Note: sono troppo vecchia per ‘sta roba. Avevo persino cambiato genere di fandom, ma BNHA si è schiantato a tutta velocità contro il mio cervello e da allora non è più stata la stessa cosa. Si sappia che la sto scrivendo per togliere la ruggine e perché, altrimenti, i miei neuroni si distraggono da altre cose che dovrei scrivere e che hanno un’accidenti di scadenza.
In questa fic, la particolarità per cui i Soulmate si riconoscono tramite il canto è tratta dalla serie Sing When the Dawn is Dark di pibroch (littleblackdog), dal fandom de Lo Hobbit. Diamo credito al merito.
Bakugou potrebbe essere malamente OOC. Ci ho provato.
Piccolo warning per il linguaggio scurrile, presumo.
Ok, detto ciò vi auguro una buona lettura, se vorrete fermarvi fino alla fine <3
___________________________________________________________________________________________
A i n o S h i j i m a
( S i l e n c e o f L o v e )
( S i l e n c e o f L o v e )
Katsuki Bakugou sapeva esattamente a chi apparteneva la sua Voce.
Non che ne avesse le prove. Dopotutto non l’aveva ancora sentita di persona. Ma aveva, in merito, uno di quei presentimenti fastidiosi per cui semplicemente sapeva di avere ragione, ma ancora sperava nella pietà di una qualche forma di Potere Superiore. La stessa sensazione che si avrebbe sulla riva del mare prima di dover attraversare la madre di tutte le tempeste avendo a disposizione solo un canotto.
Bucato.
Senza remi.
Da piccolo, quando insieme al Quirk si era manifestata anche la sua Voce, ne era stato felicissimo. Era uno dei pochi al mondo ad avere un’Anima Gemella. Un’altra cosa che lo rendeva superiore agli altri, un altro motivo per vantarsi. Allora, la voce che sentiva cantare quasi ogni notte non era altro che un mormorio, una melodia senza parole. Al di là del suo smisurato orgoglio di bambino prodigio, quelle poche note intonate dalla sua Voce nel dormiveglia erano una compagnia gradita, un ultimo sorriso prima di addormentarsi.
Col passare del tempo, però, le cose cambiarono. Nel suo ancor più smisurato orgoglio di adolescente a cui tutto era dovuto, Bakugou iniziò a notare delle cose man mano che la sua Voce si faceva più chiara. Come il timbro profondo, non adulto ma distintamente maschile. Il ritmo dolce e lento della melodia, come quello di una ninna nanna, o di un inno. Un vago tremolio insicuro tra uno stacco e l’altro.
Esistevano decine e decine di libri e articoli riguardanti le Voci. In prima media, sapeva già tutto quello che c’era da sapere.
Sapeva che le Voci diventavano più chiare man mano che si avvicinava il momento in cui avrebbe riconosciuto la sua Anima Gemella. Che le canzoni erano uniche, condivise solo dalle Anime Gemelle a cui erano predestinate, e che potevano dare indizi riguardanti il periodo esatto dell’anno, o l’ora del giorno in cui l’incontro sarebbe avvenuto, o persino il luogo. Che si potevano capire tante cose della persona a cui la Voce apparteneva solo dal tono, o dalla cadenza. Bastava ascoltare, ed era esattamente ciò che lui aveva fatto. E aveva capito.
Da quel momento, Katsuki aveva smesso di ascoltare. Non poteva decidere di non sentire più la sua Voce nel dormiveglia, non v’era modo di evitarlo, tuttavia poteva fare in modo di non sentirla nella vita reale nemmeno per sbaglio.
Ascoltando musica ad alto volume nel tragitto da casa a scuola. Urlando seccato se qualcuno nelle sue vicinanze anche solo accennava a canticchiare una canzone. Allontanando da sé la sua Anima Gemella in ogni modo possibile, non importava come.
Perché Katsuki Bakugou sapeva esattamente a chi apparteneva la sua Voce.
Izuku Midoriya.
Nel suo faticosamente ridimensionato orgoglio di studente dello U.A., Bakugou aveva deciso di salvaguardare se stesso (e la sua stiracchiata pazienza nei confronti dell’umanità) e di ignorare quella consapevolezza. Si aggrappava alle discrepanze per giustificare la sua negazione: non poteva esserne totalmente sicuro (non aveva mai sentito Deku cantare e non aveva intenzione di farlo). Era solo una sensazione dettata dall’istinto (e quando mai il suo istinto si era sbagliato?). Deku stesso non aveva mai accennato a niente di simile (non aveva nemmeno mai avuto un Quirk eppure eccolo lì, seduto al banco dietro di lui).
“Non è vero,” si diceva prima di dormire, ascoltando una melodia lontana accompagnarlo passo a passo nel sonno. “Non è Deku. È solo suggestione.”
Non poteva essere Deku, perché solo lui sapeva quanto lo aveva detestato, disprezzato, deriso. Deku il Senza Quirk, Deku il sassolino a lato della strada, Deku l’inutile. Solo lui sapeva quanto aveva disdegnato la sua incrollabile forza di volontà, la sua cieca convinzione di potercela fare comunque, anche se doveva partire dallo scalino più basso e con i piedi piantati nel cemento fino alle caviglie. L’eterna consapevolezza che Deku non lo vedesse forte e invincibile come facevano tutti gli altri, che non lo mettesse sul gradino più alto del podio come se fosse un dato di fatto; che lo guardasse dall’alto in basso come se si sentisse superiore e come puoi essere superiore a me, tu che non parti nemmeno dalla mia stessa linea di partenza, tu che insegui sogni impossibili?! Come osi metterti al mio stesso livello?!
Bakugou si era tappato le orecchie con le mani e aveva seppellito qualsiasi sentimento positivo provasse per Izuku talmente a fondo dentro di sé, che nel tempo si era dimenticato persino di averne provati. Aveva costruito sopra di essi una torre marcescente, fatta di fango e pietra grigia, che successivamente era crollata lasciando dietro di sé solo macerie e silenzio.
Bakugou era cresciuto. Aveva frenato la sua rabbia, riscoperto i suoi limiti. Aveva visto Deku con occhi nuovi, sì, lo aveva preso in considerazione per come Deku stesso voleva essere visto: una possibilità, un rivale. Ma nulla era cambiato. Le macerie erano sempre lì, il pressante silenzio di cose mai dette a riempirne gli spazi.
Fino a un giorno di dicembre dei suoi quindici anni.
P a r t e P r i m a
k i m i n o u t a u k o e
k i m i n o u t a u k o e
« L’ultimo giorno prima delle vacanze si terrà una gara di canto corale inter-classe. »
Bakugou sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena.
Tutto attorno a lui la classe 1-A esplose in un chiacchiericcio concitato. Alcuni erano eccitati dalla novità, probabilmente quelli provenienti da qualche scuola media in cui il canto corale faceva parte del doposcuola, altri invece erano incuriositi dall’ennesima trovata dell’amministrazione scolastica.
Lui avrebbe volentieri fatto esplodere le cervella del pover’uomo che aveva avuto quella brillante idea.
Se c’era una cosa che aveva imparato molto presto nella vita, era che la società non era fatta a misura di quello scarso trentadue percento della popolazione mondiale che sentiva le Voci. Certo, la maggior parte di quella percentuale non aveva problemi ad ascoltare musica o a esibirsi in stupide gare di canto corale, nella speranza che una delle voci del coro risuonasse diversa dalle altre. La lista di film, serie TV e romanzi basati sulle Voci era sempre più lunga e questa romanticizzazione spudorata non aveva fatto altro che trasformare un fenomeno strano ma naturale in un sinonimo di debolezza. Un concetto che non si mescolava bene con il carattere di Bakugou.
Katsuki sentì i peli sulla sua nuca rizzarsi. Come per un riflesso pavloviano, sembrò che la presenza di Midoriya dietro di sé all’improvviso diventasse elettrica. Non ebbe bisogno di concentrarsi per sentire il suo tipico borbottare a bassa voce, una concatenazione di parole sparate a mitraglia una dietro l’altra senza avere nemmeno il tempo di prendere fiato.
Non c’era cosa che lo irritasse di più. In realtà, non c’era cosa che Deku facesse che non gli peggiorasse l’umore nel giro di un istante e non gli facesse perdere immediatamente quel poco di pazienza che riusciva a racimolare tra la sveglia e la colazione, essenziale per affrontare il resto della giornata senza picchiare qualcuno.
Era sempre colpa di Midoriya.
« Vuoi darci un taglio?! » sbottò improvvisamente, girandosi verso Izuku e sbattendo una mano sul suo banco. Midoriya sobbalzò violentemente, colto alla sprovvista, e per riflesso alzò le mani come per proteggersi. Il rumore attirò il resto della classe, facendo diminuire il mormorio, ma ormai quelle interazioni fra loro erano così normali che nessuno se ne interessò più di qualche minuto.
Dal canto suo, Izuku chiuse di scatto la bocca e piegò le labbra in un sorrisetto nervoso. « Sc-scusa, Kacchan... » balbettò subito dopo, guardandolo come si osserva un animale feroce dal comportamento imprevedibile.
Bakugou fece schioccare la lingua con un suono irritato, voltandosi di nuovo verso Aizawa e incrociando le braccia. La sensazione elettrica non era diminuita per niente dopo la sfuriata, ma almeno aveva trovato uno sfogo per la tensione che gli era montata addosso all’improvviso. Prendersela con Deku funzionava, il più delle volte.
Aizawa non commentò la reazione di Bakugou ma gli scoccò comunque un’occhiata di ammonizione. Avevano affrontato spesso l’argomento del tipo di relazione che c’era fra lui e Midoriya, più che altro sotto pressioni di All Might che lo riteneva dannoso per il loro (inesistente) gioco di squadra, ma non erano mai giunti a un vero e proprio rimprovero. Tacitamente, tutti accettavano che le cose fra loro erano così e basta, e che era una questione privata fra loro due.
« Come stavo dicendo, » continuò Aizawa dopo qualche istante, « la partecipazione non è obbligatoria, ma sono necessarie almeno dieci persone per classe. Potete anche usare degli strumenti musicali e comporre il vostro accompagnamento. Il tema è quello natalizio, ovviamente. Midnight sarà la vostra rappresentante, dunque se avete dubbi o domande chiedete a lei. Dovete presentare una lista di nomi entro la fine delle lezioni di oggi. Questo è tutto. Svegliatemi quando suona la campanella del cambio dell’ora. » Detto ciò, Aizawa si avvolse nel suo sacco a pelo giallo e cadde addormentato contro il muro nell’angolo della classe.
Yaoyorozu e Iida si alzarono dai rispettivi banchi e si diressero verso la cattedra. « Bene, chi si offre volontario? » chiese Iida con voce seria e tonante, già pronto a scrivere i nominativi.
La mano di Mineta scattò in aria come se al posto dell’articolazione della spalla avesse una molla. Molto probabilmente il nome di Midnight era stato più che sufficiente a convincerlo a offrirsi. Bakugou roteò gli occhi nello stesso momento in cui lo fece anche Yaoyorozu, che però scrisse comunque il nome del ragazzo sulla lavagna.
