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Autore: Fui Hygge    15/12/2017    11 recensioni
"Storia partecipante al contest 'Lotteria di Natale' indetto dal gruppo su Facebook 'Takahashi fanfiction Italia' "
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Kagome sta per affrontare una delle giornate più sfortunate della sua vita, predetta perfettamente dall'oroscopo di quella mattina.
-
Ma forse una giornata iniziata male può finire in un modo migliore.
"Forse quella non era una giornata così infausta.
Forse gli spiacevoli eventi non si riscoprivano così dannosi.
E forse i colpi di testa, ogni tanto, fanno bene."
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Giornata infausta - attenti ai colpi di testa;



La sveglia trillò prepotente, facendo uscire uno stentoreo verso di disapprovazione e diverse maledizioni borbottate dalla giovane e pigra proprietaria. Trascinò il braccio controvoglia verso il comodino di legno chiaro, ove era appoggiato l'oggetto della discordia, per poi spegnerlo con malagrazia, nella mera speranza di far smettere quell'odioso suono il prima possibile.
Adagiò i gomiti sul morbido e caldo materasso che l'aveva dolcemente accolta e calorosamente cullata fino a quell'infausto istante, per poi fissare l'orologio, che brillante segnava l'ora. Sembrava prenderla in giro.
«Accidenti a te!» inveì, per poi sbadigliare profondamente.
Poggiò i piedi a terra, utilizzando quest'ultimi per cercare le ciabatte, speranzosa che si trovassero attorno al letto e non sotto, oppure lanciate in un qualche angolo della stanza.
Lei, e la sua mania di non togliersi le calzature –di qualsiasi genere– in modo consono.
Era molto, troppo disordinata, sua madre quando le diceva che se mai fosse andata a vivere da sola, senza che nessuno l'aiutasse a trovare le sue stesse cose, si sarebbe ritrovata senza vestiti e senza chiavi nel giro di una settimana.
Ma Kagome l'aveva smentita, oh, eccome se l'aveva smentita: ci aveva impiegato addirittura ventisei giorni, prima di perdere il suo primo vestito ed ora, era il turno delle ciabatte. In realtà, non abitava nemmeno da sola.
Condivideva un piccolo ma grazioso appartamento a Tokyo -dove si era trasferita per poter frequentare l'università-, con una ragazza, Sango Hirai, una giovane dalla chioma color cioccolato con degli occhi che esprimevano calore e dolcezza come quelli di nessun altro; non ci era voluto molto affinché le due ragazze stringessero una forte amicizia.
Kagome la paragonava ad una sorella maggiore.
Spazientita ormai, la giovane decise di alzarsi a piedi scalzi, per poi dirigersi verso la cucina, con l'intenzione di bere talmente tanto caffè da poter star sveglia per giorni interi.
Nel breve e buio tragitto però, inciampò in qualcosa che non fu in grado di definire –un vestito, per caso?- finendo inevitabilmente a sbattere la faccia contro il pavimento.

"Buongiorno".
 

«Oh, ben svegliata, hai dormito bene?» una raggiante Sango l'accolse nello stretto spazio adibito a cucina, "come fa ad essere già attiva e pimpante?".
Per tutta risposta la ragazza ottenne un cenno di saluto con la mano e dei versi che avrebbe dovuto riconoscere come un saluto.
«Kagome, ci sarà mai una volta in cui ti sveglierai con la capacità della comunicazione?» la prese in giro bonariamente, prima di sorriderle ed offrirle una tazza di caffè.
«Appena fatto, bello caldo e con due cucchiaini di zucchero, come piace a te!».
Kagome arrossì, mentre accettava la tazza colma di quella calda bevanda; si sentiva come una bambina con tutte quelle premure da parte di Sango, nonostante ciò, però, le facevano estremamente piacere. Avevano un che di materno e, a dispetto dei pochi anni che le separavano, la ragazza risultava molto più matura ed amorevole. Lei non era mai riuscita –fino a quel momento- a svegliarsi prima della sua amica ma, prima o poi, ce l'avrebbe fatta e sarebbe stata lei, a prepararle la colazione; le sembrava il minimo.
«Ti ringrazio Sango, sei sempre così gentile... troverò un modo per sdebitarmi, lo prometto» affermò infine con un sorriso, tra un sorso di caffè e l'altro.
«Non ti preoccupare, sono abituata con mio fratello: anche lui come te si svegliava sempre dopo di me e io gli preparavo la colazione, non mi pesa affatto, anzi, mi piace mantenere questa sorta di routine» ammise, scostando una ciocca ribelle di capelli dal viso.
Kagome sorrise a quella risposta, mentre accarezzava la porcellana bianca e calda della tazza. Era assolutamente la migliore amica che potesse mai avere.
Mentre trangugiava il caffè, si ricordò di un suo appuntamento importantissimo ed improcrastinabile.
Saltò sul posto.
«Sango, Sango! Accendi la tv!».
La sua amica alzò un sopracciglio scettica, titubante se assecondare quella sua richiesta o meno.
«Kagome, farai tardi al lavoro se ti metti a guardare quel programma che poi è tutto men che attendibile»
«Macché non preoccuparti, non farò tardi!» rispose liquidando il discorso con un movimento poco convinto della mano.
«E poi quello che dice Shippo Kitsune ci azzecca sempre!» dichiarò radiosa.
Una riluttante Sango accese il televisore, lasciando poi il telecomando in mano alla coinquilina.
«Io ora vado, ho un appuntamento con mio fratello prima di andare al lavoro. Mi raccomando, non fare tardi» la ragazza accentuò la parte finale della frase con una leggera vena minacciosa, scandendo bene le ultime tre parole.
Ricevette in risposta un saluto con un tentennante cenno del capo ed un sorriso piuttosto spaventato.
Una volta chiusa la porta di casa, Kagome si rilassò per un istante; Sango riusciva a far venire la pelle d'oca, quando voleva.


