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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    24/12/2017    8 recensioni
"C’erano momenti, nell’intimità che sempre più spesso si concedevano o nella solitudine silenziosa della sua camera, in cui Gellert lo sentiva penetrare dentro di sé, caldo frettoloso violento vorace, sì, lo sentiva prendersi pezzo dopo pezzo tutte le sue aspirazioni, potere gloria supremazia, tutti i suoi sogni e farne brandelli."
[Quarta classificata e vincitrice del premio Pathos nella classifica dei partecipanti e quinta classificata e vincitrice del premio Katatonia nella classifica del giudice nel concorso "Flashiamo!-III edizione" indetto da _Freya Crescent_ sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Titolo: Il tempo di un bacio

Introduzione: 

Al suo fianco ci sarebbe stato Albus, certo. Non poteva essere altrimenti.

Oramai Gellert si era preso la briga di renderlo partecipe dei suoi maestosi piani di gloria, non poteva certo lasciarlo privo di una qualsivoglia ricompensa, dopo tutto ciò che aveva fatto e tuttora faceva per lui.

Non che la compagnia di quel ragazzo gli dispiacesse, a dirla tutta.

Non che Albus stesso gli dispiacesse.

[...]

C’erano momenti, nell’intimità che sempre più spesso si concedevano o nella solitudine silenziosa della sua camera, in cui Gellert lo sentiva penetrare dentro di sé, caldo frettoloso violento vorace, sì, lo sentiva prendersi pezzo dopo pezzo tutte le sue aspirazioni, potere gloria supremazia, tutti i suoi sogni e farne brandelli.

Coppia: AlbusxGellert

Generi: Introspettivo, Sentimentale, Drammatico

Rating: Giallo

Avvertimenti: Missing moments

Note: Non sono AFFATTO sicura di questa cosa... E' da tantissimo tempo che non scrivo, e questa cosa... Non è venuta come avrei voluto. Ma dubito di poter far meglio in questo momento. Non so davvero se Gellert sia ben caratterizzato o se l'abbia completamente sbagliato, come personaggio. Di solito scrivo di questa coppia sempre dal punto di vista di Albus, e non posso negare di essere un po' spaventata dal giudizio di mary XD Ma va bene, ormai la storia è quella che è.

L'unica cosa che vorrei dire è che in teoria le tre parti in cui la storia è divisa, con relativo titolo, sono legate a un determinato tempo musicale a cui per certi versi corrispondono anche i baci descritti nella storia: il primo bacio, più lento, i secondi, frettolosi e passionali, il terzo, anch'esso piuttosto frettoloso ma più drammatico. A queste tre parti corrispondo anche tre stili diversi, o almeno, nella mia intenzione dovevano essere diversi. Credo di aver sbagliato anche a fare quello.

Insomma, non è il lavoro di cui sono più soddisfatta, se non si era capito XD

 

“Mai fiore più orgoglioso sbocciò nella mia vita.

Lontano sogno di gioventù,

loto di fiamma scarlatta.

Tu eri il vento che sfiorava la mia cima…”

(Kaze to ki no uta, Keiko Takemiya)

A         d         a         g         i           o

Il silenzio pesava grave in quel pomeriggio afoso. L’estate, a Godric’s Hollow, era umidiccia e calda, di un caldo che si appiccicava alle vesti e alla pelle, sopraffacendo ogni senso e ottundendo ogni percezione. Gellert detestava quel clima: rimpiangeva il timido sole della sua madre patria, il mite e calmo fluire del calore, la brezza mattutina che lo svegliava ogni giorno, pizzicandogli bonariamente il viso e che lo riscuoteva subito dal torpore. Il sole, lì, era sin troppo spavaldo per i suoi gusti, il calore permeava l’aria come un pestilenziale fetore e non un filo di vento giungeva a dare sollievo alle sue membra indolenzite.

Disteso su una delle colline che circondavano Godric’s Hollow, Gellert Grindelwald aveva una chiara e dolorosa percezione di ogni singola parte del suo corpo, immerso interamente in quello stato di consapevole prostrazione. Di ogni arto sentiva il peso, e tale peso era incommensurabilmente superiore alla norma; di ogni articolazione sentiva la presenza, eppure sembrava che quel giorno si fossero dimenticate di compiere il loro lavoro, lasciandosi trascinare anch’esse in quell’allucinata distensione dei sensi; di ogni cosa che lo circondava, degli alberi, i fiori, gli stessi fili d’erba, percepiva internamente la presenza e la consistenza, ma pareva che le sue palpebre non avessero più la forza di sollevarsi e constatare quale fosse l’effettiva disposizione del mondo attorno a lui.

