica lasciarlo qui!"
Ulrich rimase impassibile. "Chiameremo il prete."
"Fratello…"
"Cosa c'è?"
Hildegard appoggiò le mani sulle spalle del giovane. "Mi oppongo. Il prete non potrà fare nulla per lui. Me ne occuperò io."
"Tu?"
"Quando ero novizia al monastero di Bingen ho imparato a prendermi cura degli infermi."
"Ma non sappiamo chi è!", sbottò il barone. "Dovremmo portarci uno straniero in casa? Potrebbe anche essere un ladro, un bandito, un traditore… un assassino! Non puoi saperlo!"
"Ulrich, io sono convinta che l'anima di questo giovane sia pura. Guardalo! Come puoi dubitarne? Se lo lasciamo qui morirà, abbandonato da tutti."
Ulrich strinse gli occhi e si allontanò di un passo. "Ti stai solo lasciando intenerire dal suo bel faccino!"
"No, fratello", ribatté fermamente la fanciulla. "È stata la Santa Vergine a far sì che io lo trovassi."

***

A tredici anni, Hildegard era stata mandata a intraprendere il noviziato al monastero di Rupertsberg, sotto la guida della grande badessa, l'omonima Hildegard von Bingen [3], che era una delle donne più sapienti del suo tempo. In quegli anni, assistita da consorelle più esperte, aveva studiato a fondo l'arte medica e i rimedi naturali per le malattie più disparate, e se suo fratello non l'avesse richiamata a Mörle dopo la morte dell'anziana madre, pochi mesi prima, avrebbe preso i voti consacrando la propria vita alla Vergine Maria.
Si era presa cura del giovane ferito, con gran dedizione, e restava molte ore a vegliarlo e a pregare che si risvegliasse. Non aveva mentito a suo fratello: credeva davvero che quell'incontro non fosse fortuito.

A volte gli teneva la mano e lo guardava assorta, cercando di immaginare chi fosse: l'unica cosa su cui non aveva dubbi era che egli dovesse essere un cavaliere, magari un figlio cadetto, che vagava di torneo in torneo, dato il fisico vigoroso che tradiva un costante allenamento con le armi. Inoltre portava i capelli lunghi e la barba curata, com'era d'uso tra i giovani nobiluomini del tempo, e la foggia dei suoi vestiti era troppo poco appariscente perché egli potesse essere un ricco mercante.
Hildegard von Mörle non era molto esperta delle cose di mondo, e si chiedeva se quel giovane avesse dei fratelli o delle sorelle, o se magari amasse una fanciulla che lo aspettava, senza sapere dove lui fosse, e se fosse vivo o morto… si sentì colpevole per l'ultimo pensiero, e decretò che quel giovane non dovesse essere legato a nessuna.
Dopo un po' si rese conto di aver dato per scontato che quell'uomo fosse tedesco. E se invece non lo fosse stato? Come avrebbe potuto parlare con lui? Sperò che in tal caso sapesse almeno parlare latino: se, come immaginava, era un nobile o un ministeriale, probabilmente lo parlava [4]. Ma se era solo un armigero… molti sergenti d'armi [5] che si mettevano al servizio di un signore non sapevano né leggere né scrivere, figurarsi se sapevano il latino. Ma - si chiese poi - perché un armigero straniero avrebbe dovuto trovarsi in terra tedesca?
E poi, perché era solo in quel sentiero, così brutalmente ferito e abbandonato a se stesso? "Forse i suoi compagni l'hanno abbandonato, credendolo morto, o forse è un abitante del luogo che è stato aggredito mentre tornava a casa, oppure… potrebbe essere stato ferito mentre difendeva qualcuno…"
Hildegard si rese conto di star fantasticando troppo: effettivamente non si sapeva neanche se quell'uomo si sarebbe mai risvegliato, lasciandole per sempre il dubbio su chi fosse realmente.

La sua fronte era bollente e non dava segno di vita, in quel profondo torpore in cui era immerso: nemmeno la sua sofferenza pareva sfiorarlo, e in quell'immobilità simile a morte le sue giovanili fattezze conservavano intatta la loro bellezza.
Ulrich era sicuro che quel poveretto fosse ormai pronto a lasciare questo mondo, e borbottava di impartirgli l'estrema unzione e di dare disposizioni per farlo seppellire nel cimitero del villaggio, se nessun parente si fosse presentato a reclamarne la scomparsa.
Ed era proprio questo che Hildegard paventava: se ciò fosse successo, nessuno avrebbe mai saputo chi fosse o da dove venisse, ed egli sarebbe morto lontano da tutti, chissà quante miglia lontano da casa.