Si buttò a peso morto sul divano, ascoltando la canzone d'introduzione del programma tv da lei preferito.

"Oh, per fortuna è appena iniziato".

Shippo era un ragazzo che si intendeva di astrologia, apparendo in un programma televisivo per condividere con tutti gli altri gli oroscopi che lui stesso creava e prevedeva.
Kagome di solito era piuttosto restia a credere in queste cose, ma con lui era diverso. Ci aveva sempre preso, mai aveva fatto uno sgarro, convincendo così la ragazza ad incollarsi alla televisione ogni mattina, per avere una vaga impressione su quello che le sarebbe accaduto durante la sua giornata.

Si rannicchiò ancora di più sul morbido cuscino del divano ed attese il suo oroscopo, impaziente. Quel giorno il ragazzo si era vestito in maniera ancora più eccentrica, avvolgendo i bizzarri capelli ramati in un altrettanto bizzarro turbante, lasciando scivolare qualche ciocca fuori da quel groviglio di stoffa dalle tonalità del verde e dell'oro; dai suoi polsi tintinnavano bracciali grandi e dalla forma rotondeggiante dove su ognuno di essi era appeso un campanellino che brillava e trillava ad ogni movimento mellifluo del polso. Indossava un kimono arancione, con raffigurati dei piccoli pesciolini bianchi.
Kagome sghignazzò alla vista di quell'abbigliamento assai inconsueto per i suoi gusti.

"Che strano poi, si tinge pure i capelli. Dubito che sia rosso naturale".

«Ed eccoci ora arrivati al segno del cane*»
Questa frase la destò dai suoi pensieri, degnando la sua attenzione alle parole dell'astrologo.
«Giornata infausta! Attenti ai colpi di testa, possono accadere spiacevoli eventi».
A quelle parole Kagome quasi si strozzò col caffè che ancora stava sorseggiando.

"Attenti ai colpi di testa? Che significa?".

Sul fatto che la giornata non sarebbe stata delle migliori, ne era già a conoscenza; era la Vigilia di Natale, e lei sarebbe stata a festeggiarla con la sola compagnia di qualche commedia romantica, accompagnata da del vino di discutibile qualità.
Sbuffò sonoramente, quando decise di andare a farsi una lunga, calda, doccia. Quel Lunedì si prospettava indubbiamente lungo e faticoso, se lo sentiva.

Quando finì, lentamente ed ancora avvolta nel suo asciugamano, tornò alla sua stanza, per vedere cosa poter indossare.
Buttò una veloce occhiata all'orologio per poi spalancare gli occhi incredula: era tardissimo.
Ma come accidenti aveva fatto ad essere in ritardo?
Gettò l'asciugamano a terra, per poi arraffare le prime cose a caso -senza nemmeno guardare ciò
che teneva tra le mani- nell'armadio.

"Se faccio tardi è finita".

Con quest'ultimo pensiero si direzionò all'entrata di casa, prima di guardarsi velocemente allo specchio per constatare se fosse o meno presentabile.
E non lo era affatto.
Notò con orrore che addosso aveva un osceno, logoro, di diverse taglie più grande ed inguardabile maglione rosso.
Con raffigurato un pupazzo di neve apparentemente mezzo sciolto, con un cappello storto e i rametti che dovevano essere le braccia, in una posizione completamente incoerente con il loro ruolo.
Guardò con terrore l'orologio appeso alla parete, poi il maglione.
No, non c'era tempo per cambiarsi, altrimenti sarebbero stati guai seri. Inspirò per infondersi coraggio, già preparata alle eventuali prese in giro dei suoi colleghi; agguantò il cappotto e la borsa per poi chiudersi la porta alle spalle.
 

Una volta varcata la soglia del suo luogo di lavoro, riuscì a stabilire che –per fortuna– era arrivata puntuale. Era affannata ed evidentemente affaticata, aveva fatto una corsa inumana per prendere la metro in orario, ma ce l'aveva fatta.
Aveva anche rischiato di essere investita mentre attraversava in fretta un semaforo, ma fortunatamente non si era fatta nemmeno un graffio.
«Kagome, sei arrivata finalmente! Io corro alla mia postazione, ci vediamo dopo e buon lavoro!» non ebbe nemmeno il tempo di fare due passi all'interno dello studio, che Sango la salutò con un occhiolino, mentre spariva dietro al primo angolo del corridoio.
Sospirò, appoggiando la giacca all'appendi abiti, prima di posizionarsi alla sua scrivania e buttarsi a peso morto sulla sedia girevole.
Inspirò ed espirò profondamente, pronta per una nuova e noiosissima giornata lavorativa.
Faceva la segretaria in uno studio dentistico molto rinomato e doveva tutto questo a Sango; lei era stata infatti ad informarla che una segretaria era appena stata licenziata, dandole così la possibilità di gravare meno sulla già precaria economia familiare.
Mancavano pochi mesi alla sua laurea, ed altrettanti pochi mesi mancavano al suo nuovo lavoro. O almeno così sperava.
Accese il computer, quando ad un certo punto, un odore forte e pungente le attraversò le narici.

"Che cos'è questa puzza assurda?".