Ecco, quella era la cosa che più di tutte gli risultava odiosa, in quella cittadina: la greve inattività che sembrava dominare ogni ambiente e permeare ogni elemento, perfino l’aria che in quel momento stavano respirando.

Non era mai stato portato per la calma e la pace, Gellert Grindelwald.

“Gellert…”

La voce del suo compagno gli giunse ovattata alle orecchie. Il giovane suppose che quello stato di torpore avesse colpito anche lui.

“Sì, Albus?”

Sentì un fruscio ovattato accanto a sé. Probabilmente l’amico s’era girato su un fianco. Gellert provò a rappresentarselo nella mente, quel corpo magro infagottato negli abiti ridicolosamente larghi, il viso affilato-le palpebre erano troppo pesanti, davvero troppo pesanti per poter vedere, ma quanto avrebbe voluto…-, gli occhi lucenti incastonati nel bianco quasi malaticcio della sua carnagione, gli occhi lucenti che ora l’osservavano, lo squadravano, lo spogliavano lentamente. Nonostante l’ottundimento dei propri sensi, non riuscì ad evitare che un singolo brivido gli attraversasse la schiena, a quel pensiero.

Conosceva gli sguardi che Albus sapeva riservargli. L’amico era capace di osservarlo per tempi indefinitamente lunghi, soffermandosi su ogni dettaglio del suo viso con un’attenzione quasi maniacale. Nei suoi occhi brillava l’adorazione di un credente inginocchiato davanti all’immagine di un dio, e l’uguale fervore fanatico che avrebbe spinto lo stesso credente a uccidere, se solo il suo dio gliel’avesse domandato. Tale era il suo potere su Albus, e Gellert si cullava beatamente nella consapevolezza di quel piccolo privilegio a lui e a lui solo concesso.

“Una volta che avremo trovato tutti e tre i Doni… Cosa ne faremo?”

Il ragazzo sbuffò appena. Era un discorso che avevano già affrontato, tante, troppe volte.

Ripetere le stesse cose più e più volte lo annoiava tremendamente, come tutto ciò che era ripetitivo lo annoiava. Forse per questo anche le persone lo annoiavano: la novità che l’aveva irresistibilmente legato all’una diveniva ben presto poco interessante, e in un'altra trovava un dettaglio ugualmente o addirittura più eccitante che ravvivava il suo interesse da tempo sopito, come un nuovo ceppo dava nuova vita a un fuoco ormai in fin di vita.

Di Albus, tuttavia, non si annoiava mai.

Albus era diverso.

“Mi sembrava di essere stato piuttosto chiaro al riguardo. Potremo finalmente liberare il Mondo Magico di quello stupido Statuto di Segretezza e fondare un nuovo mondo gestito da soli maghi”. Un sorriso spontaneo gli nacque sulle labbra, nel pronunciare quelle parole.

“Un nuovo mondo gestito da maghi”.

Meraviglioso.

Sì, sarebbe stato meraviglioso.

Nessun insulso Babbano da cui nascondersi, nessuna legge a circoscrivere la loro straordinaria potenza, nessuna barriera dietro la quale nascondere quella naturale superiorità che fino ad allora erano stati costretti a celare.

E a capo di quel nuovo, straordinario ordine mondiale, al vertice di quella piramide di potere (e di paura) si sarebbe erto fiero lui, proprio lui, Gellert Grindelwald, espulso da Durmstrang a sedici anni, vergogna di suo padre, silenzioso rimpianto di sua madre. Già si vedeva, sì, riusciva a vedersi scrutare dall’alto il suo regno, imporre su quel nuovo mondo il potere oscuro, il terrore della morte imminente, lui, padrone e signore dei Doni…

E Albus.

Al suo fianco ci sarebbe stato Albus, certo. Non poteva essere altrimenti.

Oramai Gellert si era preso la briga di renderlo partecipe dei suoi maestosi piani di gloria, non poteva certo lasciarlo privo di una qualsivoglia ricompensa, dopo tutto ciò che aveva fatto e tuttora faceva per lui.