« Sei almeno intonato, Mineta? » commentò Jiro dal banco alla destra di Bakugou, girandosi sulla sedia per poter parlare con il diretto interessato.
« Quanta sfiducia! » esclamò il ragazzo con un tono forzatamente scandalizzato. « Per tua informazione facevo parte del coro della mia scuola media. »
Jiro si espresse con un sopracciglio inarcato ma non aggiunse altro, limitandosi a girarsi di nuovo verso la lavagna. Nel mentre, sia Aoyama che Ashido si erano offerti, dunque i loro due nomi erano stati aggiunti insieme a quello di Mineta.
« Chi altro? » domandò Iida.
« Io! » esclamò Hagakure dal banco davanti a quello di Bakugou, e per un qualche motivo riuscì a convincere Ojiro a fare lo stesso. Con la coda dell’occhio Katsuki vide Kirishima e Kaminari guardarlo con uno strano sorrisetto ma si premurò di lanciare loro un’occhiataccia che prometteva morte certa se solo avessero osato aprire quella loro insulsa boccaccia. Fortunatamente i due recepirono il messaggio forte e chiaro.
« Siamo a cinque. Qualcun altro? » domandò Iiida.
« Io posso fare un accompagnamento al piano, » disse Yaoyoruzo, « e so che Jiro sa suonare il violino, se vogliamo rimanere su un arrangiamento classico. » Jiro aggrottò la fronte, indecisa, però poi annuì. Entrambi i nomi finirono sulla lavagna.
Dal primo banco accanto alla porta, Ashido si girò di centottanta gradi e lanciò un sorriso smagliante in direzione di Asui. « Scommetto che Tsuyu ha una bellissima voce! »
« Non proprio, » rispose la ragazza rana. « Però Ochaco sì. La sento spesso cantare sotto la doccia. »
Bakugou ignorò immediatamente il commento di Mineta, che si meritò uno schiaffo da parte della stessa Asui e della sua lingua muscolosa. Uraraka assunse una tonalità tendente al bordeaux ma ringraziò ugualmente Tsuyu per il complimento. Katsuki roteò gli occhi con fare seccato, appoggiano il gomito sul banco e il volto sulla relativa mano. Avrebbe persino potuto ignorare il resto della discussione se Uraraka non avesse detto la frase che invece lasciò le sue labbra pochi istanti dopo.
« A-anche Deku ha una bella voce. »
Ti prego, no.
Dietro di lui, Midoriya arrossì fino alla punta dei capelli. Katsuki lo sentì borbottare qualcosa di incomprensibile mentre il brivido provato all’inizio della lezione tornava ad arrampicarsi lungo la sua schiena. Non riuscì nemmeno a formulare il pensiero di dove e quando Uraraka avesse sentito Deku cantare, dato che era troppo impegnato a fissare Midoriya da sopra la sua spalla sperando di trasmettergli i suoi pensieri a riguardo. Una cosa del tipo “se ti metti a cantare giuro che l’unico pezzo che troveranno di te sarà il mignolo del tuo piede, fottuto NERD!”
Fu l’esatto momento in cui lo sguardo di Izuku incrociò il suo e subito Katsuki si rese conto che il messaggio era stato recepito forte e chiaro. Per quanto lo detestasse e non sopportasse di stare in sua presenza più delle ore scolastiche obbligatorie, Bakugou era sempre stato bravo a capire le reazioni di Izuku dal suo sguardo (e, probabilmente, era vero anche il contrario).
Per un lungo, interminabile istante, Midoriya non rispose alla domanda implicita al complimento di Uraraka. Si limitò a guardare Katsuki con un’espressione mista fra paura e confusione, tranne per quella piccola scintilla di curiosità che all’improvviso gli illuminò gli occhi e che spaventò Bakugou ancora più della possibilità che Deku accettasse di cantare. La curiosità di Midoriya, e Bakugou lo sapeva, non scattava mai in reazione a una sfida; se la sua silenziosa minaccia aveva catturato la sua attenzione significava che c’era qualcosa sotto di cui Bakugou non era a conoscenza.
Cosa, non gli era dato saperlo.
Katsuki sapeva la risposta di Midoriya ancora prima che il ragazzo schiudesse le labbra per prendere fiato.
« Mi piacerebbe fare parte del coro. »
Porca puttana.
Non esisteva forza al mondo capace di obbligarlo ad andare alla gara di canto corale.
Questo si era detto alla fine di quella fatidica giornata, mentre procedeva a passo di marcia verso il Ground Beta con l’obiettivo di raderlo al suolo. Se non si sfogava in un qualche modo avrebbe trovato il primo pretesto utile per prendersela con Deku, e considerando il numero smisurato di Social Justice Warriors nella sua classe – senza contare la Midoriya Protection Squad, ovvero Iida, Uraraka, Asui e, udite udite, Todoroki – non avrebbe fatto altro che scuotere un nido di calabroni. La sua (minima) pace interiore si meritava di meglio.
Eccetto per il fatto che la forza capace di obbligarlo ad andare alla gara di canto corale esisteva eccome, e portava il nome di Aizawa Shouta.
« La competizione si terrà nell’auditorium scolastico, Bakugou. Tutta la scuola sarà presente. »
Mentalmente, Katsuki cominciò a contare a ritroso da dieci. Kirishima aveva detto che aiutava a controllare l’impulso onnipresente di fare esplodere la faccia al prossimo.
« Ho un maledetto motivo serio per non presenziare, » tentò di negoziare.
« Il fatto che senti una Voce non è un motivo valido, » rispose Aizawa. Ovviamente i professori sapevano della sua Voce, era nel suo fascicolo scolastico da quando aveva compiuto quattro anni. « Ci sono altri alunni in questa scuola nella tua stessa condizione e non chiedono di essere esonerati da nessuna attività. »
Era meglio cominciare da trenta.
« Qual è il problema, giovane Bakugou? » intervenne All Might da una cattedra vicina. « Potrebbe essere una buona occasione per scoprire se la tua Anima Gemella è uno studente dello U.A. »
Certo, pensò Katsuki, peccato che io sia praticamente sicuro che la mia Anima Gemella sia uno studente di questa scuola; anzi che sia nientemeno che il tuo pupillo, futuro Simbolo della Pace, Izuku-vaffanculo-Midoriya. Come la prenderesti se te lo dicessi?
Improvvisamente i pensieri di Bakugou si fermarono, troncando la risposta sagace e irriverente che era sul punto di dare.
Come l’avrebbe presa All Might se avesse saputo?
Bakugou non si era mai soffermato a pensare sulle conseguenze di quella scomoda consapevolezza, probabilmente perché non aveva mai avuto intenzione di prendere in considerazione la possibilità che divenisse realtà. Non era una persona interessata al parere degli altri – anzi, tutto l’opposto – ma si trattava di All Might; oltre a essere il suo Hero preferito e colui che doveva oltrepassare per diventare il migliore, l’uomo lo aveva reso partecipe di un segreto che in pochi sapevano: il fatto che il suo Quirk si potesse trasmettere ad altri e che il prossimo erede fosse niente meno che Izuku Midoriya. Poco importava che il primo fautore di quella rivelazione fosse Deku stesso (e la sua totale mancanza di autoconservazione): quel segreto era pericoloso e potenzialmente mortale per un sacco di gente eppure Katsuki si era sentito orgoglioso della fiducia che All Might gli aveva concesso.
Tuttavia, Bakugou era pienamente consapevole dell’affetto quasi paterno che legava All Might e Deku. Così come sapeva che la sua relazione con Midoriya fosse ormai irrecuperabile. Fare due più due era semplice in quel caso, e il risultato era che nessuno avrebbe mai augurato a Izuku di avere Bakugou come Anima Gemella.
Nemmeno All Might.
Col senno di poi, quello fu il suo primo momento di indecisione. La prima di tante volte in cui si era fermato a pensare prima di aprire la bocca. Il primo di innumerevoli dubbi che avrebbero infestato ogni suo momento di veglia.
Per il momento, però, l’unico che giunse a una conclusione sensata fu Aizawa.
« A meno che Bakugou non sappia già chi è la sua Anima Gemella... » commentò, tacendo la naturale conclusione della frase (“e non vuole scoprire se è davvero come pensa”). Katsuki lo guardò come a sfidarlo di dire qualcosa, ma Aizawa era ormai abituato a trattare con teste calde come lui e non si fece intimidire.
« Procurati un paio di tappi, perché la tua assenza non sarà giustificata. »
Bakugou non aveva più parole nemmeno per imprecare.
Era matematico che, prima o poi, qualcuno se ne accorgesse.
No, non era esatto. Dopotutto era riuscito tranquillamente a tenere segreto il fatto che avesse una Voce fino a quel momento, e le scuole medie erano state un vero inferno di ragazzine infervorate dall’ennesimo anime sul tema, pronte ad analizzare ogni minimo dettaglio.
Tuttavia, cambiare tutte le proprie abitudini di punto in bianco non faceva esattamente parte del pacchetto “Passare Inosservati”. Certo, Bakugou era conosciuto come un tipo dal carattere volatile, ma nei mesi passati dalla sua iscrizione alla U.A. era riuscito a farsi degli amici (seppure lui stesso non li definisse tali ad alta voce) e i suddetti erano più che consapevoli che, in realtà, le sue giornate seguivano una routine che spaccava quasi il minuto. Sconvolgere suddetta routine solo per evitare Midoriya avrebbe insospettito molto presto qualcuno.
Non fu sorpreso dal fatto che quel qualcuno fosse Eijirou Kirishima.
« Tu hai qualcosa che non va, » affermò Kaminari una sera, mentre i tre erano impegnati a prepararsi un veloce spuntino prima di cena.
Bakugou sospirò pesantemente e lanciò una preghiera silenziosa al Potere Superiore. Risparmiami questa merda, ti prego. « Non so di cosa accidenti tu stia parlando. »
« Sta evitando il Coro, » disse Kirishima quasi distrattamente, spalmando un’abbondante mano di maionese su una fetta di pane. All’occhiata truce di Katsuki – che su Kirishima ebbe un effetto minimo se non completamente nullo – Eijirou fece spallucce. « Che c’è? È abbastanza palese. »
Kaminari si accigliò e sbatté un paio di volte gli occhi, senza capire. « Perché? » domandò infatti.
« Bella domanda, » ribatté Kirishima, voltandosi verso Bakugou prima di ripetere le parole dell’amico. « Perché? »
Non per la prima volta, dopo aver dato del traditore figlio di puttana al Potere Superiore, si chiese come avesse fatto a diventare il “compagno di merende” dei due più cazzoni dell’intera classe. Tre, se si contava Ashido, ma fortunatamente la ragazza faceva parte del Coro in oggetto, dunque Bakugou poteva risparmiarsi la sua rumorosa presenza almeno per qualche giorno.
« Ti sei di nuovo fritto il cervello? » commentò Katsuki verso Kaminari, ma suonò sulla difensiva persino alle sue stesse orecchie.