Cercò attorno a sé qualcosa che potesse farle capire qual era la fonte di tale odoraccio, ma non trovò niente. Rovistò nei cassetti della scrivania, magari si era dimenticata qualche snack ed era andato a male? Le sembrava poco plausibile, però tanto valeva controllare, ma non trovò nulla.
Si grattò la nuca confusa, in cerca di quell'oggetto talmente maleodorante da farle salire una leggera nausea. Controllò anche nel cestino, ma niente.
Sbuffò, quando, nella sua mente si fece strada un presentimento che non le piacque per nulla. Non è che forse...
Appurò circospetta che non ci fosse nessuno attorno a lei, per non farsi vedere in comportamenti più che imbarazzanti, quando si portò un lembo del maglione vicino al naso.
E sbiancò.

"Oh santo cielo!".

Era lei, era lei ad avere quell'odore indecente! Affondò ancora di più il naso in quel tessuto ruvido e ispido, cercando di capire la natura di quel puzzo.
Strinse gli occhi in cerca di concentrazione.
Quell'olezzo le ricordava qualcosa di vecchio, qualcosa che sentiva ogni volta che apriva l'armadio di suo nonno... quello... quello... quello era odore di naftalina.
E infatti quello era un maglione di suo nonno! Ma come ci era finito nel suo, di armadio?
«Oh no!».
Si spalmò una mano sul viso cercando di contenere la vergogna e l'imbarazzo all'idea di dover passare l'intera giornata con quella cosa addosso.
Era brutto, indecente e pure puzzolente. Ottimo.
Quella giornata non poteva iniziare meglio.
La caduta di quella mattina nulla era in confronto.

"Giornata infausta!".

Le parole di Shippo le tornarono prepotenti nella mente, rendendola ancora –se possibile– più atterrita di quanto non fosse già.

"Lo sapevo io che non sbagliava mai" constatò con tristezza.

Sconsolata, accese il computer e, mentre aspettava, si guardò ancora attorno.
I suoi occhi si posarono sulle nuove decorazioni apparse solo quel giorno all'interno dello studio.
Si stupì, quando i suoi occhi incrociarono qualcosa di rosso e bianco posato a terra davanti alla sua scrivania, appoggiato contro il muro.
Incuriosita, si alzò in piedi, sporgendosi in avanti per controllare cosa fosse quella diavoleria, quando...
«Ho-Ho-Ho! Buon Natale!» una voce leggermente metallica assieme al suono di un campanaccio, la interruppero.
La ragazza cacciò un urlo acuto, mentre, con uno scatto, si allontanò bruscamente dalla scrivania, cozzando la testa contro il muro situato dietro di lei.
Chiuse gli occhi, ed un dolore pungente si irradiò per tutta la testa.
Con una mano si massaggiò la nuca mentre con l'altra si premette il petto, nel vano tentativo di placare il suo battito cardiaco accelerato.

"Attenti ai colpi di testa!".

"Inizia ad essere una presa in girò così, però".

«Accidenti...» mugugnò, maledicendo sé stessa e quel spaventoso Babbo Natale in miniatura.
Fece il giro della scrivania, per vedere l'oggetto maligno.
Lo squadrò con astio; era davvero sgradevole alla vista.
Il rosso delle vesti era sbiadito in più punti, gli occhiali con il fusto dorato erano leggermente ammaccati e sembrava affetto da un leggero strabismo.
Con una mano guantata di nero teneva il campanaccio, secondo colpevole del panico che aveva appena provato.
«Sì, direi che sei veramente brutto. Almeno non sono la sola, oggi» constatò ridacchiando.
Tornò alla sua scrivania, più tranquilla e col cuore tornato a ritmi regolari, pronta per lavorare.
 

«Buongiorno Higurashi!»
Una voce leggermente acuta disturbò il suo udito; sapeva benissimo chi le aveva appena rivolto la parola, e non ne era molto entusiasta.
«Buongiorno signor Tanaka» sul suo viso si dipinse una smorfia che avrebbe dovuto somigliare vagamente ad un sorriso, non apprezzava particolarmente il suo capo e il suo sentimento era più che corrisposto.
«Allora ragazza, apprezzi le nuove decorazioni che ho fatto aggiungere?» sorrise soddisfatto, appoggiandosi con una mano sulla scrivania, mentre con l'altra indicava le vari luci appese sul perimetro del soffitto e quel spaventoso Babbo Natale.
«S-sì... anche se... in realtà le trovo un po'... appariscenti, ecco» ammise timidamente e titubante, chiudendosi nelle spalle.

Per non dire terribili”.

Azzardò ad alzare lo sguardo sul suo interlocutore, per osservarne una possibile reazione.
Oggi, Jakotsu Tanaka, sembrava particolarmente di buon umore.
I suoi lunghi capelli castani erano raccolti in due bacchette laccate di rosso, con disegnati dei candidi fiocchi di neve e all'estremità ciondolavano delle piccole palline, anch'esse rosse con qualche dettaglio dorato. I suoi occhi erano contornati da un eye-liner nero, che non faceva altro che risaltare le sue iridi scure.
Portava addirittura il rossetto.
«Non ho idea di cosa intendi con "appariscenti", ma comunque non sono disposto ad accettare critiche sul gusto da una che indossa quel maglione, mia cara».
Enfatizzò la frase con un gesto annoiato della mano, ad indicare l'oggetto incriminato.
Kagome si sentì avvampare dall'imbarazzo, sperava davvero che non se ne sarebbe accorto nessuno, di quell'osceno pezzo di stoffa stopposa? Meno male che non aveva detto nulla riguardo...
«Santo cielo! Ma che odore c'è qui? Higurashi, non sarai mica tu, vero?».
Ecco appunto.
L'uomo si tappò il naso con le dita di una mano con fare tragico, mentre faceva sventolare l'altra nell'ambiente che li circondava.
Lei si sentì sprofondare.
Quanto avrebbe voluto scavare una fossa nel pavimento per poi nascondercisi dentro, fino alla fine dei suoi giorni, per l'eternità.
Già si immaginava il manifesto della sua scomparsa:
"Kagome Higurashi è sparita nella giornata della Vigilia di Natale, fonti attendibili dichiarano che si sia nascosta dall'imbarazzo, a causa dell'odore di naftalina che emanava. Non è più stata ritrovata".
Sarebbe stato fantastico.