Non che la compagnia di quel ragazzo gli dispiacesse, a dirla tutta.

Non che Albus stesso gli dispiacesse.

Gellert Grindelwald non avrebbe mai potuto ammetterlo a sé stesso –non ancora, almeno–, ma quel compagnia inaspettata che aveva trovato, quell’empatia caratteriale che li aveva subito avvicinati e che gli aveva fatto comprendere sin dall’inizio che sì, Albus Silente sarebbe stato davvero perfetto per i suoi scopi, aveva già da tempo abbandonato la forma di un mero e bieco interesse per maturare in un sentimento molto più complesso e profondo di cui la sua mente eccezionale non riusciva ancora a captare totalmente le sfumature.

Era folle e strano, quell’attaccamento di cui sentiva la dolorosa estensione perfino in quel momento in cui tutti i suoi sensi risultavano assopiti e dolcemente abbandonati all’afa penetrante.

Avrebbe potuto perfino essere…

“E tu hai altri… Progetti, oltre a quello?”, chiese l’altro, con tono sommesso.

Gellert cercò di immaginarselo anche in quel momento, il volto di Albus lievemente all’ingiù, gli occhi bassi –lo stava ancora fissando? Lo stava ancora spogliando?–, quell’espressione di incertezza e al contempo di profonda curiosità che lo prendeva nell’ascoltarlo parlare dei Doni, e della prevalenza dei Maghi, e del Bene Superiore… Talora lo interrompeva nel bel mezzo del discorso, e chiedeva con occhi attenti dettagli, metteva in discussione le sue argomentazioni, cercava di sviscerare le profonde ragioni delle sue argomentazioni. Era una gioia immensa, per Gellert, aver finalmente trovato uno spirito affine che comprendesse le sue teorie a tal punto da ribaltarle liberamente e ricercarne con curiosità morbosa le radici.

Sì, non avrebbe davvero potuto fare a meno di Albus Silente.

Accompagnò la risposta ad un sospiro profondo, quasi parlare gli risultasse faticoso.

“Non credo, Albus. Tu ne hai?”

Silenzio.

Lungo, greve, assoluto silenzio.

La prima cosa che Gellert percepì fu qualcosa che premeva contro le proprie labbra.

La seconda cosa fu la sua bocca che, mossa da un istinto quasi primordiale, si apriva a ricevere il frutto prezioso dell’altra.

La terza cosa fu il calore che, tutto d’un colpo, attraversava il suo corpo e rinvigoriva le sue membra addormentate.

PRESTO

Albus scivolava sulla sua pelle, lambiva con le labbra il suo corpo, corrodeva coi denti le sue certezze.

Non passava giorno, adesso, durante il quale Gellert non sentisse, se non la necessità impellente, quantomeno il desiderio ardente di poter trascorrere qualche secondo qualche minuto qualche ora nell’intimità delle sue braccia, lasciarsi cullare dolcemente passionalmente inesorabilmente, lasciare che nella sua memoria i Doni divenissero un ricordo lontano e sbiadito, lasciare che le mani di Albus cancellassero via con forza irruenta ogni preoccupazione per il domani ogni sogno di rivalsa, lasciare che i suoi baci mitigassero per poco la fiamma ardente della sua ambizione.

Gli concedeva di scorrazzare liberamente sul suo corpo, lui, affamato e voglioso, di abbuffarsi di ogni portata di quel lauto banchetto, di scoprire ogni più deliziosa maniera per farlo godere gioire quietare, per farlo sentire vivo ed ebbro –oh, Albus…–.

Si faceva rincorrere, talora, si lamentava dolorosamente di non poterne più, provava a sfuggirgli tra le mani, capriccioso e incostante come un vento primaverile. Gli opponeva violenza, lo scacciava senza vergogna, lo allontanava solo per farsi riprendere… E quando lui avvolgeva con forza le braccia attorno alle sue spalle, quando sentiva le sue dita penetrare con uno scatto di violenza nella propria carne, quando lo riattirava a sé con quell’impetuosità possessiva, oh, Albus!

