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Autore: Freya Crystal    28/12/2017    5 recensioni
Non esistevano più i cieli infiniti. Non si sentivano più le risate, i versi degli animali in festa, il profumo delle more. Le favole degli artisti erano morte assieme al sole. E mentre il cielo piangeva violentemente, Ariana si sentiva sbriciolare in mille pezzi sotto quelle mani bestiali.
Papà, portami via.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Ariana Silente, Gellert Grindelwald
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Portami
 
via 

 

 


 
Boyce lasciò cadere il fazzoletto che teneva tra le dita per lo stupore. Avrebbe dovuto avvertire immediatamente Cory e Hale, dire loro di fermarsi, di guardare, ma era troppo meravigliato per riuscire a parlare. Rimase immobile come uno stoccafisso a godersi lo spettacolo, il vento che s'alzava con grazia a sfiorare le foglie delle siepi, il profumo delle more a stordirlo. La bambina seduta sul prato era così piccola e silenziosa che l'aveva notata soltanto per puro caso. 
"Ehi! Che cosa sta —
Boyce alzò semplicemente una mano per intimare a Hale di tacere e l'agitò per fargli segno di tornare indietro. L'amico percorse a ritroso il sentiero sterrato, seguito a ruota da Cory. 
"Che cosa stai guardando?"
"Buon Dio!"
Le more che la bambina stava facendo levitare in aria franarono a terra come una pioggia di perline. Boyce trattenne a stento un'imprecazione e rivolse un'occhiata raggelante agli amici, poi spostò nuovamente lo sguardo sull'oggetto del suo interesse. La bambina si era alzata in piedi e aveva tutta l'intenzione di lasciare il parco, ma lui le sorrise in un modo che sperò risultasse conciliante. 
"Non avere paura di noi, non vogliamo farti del male."
 
 