« Ehi, cosa vorresti dire con “di nuovo”? » si lamentò Denki ma Kirishima sfoggiò un ghigno degno di un sadico. « Non me la dai a bere. C’è qualcosa che non quadra. »
Bakugou roteò gli occhi, aprendo il frigorifero ed estraendone una coca. Se avesse aggiunto qualsiasi cosa si sarebbe fregato da solo – l’intelligenza di Kaminari era discutibile ma Kirishima era furbo, il che forse era anche peggio – e uscì dalla cucina, sistemandosi su uno dei divanetti della sala e accendendo la TV su un programma a caso.
« Ehi, non abbiamo finito di parlare! » esclamò Kirishima dalla cucina, raggiungendolo subito dopo seguito a ruota da Kaminari.
« Non avete un altro cazzo di posto dove stare? » ringhiò Katsuki. Fu come se non avesse aperto bocca.
« Scherzi? Noi adoriamo la tua compagnia, » ribatté Eijirou addentando il panino. « Inoltre, non me ne andrò finché non avrò scoperto cosa c’è sotto. »
« Allora puoi portarti la tua cazzo di curiosità nella tomba. »
« Rude. »
Fu allora che Kaminari, che si era limitato a osservare lo scambio in silenzio, deglutì un cucchiaino di yogurt e inarcò un sopracciglio come se avesse appena avuto una buona idea. « C’è la tua Voce in mezzo al coro della classe? » domandò come se stesse dando voce ad una sciocchezza, e non a un chiarissimo esempio del detto “saltare di palo in frasca”.
A Bakugou andò di traverso la coca.
La sua reazione fu esattamente la risposta che Kirishima stava cercando di cavargli di bocca. « Non ci credo... » borbottò stupito, dimenticandosi del tutto del panino mezzo mangiucchiato. « Tu hai un’Anima Gemella! »
« Ed è nella nostra classe! » aggiunse a ruota Kaminari. I due si scambiarono un’occhiata d’intesa, come se fossero già possessori dello scoop dell’anno.
Bakugou aveva cominciato a contare a ritroso da cinquanta quando erano in cucina. In quel momento aveva finito la serie per la quinta volta ma la voglia di pulire il pavimento con la loro faccia non gli era ancora passata.
Quegli esercizi di autocontrollo erano un’immane stronzata.
Fare esplodere le piccole gocce di sudore che gli si erano raccolte sui palmi delle mani era la sua naturale reazione allo stress. Oramai lo faceva senza pensare e poco importava se così facendo risultava minaccioso, il più delle volte era esattamente ciò che voleva sembrare. Ma è più facile mettere paura a un ragazzino Senza Quirk troppo timido per ribattere che a due wanna be Heroes con dei Quirk di tutto rispetto. Senza contare che ormai avevano imparato a trattare con lui e ogni minaccia che gli fosse eventualmente uscita di bocca sarebbe stato un esercizio in futilità. Kaminari e Kirishima non avevano la minima intenzione di lasciar cadere il discorso così come Bakugou non aveva la minima intenzione di riprenderlo.
Prima che Kirishima potesse dire la frase per cui aveva preso fiato, Katsuki lo ammutolì con uno sguardo. All’improvviso si ricordò di un suo maestro delle elementari e di come aveva descritto a sua madre i suoi frequenti attacchi di rabbia. Davanti a Katsuki stesso, l’uomo le aveva detto che il comportamento irascibile del figlio era innocuo finché rumoroso. Era nel silenzio che l’irritazione solitamente superficiale di Bakugou diventava vera rabbia.
Questo, probabilmente, anche Kirishima lo capì, poiché si rimangiò qualsiasi cosa volesse dire e impedì rapidamente a Kaminari di fare altrettanto. Sì, c’era una sorta di galateo per quanto riguardava le Voci: tradizioni che bollavano come scortese pressare di domande chi sentiva una Voce – in mezzo a molte altre regole non scritte secondo cui, sostanzialmente, qualsiasi cosa riguardasse la propria Voce era privata e non andava condivisa con nessuno se non con la propria Anima Gemella – ma non era quello il motivo per cui Eijirou e Denki avevano lasciato cadere il discorso.
Lo avevano fatto perché il rifiuto di Bakugou di condividere anche una sola parola era così genuino da essere quasi tangibile e, seppur curiosi, rimaneva un argomento delicato.
Preferivano tenere il rispetto di Bakugou che sedare la loro curiosità.
Nei quindici giorni che seguirono, né Kirishima né Kaminari cercarono di riaprire la questione, Bakugou si assestò nella sua nuova routine e vennero ufficialmente annunciate le due settimane di vacanze invernali. L’intera scuola cominciò a sentire lo spirito natalizio e alcune ghirlande apparvero in mensa e nei corridoi, sulle porte delle aule e nei dormitori. Le ragazze della 1-A si erano impegnate a decorare un albero di Natale, con il gentile aiuto di Yaoyoruzo e del suo Quirk, che avevano posizionato in un angolo del salotto e le cui luci rimanevano accese ventiquattro ore su ventiquattro. Un gesto semplice che aveva risollevato il morale di tutta la classe compreso, stranamente, quello di Bakugou. Dopotutto anche lui non era immune allo spirito natalizio e, se doveva essere sincero con se stesso, nonostante non disprezzasse la vita in dormitorio aveva voglia di tornare a casa e passare un po’ di tempo con la sua famiglia, un desiderio che condivideva con il resto dei suoi compagni di classe. L’ultimo giorno di lezioni sarebbe stato il ventidue dicembre, giornata che si sarebbe conclusa con un buffet offerto dalla scuola e la tanto temuta (da lui) gara di canto corale.
La sera del ventuno, la classe 1-A organizzò una cena di Natale. L’idea era venuta da Tokoyami, che l’aveva definita come un modo per festeggiare insieme prima delle vacanze natalizie. La proposta aveva trovato l’assenso degli altri e prima ancora che si potesse pensare a come procurare del cibo, Iida aveva già pianificato diversi turni in cucina in cui ognuno di loro avrebbe cucinato qualcosa da condividere con gli altri.
Per maledizione o per uno scherzo del destino, Bakugou finì in turno con Midoriya.
Non che fosse un vero problema. Midoriya e Mineta finirono ad aiutare Yaoyoruzo con i dolci mentre Bakugou e Hagakure si occuparono dei cibi piccanti. Anche se facevano parte dello stesso turno, Katsuki e Izuku non si parlarono per tutte le due ore che passarono in cucina.
Ma si guardarono. O meglio, Midoriya lo faceva, tanto che Bakugou cominciava a sentire quel formicolio fastidioso dietro la nuca e la scomoda sensazione di essere osservato. Tutte le volte che si girava incrociava lo sguardo di Deku per pochi istanti, giusto in tempo per vederlo sobbalzare e girarsi di scatto, imbarazzato dall’essere stato colto per l’ennesima volta sul fatto. Katsuki sentì l’ormai famigliare scintilla di rabbia scoppiargli nel petto, una voglia viscerale di berciargli un insulto e farlo smettere, ma la ragione ebbe la meglio. Non aveva intenzione di interrompere il silenzio che lo stava salvando da una conversazione scomoda; conversazione che Midoriya sembrava cercare il coraggio di cominciare e che Bakugou aveva tutta l’intenzione di eliminare dal piano di esistenza.
Conversazione che, alla fine, non avvenne.
Nonostante la lieve irritazione di quel pomeriggio, Bakugou passò una bella serata. Aizawa e All Might fecero un’entrata a sorpresa per controllare che andasse tutto bene (e che non girasse nulla di alcolico) e finirono per rimanere circa un’ora. Era ormai passata mezzanotte quando decisero di andare a dormire e per una volta Katsuki si addormentò con il sorriso sul volto, ancora contagiato dal buon umore della cena.
Quella notte la sua Voce risuonò chiara e squillante, cullandolo nel dormiveglia con una melodia dolce ma triste.
L’Auditorium della U.A. sembrava più un teatro che un’aula magna. Le pareti erano tappezzate di tessuto rosso imbottito, che conferiva una perfetta insonorizzazione, mentre tutti gli infissi e i battiscopa erano intagliati con delicate forme floreali. Il palco aveva a disposizione un sipario di pesante tessuto nero e dava su di una ampia platea, sovrastata da una balconata a ferro di cavallo. In tutto, l’auditorium poteva tranquillamente ospitare duecento persone, e a parere di Katsuki era una struttura decisamente esagerata da tutti i punti di vista.
Anche se, considerando il resto della U.A., probabilmente nell’insieme era quasi morigerato.
Le due classi prime erano state sistemate nella parte destra della platea, vicine al palco. Per il party di Natale era stato concesso loro di non vestire la divisa ma mentre Bakugou aveva optato per il primo paio di jeans puliti e una felpa, altri si erano sbizzarriti sul tema natalizio. Seriamente: Katsuki era già pesantemente irritato dalla situazione stessa in cui si era ritrovato per forza di cose, ma le corna da renna con i campanellini di Aoyama, seduto due file davanti a lui, gli stavano rendendo praticamente impossibile concentrarsi sul suo conto alla rovescia da settanta. Aveva la profonda pulsione di farle esplodere fino alla stratosfera ed era a pochissimi secondi dal seguire tale istinto primordiale.
« Quando cominciano? » domandò annoiato Kirishima, seduto alla sua destra. Bakugou emise un basso ringhio ma rispose ugualmente, anche solo per distrarsi da quelle stortissime e asimmetriche corna.
« Non sarà mai abbastanza presto. »
« Stanno ancora facendo entrare i senpai delle classi terze. »
« Allora dovrebbero darsi un’accidenti di mossa. »
Kaminari, seduto alla destra di Kirishima, sospirò. « Passa mai un giorno senza che tu sia di malumore, Bakugou? »
« No. »
« Chissà perché lo sospettavo, » ribatté Kirishima. Kaminari ridacchiò.
Scese un silenzio teso. Il resto dell’auditorium era una cacofonia di chiacchiericci e risate ma quel silenzio forzato era tutto ciò che Bakugou riusciva a sentire.
E ne conosceva anche il motivo. Solo non voleva accettarlo, con se stesso in primis e con quei due in secundis. Ammettere di essere a un passo dal sapere la verità su Deku era come essere in piedi sul ciglio di un burrone. Bastava solo una spinta.
E quella spinta sarebbe arrivata, che lui la volesse o meno.
Certo, aveva pensato di prendere con sé dei tappi. Di dormire. Di fingere di avere la febbre e darsi malato, magari tornare a casa prima. Le aveva pensate tutte per evitare quel momento dopo che Aizawa non si era dimostrato utile alla causa ma, per un motivo o per l’altro, ora era esattamente dove per settimane aveva creduto di non volere trovarsi: seduto in platea ad aspettare di sentire Izuku cantare.
Probabilmente, era per esasperazione. Aveva passato così tanto tempo con quella mezza verità raffazzonata che adesso il suo subconscio desiderava esserne sicuro. Da qualche parte nella sua mente, pensava che avrebbe vissuto meglio se lo avesse saputo per certo, che avrebbe potuto affrontare il problema senza quel “ma” e tutti quei “forse” che infestavano i suoi pensieri. Magari, alla fine di quelle due ore di supplizio canoro avrebbe potuto guardarsi allo specchio e dire ad alta voce che Izuku Midoriya era la sua Anima Gemella e che non era comunque cambiato un accidente dal giorno prima.