"Che vergogna. Vergogna vergogna vergogna. Come accidenti ho fatto a non accorgermene subito questa mattina?”.

Avrebbe voluto scappare, fuggire il più lontano possibile, pur di non affrontare un'umiliazione simile.
«M-mi dispiace... è che questa mattina ero in ritardo e... e ho preso la prima cosa che mi è capitata... non so come io abbia fatto a non accorgermene...» balbettava, gesticolava ed arrossiva ad ogni parola, sempre di più.
«Sarei disposto ad accettare ben più volentieri un tuo ritardo, che questo scempio olfattivo e visivo. Mi avrai appestato tutto lo studio! Che figura ci fai fare?» era estremamente seccato, lo si poteva percepire senza dubbi alcuni.
Già di suo mal sopportava le donne, se queste ultime si vestivano in modo indecente ed emanavano odori insopportabili poi, era assolutamente il colmo.
Non si sentiva nemmeno di dargli torto.
Non sapeva che cosa rispondere, se non delle scuse strascicate e confuse.
«Fammi un favore Higurashi, esci di qui e vai nella pasticceria all'angolo a prendere la Christmas Cake** che ho ordinato l'altro mese, poi passa al bar e prendimi un tè, ho assolutamente bisogno di distendermi i nervi, altrimenti scoppio in una crisi isterica».
Disse il tutto massaggiandosi nervosamente le tempie, cercando di riprendere la tranquillità.
«Va bene, vado subito!» concordò rapidamente, afferrando il cappotto e la borsa.
«Ah, passa anche in qualche negozio a comprare un deodorante per ambienti, grazie. Quest'odore deve aver raggiunto ogni antro dello studio» la accusò con tono tagliente.
Se possibile, Kagome divenne ancora più imbarazzata.
 

Appena comprato l'oggetto che rimarcava la sua umiliazione più grande della giornata e la torta, si recò nel bar preferito del suo capo: quello che "fa il tè migliore della città", lo scimmiottò mentalmente, quando si accorse che al bancone, c'era un collega che ancora non aveva visto quella mattina.
Si avvicinò lentamente, accanto a lui, pronta a prendere l'ordinazione d'asporto, quando si incantò.
Era bellissimo, ogni volta che lo incrociava ne restava abbagliata. I suoi lunghi capelli argentei gli scivolavano elegantemente sulle sue larghe e muscolose spalle, carezzandole delicatamente.
Aveva un fisico sicuramente prestante, nominato dal suo capo "mister chiappe d'oro" e, per una ed un'unica volta, era nella maniera più assoluta, d'accordo con lui.
I suoi occhi ambrati poi erano magnetici, in grado di imbambolarla per istanti infiniti, rendendola sicuramente e decisamente ridicola, ai suoi, di occhi.
Vogliamo poi parlare di quelle orecchiette canine che spiccavano sulla sua testa?
Adorabili.
Aveva solo un unico, minuscolo, trascurabile ed insignificante difetto.
«Ragazzina, per quanto tempo ancora hai intenzione di mangiarmi con gli occhi?».
Parlava.
«Datti meno arie, mi stavo solo chiedendo come mai non ti avessi ancora incontrato, oggi».
Ribatté con convinzione, mentre un leggero rossore iniziò a colorarle il viso, a causa dell’esser stata scoperta a fissarlo senza ritegno alcuno.

Il mezzo demone la scrutava divertito, mentre pensava a quanto fosse graziosa, con quel leggero colorito sulle guance.
Ancora di più gli piaceva quella piccola ruga che le si formava tra le sopracciglia, quando le aggrottava in un moto di pura stizza. La rendeva adorabile, anche se, magari, il suo intento era quello di apparire minacciosa.
Per questo si dilettava nell’infastidirla.
«Che ci fai qui, piuttosto?» domandò il ragazzo, mentre osservava Kagome intenta ad ordinare qualcosa di estremamente particolare.
«Prendo una bevanda calda per il nostro adorabile capo» rispose lei con occhi da cerbiatta, fingendo di voler camuffare il sarcasmo della sua frase.
All'immagine di Jakotsu che gli si proiettò nella mente, la schiena di Inuyasha venne colta da un brivido freddo.
Si ricordava ancora, quando, per un periodo decisamente troppo lungo, era andato in fissa con le sue orecchie.

"Prima o poi te le taglio e le conserverò come un tesoro".

«Tu invece, che ci fai qui? Non dovresti essere al lavoro?» chiese con pura curiosità la ragazza, arricciando il naso lievemente arrossato, probabilmente per il freddo fino a quel momento provato.
«Feh, non sono affari tuoi, dove vado e cosa faccio».
Si era semplicemente preso la mattinata libera, ma trovava più esilarante punzecchiarla, che dirle la verità.