Il terzo giorno, Hildegard avvertì un fruscio, e vide che il ferito aveva aperto gli occhi e aveva posato su di lei il suo sguardo lievemente velato. Di getto, gli chiese qualcosa in tedesco, e il giovane farfugliò qualcosa di incomprensibile, poi si rigirò inquieto e si rimise a dormire. Per quel poco che aveva potuto vedere, aveva degli occhi azzurri molto belli.
Con rinnovata speranza, Hildegard ringraziò il cielo per quell'insperato prodigio. Ma la febbre doveva averlo provato molto, e la sua fronte continuava a bruciare. Così tanto, che probabilmente il giovane non riusciva neanche a restare sveglio. Eppure mostrava di avere una tempra forte, e le sue numerose cicatrici erano testimoni di molti combattimenti.
Perché proprio quelle ferite avrebbero dovuto ucciderlo?

***

Il quarto giorno il giovane si svegliò. Hildegard, raggiante, mandò a chiamare Ulrich, e il barone accorse in gran fretta. Lo sconosciuto li stava guatando con gli occhi spalancati, facendo dardeggiare di tanto in tanto lo sguardo attraverso la stanza, simile a una fiera spaventata.
Poi sbatté le palpebre e li fissò accigliato.
Era chiaramente spaesato. Tentò di muoversi, ma si riaccasciò con un gemito.
"Come state?", gli chiese dolcemente Hildegard, in latino.
"Ho avuto giorni migliori", rispose flebilmente, ma con irremovibile durezza, il giovane. Subito dopo, bruscamente, passò al tedesco, dimostrando che non solo capiva e sapeva parlare il latino, ma era anche tedesco. "Si può sapere dove mi trovo?"
Parlava bavarese schietto [6], con un'inflessione vagamente musicale nonostante il tono rude.
"Siete in Franconia."
L'altro fece un'espressione smarrita. "In... Franconia?" Poi parve ricordare qualcosa. Si passò la mano sana sul viso e sospirò affranto. "E voi chi siete?"
"Io sono il barone Ulrich von Mörle, e questa è mia sorella Hildegard."
Il giovane annuì, senza dire nulla. Sembrava tremendamente a disagio.
"E voi?", chiese Ulrich.
"Ich heize [7] Siegfried", rispose il giovane.
"Siegfried... e poi?"
Il giovane esitò. Lanciò un'occhiata torva a Ulrich, poi rispose: "Sono il conte Siegfried von Peilstein."
"Siete bavarese?"
"Austriaco", rispose stancamente il conte. "Vengo da quella che voi chiamate Marcha Orientalis, ma che noi sinceramente preferiamo chiamare Ostarrichi. [8]"
Quell'uomo era molto diverso da come Hildegard se lo aspettava. Tuttavia, anche con quell'atteggiamento schivo e assai poco affabile, non aveva smesso di esercitare su di lei lo stesso fascino che le aveva esercitato nell'immobilità del sonno. Anzi: adesso che conosceva il suo nome e le sue origini era ancora più curiosa di conoscere la sua storia. Che cosa ci faceva un conte austriaco, da solo, in una così remota contrada della Franconia?
Ulrich era già pronto a porgli altre domande, e questi - lo poteva leggere nel luccichio in quegli occhi così azzurri - era dilaniato dalla curiosità di sapere qualcosa in più sul luogo in cui si trovava, ma Hildegard pose definitivamente fine a quella discussione.
Alzò una mano, facendo zittire entrambi: il conte era ancora provato, lo si vedeva dalla fatica che gli costava ogni movimento, e avrebbe avuto bisogno di molto riposo. Congedò Ulrich, poi si rivolse a lui: "Hêr Siegfried, avete fame?"
Egli annuì debolmente, e Hildegard gli fece portare da mangiare.

Dopo che la fanciulla francone se ne fu andata, Siegfried von Peilstein trasse un profondo sospiro di sollievo. Il cibo non gli aveva recato alcun conforto, e la testa gli doleva terribilmente, rendendogli difficile anche solo concentrarsi per capire in che razza di situazione si trovasse. Quello stato d'infermità gli deteriorava corpo e mente: abituato a una vita d'azione, fatiche e battaglie, si ritrovava costretto a letto, presso la dimora di due sconosciuti che parlavano un volgare diverso dal suo, incapace di muoversi e di condurre le sue quotidiane attività, finanche di ragionare. Si fece sfuggire un grugnito sommesso e si lasciò ricadere tra i guanciali. Chiuse gli occhi, troppo affaticato perfino per tenerli aperti, e pochi istanti dopo sprofondò in un sonno leggero e popolato da incubi.