Una bella storiella a cui però non credeva.
Anni di articoli e libri e post di forum improbabili avevano dipinto molto bene ciò che sarebbe successo da lì a pochi minuti. Avrebbe sentito la sua voce e, anche se non era la loro canzone (quella che sognava ogni sera un attimo prima del sonno), la sua anima la avrebbe riconosciuta come sua e avrebbe risposto in egual misura. Una risonanza che gli avrebbe incastrato il fiato in gola e avrebbe stravolto l’intero suo mondo. Poteva ripetersi più e più volte che erano solo testimonianze lette sul web, che potevano essere benissimo false o romanzate, ma poco importava.
A quelle storie Bakugou credeva.
Lanciò un’occhiata alle porte del teatro, che gli insegnanti stavano cominciando a chiudere, poi tornò a guardare il palco ancora vuoto. « Ohi, » chiamò senza girarsi.
« Mh? » rispose Kirishima.
« Tu senti una Voce? » Domandò Katsuki. Una domanda solitamente ritenuta volgare e fuori luogo, ma non che all’altro importasse, considerando il modo in cui lui e Kaminari lo avevano affrontato qualche settimana prima.
Kirishima scosse il capo. « Non ho questa fortuna, no. » Ci rifletté un po’ sopra prima di chiedere a sua volta: « com’è? »
« Una merda. » rispose Bakugou, secco, ma la sua voce non aveva nessuna inflessione particolare. Come se la sua risposta fosse stata scritta in anticipo e pronunciata per abitudine, piuttosto che con sentimento. « Beato te. »
Prima che Kirishima potesse smascherare il suo gioco, le luci dell’auditorium si spensero.
Va bene, pensò Katsuki, sono pronto. Accada quel che accada.
Midnight salì sul palco, salutando tutti gli studenti e portando con sé una scatola trasparente con dentro sei bussolotti bianchi. L’ordine di esibizione sarebbe stato estratto a sorte e i rimanenti professori – più il preside – sarebbero stati i membri della giuria che avrebbe giudicato le esibizioni.
Bakugou smise di ascoltare dopo due minuti. Poteva avvertire lo sguardo di Kirishima su di sé ogni tanto ma non si girò mai per incrociare il suo sguardo. Non se ne faceva niente della sua preoccupazione.
La gara cominciò con la classe 3-A. Bakugou riusciva a riconoscere che le esibizioni erano molto armoniose e ben fatte ma l’attenzione totale che prestava loro era quella che di solito si dà ai documentari sui fringuelli delle Galapagos: praticamente nulla.
Il coro della 1-A fu il quarto gruppo ad esibirsi.
Avevano scelto il bianco. Una decisione scontata ma efficace. Tutti indossavano qualcosa di quel colore, dal vestito elegante di Yaoyoruzo alla maglietta con top sportivo di Uraraka. Illuminati dalle luci del palcoscenico sembravano quasi eterei.
Deku aveva scelto i vestiti più semplici possibile. Un paio di pantaloni causal e un maglioncino a collo alto. Non c’era nulla di particolare in quell’abbigliamento eppure Bakugou non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Si accorse solo dopo qualche istante di stare trattenendo il respiro. Aveva la pelle d’oca e sentiva una sorta di scossa elettrica sulla nuca, ma era quasi sicuro che fosse un misto fra adrenalina e suggestione a fargli quello scherzo.
I ragazzi si inchinarono, salutando il pubblico, poi si disposero su due file. Jiro si posò il violino sotto al mento e Yaoyoruzo si sedette al pianoforte. Le prime note di Silent Night risuonarono nell’auditorium.
Per un momento, Bakugou pensò di avere una via di fuga. Forse, considerò, con altre sette voci mescolate a quella di Deku c’era la possibilità che lui non la sentisse. In quel caso poteva fingere di essersi sbagliato e tornare in quel limbo di ignoranza che si era ritagliato nel corso degli anni. Sarebbe stato modo legittimo per continuare ad ingannare se stesso e gli altri.
Ma capì che era una speranza vana quando cominciarono a esibirsi e Uraraka cantò i primi versi come solista, a cui solo successivamente si unirono gli altri. Era logico che anche la seconda strofa sarebbe cominciata con un solista e Bakugou aveva la sensazione di sapere chi sarebbe stato a cantarla.
Izuku aveva una bellissima voce. Questo Katsuki lo sapeva benissimo.
Prese un profondo respiro quando terminò la prima strofa ma non chiuse gli occhi. Se questo doveva essere la fine dell’incertezza, Bakugou voleva assistere al momento esatto in cui le porte dell’inferno si sarebbero spalancate al suono della sua Voce. Deku fece un passo avanti. Katsuki poteva vedere che era teso e per un istante sperò, scioccamente, che la sua voce non tremasse. Prese fiato.
Fu come tuffarsi in acqua. La sensazione di galleggiare, quel cambio improvviso di gravità che fa sembrare braccia e gambe fin troppo leggere. L’aria bloccata nei polmoni, un silenzio ovattato.
E in quel silenzio, la sua Voce.
Era esattamente come quella che cantava per lui ogni notte. Lo stesso tono, la stessa cadenza. La sua anima l’aveva riconosciuta alla prima nota, la melodia della propria metà perduta, e anche se non era la loro canzone essa portava con sé la rassicurazione di un abbraccio, la dolcezza malinconica di un sorriso. Aveva persino un odore: quello dell’erba umida del primo mattino.
Altre voci si unirono a Midoriya dopo i primi due versi ma l’unica voce che Katsuki sentiva era quella di Izuku. Non si accorse nemmeno di stare piangendo finché il numero non fu finito e insieme al silenzio tornò anche la coscienza di dove si trovasse. Deglutì il nodo alla gola e si coprì gli occhi con una mano fra gli applausi e il tifo sfegatato del resto della classe.
« Dovresti dirglielo, » gli disse Kirishima, l’unico dei suoi compagni di classe a essere rimasto seduto. Probabilmente aveva assistito come osservatore esterno alla sua epifania interiore e, logicamente, aveva capito subito chi fosse il possessore della Voce di Bakugou.
« Non devo fare proprio un cazzo, » rispose però Katsuki, scontroso. « Non impicciarti in cose che non ti riguardano. »
Kirishima sospirò, sistemandosi meglio nella poltroncina. « Non lo farò. Ma tenerlo segreto non può essere giusto. »
Bakugou si asciugò le guance con un gesto veloce, ritrovando almeno esternamente la calma che aveva perso.
« Fidati. È meglio per tutti. »
Da quel momento, a Bakugou sembrò di stare in una bolla. Non riusciva a mantenere la concentrazione su un argomento, o a prestare abbastanza attenzione da intrattenere una conversazione. Non aveva capito se la classe aveva vinto o meno la gara, non aveva ascoltato nemmeno una delle parole che All Might aveva detto a tutti loro prima di lasciare il party, non aveva mangiato nemmeno uno dei dolcetti che Ashido gli aveva messo fra le mani. Qualsiasi cosa sembrava accadere su un altro piano di esistenza rispetto al suo e lui semplicemente guardava le cose succedere senza reagirvi. Più e più volte Kaminari aveva cercato di includerlo nella conversazione ma lui semplicemente annuiva senza davvero capire e passava il resto del tempo a fissare un punto qualsiasi in lontananza, come se avesse il cervello zeppo di ovatta.
Non sapeva cosa gli stava succedendo, non sapeva se era una reazione normale e non sapere niente di tutto ciò lo stava facendo diventare matto.
Con l’avvicinarsi del tramonto, Bakugou ne ebbe semplicemente abbastanza. Ormai la scuola era finita, aveva presenziato alla festa quanto bastava e l’ultima cosa che voleva in quel momento era interagire con Kirishima, il cui sguardo sembrava settato su “pietà” dalla competizione del primo pomeriggio. Ne aveva abbastanza.
Recuperò il suo borsone dalla hall del dormitorio, si chiuse la zip del giubbotto e si incamminò verso l’uscita della U.A., diretto alla stazione. Due settimane di vancaza lo avrebbero aiutato a ritrovare l’equilibrio che aveva perso dentro quell’auditorium e, al ritorno, sarebbe tornato tutto come prima. Semplice.
Invece no.
« Kacchan! »
Bakugou si fermò istintivamente, maledicendosi subito dopo per averlo fatto. Il solo pensare a Midoriya gli chiudeva lo stomaco in una morsa e più il ragazzo si avvicinava, più Katsuki desiderava avere un Quirk di teletrasporto – o, in alternativa, fare esplodere qualcosa il più violentemente possibile.
No, contare non serviva proprio a un cazzo.
Non rispose al richiamo, nemmeno quando Izuku lo raggiunse e si fermò a qualche passo da lui. Poteva sentire la sua titubanza senza nemmeno il bisogno di girarsi a guardarlo ma Katsuki non era un indivino e di certo non aveva nessuna voglia di aspettare che la timidezza di Midoriya si facesse da parte e gli lasciasse dire qualsiasi cosa per cui lo aveva fermato.
« Allora?! » sbottò. Deku sobbalzò violentemente allo scatto improvviso, ma almeno prese coraggio per cominciare a parlare.
« I-Io... lo so che ti sembrerà una cosa s-strana, Kacchan, ma... » balbettò. Katsuki raccolse tutto il coraggio che aveva dentro di sé e si girò a guardarlo.
Dovette sforzarsi per continuare a respirare. Era come se la sola figura di Midoriya adesso fosse cambiata, in un certo senso, anche se era rimasto esattamente uguale al giorno prima. C’era solo un... qualcosa.
Bakugou si chiese se sarebbe stato sempre così, d’ora in poi. Se il solo guardare Izuku gli avrebbe mandato in pappa il cervello. Se si sarebbe mai abituato a quella sensazione che non sapeva descrivere e che tantomeno capiva. Se avrebbe potuto ignorarla, prima o poi, e tornare a vivere la vita che aveva sempre desiderato e che pianificava di ottenere da quando andava all’asilo.
Una vita in cui Izuku Midoriya non era incluso.
« Prima di Natale, stupido NERD! » sbottò di nuovo, Deku sobbalzò di nuovo.
« E-ecco... potresti... c-cantare, per me...? » gli chiese, le orecchie e le guance rosse come pomodori e la postura di chi si aspetta come minimo un rifiuto, al peggio un gancio destro.
Katsuki rimase del tutto scioccato. Immobile. Poteva sentire il battito del proprio cuore nelle orecchie, assordante come un tamburo. A bocca spalancata, guardava Izuku come se gli fossero appena spuntate altre due teste.
« Cosa cazzo hai appena detto? » credette di pensare, ma le parole gli uscirono di bocca per davvero.
Izuku si morse il labbro e abbassò lo sguardo, senza rispondere.
Era serio. Non lo stava prendendo per il culo.
No... no! Non aveva mai detto niente! Non aveva mai nemmeno chiesto, in tutti quegli anni! Katsuki sentiva la voce di Izuku nella testa da tutta la sua vita, com’era possibile che Deku non ne avesse mai fatto parola?