Borioso. Arrogante. Insopportabile. Indisponente.
E pensare che per un periodo si era pure convinta di aver preso una cotta per lui.
Il fatto che avvertisse un tremendo calore avvolgerla, ogni qual volta gli si trovasse vicino, poi, era un dettaglio più che trascurabile.
Strinse convulsamente la borsa che portava a tracolla. Aveva voglia di picchiarlo, le faceva salire quell'istinto violento che non le si palesava mai. Era una capacità tutta sua, un talento naturale nell'irritarla con una sola frase.
«Fa' un po' come ti pare, volevo solo essere gentile!»
«Nessuno te l'ha chiesto, vecchietta»
«C-come mi hai chiamata, scusa?» azzardò.
«Vecchietta, hai odore di naftalina, o mi sbaglio? Cos’è, una nuova fragranza?» un sorriso di scherno gli incurvò le labbra, mentre, poggiato svogliatamente sul bancone continuava a bere il suo caffè.
Accidenti a lui, e al suo dannato olfatto.
«Dovevi proprio farmelo notare pure tu? Non è stata una scelta consapevole!» urlò con foga, mentre lui continuava a ridacchiare.

Con finalmente il preziosissimo tè in mano, fece per andarsene, quando all'entrata del bar vide una persona che mai avrebbe voluto incontrare di nuovo nella vita.

Andò nel panico, non poteva farsi vedere in quelle condizioni da quella lì.
Vestita da stracciona, struccata, con in volto l'espressione più sconvolta del suo repertorio e pure puzzolente.

No, oh no”.

Decise poi di agire in maniera matura, composta, risoluta e indifferente.
Si nascose sotto al tavolo dell'angolo più lontano del bar.
Non avrebbe potuto certamente vederla, vero?
Inuyasha assisté alla scena incredulo, che diavolo le era preso?
Sembrava stesse cercando di nascondersi, ma da chi?

Kagome osservò da sotto il tavolo quella ragazza che ai tempi del liceo spesso si era fatta beffe di lei. A causa dei suoi giganteschi occhiali da vista che allora indossava, a causa del fatto che non era un asso nelle discipline sportive, a causa del fatto che non aveva nessun ragazzo a corteggiarla più altri, infiniti e futili motivi.
Mentre lei, ovviamente era l’esatto opposto.
Popolare, indiscutibilmente attraente, invidiata dalle ragazze e desiderata dai ragazzi.
Quante volte era tornata a casa con l’umore a terra, a colpa sua e della sua combriccola.
Non voleva essere presa in giro nuovamente, per questo avevo saggiamente deciso di nascondersi.
Non era certo un atto di codardia il suo.
Che diavolo ci faceva, poi, a Tokyo?

Continuò il suo atteggiamento da spia finché quell’odiosa non sparì dal suo campo visivo, per poi uscire strisciante dal suo nascondiglio.
«Che accidenti ci facevi sotto al tavolo Higurashi?» un confuso Inuyasha la guardava piuttosto basito, in attesa di una risposta ragionevole a quel comportamento assurdo.
«Mi era caduta una monetina, tutto qua» mentì spudoratamente.
Stava per andarsene, quando delle dita sottili si posarono sulla sua spalla e una voce femminile la chiamò.
«Kagome! Sei tu? Da quanto tempo non ci vediamo?».
Kagura la guardò dall’alto verso il basso, a causa della loro notevole differenza d’altezza e, probabilmente, anche per un puro spirito di presunzione.
«Kagura! Sono felice di vederti»

Bugiarda”.

«Come mai ti trovi a Tokyo?» lo chiese più per cortesia che per curiosità sincera.
«Oh, questioni di lavoro, sai, ormai posso dire di aver già viaggiato per il mondo. Tu piuttosto? Immagino che ti sia già laureata…» presunse poco convinta, sventolando il suo ventaglio, come per darsi un tono.
Che accidenti ci faceva con un ventaglio a Dicembre?
Sarà anche la demone del vento, ma così era pur sempre ridicola.
«In realtà no, mancano ancora pochi mesi prima che mi laurei...» confessò con tranquillità.
Se la conversazione fosse proseguita così, forse ne sarebbe uscita indenne.
«Oh ma che peccato, tesoro hai messo su qualche chilo? Soprattutto sul fondo schiena...» insinuò malignamente, con un ghigno che le serpeggiava sul volto, mentre le gravitava attorno, scrutando crudelmente le sue forme e picchiettando il suo sedere con quello stupido ventaglio.
Kagome si impietrì, stava iniziando ad innervosirsi e constatò che i suoi piani per una chiacchierata innocente sarebbero andati a farsi benedire.
Si era anche fatta una mezza idea, di dove avrebbe voluto metterglielo, quel ventaglio.
«Che dire, non tutte riescono ad essere perfette come te» cercò di prenderla contropiede con un complimento, ma, evidentemente, non bastò.
«Kagome cara, sei sempre così gentile! Ma lo sai che mi sono sposata? Con uno dei demoni più importanti dell’alta finanza...»
Lasciò la fase in sospeso, continuando a esaminare ogni reazione della ragazza di fronte a lei.
«Sono contenta per te, io ora dovrei tornarmene a lav...» fece per andarsene, ma venne interrotta. Di nuovo.
«Tu invece? Almeno sarai fidanzata, non ti posso credere ancora single, non ti ho mai vista con un uomo! Anche se effettivamente, non me ne sorprenderei affatto» ammise con perfidia, per poi continuare con le sue affermazioni affatto lusinghiere.
«Ma avrai avuto almeno un uomo, non è vero cara?» le bisbigliò all’orecchio con finta innocenza e con una leggera nota che doveva sembrare preoccupata.
A quel punto Kagome non resistette più, il suo corpo fremeva, il sangue ribolliva nelle vene e la sua testa fumava.
Decise così di indossare il più spudorato e falso dei sorrisi e rispondere alle sue dannate frecciatine.
«No Kagura, mi dispiace deluderti ma sono fidanzata e con un magnifico dottore, tra l’altro».
Gonfiò il petto orgogliosa. Certo, aveva appena mentito, ma poco importava; Kagura non l’avrebbe mai scoperto e, con tutta probabilità, non l’avrebbe mai più incontrata.
«Oh ma è stupendo! Allora perché non me lo presenti questa sera, a cena con me e mio marito? Sarebbe stupendo! Una specie di rimpatriata. Tieni, questo è il biglietto del ristorante che abbiamo prenotato, dirò di aggiungere altri due posti. Vi aspetto alle 20:30!» disse concitata mentre le porgeva quel foglietto di carta spessa, con scritto nome e indirizzo del locale. Kagome rimase completamente spiazzata da un tale -apparente- gesto di cortesia. Rimase immobile e sgomenta a fissare il bigliettino.
Non poteva certo andarci, avrebbe scoperto che era tutto un bluff. Quando alzò il capo per rifiutare gentilmente e, per niente dispiaciuta, l’invito, si accorse che la demone se ne era già andata.
Perfetto. E adesso, cosa avrebbe fatto? Avrebbe dovuto trovarsi un finto fidanzato in fretta e furia. Non poteva certo girare per la città ad implorare i ragazzi più aitanti che trovava di aiutarla, l’avrebbero scambiata per una folle. Che razza di idea le era venuta in mente?

