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Autore: Lilith_Luna    19/12/2017    0 recensioni
Sarah ha sedici anni, una madre spesso assente per lavoro e una brillante strega come zia.
Era pronta per l'ultimo anno di scuola, quando giunse inaspettata la notizia che la famosa Accademia di Magia andata distrutta anni addietro ha riaperto, facendo fremere tutte le streghe d'Europa e d'oltreoceano.
L'Aurora, una scuola d'élite riservata esclusivamente a streghe d'alto rango, riapre i battenti, questa volta a chiunque possa pagarne la retta per aiutarla a rimettersi in sesto.
Quella che all'inizio sembrava un'opportunità di studi fantastica, seppur molto rigida, inizia a destare sospetti quando alcuni studenti cominciano a sparire. Sarah e le sue amiche indagheranno sui fatti che coinvolgono gli studenti e sul motivo per il quale l'Aurora è stata riaperta così presto. Alleanze fra streghe di ceppi diversi si riveleranno fondamentali, mentre le persone a cui hanno donato la loro fiducia, potrebbero pugnalarle alle spalle.
Forse l'Aurora non è più la scuola che è stata una volta. Qualcosa di demoniaco si è infiltrato al suo interno. Qualcosa pronto ad uccidere per il suo scopo.
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"Come si raggiunge l'Aurora?" le chiese Sarah.
Zia Clarice le indicò il cielo stellato "Navigando sulla Cintura di Orione."
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amiche riunite

