Siamo arrivati? Siamo arrivati? Siamo arrivati?....
Un altro giorno di cammino, un’altra alba sopra le nostre teste,
l’aria fredda che mi penetra nelle ossa. L’incertezza dell’ignoto però non mi
spaventa, non più, non come prima, mi sento euforica. Sono finalmente libera
dalle catene invisibili che io stessa avevo forgiato, dopo aver perso il mio
angelo, il mio piccolo André. Mio figlio. Quale madre sopravvive ad un figlio? Nessuna… Non è accettabile, non è giusto. Ci annienta,
e se riusciamo a sopravvivere, diventiamo qualcosa che…
Io avevo forgiato catene. Catene indissolubili, così simili a
quelle con cui avevo incatenato i miei cari, così pesanti… così necessarie. Li
avevo usati come scudo non solo per gli erranti ma anche per gli esseri umani,
tenendomi sempre ai margini non riuscendo, non volendo mai del tutto cedere
quella parte di me inviolabile e oscura, anche con Andrea nonostante avessimo
condiviso moltissimo non mi ero aperta, mai del tutto. Con Rick e gli altri
invece a poco a poco sono tornata ad essere quella che ero, non quella che ero
dovuta diventare. Non c’era voluto molto tutto sommato, un vagito di Judith, una
gara di equilibrio con Carl spartendosi una barretta di cioccolato; Glen che
accarezza la pancia di Maggie… L’ottimismo di Beth
che è riuscita a contagiare persino Daryl… Michonne è tornata,
IO sono tornata, è stato un risveglio repentino, così di punto in bianco,
una mattina guardando fuori dalla finestra del Grady,
mi sono resa conto che ero io lo zombie in fin dei conti, ero io che arrancavo
in una non vita, credendo che fosse l’unica via percorribile. Non mi ero mai
più sbagliata di così, e ne sono incredibilmente felice, a rendermi ancora più
su di giri in questa mia rinascita, è che finalmente Rick si è deciso, e stiamo
seguendo Aaron verso quella che potrebbe diventare la nostra prossima casa. Non
sono così ingenua da credere che sarà tutto rose e fiori, infatti Rick non ha
voluto nemmeno seguire il percorso tracciato da Aaron, non fidandosi totalmente
delle sue parole, e abbiamo preso una strada alternativa. Come volevasi
dimostrare… siamo nei guai.
La strada scelta da Rick si è dimostrata fin da subito molto
accidentata, piena di buche e irta di erbacce, tronchi d’albero sparsi che ci
hanno rallentato e di parecchio, quello sarebbe stato il meno da sopportare se
non che, ad un certo punto, appena superato un ponte traballante che già ci
aveva causato molte difficoltà, il manto stradale era completamente
sconquassato e i tramezzi che l’avrebbero dovuto tenere insieme erano
arrugginiti e in alcuni punti piegati. Abbiamo dovuto procedere a passo d’uomo,
e confesso che ad ogni scricchiolio il mio cuore perdeva un battito, a pochi
metri dal ponte abbiamo trovato una vera e propria voragine al centro
dell’asfalto, la crosta si è staccata lasciando un buco di circa 3 metri di
larghezza per 4 di lunghezza e un bel mezzo metro di profondità, pieno di fango
e detriti, non ci giurerei ma mi è sembrato di vedere anche un paio di corpi in
quel putridume. Ai nostri lati c’è solo il bosco, arrancare a piedi tra gli
alberi non era di certo nei nostri piani.
-“Cazzo!”-
esclama Daryl di botto, frenando di colpo.
-“Siamo
nella merda”- rispondo guardando verso Rick, mi verrebbe quasi da urlargli:
“Perché l’hai fatta più complicata di quella che era? Bastava
fidarsi, Cristo! Non era così difficile” poi mi rendo conto dell’enormità della
parola “fidarsi” e credo che sarò indulgente. Carol mi guarda in modo complice,
entrambe abbiamo avuto lo stesso pensiero ma non è il caso di farlo sapere a
Rick. Lui infatti continua a guardarci con occhi colpevoli e io sogghignando
penso: “Ok, vicesceriffo sei nostro” faccio l’occhiolino a Carol per
sottolineare la nostra intesa e punto i miei occhi in quelli di Rick:
-“E
adesso?”-
-“Suggerirei
di trovare qualcosa come delle assi di legno per superare l’ostacolo”- a parlare è stato Eugene –“Buona idea”-
risponde Daryl e tutti si mettono in cerca, mentre
Rick, Abraham e io montiamo la guardia.