Attenti ai colpi di testa”.
È una congiura”.
"Possono accadere spiacevoli eventi".
"Ma dai?".


«Ti prego, ti prego, tiprego tiprego».
Era a mani giunte in preghiera, con lo sguardo più supplichevole del suo repertorio, mentre pedinava Inuyasha per tutto lo studio dentistico.
«Ti ho già detto di no! Non ho alcuna intenzione di fingermi il tuo fidanzato solo perché tu sei una bugiarda insicura!»
«Ma che ti costa? La cena ovviamente te la offrirei io, ti sto solo chiedendo un favore!»
«Non ti è forse balenato nella mente che io possa avere degli impegni, questa sera?»
In realtà aveva già deciso che sarebbe andato in suo soccorso, solo che gli piaceva -giusto un pochino- essere pregato.

Gli occhi della ragazza per un momento si adombrarono, dispiaciuta per non aver preso in considerazione una cosa del genere. Effettivamente, non perché lei era una zitella senza impegni alla Vigilia, allora anche gli altri non dovevano avere appuntamenti di sorta.
«Se poi non trovi un uomo disposto a sopportarti e a presentarti come “la sua fidanzata”, non è di certo colpa mia» decretò infine velenoso, sogghignando soddisfatto, già pregustandosi la risposta acida della sua collega.
Che però, non arrivò.
Si voltò a cercare il suo sguardo, confuso.
Di solito non si lasciava mai sfuggire una rispostaccia così ben servita.
Ma trovò il suo sguardo fisso al pavimento, le spalle leggermente ricurve, nelle quali stava cercando di nascondersi. Sembrava… ferita.
In quel momento si pentì subito di aver proferito verbo, non era sua intenzione farla restare male o procurarle alcun tipo di dispiacere.
Fece per avvicinarsi a lei e tentare -non ne era affatto capace- di chiederle scusa, ma lei gli volse le spalle, afferrando il cappotto e la borsa, pronta per andare chissà dove.
«Hei, ma dove stai andando?»
«A casa, il mio turno è finito. Ci vediamo domani, Inuyasha, grazie lo stesso e scusa se ti ho importunato».
Lo salutò velocemente, prima di sparire dietro la porta che ormai li separava.
 

Erano le 20:27 e Kagome aspettava che Kagura e il suo misterioso marito la onorassero della loro presenza. Alla loro domanda sul dove fosse il suo fidanzato, avrebbe semplicemente risposto che era stato chiamato d’urgenza all’ospedale per un’importante operazione. Insomma, lei aveva detto che si trattava di un dottore, omettendo volontariamente di che tipo.
La menzogna suonava bene, poteva anche essere credibile.
Si ritrovò ad osservare la sala del ristorante, resa visibile grazie alle grandi vetrate che davano sulla strada. Era molto elegante, il tutto sui toni del crema con lunghe tovaglie a ricoprire i tavoli agghindati da dei centro tavola più che sfarzosi.
Il suo sguardo poi si posò sul magnifico albero di Natale situato ad uno degli angoli del grande salone.
Il puntale che si trovava in cima sfiorava il soffitto e su di ogni ramo erano appese tantissime palline di varie grandezze, colorate di rosso e d’oro, appese in maniera alternata.
Dei filoni rossi lo vestivano con grazia, poggiandosi in maniera circolare dai rami più bassi a quelli più alti; fiocchi variopinti terminavano poi l’opera, sparsi in maniera apparentemente casuale.
La ragazza sospirò, facendo uscir degli sbuffi di vapore dalle sue labbra tremanti dal freddo.
Guardò nuovamente l’orologio: le 20:35
Erano in ritardo, oppure era lei ad aver sbagliato l’indirizzo?
Controllò il bigliettino più per scrupolo che per vera incertezza, appurando che il luogo era giusto, era arrivata anche in anticipo.
Iniziò a picchiettare un piede contro l’umido asfalto, spazientita. Avrebbe chiamato Kagura per accertarsi che andava tutto bene, ma non voleva risultare ridicola, in fondo, attendeva da cinque minuti appena. Poi aveva perso il numero, ammesso che avesse sempre lo stesso.
Forse non si sarebbe proprio presentata.
Ma no, che senso avrebbe avuto invitare qualcuno a cena per poi non venire? Nessuno, appunto.
Aspettò ancora, sempre più impaziente e sempre più infreddolita.
Forse sarebbe dovuta entrare nel ristorante e chiedere del tavolo prenotato, li avrebbe aspettati dentro. No, forse meglio di no, magari aveva prenotato a nome del marito e lei non aveva la più pallida idea di come si chiamasse. Meglio aspettare fuori, sì.
Sarebbe morta di ipotermia, magari, ma non aveva importanza.
Iniziò a tremare leggermente, non si sentiva più le orecchie e le mani, ma più di tutto, aveva fame.
Le 20:50 e di Kagura nemmeno l’ombra.
Ma che fine aveva fatto?
Stava per entrare e chiedere di un tavolo riservato per quattro, quando un ricordo la bloccò lì sul posto. L’aveva fatto di nuovo, e lei ci era cascata come una fessa.