Bakugou era ormai nel pallone. Troppi pensieri gli vorticavano in testa, in coda a quella strana sensazione di spaesamento che aveva sopportato per tutto il pomeriggio, e reagì come solo Katsuki Bakugou poteva reagire. Il che, col senno di poi, fu la scelta peggiore che potesse prendere.
Allungò la mano, fulminea, verso Izuku e afferrò il colletto del suo maglione bianco, attirandolo a sé finché la distanza fra di loro non si ridusse a pochi centimetri. Izuku emise un verso strozzato, per sorpresa o per paura Katsuki non seppe dirlo, ma non ebbe il coraggio di incrociare lo sguardo dell’amico d’infanzia. Quel sentimento di sfida che Deku aveva trovato da quando erano studenti della U.A. erano completamente spariti e Bakugou si rese conto che invece che fare un passo avanti ne avevano fatti quattro indietro; l’Izuku Midoriya che si trovava davanti in quel momento non era il successore scelto da All Might, il ragazzino senza Quirk che per realizzare il suo sogno aveva reso realtà l’impossibile. No, quello che aveva davanti era l’Izuku Midoriya delle scuole medie, un essere umano inutile e fastidiosamente patetico.
« Mi fai schifo. Non voglio mai più vedere la tua faccia. »
Bakugou si pentì di quelle parole nel momento stesso in cui le disse. Il suo orgoglio, però, gli impedì di rimangiarsele.
Qualcosa, negli occhi di Midoriya, cambiò. Si riempirono di lacrime ma lui non fece nulla per nasconderle. Allo stesso momento, qualcosa dentro Bakugou si spezzò. Sentì come un fastidioso fischio alle orecchie e una lieve ondata di nausea che però passò subito. Fece schioccare la lingua e lasciò Deku, spingendolo via da sé.
Katsuki si chinò per afferrare il borsone e, senza dire niente, si voltò e se ne andò.
P a r t e S e c o n d a
k o e n o k a t a c h i
k o e n o k a t a c h i
Non se ne accorse prima della terza notte.
Il primo giorno di vacanza si svegliò a mezzogiorno. Non era mai stato un tipo mattiniero. Sua madre diceva sempre che un cambiamento così drastico dei suoi orari di sonno e veglia non faceva bene al suo fisico, ma Katsuki la ignorava puntualmente.
Quella mattina, però, si sentiva stranamente frastornato. Aveva dormito per undici ore ma non si sentiva per nulla riposato. Cominciò a pensare che sua madre avesse ragione.
Essendo festa nazionale i suoi genitori erano a casa dal lavoro. Per quell’anno avevano organizzato una piccola gita di tre giorni dai genitori di Mitsuki, che abitavano fuori città, e Katsuki non vedeva l’ora. I suoi nonni vivevano in una zona perfetta per il trekking e, inoltre, allontanarsi fisicamente da Izuku Midoriya avrebbe sicuramente giovato ai suoi nervi.
Passò il resto della giornata a guardare la TV e a prepararsi per il viaggio. Ad un certo punto la sensazione di stanchezza era passata e lui aveva smesso di pensarci. La mattina dopo sarebbero partiti presto dunque, verso le dieci di sera, spense il computer e andò a dormire. Nonostante non avesse sonno di addormentò subito come un sasso.
La mattina successiva non sentì la sveglia. Fu sua madre a svegliarlo, con un urlo, dalla porta della sua camera, intimandogli di vestirsi in fretta o avrebbe potuto dire addio alla colazione.
Seccato, Katsuki afferrò malamente il cellulare, sbloccando lo schermo. L’orologio segnava quaranta minuti dopo l’orario in cui si sarebbe dovuto svegliare e, soprattutto, elencava le cinque volte in cui la sveglia aveva suonato e che lui, evidentemente, non aveva sentito.
Non era mai successo. A volte lo svegliava persino la suoneria delle mail ricevute, che consisteva in un singolo “ping”. Era impossibile che il suo cellulare avesse suonato per ben cinque volte e lui lo avesse totalmente ignorato.
Emettendo un basso ringhio, Kastuki gettò l’apparecchio sulla coperta e fece per alzarsi. Dovette subito risedersi, però, a causa di un improvviso capogiro; la sensazione del giorno precedente tornò con prepotenza e Bakugou dovette chiudere gli occhi per qualche secondo.
Questa volta non durò molto. Sì e no qualche minuto in cui sembrò che i suoi pensieri fossero rallentati, come una scena di un film in slow motion. Riaprì gli occhi solo quando fu sicuro che il mondo avesse smesso di muoversi e cominciò la propria giornata con un’irritazione di fondo mista a una vaga preoccupazione.
Non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo. A pensarci bene, provava sintomi simili a quando aveva la febbre, ma non era quello il caso: era in perfetta salute. Inoltre, ora che quell’iniziale capogiro era passato, si sentiva improvvisamente bene.
A colazione ne parlò con sua madre. Per quanto il suo carattere e quello di Mitsuki fossero talmente simili da respingersi vicendevolmente, quando Katsuki aveva un problema la prima persona della famiglia a cui chiedeva consiglio era sua madre. Mitsuki Bakugou era una persona diretta che disprezzava gli abbellimenti e i giri di parole, e crescendo con lei Katsuki aveva imparato ad apprezzare la sua schiettezza (oltre ad aver assorbito molteplici tratti del carattere della donna). Masaru, un uomo morigerato e molto più paziente, era un ottimo ascoltatore ma lasciava volentieri i consigli pratici alla moglie.
« Probabilmente è solo stanchezza, » aveva risposto la donna sulla propria tazza di caffè. « Alla U.A. non vi fermate mai un attimo. »
« Sono d’accordo con tua madre, » aggiunse Masaru sfogliando il giornale. « Cambiare aria ti farà bene. »
Katsuki non riusciva a togliersi dalla testa che quello non fosse un problema da sottovalutare ma non insistette più di tanto sulla questione. Forse i suoi genitori avevano ragione e lui stava prestando troppa attenzione a una frivolezza. Forse era davvero il suo corpo che si abituava a lunghi momenti di pausa dopo mesi di continui allenamenti e lezioni alla U.A. Oppure era semplicemente una reazione allo stress acuto dell’ultimo periodo – principalmente delle ultime quarantotto ore.
Si autoconvinse che fosse quello il caso e, prima delle nove del mattino, lui e i suoi genitori erano già in auto, diretti dai nonni materni. Katsuki si sistemò le cuffie sulle orecchie e fece partire la riproduzione dal cellulare, osservando il panorama scorrere fuori dal finestrino. Fra una canzone e l’altra poteva sentire i suoi genitori chiacchierare sui sedili davanti e, cullato da quello stralcio di vita famigliare, chiuse gli occhi e si addormentò.
Si risvegliò solamente quando la machina rallentò e svoltò all’interno del vialetto di casa dei suoi nonni. La riproduzione musicale dal suo cellulare era finita da un pezzo e Katsuki aggrottò le sopracciglia, confuso. Non era mai successo che si addormentasse in macchina – avendo un sonno leggero per lui dormire su di un mezzo in movimento era quasi impossibile – per di più si sentiva la lingua impastata e la gola secca, quasi come se avesse respirato a bocca aperta per tutto il tempo. La sensazione del mattino era tornata a tutta forza e quando i suoi genitori scesero dall’auto per salutare i nonni, Katsuki dovette aspettare qualche secondo in più prima di seguirne l’esempio e aprire la portiera.
Di nuovo, ebbe la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato. Di nuovo, non seppe dove puntare il dito per individuare quale fosse il problema.
La casa dei genitori di Mitsuki era una villetta indipendente in una piccola cittadina in collina. Aveva un’architettura tradizionale ma era arredata in stile occidentale; tutte le stanze avevano mobili funzionali e tende ricamate ma i corridoi erano in legno scuro e tutte le stanze avevano gli shoji. La maggior parte degli abitanti era agricoltore o discendeva da una famiglia di contadini e il padre di Mitsuki non differiva dalla massa. Tuttavia i nonni di Katsuki erano entrambi persone molto intelligenti, con caratteri forti e assertivi.
Bakugou passava almeno quindici giorni ogni estate a casa dei suoi nonni, dunque aveva una propria stanza. Era quella con lo stile più classico di tutta la casa, con il tatami sul pavimento e un futon come letto, ma a lui non era mai dispiaciuta.
Negli anni aveva appeso e appiccicato talmente tante cose alle pareti che si sarebbero potute leggere come un libro. Figurine di ogni tipo e poster di Heroes, fotografie della sua famiglia o di vari posti che aveva scoperto durante le sue passeggiate in montagna... C’erano tantissime storie sui muri di quella stanza e Bakugou se le ricordava tutte quante.
Compresa l’unica foto sua e di Deku che si era concesso di tenere.
Contrariamente a tutte le altre, attaccate alle pareti con scotch o puntine, quella era l’unica incorniciata. era stata scattata all’asilo, poco prima che Katsuki sviluppasse il suo Quirk – e sentisse per la prima volta la sua Voce. Sua madre l’aveva posizionata sulla cassettiera poco tempo dopo averla scattata e da allora, nonostante tutto quello che era successo fra lui e Izuku, Katsuki non l’aveva mai tolta.
Fu osservando quella fotografia, poco più di dieci anni dopo averla scattata, che Bakugou capì l’origine di quella strana sensazione che lo perseguitava.
Da due giorni non sentiva più la propria Voce prima di addormentarsi.
Il panico prese il sopravvento per qualche secondo. Successivamente, fu il rifiuto a prendere il sopravvento.
Sicuramente si era sbagliato. Era andato a letto esausto entrambe le notti, poteva essersi semplicemente dimenticato di averla sentita, oppure averla ignorata per via degli avvenimenti dell’ultimo giorno di scuola.
Il giorno in cui aveva rifiutato Deku.
Una strana agitazione si impossessò di lui dopo quel pensiero. Si precipitò verso lo zaino e ne estrasse il laptop, lanciando subito una ricerca in Rete. Già i primi risultati confermarono ciò che stava pensando.
L’ipersonnia, la spossatezza, quella sensazione di malessere... erano tutti sintomi di un Legame rifiutato.
Il Legame era ciò che si stabiliva fra due Anime Gemelle che riconoscevano di appartenersi l’un l’altra. Accettando questa consapevolezza formavano un Legame: una connessione indissolubile che connetteva le loro due anime per il resto della loro vita.
Ce n’erano di diversi tipi. Non sempre le Anime Gemelle formavano Legami di tipo romantico; alcuni diventavano come fratelli non-di-sague, condividendo un Legame di profonda e sincera amicizia. Capitava, infatti, che a sentire la rispettiva Voce fossero coppie di fratelli o sorelle consanguinei, oppure persone con una grande differenza d’età. Qualunque fosse la loro forma, i Legami erano sacri per le Anime Gemelle, protetti con le unghie e con i denti. In pochi avevano osato rifiutarne uno.
Evidentemente, Katsuki era uno di questi ultimi.