Sono passate un paio d’ore, Beth e Carol
hanno trovato erbe e bacche commestibili, Maggie si sta riposando su insistenza
di suo marito, mentre padre Gabriel si sta occupando di Judith. Glenn e gli
altri sono riusciti a trovare abbastanza supporti per permetterci di superare
la voragine senza abbandonare i nostri veicoli, che adesso rappresentano per
noi la differenza tra vivere o morire, ma siamo talmente sfiniti che per il
momento dobbiamo fermarci. Il sole impietoso batte sulle nostre fronti sudate,
la scarsità d’acqua comincia a farsi sentire, non siamo ancora in emergenza ma
poco ci manca. L’odore dell’opossum alla griglia che Daryl
ha cacciato penetra nelle mie narici, non credevo potesse essere un profumo
così allettante per il mio stomaco, ma evidentemente mi sbagliavo, in questo
momento mi sembra il piatto più succulento su cui abbia messo i denti; ci
sediamo tutti intorno al fuoco a mangiare. Per un po’ il silenzio vige sovrano
fino a che Beth su insistenza di Maggie non intona
una canzone, è Will survive di Gloria Gaynor, per un momento rimango in silenzio, ascoltando la
voce delicata di Beth ma poco a poco l’entusiasmo di
essere ancora viva ed insieme alla mia famiglia mi fa venire voglia di cantare
e così faccio, Eugene insieme a Tara cominciano a battere il ritmo su delle
lattine, Carol lancia un acuto e tutti ridiamo, gli unici che rimangono sulle
loro sono Rick, Sasha, Carl e Daryl. Carl per il
semplice motivo che è troppo giovane e non può conoscere questa hit dance anni
80, e secondo me ci reputa anche un po’ svitati, infatti ci guarda storto
mentre culla Judith, Sasha è giustificata dal lutto. Sono Daryl,
e Rick che non hanno scuse, sono musoni perché vogliono esserlo, con questa
consapevolezza rido ancora più forte di prima, facendomi andare di traverso un
pezzo di opossum, una pacca vigorosa di Abraham tra le scapole mi rimette in
sesto. Ho gli occhi che mi lacrimano e la vista leggermente sfocata per questo
non noto subito l’orda che sta arrivando alle nostre spalle, si muovono
lentamente ma saranno presto qui. Beth smette di
cantare e vede anche lei ciò che ho visto io, non esce un fiato dalla sua
bocca, si limita ad alzarsi di scatto e a brandire la pistola.
-“Dobbiamo
muoverci a spostare le macchine”- dice Daryl con urgenza, mentre si mette a spingere il primo
minivan sulle assi di fortuna che abbiamo trovato per superare la voragine ,
Glenn e padre Gabriel gli danno una mano mentre io, Carol e Maggie siamo pronte
a fare fuoco per contenerli.
-“Rick ho
un idea”- esclama Beth guardando il vicesceriffo sia
io che Rick la guardiamo interrogativi –“non sono ancora arrivati al ponte,
potremmo dividerli e buttarli giù dal dirupo mentre gli altri spostano le
macchine”-
-“buona
idea Beth”- le dico guardandola negli occhi, e so che
anche Rick l’ha trovata una buona idea perché sta già correndo verso l’inizio
del ponte insieme a Sasha e Abraham, Carol e Rosita, io, Tara e Daryl li raggiungiamo subito dopo, mentre tutti gli altri
fanno avanzare i nostri mezzi oltre l’ostacolo che abbiamo trovato. Per il
momento il piano sembra funzionare, ci stiamo liberando degli erranti senza
sparare un colpo, tutto fila liscio finché Sasha non si fa sopraffare dalla
rabbia o da non so che altro, si stacca dal gruppo e comincia a falciare
erranti senza criterio, lasciando un’enorme falla nella nostra difesa. Rick
cerca di contenerla senza riuscirci, a mia volta cerco di raggiungerla
falciando non morti a destra e a manca, l’ho quasi raggiunta quando succedono due
cose contemporaneamente, Maggie urla che siamo pronti a scappare, i tramezzi
cedono e la parte di ponte dove stava Sasha crolla miseramente nel vuoto,
trascinando lei e mezza dozzina di erranti nel dirupo che si è aperto a meno di
mezzo metro da me. Per un attimo rimango agghiacciata fino a che la mano di
Rick prende il mio braccio e mi trascina indietro un attimo prima che il
terreno frani anche sotto ai miei piedi:
-“Non
possiamo fare più niente, dobbiamo andarcene”- mi appoggio a lui e continuo a
correre mentre l’urlo di Sasha continua a riecheggiare nelle mie orecchie.