 
         Quell’intenso profumo di lavanda vagava per la casa come se fosse alla ricerca di qualcosa. Salì le scale avvolgendosi al corrimano d’ebano, accarezzò la carta da parati e, attraverso l’antiquata serratura, raggiunse Sarah in soffitta circondandola con un abbraccio.
            La pioggia di fine agosto batteva sugli abbaini e sui vetri colorati senza tregua, un ticchettio cadenzato come una ninna nanna. Sarah era seduta su una vecchia sedia a dondolo, intenta a sfogliare un album di fotografie di famiglia, quando il sonno l’aveva fatta sprofondare sui cuscini che coprivano i buchi di quella vecchia sedia malandata, ma che tuttavia sua zia non voleva gettare.
            La porta della soffitta si aprì cigolando, come quasi ogni porta, scalino o credenza di quella grande casa. Un’ombra si allungò sul pavimento di assi, facendosi più piccola man mano che si avvicinava alla ragazza addormentata. Un gatto bianco le balzò in grembo facendola svegliare di soprassalto. L’album cadde a terra, aperto.
            ‹‹Diana, mi hai fatto prendere uno spavento.›› disse Sarah accarezzando la gatta, che le rispose con un miagolio di soddisfazione. Diana era solita spuntare all’improvviso, ma quando la cercavi potevi non trovarla per giorni. Sarah sentì la voce squillante della zia chiamarla.
            ‹‹Ah, capisco, sei venuta a chiamarmi per il tè.›› si alzò e posò la gatta sul tappeto, che rimase lì a leccarsi una zampa come se il suo compito fosse finito.
            Zia Clarice era seduta sul divano intenta a leggere l’ennesimo introvabile libro sulle piante. Lo teneva aperto sulle ginocchia con una mano, mentre con l’indice dell’altra creava delle piccole spirali in aria, facendo muovere i cucchiaini nelle tazze di ceramica.
            ‹‹Ti ho già messo lo zucchero.›› esordì quando la nipote entrò nel salotto, senza distogliere gli occhi dalla sua lettura.
            ‹‹Cosa mi fai provare questa volta?›› le chiese con una punta di divertimento sedendosi accanto a lei e afferrando un dolcetto alle mandorle.
            ‹‹Melissa, anice stellato e fiori di Maribù.›› recitò la zia come se lo stesse leggendo dal suo libro.
        ‹‹Fiori di che?›› Sarah era diffidente ogni volta che sentiva il nome di fiori, erbe o radici di cui non conosceva l’esistenza. Questo perché molto probabilmente non la conosceva neanche zia Clarice, ma le propinava tè e infusi come ad una cavia. “Non essere sciocca, le bevo anche io.” Era stata la sua giustificazione il giorno in cui Sarah, trovatasi con la faccia blu come un mirtillo, l’aveva accusata di essere una zia snaturata che usava la nipote per degli esperimenti.
            Zia Clarice era una delle streghe più brillanti che Sarah avesse mai conosciuto – non che ne avesse incontrate molte – e anche una delle più folli, esaltate e magicamente inaffidabili. Aveva fatto della sua passione il suo lavoro; e in un’epoca in cui la magia non poteva essere praticata liberamente questo era un grande lusso. Il suo giardino, nel retro della villa, era interamente dedicato alla coltivazione, così come la serra che aveva fatto costruire in quella che doveva essere una spaziosa veranda. In realtà per lo più zia Clarice si occupava di semplici lavori di erboristeria, mentre riservava a giri più “loschi” le ordinazioni di carattere esoterico. Pur essendo una donna piuttosto distratta, aveva sempre saputo tenere al sicuro i suoi affari e i suoi clienti: non aveva mai preso una multa dalle Guardie delle Arti Magiche, né era mai stata scoperta nelle ispezioni della Polizia delle Scienze Occulte.
            Quando la zia chiuse il libro per prendere il suo tè, Sarah riuscì a leggerne il titolo: Infusi delle Streghe delle Indie Occidentali. Senza che fosse troppo evidente, aspettò che la zia bevesse un sorso dalla sua tazza, prima di fare lo stesso. Un sapore dolce dal retrogusto di agrumi le pizzicò la lingua, lasciando infine una nota piccante che le diede una scossa sul palato.
            ‹‹Forte, vero? Sono i fiori di Maribù!›› spiegò zia Clarice, esaltata.
            Sarah osservò incuriosita la sua tazza, una stella di semi d’anice nuotava nel torbido liquido color ambra. Poi qualcosa all’apparenza viscida spuntò in superficie, stando lì a galleggiare come il cadavere di un insetto.
            ‹‹Oh mio dio!›› quasi si rovesciò il tè addosso ‹‹C’è un ragno nella mia tazza!›› gridò disgustata posandola sul tavolino.
            ‹‹Ma no, è il cuore del fiore, vedi? Sono i pistilli.›› zia Clarice le mostrò la fotografia della pianta per rassicurarla: un vegetale basso dalle foglie frastagliate, con un fiore bianco dalle sfumature color pesca al cui centro, come una bocca insanguinata dotata di tentacoli, si aprivano dei pistilli color cremisi. ‹‹Sono loro a conferire la nota piccante che hai sentito alla fine.›› concluse, soddisfatta del suo nuovo acquisto.
            Sarah prese il libro dalle mani affusolate della zia, ancora diffidente, e lesse la pagina dedicata a quel fiore esotico. Sgranò gli occhi e chiuse il libro sbattendolo. ‹‹Zia! L’infuso di questi fiori veniva usato per dei rituali magici perché è uno stupefacente!››
            ‹‹L’infuso di foglie, non di fiori.›› la corresse alzando il dito come una saputella.
            Ma sua nipote era la persona che meglio la conosceva al mondo. ‹‹E cosa ne hai fatto delle foglie?›› domandò, immaginando già la risposta.
            ‹‹Catalogate e messe in un barattolo, come il resto degli arrivi della settimana. Voglio vedere se riesco a farne crescere una pianta, è molto costoso farsela arrivare dalla…››
Il pendolo del salotto batté le sei e Sarah scattò in piedi. ‹‹Devo correre a cambiarmi, le altre mi aspettano per cena.››
           ‹‹Dove andate?›› volle sapere la zia. Si allungò sul tavolino per prendere un dolcetto alle mandorle e versarsi un’altra tazza di tè.
           ‹‹Al solito pub. Isabelle e Carol sono appena tornate dalle vacanze e non vedono l’ora di raccontarci tutto.›› Sarah imitò la sua amica Isabelle nel dire l’ultima frase, atteggiando le mani in un movimento raffinato.
        ‹‹Non ti aspetterò alzata, allora.›› zia Clarice rise. Conosceva bene le due cugine, essendo praticamente cresciute insieme a sua nipote, e sapeva benissimo quanto a quelle due piacesse parlare e bisticciare tra loro. Distese le gambe sul divano libero e si lasciò cullare dal sorprendente sapore della sua bevanda calda e dal suono della pioggia che ancora batteva, incessante.
 
 
 