C’erano momenti di affetto estremo nel loro rapporto, momenti nei quali il languore si impossessava completamente dei loro gesti e delle loro parole, momenti in cui una specie di dolcezza soffusa calava su di loro. In quei momenti il compagno gli prendeva la mano e la accarezzava, soffermandosi su ogni singolo dito, o ancora baciava quella stessa mano, senza malizia senza passione senza desiderio. Altre volte sentiva invece le sue dita percorrere delicatamente le curve del proprio corpo, accarezzarlo senza che potesse rintracciare in esse una qualsivoglia tensione ad affondare nella pelle scoperta, come spesso faceva. Era in quei momenti che Gellert sentiva venir meno in lui la determinazione, in quei momenti che i suoi progetti risultavano incompatibili a quell’eccessiva quiete, e quell’oblio che aveva bramato con tanta forza ora lo respingeva con altrettanta avversione: allontanava la mano di Albus o la afferrava in una stretta lesta e forte, lasciando che lo toccasse ancora che martoriasse il suo corpo che lo lasciasse ribellare.

Non era mai stato portato per la calma e la pace, Gellert Grindelwald.

C’erano momenti, nell’intimità che sempre più spesso si concedevano o nella solitudine silenziosa della sua camera, in cui Gellert lo sentiva penetrare dentro di sé, caldo frettoloso violento vorace, sì, lo sentiva prendersi pezzo dopo pezzo tutte le sue aspirazioni,potere gloria supremazia, tutti i suoi sogni e farne brandelli.

Non che Albus si azzardasse mai a mettere in dubbio le sue teorie o i suoi progetti futuri, certo che no. Non era Albus il gran nemico che si ritrovava ad affrontare, talvolta con esiti violenti o eccessivi nei confronti del malcapitato compagno.

No, era contro quello strano sentimento anomalo che Gellert Grindelwald si andava scontrando ogni giorno, contro quella malattia misteriosa che pezzo per pezzo si portava via la sua ferma decisione e la sua magnifica, opulenta visione. Perdurava ancora, certo, come una fonte luminosa alla fine di un lungo tunnel che era quell’intensa ricerca, svettava in lontananza e si stagliava contro lo sfondo del suo futuro. Eppure sembrava brillare di una luce più fioca, adesso, e i suoi contorni risultavano meno nitidi.

Si nutriva di lui si cibava impunemente lo consumava nel profondo.

Gellert tentava inutilmente di combatterlo e di abbatterlo, ma quel mostro vorace rinasceva dalle proprie ceneri e si nutriva del suo predecessore senza vergogna.

Gellert provava allora ad allontanarsi, sperava che la lontananza avrebbe debellato definitivamente la bestia e l’avrebbe riportato alla quiete della sua sicurezza e dei suoi progetti. Ma questa veniva a cercarlo anche nella solitudine e s’insinuava silenziosamente sotto la sua pelle, lasciandolo indugiare penosamente nei dubbi. Si vedeva allora costretto a tornare da Albus, e a lasciare che un suo baciofrettoloso affamato scacciasse via quel lento consumarsi.

E poco importava se poi il mostro sarebbe tornato a tormentarlo, poco importava se quel circolo vizioso si ripeteva giorno per giorno settimana per settimana, se ogni dannatissima volta si ritrovava inevitabilmente tra le braccia di Albus, cercando di schiacciare quell’angoscia divorante che lui stesso sembrava scatenare.

Gellert Grindelwald lasciò protrarre la sofferenza finché non esplose la tragedia.

 

“Gellert…”

“Sì, Albus?

“Una volta che avremo trovato tutti e tre i Doni… Cosa ne faremo?”

“Te l’ho già detto tante volte, Albus…”

“Ma tu non hai… Davvero altri progetti, Gellert?”

“Insomma, Albus, si può sapere di cosa stai parlando?”

“Di nulla, Gellert. Di nulla”.

 

Moderato

Non era così che Gellert aveva immaginato di rincontrare Albus Silente.

Certo, non avrebbe mai sognato un incontro formale e sereno. Non avrebbe mai immaginato di vedersi recapitare un giorno una lettera che “richiedeva la sua gradita partecipazione” ad una cena ad Hogwarts, né si sarebbe aspettato un incontro solitario al chiaro di luna per ricordare i bei vecchi tempi e lasciarsi andare ai rimpianti, o al contrario riaffermare con forza il proprio orgoglio e le proprie posizioni. Erano ormai troppo vecchi per quel genere di sentimentalismi.