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
Aaron è nervoso, il suo compagno l’avrebbe aspettato tre giorni
dopodiché se ne sarebbe andato tornando ad Alexandria. Eravamo quasi allo
scadere del tempo, all’alba Eric sarebbe ripartito. L’uomo non dubitava di
poter arrivare alla città ma si vedeva lontano un miglio che non voleva che il
suo compagno lo credesse morto, almeno è quello che continuo a ripetermi, per
placare la mia ansia e il mio… senso di colpa? Sasha è morta, forse per colpa
sua, forse per colpa della mia idea, forse per colpa di Rick che non ha voluto
fidarsi fino in fondo. A questo punto non credo che abbia importanza, è un
altro fantasma con cui dovrò fare i conti, e non sarà ne il primo ne l’ultimo.
Il sole sta tramontando, fortunatamente non dobbiamo fare ancora
molta strada, il paese che Eric e Aaron usano come avamposto per accogliere i
nuovi cittadini dista solo 5 miglia però Rick, ha proposto comunque di fermarci
e stranamente Aaron non ha battuto ciglio. Credo che sia stanco anche lui
dopotutto, e nonostante voglia arrivare dal suo compagno velocemente è
consapevole che da stanchi, i nostri riflessi sono compromessi e che quindi è
meglio riposare. Io non ho assolutamente
sonno, anzi mi sento più sveglia che mai insomma… Nel giro di 24 ore sono cambiate moltissime
cose, abbiamo perso un altro membro del gruppo, e non eravamo pronti ad un
altro lutto in così breve tempo. Sono triste per Sasha, però non posso fare a
meno di sentirmi euforica per il bacio con Daryl.
Sono una persona orribile? Può essere, ormai non ha più importanza, io sono una
sopravvissuta e questo mi basta. Il
posto dove ci siamo fermati non offre molti ripari, ci barrichiamo alla bel e meglio e aspettiamo che passi la notte.
Credevo che non avrei chiuso occhio e invece sono crollata come
una pera cotta, dopo pochi minuti che mi sono sdraiata sul sedile posteriore
della station cullando Judith, a svegliarmi è il tocco delicato di Carl –“stiamo per partire, vuoi darla a me?”- Chiede mentre
allunga le braccia verso la bambina, gliela cedo volentieri. Ho bisogno di
vedere Daryl, sincerarmi che quello che è successo
ieri non sia un sogno. Non ho fortuna, le macchine sono tutte cariche, e non
riesco a vederlo fino che alla guida di uno dei mini van, non ci supera facendo
segno a Rick di seguirlo.
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
Il cielo stava piano, piano rischiarendo a est, lasciando spazio
ad un nuovo giorno e Aaron non era ancora tornato, effettivamente mancavano
ancora un paio d’ora al rande-vu, però l’ansia cominciava ad attanagliarmi le
viscere, e se gli fosse capitato qualcosa? Se il gruppo non l’avesse accolto ma
invece l’avesse… ucciso, no. Non
pensarlo nemmeno. Sono brave persone, non potrebbero mai fare una cosa del
genere, ma… se avessero incontrato una mandria di non morti? Non è possibile, il percorso è pulito ci sono
voluti mesi per renderlo tale, ma alla fine ci siamo riusciti, mi ripeto
continuando a guardare l’alba che prepotente si mostra davanti a me. E se gli
argini avessero ceduto? Se si fosse ferito? Eric piantala, Aaron è un uomo in
gamba e ti ha dimostrato più di una volta di essere pieno di risorse. Perché
però continuo ad avere paura? C’è qualcosa che non va, mi sento accapponare la
pelle. Per tenere a freno l’ansia comunque mi metto a fare ordine tra le nostre
attrezzature, ripetendomi che tra poco sarà qui.
Avere le mani occupate mi permette di gestire meglio le mie
emozioni, è sempre stato così anche prima di tutto questo. Il lavoro manuale mi
ha sempre rilassato, da bambino passavo ore con i lego a costruire, smontare, e
rimontare. A 16 anni iniziai a lavorare il legno, mio nonno era un abile
costruttore di mobili e mi aveva lasciato questa sua passione, che poi
trasformai nella mia professione, ero diventato molto ricercato nel mio campo,
ero stato addirittura contattato da una casa di produzione per andare a
collaborare con quel reality show di ristrutturazioni, poi però il mondo era
finito e la mia vita anche. Fino a che Aaron non mi
aveva trovato nello scantinato in cui mi nascondevo nella periferia di
Washington, e insieme avevamo raggiunto Alexandria. Scruto il cielo che sta
diventando sempre più chiaro, “Aaron dove sei?”