 
            L’insegna del Black Swan oscillava silenziosa, lucida di pioggia, sull’edificio risalente al diciottesimo secolo. Il nome dorato del pub, sul ventre di un cigno nero stilizzato, mandava fiochi bagliori catturando le luci dei lampioni. Sarah rabbrividì sotto l’ombrello e si strinse nella felpa rossa, pentendosi di non aver indossato qualcosa di più pesante. Ferma sull’acciottolato intriso di piccole pozzanghere, alzò il mento e annusò l’aria.
              Sì, aveva sentito bene. C’era aria di cambiamento. Ma era ancora presto per sapere di cosa si trattasse.
            Entrò nel pub e liberando i lunghi capelli neri dalla protezione del cappuccio, godette per un breve istante del tepore al suo interno. Jimmy, dietro il bancone di mogano, la riconobbe subito e le indicò il tavolo in fondo al locale con un sorriso amichevole. Come sempre le sue amiche avevano riservato il tavolo d’angolo sotto la finestra a rombi, un po’ appartato e con le candele accese. Quando le raggiunse quattro teste si voltarono per salutarla e una di loro si alzò, impaziente di abbracciarla. Sarah sprofondò il viso nei capelli gonfi di umidità di Isabelle, respirando il familiare profumo simile allo zucchero filato.
            ‹‹Staccati e falla sedere, così possiamo iniziare a raccontare!›› le ordinò sua cugina Carol impaziente di dare il via alla serata.
            Sarah prese posto sulla panca sotto la finestra accanto ad Emily, il cui naso rosso e screpolato la frenò dal chiedere all’amica come stava.
            ‹‹Don ho capito il bisogno di vedersi con tatta urgenza, anche io sono stata in vacanza, ba non ho fatto tutto questo casino appena tornata.›› si lamentò Emily, che era stata quasi tirata fuori di casa con la forza e il cui naso tappato generò una risata collettiva.
            ‹‹Perché noi siamo state in Italia. Tu sei stata in montagna e probabilmente la cosa più interessante con cui sei stata a contatto è stato il raffreddore.›› ribatté Isabelle, sfoggiando un marcato italiano nel pronunciare il nome della nazione. Isabelle non era cattiva ma le piaceva fingere di esserlo qualche volta, accompagnando gesti snob a commenti pungenti. Sarah accarezzò la testa bruna di Emily con fare materno e Vicky represse a stento una risata davanti all’espressione da cucciolo dell’amica.
            ‹‹Sta arrivando Jimmy!›› squittì Carol, ma nella fretta di dirlo uscì più come un: ‹‹Starrivandojmy››.
            Il cameriere biondo posò sul tavolo solcato da incisioni di anni e anni di clienti giovani un vassoio, distribuendo bottigliette di coca-cola e un bicchiere di birra, che posò davanti alle due cugine. Andando via con le ordinazioni da mangiare fece un palese occhiolino a Carol, che arrossì violentemente sotto le lentiggini, assumendo il colore dei suoi capelli.
               ‹‹Hey, perché vi ha portato una birra?!›› esclamò Vicky stupita: nessuna di loro aveva diciotto anni, in realtà nemmeno diciassette.
            ‹‹Perché siamo appena tornate.›› spiegò Isabelle, come se fossero state via un mese in missione in qualche posto pericoloso. ‹‹Siamo mancate anche a lui, evidentemente.››
           Carol le lanciò un’occhiata ma non disse nulla. Vicky, che era la più responsabile del gruppo, si oppose dicendo che se si fossero ubriacate le avrebbe abbandonate sul marciapiede fuori dal locale; ma prima che potesse finire la frase Carol ne aveva già bevuta una lunga sorsata nel tentativo di placare i rossori, chiudendo il gesto con un rutto involontario che fece girare un paio di persone. Le cinque amiche scoppiarono a ridere, felici di essersi riunite. Erano pronte per cominciare l’ultimo anno di scuola insieme.






***Angolo autrice***
Ebbene sì, sono tornata. 
Chi di voi mi legge per la prima volta e vorrà seguirmi, si renderà presto conto della mia incostanza e delle mie insicurezze, ma penso che sia una cosa molto comune fra noi piccoli scrittori.
Per chi invece ho il piacere di ritrovare, vi ringrazio per avermi dato un'altra possibilità. Penso sia inutile, anche se molto sentito, scusarmi per essere scomparsa ed essere riapparsa solo saltuariamente. Confido nella vostra clemenza e spero abbiate conservato un bel ricordo di me e delle mie storie.

Questa non è una nuova storia, in fondo. E' la famosa storia che avevo rischiato di cestinare tanti, tanti anni fa e che avevo abbandonato con gioia, quasi, per dedicarmi ad Enchanted. Ma come sempre, arriva il momento per ogni scrittore di trovarsi BLOCCATO, e questa volta ho camminato a ritroso nei miei sogni nel cassetto e ho fatto di questa storia, la prima storia che inventai da bambina, la via per sfuggire a questo maledetto blocco, sperando che pubblicandola riuscirò a riportarla in vita.

Se siete degli affezionati, per non dire fissati, di Harry Potter, qui forse troverete delle smilitudini, soprattuto se le cercate; ma non ho tratto ispirazione dal capolavoro della Rowling, sebbene l'argomento sia simile, quindi rischierò sicuramente di incappare in "incidenti" (?)
Se noterete qualcosa di troppo simile ad HP, fatemelo notare nel caso :)

Un abbraccio a tutti gli amanti delle parole scritte <3
  
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