Era poco più dell'alba. Siegfried e i suoi accompagnatori stavano percorrendo una strada poco trafficata, nella speranza di raggiungere Magonza entro la metà della mattinata. La loro guida parlava francone stretto, così veloce che a tratti era difficile capire cosa dicesse, e loro rispondevano in bavarese altrettanto stretto, senza preoccuparsi particolarmente che quel tizio li comprendesse alla prima. C'era una strana agitazione latente in quel sentiero costeggiato dalla macchia, che aveva dato a Siegfried ben più di una ragione per guardarsi intorno con circospezione e tenere la mano stretta intorno all'elsa della spada.
Era come se ci fossero dei predatori in agguato tra quelle frasche intricate.
"Attenti!", aveva urlato a un certo punto la guida, buttandosi a terra e coprendosi la testa con le braccia. Poco dopo, il sibilo di una freccia aveva tagliato in due l'aria. "State in guardia!"
Per tutta risposta, il giovane aveva tirato bruscamente le redini e aveva sguainato la spada.
I due inaccorti armigeri della sua scorta, invece, avevano ben pensato di dileguarsi al galoppo furioso, e Siegfried era rimasto solo con la guida francone.
"Fuggite, herre, per carità!"
"Niemer", era stata la risposta dell'austriaco. "Dovresti fuggire tu, semmai."
Subito dopo, dalla macchia erano usciti quattro banditi, di quelli che si aggiravano per le terre libere e attaccavano gli ignari viaggiatori per rapinarli. Avevano accerchiato i due uomini; uno di loro era armato di balestra. Un altro si stava avventando sulla terrorizzata guida, ma Siegfried l'aveva afferrato per la veste, la spada puntata contro la gola. "Che feccia sareste voi, che vi accanite su una vittima inerme e incapace di difendersi?"
"Lasciate perdere il moralismo, cavaliere", aveva risposto il balestriere, volgendo il tiro dell'arma verso di lui. "Gettate le armi e dateci tutto ciò che possedete, se non volete che ve lo strappiamo di dosso con la forza."
Un terzo uomo lo costrinse a scendere da cavallo, prendendo in consegna l'agile palafreno da viaggio.
Per quello che poteva, il conte si era costretto a rimanere impassibile. Subito dopo, si era udito un sibilo nell'aria, e un dolore tremendo alla coscia l'aveva quasi fatto crollare in ginocchio; la spada aveva rischiato di sgusciar via dalla sua presa. Con gli occhi annebbiati dal dolore, Siegfried ricordava di averne decapitato uno con un tondo di spada e di averne ferito un altro con un rovescio, mentre il sangue continuava a colare giù dalla sua ferita e altre ferite, più leggere, si aggiungevano alla prima nella furia della colluttazione. Qualcuno gli aveva affondato un pugnale nella scapola, incontrando la dura consistenza dell'osso. Il giovane l'aveva inchiodato a terra con violenza, tentando di strappargli il pugnale dalle mani, costretto ad afferrarne la lama a mani nude per evitare che lo sgozzasse. Aveva cercato di stringere i denti per sopportare il dolore pulsante che minacciava di stordirlo, mentre la lama tagliava il cuoio sottile dei suoi guanti, facendosi strada verso il palmo della sua mano.
Dopo una sfida estenuante era riuscito a salvarsi la vita, ma si era ritrovato solo, spogliato di ogni cosa tranne che della propria dignità e del proprio nome.
Privo di forze e nauseato dall'odore del proprio stesso sangue, il conte Siegfried von Peilstein strisciò fino al ciglio della strada. Si strappò la freccia dalla carne senza troppi riguardi, reso insensibile a ogni sensazione terrena, e si accasciò dietro un cespuglio abbarbicato sull'orlo del fosso, ormai incapace di sottrarsi al destino che incombeva su di lui - qualunque esso fosse.

Si risvegliò urlando.
 