Il furgone è caricato, le armi le ho smontate e pulite ed ora sono
allineate perfettamente davanti a me, prendo il fucile di precisione e salgo
sul tetto del furgone, armato di binocolo scruto l’orizzonte, di coloro che sto
aspettando non c’è nessuna traccia, un sospiro frustrato mi scappa, il tempo
sta stringendo. Tra un po’ me ne dovrò andare e abbandonare Aaron… No, no, no,
guardo l’ora sul mio orologio sgualcito, le sei e mezza, cazzo è in ritardo
doveva essere qui alle sei, l’ansia mi risale peggio di prima, ora come ora,
neanche costruire una casa intera mi calmerebbe. “Aaron dove cazzo sei?” Potrei
andargli incontro penso in un baleno, mentre scendo dal tetto e mi metto alla
guida del furgone, controllo la mappa, l’interstatale è la seconda svolta a
destra, -“vengo a prenderti amore mio!”- Pieno di
fiducia metto in moto.
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
A due miglia dal villaggio la station-vagon
di Rick ha bucato, me ne sono accorto perché continuavo a fissare lo
specchietto retrovisore ogni 5 minuti, non avere la ragazzina accanto a me mi
rendeva nervoso, ma l’averla vicina mi ci avrebbe reso ancora di più dopo il bacio
di ieri, così ero sceso ad un compromesso con me stesso. Però continuavo a
guardare dietro per controllare che andasse tutto bene. Accosto ancora prima
che Rick mi faccia i fari, e scendo velocemente per dare una mano.
-“Voi
proseguite, cominciate a fare le presentazioni, noi cambiamo la ruota e
arriviamo”- risponde Rick guardandomi
con un sorriso. La ragazzina mi fissa mentre tiene in braccio la piccola
spaccaculi, i suoi occhi sembrano stelle che
brillano, e ora so che lo fanno per me e questo mi rende orgoglioso e
spaventato allo stesso tempo. Vorrei chiederle di venire con me, scaricare
Eugene o Tara e osservare i suoi capelli biondi che ondeggiano al vento, ma mi
impongo di essere duro.
-“Ok”-
rispondo velocemente e risalgo in macchina, Aaron è impaziente, continua a
fissare l’orologio del cruscotto con aria truce mentre Tara cerca di
rassicurarlo, mi limito a sbuffare mentre giro la chiave nel quadro, il minivan
riprende vita con un rumore sordo, il motore ormai è al limite, speriamo che
regga.
Siamo giunti all’avamposto di cui ci parlava Aaron, il vecchio
ufficio vendite del quartiere residenziale di Alexandria, due container che
fungevano da uffici, un paio di bagni chimici e una casetta in legno che doveva
essere l’infermeria, fortunatamente sono tutti in buono stato. Però mi ricordo
che Aaron aveva parlato di villaggio, questo mi sembra una presa per il culo,
guardo verso l’uomo in modo truce e lui alza le spalle, come a chiedere scusa.
Tutto intorno ci sono cartelli che indicano la safezone
e i requisiti per farne parte, un po’ mi ricordano Terminus
e un brivido mi risale lungo la schiena, ma so che queste persone, anche se non
le conosco, sono ciò che c’è di più lontano a quei cannibali figli di puttana. Beth ha ragione, esistono ancora le brave persone e Aaron è
una di queste, non credo che possa convivere con una tribù di cannibali senza
battere ciglio. Quindi ho deciso di dargli il beneficio del dubbio, mi fiderò…
Finché sarà opportuno farlo. Comincia a chiamare a gran voce un nome, quello di
Eric, il suo compagno, ma nessuna voce giunge in risposta. Entriamo nei
container-ufficio, un divano comodo appare alla mia destra, sulla scrivania ci
sono delle bottigliette d’acqua, ne afferro una e do una sorsata. Tara e Glen
cominciano ad aprire i cassetti in cerca di qualcosa di utile, a parte dei
progetti architettonici non trovano nulla, li gettano a terra frustrati mentre
Eugene li raccoglie, e comincia ad osservarli con interesse. Continuo a
guardarmi intorno cercando cose utili. Il rumore della portiera che sbatte
della macchina guidata da Abraham mi fa sussultare per un attimo, l’ex marine
mi guarda mentre Aaron continua a chiamare il nome di Eric, anche se ormai è
chiaro a tutti che l’uomo non è qui. Improvvisamente un razzo di segnalazione solca
il cielo di fronte a noi:
-“Eric!”-
urla Aaron e si mette a correre verso quella luce verde.
continua....