Rimase in silenzio ad osservare lo schermo, leggendo e rileggendo gli stessi due capoversi senza davvero capirli.
Aveva sentimenti contrastanti in merito a ciò che era successo, a come si erano sviluppate le cose fra lui e Izuku. Mai prima d’ora si era domandato come fossero passati dall’essere amici al detestarsi così tanto. Per quanto si impegnasse, non riusciva a trovare un evento responsabile del deteriorarsi della loro amicizia, marcita sotto i loro occhi senza che nessuno dei due fosse intervenuto per salvarla.
Forse per la prima volta in dieci anni, si chiese per quale motivo odiasse così tanto Deku.
Durante la cena di quella sera, suo nonno gli chiese come mai fosse così silenzioso. Katsuki era rimasto perso nei propri pensieri per buona parte della serata e il resto l’aveva passata combattendo un furioso mal di testa a colpi di incrollabile forza di volontà. Il tutto senza arrivare ad una conclusione che si potesse definire tale.
Il problema, aveva capito, era che si sentiva come un pesce fuori dall’acqua. Fino a quel momento aveva dedicato ogni suo singolo sforzo a se stesso – al suo scopo di entrare alla U.A. per diventare l’Hero numero uno – e non aveva mai pensato che all’interno di quel riquadro potesse entrare qualcun altro, nemmeno quando la sua Voce lo prendeva per mano prima di addormentarsi. Aveva sempre saputo che quella Voce era Deku ma, nonostante tutto, non lo aveva mai inserito come variabile nell’equazione della sua vita.
Adesso non ne era più sicuro.
Katsuki si alzò dal tavolo prima della fine della cena, usando come scusa il dolore gli faceva pulsare fastidiosamente le tempie. Si sentiva esausto, nonostante avesse dormito un paio d’ore anche prima di cena, e probabilmente la sua faccia parlava da sé dato che i suoi parenti non dissero nulla e gli consigliarono di andare a letto presto e farsi una bella dormita.
Chissà perché, Bakugou non era convinto che fosse ciò di cui aveva bisogno.
Tornò in camera sua e lo sguardo gli cadde di nuovo sulla fotografia. Era impossibile per lui ignorarla, ora. Una parte di lui voleva afferrarla e lanciarla contro il muro, l’altra desiderava nasconderla e dimenticarsene. Nel dubbio, essa rimaneva dov’era sempre stata.
Katsuki non era un codardo. Non amava nascondersi dietro le indecisioni e perdere tempo nell’attesa che un problema si risolvesse da solo. Per quanto i suoi pensieri fossero confusi e non sapesse dare un nome a metà dei sentimenti che lo tormentavano, non avrebbe risolto niente senza parlare con il diretto interessato.
La risposta giaceva con Deku.
Si sedette sul futon e afferrò il cellulare, aprendo una conversazione privata con Izuku. Per anni aveva letto messaggi di Deku solo nella chat comune della 1-A e mai aveva avuto la necessità di aprirne una in cui gli interlocutori fossero solo loro due. Ora che ce l’aveva sotto mano, però, scrivere il primo messaggio sembrava la cosa più difficile del mondo.
E il fatto che lo fosse lo faceva incazzare.
Imprecò, chiudendo tutto e gettando il telefono dall’altra parte della stanza. Aspettò qualche minuto e poi si alzò, recuperando il cellulare e riaprendo la chat con Midoriya appena chiusa.
Esitò con le dita sui caratteri, di nuovo indeciso su come cominciare. Era meglio salutare? Riportare semplicemente il messaggio senza superflue cortesie? Scrisse una frase ma sembrava troppo una pretesa, dunque la cancellò subito. La riscrisse in modo che sembrasse una proposta. Non suonava giusta nemmeno così. Forse era meglio chiedere e basta.
Per quale cazzo di motivo era così difficile?!
Alla fine optò per un messaggio semplice e conciso. “Deku, dobbiamo parlare.” Perfetto.
Lo inviò.
Per un po’ rimase a guardare la chat, rileggendo quei pochi kanji in continuazione.
Non si era firmato, si accorse. Doveva firmarsi? Izuku aveva il suo contatto e, anche se fosse, il sul profilo era visibile con un tocco. Deku non---
Scosse la testa con un ringhio, imprecando fra i denti. Non era lui quello paranoico. Gettò di nuovo il telefono sulla coperta e si distese, chiudendo gli occhi. Ma il suo telefono non squillò e l’ansia della risposta che non arrivava rimontò con forza. Ringhiando, afferrò il cellulare.
Il messaggio era stato letto ma Izuku non aveva risposto.
Bakugou non seppe se sentirsi prima inviperito o preoccupato. Nell’indecisione sputò l’ennesimo insulto e si mise a digitare furiosamente.
> Non ignorarmi, dannazione!
> Se mi prendo la briga di scriverti è perché è importante!
> Non costringermi a chiamarti. Non mi piace parlare al telefono.
> Deku?!
Ma tutti i suoi tentativi non ricevettero risposta. I messaggi venivano visualizzati istantaneamente, come se Izuku stesse aspettando con la conversazione aperta sullo schermo, ma oltre a ciò non fece nient’altro.
Alla fine, Bakugou gettò di nuovo il telefono dall’altro lato della stanza. Fu quello il momento in cui sua madre entrò nella stanza, bussando sullo stipite dello shoji e facendolo scivolare di lato. Le bastò un’occhiata per capire l’umore del figlio e, senza dir nulla, chiuse la porta dietro di sé e si sedette alla sedia della scrivania.
« Vuoi dirmi cosa accidenti succede? » domandò al figlio.
Katsuki inizialmente non rispose. Lui e sua madre parlavano raramente della sua Voce, dato che era un argomento scomodo per entrambi. Le Voci, come i Quirk, erano in gran parte ereditarie e nel caso di Katsuki la linea genetica della madre aveva contribuito su entrambi i fronti. Mitsuki aveva avuto un’Anima Gemella quand’era giovane, un Legame di sorellanza con una sua compagna di classe del liceo. Un Legame che si era interrotto dieci anni più tardi a causa di un malaugurato incidente d’auto.
Mitsuki era sempre stata molto riservata riguardo alla propria Anima Gemella, anche quando Katsuki aveva attraversato la sua fase di curiosità a riguardo e l’aveva sommersa di domande. Le sue risposte erano state sempre molto ambigue e, nel tempo, Katsuki aveva capito il perché: per quanto fosse rassicurante sapere che ci fosse qualcuno, da qualche parte, fatto apposta per lui, Mistuki aveva provato sulla propria pelle cosa significasse perdere questo qualcuno e l’aveva ferita talmente in profondità da non riuscire nemmeno a gioire della felicità del figlio.
Così, quando Katsuki aveva deciso di non parlare mai più della propria Voce, Mitsuki lo aveva assecondato. Ma le questioni irrisolte non possono essere seppellite per sempre ed entrambi sapevano che questo giorno sarebbe arrivato, prima o poi.
Katsuki deglutì a vuoto prima di parlare. « L’ho trovato » disse.
« La tua Anima Gemella? » domandò la madre.
Katsuki annuì. « Midoriya. »
« Izuku? » chiese la donna. Katsuki annuì di nuovo.
« Una fottuta gara di canto a scuola » spiegò il ragazzo, senza bisogno che la madre chiedesse niente. « L’ho sempre saputo. Ne ho avuto la conferma. »
Mitsuki rimase in un silenzio contemplativo per qualche istante. « Lui lo sa? »
Katsuki strinse le labbra e aggrottò la fronte. Non voleva davvero inoltrarsi in questa parte del discorso, ma sua madre non gli lasciò scelta.
« Cosa diamine hai combinato, Katsuki? » Domandò lei, perentoria.
« Non lo so... » glissò lui a disagio. « Forse ho mandato a puttane tutto quanto » aggiunse poi e per la prima volta la propria voce sembrava quasi... pentita?
Sua madre inclinò appena il capo. Probabilmente anche lei aveva colto il cambio di tono del figlio. C’erano molte cose che lei non sapeva della piega che la relazione fra lui e Midoriya aveva preso durante gli anni, dato che Katsuki aveva spesso e volentieri evitato di rispondere alle domande della madre che riguardavano Izuku. Eventualmente, quando Deku aveva smesso di venire a casa sua a giocare, Mitsuki aveva smesso di domandare.
Bakugou stava cominciando a rendersi conto di quante cose importanti lui e sua madre avevano passato sotto silenzio nel corso degli anni. Se sua madre avesse saputo a che punto era finita la sua “amicizia” con Izuku, probabilmente non avrebbe mantenuto la calma in quel momento. Se Katsuki avesse saputo cosa si provava allo spezzarsi di un Legame, probabilmente non lo avrebbe rifiutato su due piedi come invece aveva fatto due giorni prima.
« Hai provato a contattarlo? » domandò lei.
Katsuki schioccò le labbra, seccato. « Non vuole rispondermi » ammise.
Si aspettava qualche consiglio vuoto, in realtà. Nessuno era mai stato davvero bravo a capire ciò che Katsuki voleva sentirsi dire. Tutte le persone che cercavano di consolarlo finivano per dargli consigli inutili e ripetitivi che lui dimenticava nell’istate stesso in cui venivano dispensati.
Sua madre però lo colse letteralmente alla sprovvista.
« Io non credo che tu e Izuku siate ancora amici » disse la donna. « Anzi, credo che nessuno dei due conosca l’altro più di quanto conosca la punta del proprio naso. »
Katsuki si girò di scatto verso di lei, fissandola con la bocca aperta.
« Non fare quella faccia da idiota. Una madre sa molte cose » affermò, prima di continuare: « sapevo che Izuku era la tua Voce da quando andavate all’asilo. Non facevi altro che trascinartelo dietro, anche quando cominciasti a prenderlo in giro e gli affibbiasti quel nomignolo. Izuku era debole e indifeso rispetto a te ma tu non uscivi di casa se lui non c’era. Non ci vuole una cazzo di laurea per arrivarci. »
Bakugou non riuscì a dire una parola. Sua madre sapeva tutto persino da prima che lui ne prendesse piena coscienza. Non la interruppe quando fece per continuare.
« Poi smettesti di cercarlo. Smettesti di parlarne. All’inizio pensavo che fosse un normale litigio fra ragazzini e che si sarebbe risolta con il tempo. Ma non è stato così, dico bene? Io ti conosco figlio mio, e sono ben consapevole del carattere di merda che ti ritrovi. »
« Cosa cazzo dici, megera?! » sbottò Katstuki.