***

Hildegard von Mörle fissava il giovane con apprensione, ed egli le restituiva uno sguardo strabuzzato, ansimando sconvolto. La febbre doveva averlo fatto delirare, perché era scosso da tremiti impercettibili, ma quando accostò una mano alla sua fronte imperlata di sudore, la trovò stranamente tiepida.
"Hêr Siegfried?"
Il bavarese scrollò la testa con vigore, come per scacciare qualcosa di fastidioso.
Hildegard ritrasse la mano, e l'altro si sottrasse al suo tocco come una bestia ritrosa. Lei abbassò la testa, quasi delusa.
"Ho bisogno di alzarmi", disse seccamente il conte.
"Non potete."
"Almeno fatemi mettere a sedere", concesse lui, sollevandosi sui gomiti. Hildegard gli sistemò i guanciali dietro la schiena ed egli vi si adagiò sospirando. Se mentre quel giovane dormiva si era sentita ardere di curiosità sul suo conto, adesso era in profonda soggezione, non sapeva cosa dire per non offenderlo.
In silenzio, gli porse un infuso caldo.
Il bavarese annusò cautamente il contenuto della tazza, poi si portò il recipiente alle labbra e iniziò a bere, a piccoli sorsi.
Fu lui a parlare per primo: "Ditemi, frouwelin, vi siete mai sentita... inerme?"
Hildegard si sedette su uno sgabello accanto al letto e poggiò le mani in grembo, abbassando lo sguardo su di esse. "Signore, io vengo da un monastero... dopo aver passato anni protetta da quelle sante mura, con giornate scandite dallo stesso ritmo, stagione dopo stagione, il mondo esterno mi... atterrisce."
"Untriuwe ist in der sâze, gewalt vert ûf der strâze." [9]
Calò il silenzio.
"Che cosa vi è successo?", azzardò Hildegard, dopo un po'.
Il giovane fece una smorfia. "La mia compagnia - nel pronunciare quella parola, ebbe un tremito di sdegno - è stata assalita da una masnada di banditi di strada."
"Vi trovavate in una strada molto pericolosa. Raramente i forestieri ne escono indenni..."
"E io che cosa potevo saperne?", sbottò lui. "Dovevo andare a Magonza. Ho chiesto alla guida, uno della vostra gente, di condurmi attraverso la strada più breve. Anche i miei compagni erano austriaci e assolutamente impratichi della zona." Ringhiò sommessamente. "Spero che non ci abbia condotti volutamente nelle grinfie di quei briganti."
"Ma, herre... e i vostri compagni?"
"I miei compagni?" Di nuovo un fremito di sdegno. "Sono fuggiti, quei vigliacchi. E saranno sicuramente di nuovo in Austria a bere il loro vino, alla faccia del Siegfried che hanno giurato di proteggere a costo della loro vita."
"Mi... dispiace, signore."
Il conte fece un cenno sbrigativo, poi emise un sospiro e si riappoggiò stancamente sui cuscini, volgendo uno sguardo verso la lontana finestra. "Ich wolte gerne ze Osterrîche sîn." [10]
Non disse più nulla, e Hildegard si trattenne dal fargli domande. Dopo un istante di silenzio, si allontanò verso l'uscio in punta di piedi, ed egli non fece nulla per trattenerla.
Mentre usciva, non poté fare a meno di osservare che la cadenza bavarese di quell'uomo risultava estremamente piacevole per le sue orecchie. L'avrebbe ascoltato per ore.

Fine prima parte

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Note:

[*] Walther von der Vogelweide (ca. 1165 - 1220) era un Minnesänger (poeta cortese) di origine austriaca e uno dei più grandi poeti medievali in lingua tedesca (bavarese).
Appare come personaggio secondario nell'altra mia storia.
Il significato della poesia suona all'incirca così: "Spero di alzarmi domani benedetto dalla Fortuna, e viaggiare nella protezione del Signore, ovunque io vada."

[1] 7 marzo 1156. Nel Medioevo, fino al Cinquecento, era in uso il calendario giuliano.
https://la.wikipedia.org/wiki/Index_dierum_calendarii_Romani

[2] Santa Maria

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Ildegarda_di_Bingen

[4] Vige il luogo comune che i nobili nel Medioevo fossero ignoranti e pressoché analfabeti, tuttavia non era del tutto impossibile che un uomo di rango nobiliare avesse ricevuto una buona istruzione di base. Basti pensare, ad esempio, che la maggior parte dei poeti tedeschi di questo secolo erano baroni, cavalieri o ministeriali.

[5] uomini d'arme, equipaggiati come cavalieri ma privi d'investitura, che prestavano servizio a un signore feudale, che offriva loro vitto, alloggio e protezione in cambio di obbedienza e prestazioni militari. Tale figura in alto tedesco medio è detta kneht (lett. servo) e si distingue dal ritter (cavaliere).

[6] La lingua di Walther von der Vogelweide, a cui alludevo prima. I vari "volgari" tedeschi del Medioevo erano mutualmente intelligibili tra loro.

[7] "Mi chiamo/Il mio nome è…" Si riflette nel tedesco moderno "Ich heiße".

[8] Austria. Nel 1156 (fino a settembre) era inclusa nel ducato di Baviera, anche se il concetto territoriale di "Ostarrichi" esiste dal X secolo. All'epoca, col toponimo "Austria" si intendeva soltanto la regione della Bassa Austria con Vienna.
Siegfried si autodefinisce "austriaco", ma in linea di massima neanche definirlo "bavarese" è errato.
Ho approfondito la questione relativa all'Austria e agli austriaci nell'altra storia.

[9] Il tradimento è in agguato, la violenza infesta le strade.

[10] Vorrei tanto essere in Austria

  
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