No, non avrebbe mai potuto sopportare un incontro pacifico con il suo antico compagno. Il loro rapporto era sempre stato improntato alla guerra e al dissenso, sin dal primo incontro. Non poteva certo credere che ora, dopo tutto ciò che entrambi avevano fatto, Albus desiderasse rivederlo come fosse un qualsiasi vecchio amico.

Eppure, non era così che Gellert Grindelwald aveva creduto che sarebbe terminata la loro storia.

In tutti quegli anni aveva avuto il tempo di riflettere e analizzare il loro rapporto, con la calma e l’inquietudine che solo l’età –e forse la sua perdita– gli avevano conferito. Ed era giunto ad una semplice, laconica conclusione che, pur non avendo placato la sua smania, l’aveva aiutato a comprendere la violenza di quei sentimenti provati tanto tempo prima: si erano inseguiti per tutta la vita, Albus Silente e lui. Si erano inseguiti tra i corridoi di Hogwarts e quelli di Durmstrang, quando entrambi i loro cuori anelavano ad una compagnia più appropriata alle loro ambizioni e ai loro desideri; si erano rincorsi tra le strette strade di Godric’s Hollow, in preda ad un’inquietudine comune e ambiziosa; si erano rincorsi perfino nel momento in cui si erano trovati, cercando di raggiungersi, tentando di comprendersi, e infine scappando sparutamente nell’istante in cui erano giunti a quella comunione tanto desiderata. Si erano incontrati a metà strada, meteoriti in rotta di collisione con la Terra, e si erano distrutti vicendevolmente in quell’impatto inevitabile. E sebbene qualche pezzo di loro avesse continuato a vagare nella galassia, apparentemente guidato da un preciso scopo, nulla, a seguito di quel fatale urto, era stato più lo stesso.

Gellert s’era avvicinato alla luce, era arrivato a sfiorare la roccaforte dei suoi desideri; eppure in lui non c’era traccia di gioia, né esaltazione.

Non c’era Albus.

Non ci sarebbe mai più stato Albus.

 

“Gellert…”

“Sì, Albus?”

“Una volta che avremo trovato tutti e tre i Doni… Cosa faremo?”

“Albus…”

 

Era inevitabile, Gellert l’aveva sempre saputo.

Non avrebbe mai trovato pace, non finché la pace non gli sarebbe stata imposta.

Non avrebbe mai smesso di correre, non finché qualcuno non avesse decisamente bloccato le sue gambe dal fare un altro metro verso la sua indistinta roccaforte.

L’inquietudine che lo spingeva s’era ormai assopita da tempo, e nonostante ciò lui proseguiva nel suo cammino per inerzia, lasciandosi trascinare da un antico progetto, dal progetto che lui e Albus avevano costruito insieme, dal futuro che avrebbe dovuto essere loro.

Non era mai stato portato per la calma e la pace, Gellert Grindelwald.

Ma ora era stanco, mortalmente stanco.

Avrebbe lasciato che il po’ di calore che gli era rimasto in corpo scivolasse via, avrebbe lasciato che la bestia lo facesse a pezzetti sempre più minuscoli fino a lasciarlo scivolare nell’oblio.

Era stanco di aggrapparsi a quell’ideale da solo.

Era stanco di lottare da solo.

 

“È che io… Avrei quest’idea. Questo progetto. E in parte ti riguarda, Gellert.”

“E va bene, Albus, si può sapere di cosa diavolo stai parlando?”

 

L’ultimo incantesimo sarebbe stato facilmente schivabile.

Albus non era nella sua forma migliore, e nessuno meglio di lui avrebbe potuto giudicare le sue capacità nel duello.

Forse anche lui era stanco, chi poteva saperlo?

Ma non era lui a dover arrendersi, lo sapevano entrambi.

L’ultimo pensiero cosciente di Gellert Grindelwald fu la speranza che non facesse troppo male.

 

“Di me e te, Gellert. I Padroni della Morte”.

 

L’ultima sensazione chiara fu il lento risvegliarsi della bestia, da qualche parte nelle sue viscere. Lo soverchiò senza difficoltà, lo strinse tra le sue spire, e in un singolo istante di dolore Gellert Grindelwald collassò su di essa.

 

“Della nostra immortalità”.

 

L’ultima percezione nitida, delle labbra sporche di sangue premute contro le sue.

E una lacrima che cadeva sulle sue palpebre chiuse.

 

“Potremmo stare insieme in eterno, Gellert”.

  
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