Erano in terza superiore, quando Kagura l’aveva invitata alla festa del suo compleanno, nella tenuta residenziale di mio nonno, aveva detto. Si era scoperta entusiasta di quell’invito, contenta finalmente di essere stata presa in considerazione.

Sciocca”.

Si era vestita con un bellissimo abitino azzurro e delle scarpe comprate per l’occasione. Voleva essere impeccabile.
Così si era recata all’indirizzo dato, con il regalo di compleanno tra le mani.
Quando suonò il campanello si rese conto che quella non era la tenuta residenziale del nonno di Kagura, ma la casa di due adorabili vecchietti e che lì, non c’era nessuna festa.
Tornò a casa col cuore infranto e si ripromise di non cascarci mai più.
Ma è evidente che il lupo può perdere il pelo ma non il vizio. Questa frase valeva per entrambe.

Cosa voleva dimostrare, inventandosi di avere un fidanzato? Cosa voleva dimostrare presentandosi lì, tutta in ghingheri? Di essere superiore? Di aver superato tutto quelle prese in giro e le cattiverie subite negli anni del liceo, quando -era palese- non fosse così? O semplicemente non voleva risultare scortese, non presentandosi?
Il suo cuore si incrinò di nuovo, ancora un po’.
Sollevò lo sguardo al cielo per impedire alle lacrime pungenti di uscire a rigarle il volto, e iniziò ad osservare per un istante il manto stellato che la sovrastava.
Che credulona.
«Hei! Ma la cena non era prenotata per mezz’ora fa? Che ci fai qui fuori?».
Si volse verso quella familiare voce maschile e, quando vide il suo interlocutore, non poté crederci.
Era venuto.
Si era presentato.
Lo guardò smarrita, con gli occhi ancora leggermente velati e le guance rosse dal freddo pungente.
«Scusa il ritardo, ho cercato di fare il prima possibile».
Si avvicinò a passo lesto a lei, notando poi la sua espressione buia e gli occhi luccicanti.
Il cuore gli si strinse.
«Che ti è successo?»
«Mi dispiace, ma non si presenterà nessuno, oltre a noi due» confessò volgendo lo sguardo altrove, mentre si tirava la sciarpa sopra al naso.
Inuyasha decise di non investigare, sembrava già abbastanza turbata e non voleva in alcun modo infierire, come invece aveva fatto solo poche ore prima.
«Non so te, ma io ho fame, entriamo?».
Quella frase sorprese la ragazza, ma pensò che si trattasse solamente di un gesto di cortesia, non sicuramente per piacere di passare del tempo in sua compagnia.
Una come lei, poche speranze aveva di poter risultare interessante agli occhi di uno come lui.
Anzi, si ritrovò ad ammettere -a malincuore-, che le possibilità rasentavano lo zero.
«Non sei obbligato...»
«Ma con chi pensi di parlare? Non faccio mica le cose controvoglia io».
Il suo cuore si alleggerì un po’, rendendola grata a quel che di solito era un borioso ed arrogante mezzo demone.
Così entrò nel ristorante, mentre lui le teneva aperta la porta.

È pure galante”.

Il mezzo demone passò metà della serata a sistemarsi quella scomodissima camicia che era stato obbligato ad indossare da quel che era il suo migliore amico.
Poco importarono le urla contrariate di Inuyasha, mentre accertava il suo essere terribilmente in ritardo; venne costretto a provarsi innumerevoli capi d’abbigliamento, per risultare al meglio del meglio.

Ricorda, amico mio: meglio in ritardo ma figo, che puntuale ma cesso!”.

Si doveva ricordare di prendere a pugni Miroku, una volta rientrato a casa.
L’altra metà la passò a costringersi di non fissare troppo insistentemente il décolleté della ragazza, messo straordinariamente il risalto da un bellissimo abito fasciante.
Aveva sempre pensato che Kagome fosse una ragazza più che attraente, ma come quella sera non l’aveva vista mai.
I capelli raccolti le lasciavano libero il viso dalla pelle nivea, le ciglia sembravano più lunghe e più folte, incorniciando alla perfezione le sue luminose iridi color cioccolato.
A causa del rossetto aveva dedicato parecchio tempo ad osservare le sue labbra, scoprendo nuovi deliziosi dettagli, come quel piccolo neo -quasi invisibile- che stazionava all’angolo sinistro della sua bocca.
Dovette usare tutto il suo autocontrollo, per non essere considerato un maniaco pervertito, alla stregua di Miroku.