« Tappati la bocca! » sbottò di rimando sua madre. « Pensi che Inko Midoriya fosse cieca? Che non si accorgesse dei segni di bruciatura che gli lasciavi addosso? Izuku non ha mai detto una parola contro di te a sua madre ma era chiaro da come si comportava che la vostra aveva smesso da molto tempo di essere amicizia » disse, guardando il figlio dritto negli occhi. « Hai maltrattato quel ragazzino per dieci anni e adesso ti arrabbi perché non risponde ai tuoi messaggi? Hai una bella faccia tosta, figlio mio, lasciatelo dire. Se fossi stata in lui avrei smesso di parlarti da parecchio tempo. »
Chiunque l’avrebbe fatto, pensò Katsuki, ma non Deku. Midoriya aveva continuato a salutarlo ogni mattina quando arrivava a scuola e ogni sera quando se ne andava. Era talmente spaventato che tremava anche solo se Katsuki lo guardava ma stirava comunque le labbra in un tremulo sorriso. Non si arrendeva mai, mai, e quell’atteggiamento aveva irritato Bakugou giorno dopo giorno sempre di più finché non era scoppiato una, due, tre volte. Izuku che era Senza Quirk e che non sentiva la sua Voce – la voce di Katsuki – quando andava a dormire la sera e questa consapevolezza era ciò che, insieme a quell’atteggiamento pieno di speranza e al suo essere puro e buono d’animo, gli faceva rizzare i peli sulle braccia dalla voglia di spaccargli la faccia a suon di cazzotti e urlargli contro di stare al suo posto e lasciar fare agli altri.
Izuku che era più eroe nel suo dito indice di tutte le persone che conosceva e che rincorreva a testa bassa un futuro che aveva cambiato con le sue stesse mani.
« So che dentro di te, in un qualche modo distorto, ti importa di lui » disse sua madre.
Katsuki si chiese quando era passato dal volerlo proteggere al volerlo sottomettere.
« Devi solo dimostrarglielo. »
Katsuki deglutì il nodo che gli si era formato in gola. « Come? » domandò alla donna, gli occhi basso sul cellulare che non dava segni di vita. « Non vuole ascoltarmi. »
« Mi sembra che tu sia molto bravo ad alzare la voce » rispose Mitsuki. « Non arrenderti. Mio figlio non si arrende. »
Katsuki la osservò in silenzio mentre si alzava dalla sedia della scrivania e usciva dalla stanza, lasciandolo solo. Forse sua madre non era la persona adatta per consolare le persone, ma di certo era una delle due persone al mondo in grado di dire a Bakugou ciò che aveva bisogno di sentirsi dire.
L’altra, era Izuku Midoriya.
Katsuki prese un profondo respiro. Recuperò il telefono e sbloccò lo schermo. La chat con Izuku era ancora aperta, in attesa di una risposta che non arrivava.
Bakugou digitò qualcos’altro prima di chiuderla definitivamente e spegnere la luce.
> Sappi che non mi arrendo.
Si addormentò in fretta, complice una giornata pesante sotto molti punti di vista. La confusione che aveva in testa non era diminuita nemmeno di un po’ ma almeno adesso aveva una strada da percorrere per cercare di mettere ordine nel caos che si era scatenato nelle ultime quarantotto ore.
Nonostante la stanchezza, però, fu consapevole dell’opprimente silenzio che riempiva il suo dormiveglia.
E della voce che pensava di odiare ma di cui invece aveva nostalgia.
Il giorno di Natale, Katsuki si svegliò presto. Restare sveglio abbastanza a lungo da scendere dal letto e vestirsi fu difficile, ma ancora di più fu liberarsi di quell’insopportabile mal di testa. Se possibile, stava peggio del giorno precedente.
Si chiese se anche Deku si sentiva così.
Fece una colazione abbondante poi preparò una piccola borsa con il necessario per tornare a casa. Il piano originale era di tornare il giorno successivo insieme ai suoi genitori ma Katsuki non aveva tempo da perdere. Chiese scusa ai nonni, spiegando a grandi lettere la situazione, si avvolse nel cappotto e uscì di casa a piedi, diretto verso la fermata dell’autobus. Contando l’autobus e due treni, sarebbe arrivato in città poco dopo mezzogiorno. Aveva abbastanza tempo per andare a casa, mangiare qualcosa e poi piombare a casa dei Midoriya il giorno di Natale senza la minima spiegazione plausibile, se non quella di dover parlare con Deku.
Un piano perfetto, pensò sarcasticamente.
Prese l’autobus senza problemi ma a metà del tragitto cominciò a nevicare. Ormai non capitava più tanto spesso, dato il clima sempre più mite, e nonostante a Katsuki piacesse la neve quello era il momento peggiore per una nevicata. I trasporti giapponesi erano impeccabili nella loro puntualità, ma la neve forniva un ritardo più che giustificabile. Questioni di sicurezza.
Come se lo avesse predetto con un Quirk di chiaroveggenza, successe esattamente ciò che aveva temuto. A causa del ghiaccio sui binari, il treno su cui era riuscito a salire cominciò ad accumulare del ritardo.
Più o meno alla stessa velocità con cui Bakugou cominciò ad accumulare imprecazioni.
I mezzi di trasporto erano sempre stati una tragedia per lui, soprattutto nei viaggi lunghi: si annoiava e, complice un sedile comodo e il climatizzatore, si addormentava puntualmente. Nelle condizioni in cui si trovava adesso non poteva permettersi di addormentarsi – aveva seriamente il timore che non sarebbe riuscito a svegliarsi in tempo per la propria fermata – così aveva preso la decisione di fare tutto il viaggio in piedi, indipendentemente dai molteplici posti liberi. Dopo ore in piedi con il treno che si muoveva a singhiozzo, Katsuki aveva accumulato talmente tanto stress che persino le gambe doloranti non riuscivano a distrarlo dalla litania di parolacce chi ripeteva sottovoce, giusto per tenersi impegnato.
Dopo quattro ore di ritardo, una fermata d’emergenza in una stazione di periferia e altre tre ore di viaggio a singhiozzo, Bakugou riuscì finalmente a tornare in città. Uscì dalla stazione con la stessa stanchezza che avrebbe avuto se avesse fatto l’intero tragitto a piedi e, per avere una beffa oltre al danno, era convinto che se avesse effettivamente camminato fino a lì sarebbe arrivato prima.
Erano ormai le cinque del pomeriggio e aveva già fatto buio. Una fitta coltre di nubi continuava a far cadere piccoli fiocchi di neve e ormai tutte le strade e i marciapiedi erano ricoperti da un sottile strato bianco. Non c’erano molte persone in giro, complice il tempo e la festività, ma le poche che incontrava erano più che altro coppiette che si godevano la neve mano nella mano.
Bakugou grugnì e si tirò su la sciarpa fino al naso. La differenza di temperatura dal vagone all’esterno gli fece venire i brividi e lui non trovò alternativa migliore se non mettersi a camminare.
Saltò la tappa che aveva programmato a casa sua. Non aveva mangiato nulla per tutto il giorno ma, ora che era finalmente sceso da quel treno, si rese conto di non avere nemmeno fame. Il viaggio lo aveva stremato ma, più di quello, la sottile ansia per ciò che stava per fare gli aveva attanagliato le viscere in una stretta fastidiosa. Non sarebbe riuscito a mangiare nemmeno sforzandosi. Non prima di avere parlato con Deku.
Il complesso di condomini in cui abitavano i Midoriya era dalla parte opposta rispetto alle villette a schiena in cui abitavano i Bakugou e, nonostante facessero parte dello stesso quartiere, Katsuki non ci andava da un sacco di tempo. Qualcosa era cambiato: le scale erano state ridipinte di un verde brillante rispetto al marrone di quando erano piccoli e gli appartamenti del quarto complesso, all’epoca in costruzione, ormai erano tutti abitati. Nel silenzio ovattato della neve che cadeva e nel buio della sera, le finestre illuminate sembravano racchiudere ognuna una storia diversa. Per un attimo si sentì uno di quei personaggi delle storie classiche occidentali, dove il personaggio solitario di turno guardava con invidia le luci delle case, desiderando il medesimo calore anche per sé.
Eccetto che la scelta di congelarsi il sedere per strada la sera di Natale era stata sua al cento per cento e non poteva biasimare nessuno.
Sospirò, sconsolato, e alzò gli occhi fino al quinto piano del secondo blocco, dove sapeva esserci l’appartamento dei Midoriya. Non poteva vederne la porta da dove si trovava ma la finestra nell’angolo, che se non ricordava male era quella della camera di Deku, era illuminata.
Izuku era in casa.
Si passò una mano ghiacciata fra i capelli tutt’altro che pettinati e fece un passo in avanti, salvo fermarsi subito dopo.
Non poteva suonare il campanello come se niente fosse. Se avesse aperto la signora Midoriya sarebbe stato imbarazzante. Soprattutto dopo le parole di sua madre sul fatto che Inko Midoriya sapesse... beh, tutto.
Katsuki trattenne un ringhio seccato ed estrasse il cellulare dalla tasca. Chiamare Deku era fuori questione, piuttosto sarebbe rimasto con il culo all’addiaccio fino al notte fonda. Un messaggio sarebbe bastato.
Aprì la conversazione privata a cui Izuku non aveva mai risposto e gli scrisse dove si trovava. Deku lesse subito il messaggio ma, come previsto, non rispose.
Esercitando un livello di pazienza solitamente estraneo al suo range emotivo, Bakugou rimase in attesa. Una persona normale avrebbe ignorato il messaggio anche solo per testardaggine, ma se c’era una cosa che Katsuki sapeva di Deku era che il ragazzo era un Buon Samaritano fatto e finito; non lo avrebbe mai lasciato ad aspettare fuori con quel freddo. Infatti, appena cinque minuti dopo, la porta dell’appartamento al quinto piano si aprì e Izuku Midoriya si affacciò al balcone.
Ci fu un lungo istante in cui i due semplicemente si guardarono. Data la distanza e la scarsa luce, Katsuki non riusciva a capire che espressione avesse Deku. Riusciva a capire solo che stava riflettendo se scendere o meno, se ascoltarlo o meno, perché analizzare la situazione fin nei minimi particolari era tipico di Izuku. Così come era tipico di Katsuki fare di ogni confronto una sfida.
Continuò a guardare Midoriya, in piedi in mezzo al marciapiede innevato, con le mani lungo i fianchi e senza muoversi. Quasi a provocarlo di scendere e affrontarlo, quando rifiutare quell’incontro sarebbe stata una sua scelta legittima.
Dopo pochi minuti di contemplazione – che sembrarono molto più lunghi – Midoriya scese i cinque piani di scale che lo separavano dal cortile e camminò lentamente fino alla strada, fermandosi a qualche passo da Bakugou. Non indossava il cappotto, soltanto una pesante giacca di lana che si teneva chiusa sulla gola, e Katsuki riusciva a vedere le sue spalle tremare, probabilmente per il freddo. Aveva le occhiaie, scure e profonde sotto un paio d’occhi gonfi e rossi, e l’espressione distrutta di chi non dorme bene. I capelli, più spettinati del solito, erano tenuti lontano dalla fronte da un elastico nero e le sue mani erano macchiate d’inchiostro sul mignolo e lungo tutto il dorso esterno. Bakugou lo conosceva abbastanza da sapere cosa stesse facendo prima del suo messaggio: di sicuro stava scrivendo uno di quei suoi quaderni pieni di analisi di Heroes famosi. Il pensiero di avere ragione gli incurvò l’angolo delle labbra.
Sorrisetto che Izuku notò ma che non colse correttamente. Aggrottò la fronte a quella vista, pensieroso, poi la sua espressione si indurì e si chiuse completamente. Nel silenzio attonito di Bakugou il ragazzo fece retro-front e fece per tornare verso il proprio appartamento.