Kagome rimase piacevolmente sorpresa dalla serata: non si erano punzecchiati più del necessario, non erano volati insulti e, soprattutto, Inuyasha si era fatto riscoprire premuroso.
Come quando, ad esempio, le riempiva il calice di vino, appena notava fosse vuoto.
Aveva assistito per la prima volta ad un suo sorriso, di quelli luminosi, sinceramente divertiti e, in quel momento, il cuore le si era fermato, per poi arrossire come una ragazzina alla sua prima cotta. Contemplandolo, come se fosse un’opera d’arte, intrigata da quella rara piega che avevano preso le sue labbra.
Si ritrovò a pensare che, effettivamente, il mezzo demone le piaceva e pure parecchio; ma accantonò immediatamente ogni tipo di fantasticheria, convinta che tra di loro nulla mai sarebbe potuto nascere.
Il suo viso si imporporò e prese a bruciare, quando per sbaglio, entrambi presero il conto, sfiorandosi le dita in un tocco quasi impercettibile.
Fu inutile insistere su chi doveva pagare, lui aveva già deciso.
Assicurando pure, che per lui era un piacere.
Le impose di accettare un suo passaggio per tornare a casa, ritenendo “non adatto ad una ragazzina,” rincasare da sola la sera.
Si preoccupava per lei, dunque?
 

Erano uno di fronte all’altra, sull’uscio del portone della casa di Kagome.
«Ti ringrazio, Inuyasha, ho passato davvero una bella serata» ammise felice, con dipinto in volto un sorriso radioso.
«Non ti ci abituare troppo, non sono affatto tipo da cene io» replicò ironico, mentre si avvicinava di un passo alla ragazza.
«Che intendi dire? Che ci vederemo altre volte?» chiese sarcastica, certa che il mezzo demone si stesse dedicando all’arte del prenderla in giro.
«Perché no?»
«Bhè, se mai avrò bisogno un’altra volta di fingermi fidanzata, saprò chi chiamare!»
Scherzò.
«Bhè, potremmo uscire senza fingere» propose, quasi noncurante, mentre la fissava dritta negli occhi con serietà e un pizzico di quello che pareva timore, guardingo.
Un altro passo.
Strabuzzò gli occhi in preda alla sorpresa e il suo cuore iniziò a battere talmente forte che temette le uscisse dal petto da un istante all’altro.
«Sì… si potrebbe fare… perché no?» concordò sforzando di far uscire la voce il più sicura possibile, per non farsi tradire dall’emozione che l’aveva appena travolta.
«E andrebbe bene se, quello di oggi, venisse calcolato come primo appuntamento?» chiese, cauto.
Il viso di lei arrosì oltremodo e un simpatico nodo iniziò a deliziarsi con le sue corde vocali.

Certo che andrebbe bene! Anzi, benissimo”.

«A me andrebbe bene… sì» ammise con voce tremula e leggermente acuta.
Non poteva crederci per davvero.
«Bene, allora non ti dispiacerebbe, se...» lasciò la frase in sospeso.
Un altro passo.
Li dividevano pochi centimetri, i loro visi erano estremamente vicini e Kagome iniziò ad agitarsi sempre di più.
Il suo respiro si era accelerato, avvertiva il cuore pulsare sempre più forte e un intenso calore si era preso possesso del suo corpo.
Ma restò immobile, come in attesa di qualcosa.

Che vuoi che succeda, che ti baci? Ma figurati”.

E invece così fu.
Un tocco, delicato come una piuma.
Una leggera carezza, morbida come il petalo di un fiore.
Un contatto fugace, come un battito di ciglia.
Un lieve sfiorarsi di labbra.
E il cuore di Kagome sussultò.
E il cuore di Inuyasha perse un battito.

Forse quella non era una giornata così infausta.
Forse gli spiacevoli eventi non si riscoprivano così dannosi.
E forse i colpi di testa, ogni tanto, fanno bene.


 

Odore: Naftalina
Luogo: Sotto il tavolo
Elemento natalizio: Albero di Natale
Extra: Commissione

 

Note dell’autore:
Segno del cane*: in base a quello che ho trovato in internet, facendo il calcolo dell’età di Kagome e l’anno in qui si trovava “nel presente”, ho scoperto che dovrebbe essere del segno del cane.
Spero di aver fatto i calcoli giusti.
Christmas Cake**: è una torta natalizia giapponese, di forma rotonda, fatta di pan di spagna con panna e fragole, decorata a tema natalizio.
Ebbene eccoci qua, spero che questa OS vi sia piaciuta almeno un tantino.
Ci ho messo una vita: l’ho scritta, cancellata , tagliata, allungata, apprezzata e tremendamente odiata.
Ho messo la nota OOC perché non sono convinta di averli resi al meglio -soprattutto Kagome-, ma spero di non aver sforato eccessivamente.
Che dire, in fondo mi sono divertita parecchio a scriverla, e spero di avervi strappato almeno un sorrisetto.
In caso contrario, la cassetta di frutta marcia si trova lì, nell’angolo a destra.
Ringrazio chiunque avrà avuto il coraggio di leggerla tutta e chi, eventualmente, mi lascerà una recensione.
A presto!
Cassandra.

 

 

 

 

   
 
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