« Deku, aspetta! » esclamò Katsuki senza nemmeno pensarci, coprendo la distanza che li separava in due falcate e afferrando Midoriya per il gomito.
Izuku si fermò ma non si voltò a guardarlo. Si limitò a fissare la mano di Bakugou sul proprio braccio finché non lo lasciò andare. Katsuki si aspettava quasi che riprendesse la marcia verso le scale ma non successe.
Non aveva la minima idea di cosa dirgli. Era difficile trovare il modo di iniziare una conversazione quando per anni non avevano avuto nulla di neanche vagamente simile a un dialogo civile. Era sempre stato Deku il primo a parlare. Ora doveva farlo lui, perché era ovvio che Izuku non avrebbe aperto bocca, ma si trovava a corto di cose da dirgli.
O forse, ne voleva dire talmente tante che non sapeva da dove iniziare.
Decise che affrontare il problema più recente poteva essere un buon punto di partenza.
« Non volevo dire quello che ho detto » ammise a denti stretti. Si stava vergognando, in piedi in mezzo al freddo a dire cose che lo facevano sembrare un cretino, e nonostante volesse essere ovunque tranne che lì era consapevole che quella era stata una sua scelta e, dannazione, l’avrebbe portata fino in fondo.
Izuku non rispose ma lo osservò da sopra la spalla. Aveva la sua attenzione, era già qualcosa.
« Ero... ah, porca puttana... ero arrabbiato. E confuso. Non ho pensato a quello che dicevo prima di aprire bocca » ammise. Era la cosa più vicina a un “mi dispiace” che potesse tirar fuori in quel momento.
« Va bene, Kacchan. Non fa niente » fu l’unica risposta che gli diede Izuku, detta a voce bassa con le spalle ancora girate. Sembrava più un’estorsione che un vero perdono e la pazienza già fragile di Katsuki precipitò a zero in un colpo solo.
« Cosa cazzo vuol dire “non fa niente”?! » sbottò, innervosito. Izuku sobbalzò ma ancora non si voltò, continuando a dargli le spalle. « Guardami in faccia quando ti parlo! » esclamò dunque, afferrando Izuku per la spalla e strattonandolo per farlo girare verso di sé.
Gli occhi di Deku erano pieni di lacrime. Era sempre stato un ragazzo prono al pianto, tanto che Katsuki lo aveva preso in giro spesso e volentieri quando erano piccoli, ma in realtà la sua reazione era dovuta in buona parte al nervosismo. Per alcune persone era una naturale reazione allo stress.
Non lo era, tuttavia, il lampo di paura che gli attraversò gli occhi. Paura che non se ne era andata nonostante la U.A. e la crescente voglia di Midoriya di essere un suo rivale. Ma per Izuku la presenza di spirito era un ragionamento più che un istinto e quando Bakugou alzava la voce, o aveva una delle sue reazioni violente, il primo impulso che aveva era quello di proteggersi.
Le parole di sua madre pesarono come macigni davanti a quello sguardo.
Bakugou distolse lo sguardo, stringendo i denti e cercando di contenersi. Così come Midoriya si sforzava di non essere più il ragazzino indifeso vittima delle angherie altrui, anche Bakugou stava cercando il suo baricentro, la via di mezzo fra una sana competitività e una rabbia immotivata. Prese un respiro profondo e, quando si fu calmato, tornò a guardare Midoriya.
« Mi hai chiesto di cantare » esordì poi. Izuku spalancò gli occhi per la sorpresa.
« Lo vuoi ancora? » domandò.
Midoriya si morse le labbra, indeciso. Katsuki capì in quel momento che era costato a Izuku un bel po’ di coraggio per chiederglielo la prima volta, lo stesso che ora Bakugou aveva dovuto trovare per proporglielo.
Alla fine, Deku annuì.
Katsuki cantò.
La sua voce era tremula per l’imbarazzo e tutt’altro che intonata. Il tono era troppo basso per il brano scelto – qualche verso di Silent Night, tanto per essere masochisti – e fece fatica ad arrivare alla metà della prima strofa prima che il disagio di ciò che stava facendo gli tappasse la bocca. Si sentiva le orecchie in fiamme e fu solo per pudore che si trattenne dal coprirsele con le mani, o da affondare il viso nella sciarpa.
Quando trovò la forza di rialzare lo sguardo su Izuku, il ragazzo lo stava guardando con gli occhi spalancati e le lacrime a rigargli le guance. Si teneva stretto il petto come se il cuore stesse per uscirgli fuori dal costato. Una reazione che disse a Katsuki tutto quello che desiderava sapere.
« Perché non me lo hai mai detto? » domandò Bakugou, il tono per una volta calmo (e forse un briciolo malinconico). « In tutti questi anni, perché non me lo hai detto? » ripeté.
Izuku sembrò riscuotersi a quelle parole. Tirò su con il naso e si asciugò le guance con una mano tremante. « Non lo sapevo... » disse. « Non l’ho mai sentita... la mia Voce. La t-tua voce » balbettò. « Non prima del m-mio Quirk. »
Ah... ma certo. Era logico. La capacità di sentire le Voci era una mutazione genetica, alla fine. Come i Quirk. Non per niente comparivano in contemporanea. Chi non aveva quella mutazione non poteva avere un Quirk e non poteva sentire la propria Voce.
A Katsuki venne in mente una frase sentita in televisione quando era piccolo e cercava risposte da chiunque dicesse di averle. “Tutti abbiamo un’Anima Gemella”, aveva detto l’esperto al talk show a cui stava partecipando, “ma solo chi ha la predisposizione può sentirne la Voce”.
All Might aveva dato a Izuku il proprio Quirk ma, senza saperlo, gli aveva donato anche la capacità di sentire la propria Voce. La voce di Katsuki, che non aveva sentito prima dei quattordici anni.
Lo aveva sempre incolpato di una cosa per cui non aveva nessuna colpa.
E forse... forse non era l’unica colpa che gli aveva attribuito senza motivo.
« Cazzo... » borbottò Bakugou, strofinandosi gli occhi. Era troppo stanco per tutta quella merda. La confusione che lo aveva condotto sotto casa di Izuku si era moltiplicata per cento e aveva riempito ogni angolo del suo cervello. Gli sembrava di essere davanti a un dilemma irrisolvibile.
« Mi dispiace » disse Deku, interrompendo il suo circolo vizioso di pensieri tutti uguali. « So che essere la mia... ehm, ecco... la mia A-Anima Gemella non era nei tuoi piani e... e voglio dirti che va bene, fa lo stesso. Posso f-fare finta niente perciò, ecco... »
Che accidenti sta blaterando? Si ritrovò a pensare Bakugou, ma questa volta non rimasero solo pensieri. « Che accidenti stai blaterando? » domandò ad alta voce.
« E-eh? » rispose intelligentemente Izuku.
« Questa non è mica una cosa a senso unico » disse Katsuki, muovendo l’indice fra se stesso e Midoriya. « Se io sono la tua Voce, tu sei la mia. »
L’espressione di Deku fu quella di uno che cade dal pero.
La pressione di Bakugou toccò la volta celeste.
« Come cazzo fai a non saperlo?! » sbottò, indignato.
« Non... non mi sono mai informato! »
« Ma queste sono le basi! » ribatté Katsuki. « Non ci posso credere! »
Midoriya assunse un’espressione shockata. « Q-quindi... il giorno della gara... » balbettò, diventando sempre più rosso in volto.
« Grande scoperta, Sherlock! » esclamò Katsuki, schiaffandosi una mano sulla faccia. Incredibile.
Per tutta risposta, Izuku cominciò a borbottare. Partì in sordina, attaccando una parola dietro l’altra, finché non si trasformò in una vera e propria cascata di pensieri sussurrata a cento all’ora. A quanto sembrava anche quella era una reazione di Deku allo stress, o forse un tentativo della sua mente di mettere ordine al flusso costante di informazioni che riceveva.
« Deku... Deku! » lo chiamò Katsuki, interrompendolo. « Risoluzione del problema ora, tempesta di borbottii dopo. »
« Ah. Scusa Kacchan. »
Nonostante le buone intenzioni, però, il silenzio ricadde nuovamente su di loro. Non era più teso, né triste, ma questa volta dava la sensazione di un imbarazzo viscerale. Nessuno dei due sapeva che parte iniziare e nessuno dei due sapeva come sarebbe finita. Erano stati per così tanto tempo un composto chimico volatile che trovare un equilibrio adesso sembrava impossibile.
« U-usciamo insieme. »
Per l’ennesima volta in quella settimana, Bakugou rimase senza parole. Se Midoriya non fosse stato esattamene di fronte a lui e l’unica persona presente, non avrebbe mai creduto che quelle parole fossero uscite dalla sua bocca.
Senza nemmeno guardarlo negli occhi, però, Deku continuò. « Per quanto ci riguarda, noi due siamo fermi a dieci anni fa. Eravamo amici d’infanzia, adesso siamo rivali. P-potenziali... beh. Lo sai » esitò un secondo prima di riprendere. « Abbiamo saltato troppi passaggi. Ci conosciamo da sempre, eppure siamo sconosciuti. Dobbiamo capire da che parte andare ma, prima di tutto, dobbiamo capire da dove stiamo arrivando, credo » concluse.
Riusciva a capire il discorso. Era logico e sensato. Midoriya aveva ragione e Bakugou lo sapeva e avrebbe lottato contro quell’impulso infantile che gli diceva di dargli dello stupido e fuggire via, salvandosi dall’imbarazzo. Come se frequentare Deku fosse un marchio d’infamia.
Nell’ennesima realizzazione delle ultime quarantotto ore, Katsuki si rese conto che quell’istinto primordiale che lo aveva portato a odiare Deku giorno dopo giorno aveva più a che fare con la paura che con la rabbia. E, forse, anche con un tipo di gelosia ben nascosta sotto la superbia di cui nessuno si era mai davvero accorto, Katsuki per primo.
Aveva fatto tutta quella strada per un motivo, si disse voltando le spalle al bambino prodigio che gli urlava di scappare via.
« Va bene » disse infine. « Usciamo insieme. »
Quella notte, quando finalmente Katsuki si buttò sul letto in una casa silenziosa e vuota, sognò le rovine di una torre. I mattoni erano coperti di muschio e i supporti di legno erano ormai marci. Era irrecuperabile. Ma c’erano fiori che crescevano in mezzo alle macerie, rampicanti d’edera a destreggiarsi fra la pietra. Ma la cosa più bella era il suono di una voce in lontananza, una voce conosciuta che cantava una melodia nostalgica.
Nel sogno, Bakugou chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare.
__________________________________________________________________________________________________________________
Questa doveva essere una oneshot, ma tutto mi è sfuggito di mano. Nella mia anima non posso risolvere il loro rapporto in così poco tempo, così ho deciso di allargare un po’ i miei limiti e prendermi lo spazio per svilupparla.
Alla fine, questo è diventato una lunga, prolissa introduzione.
Chiedo scusa.