 
*
 


Ariana fissava i tre ragazzi con vaga curiosità. Il piccolo parco vicino a casa le piaceva perché era raro trovare visitatori, ma forse quelle persone non le avrebbero dato fastidio, forse non sarebbe stato necessario andarsene. Il ragazzo alto e moro le aveva detto che non doveva avere paura di loro, in più aveva un viso simpatico, arricciava il naso in un modo che le ricordava il cagnolino della signora Byron. Che motivo aveva di non fidarsi di lui? Gli permise di avvicinarsi insieme ai suoi amici e aspettò che parlasse ancora.
"Piacere, Boyce" le disse lui, piegandosi per trovarsi alla sua altezza. 
"Salve." 
Ariana si mise a giocherellare col fiocco di una treccia, scrutandone il volto spruzzato di lentiggini e i capelli scompigliati che andavano in tutte le direzioni. 
"Io sono Cory" si presentò il ragazzo più basso dai capelli rossi. 
"E io sono Hale". Il ragazzo biondo col volto appuntito le fece un cenno di saluto.
"Allora, bella bambina, come ti chiami?"
La mamma le aveva sempre detto di non dare confidenza agli sconosciuti, eppure quel Boyce la faceva sentire speciale, sembrava sinceramente desideroso di conoscerla. "Ariana" gli rispose sorridendo. 
Il cielo stava iniziando a rannuvolarsi, ma lei era distratta da quegli inaspettati visitatori per accorgersene. "Cosa fate qui?" chiese innocente.
"Stavamo andando a raccogliere la legna, però quando abbiamo visto le magie che sai fare ce ne siamo dimenticati" le spiegò Boyce, sedendosi di fronte a lei. "Vuoi una caramella?"
Ariana scosse il capo. "No, voglio sapere da dove venite." 
Cory ridacchiò leggermente. "Noi siamo artisti, ci muoviamo da un posto all'altro."
"Esatto" rincarò Hale, strappando una mora dalla siepe, "siamo cittadini del mondo."
"Artisti? Cittadini del mondo?" 
Ariana sentiva gli occhi brillare per la meraviglia. Amava la natura e scoprire posti nuovi in cui passeggiare, quei ragazzi conducevano sicuramente una vita stupenda. 
"Sì, ci divertiamo come matti" Boyce si passò una mano tra i capelli con fare disinvolto, "E pensa che potresti entrare anche tu nel circo!"
"Nel circo?"
"Sì, in un posto dove si esibiscono tantissimi animali stravaganti e dove si fanno i giochi di prestigio, come quello che tu stavi facendo prima." Boyce le fece l'occhiolino. "Sei una signorina straordinariamente brava, non ho mai visto qualcuno della tua età in grado di far volare gli oggetti! Se mi dici qual è il tuo trucco ti porto al circo tutte le volte che vuoi!" 
Ariana scoppiò a ridere. "Guarda che tutti i bambini sanno far volare gli oggetti! Io non sono speciale, però al circo ci vengo volentieri lo stesso!"
Cory e Hale si scambiarono un'occhiata d'intesa e ridacchiarono. Boyce le scompigliò dispettosamente la frangetta. "Sei anche spiritosa. Vedete, ragazzi? Il circo è il posto perfetto per lei. Avanti, fai volare ancora le more."
Ariana abbassò il capo e iniziò a torturarsi l'orlo del vestitino. "Non mi riesce sempre" mormorò sconsolata. 
"Coraggio, concentrati. Pensa a tutte le cose belle che ti faremo vedere!"
"C'è persino un pavone che sa versare il tè nelle tazzine!"
"E che mi dici del leone immune al fuoco?"
"O di Claire l'Illusionista del Tempo?"
"Se ci fai vedere il trucco potrai volare insieme a Skyler la Maga Nera vicino alle stelle."
"Sul serio?" Ariana fissò i ragazzi uno a uno, estasiata da quelle promesse a colori. 
"Certo!"
Agì di riflesso, le riuscì naturale come respirare. Le more abbandonate ai suoi piedi si sollevarono in aria, vorticarono, s'inseguirono, s'incrociarono fino a formare la parola 'circo' davanti agli occhi attoniti dei ragazzi. Ariana notò che Boyce spostava ripetutamente lo sguardo dalle more alle sue mani spalancate, come in cerca di qualcosa. Gli sorrise divertita, ma non appena lui le afferrò i polsi e le tastò le braccia perse la concentrazione. Il suo sussulto sorpreso spezzò l'incanto. "Signorino, cosa sta facendo?"
Boyce la lasciò andare. Non rideva più. "D'accordo Ariana, sei stata bravissima, adesso però vorremmo vedere quale trucco usi."
"Trucco?"
Cory e Hale si avvicinarono lentamente. "Ti abbiamo detto che ti porteremo al circo, ma anche tu devi collaborare" le spiegò quest'ultimo.
"Non so di cosa state parlando." Ariana si strinse nelle spalle, dispiaciuta all'idea di averli delusi e di dover rinunciare al circo.
Boyce indicò le more nuovamente cadute a terra. "Questo è un trucco. Come fai a eseguirlo?"
Ariana parve rincuorata. "Ah, ora ho capito. Beh, è semplice, basta tenere le mani spalancate e concentrarsi! Anche voi potete riuscirci!"
Una vocina piccola, vagamente simile a quella della mamma, le ripeteva 'Babbano' nella mente.
Babbano... ma cosa voleva dire?
Non ebbe modo di ricordare perché un dolore improvviso la distrasse. Boyce le stava tirando una treccia. "Mi hai stancato, mocciosa. Dimmi come fai. Dimmelo subito."
Ariana protestò con uno strillo spaventato, la testa involontariamente reclinata, soggetta alla stretta a cui Boyce la stava sottoponendo. Da quella posizione vedeva il suo volto in diagonale, gli occhi nocciola intrisi di rabbia e i denti scoperti apparivano così più inquietanti, distorti. Ariana liberò un grido, ma lui le tappò la bocca con una mano e poi mollò la presa. "Odio i bambini che si prendono gioco degli adulti" sputò sprezzante. 
"Sei cattivo!"
Lui la spinse e la fece cadere sull'erba. Il gomito iniziò a pulsarle forte per la brusca botta subita, ma Ariana non ebbe il tempo di realizzarlo a dovere. Qualcuno, forse Boyce, la afferrò per un piede e la trascinò verso di sé, poi le strinse le dita contro il mento, costringendola a guardarlo.
I suoi mondi colorati e vaporosi di piume festanti crollarono come castelli di sabbia, lasciando il posto soltanto a due occhi folli e carichi d'odio puntati su di lei, alla pressione delle dita esercitata contro la propria mandibola.
"Parla, mocciosa, o giuro che a casa non ci tornerai mai più. Giuro che ti strapperò di dosso questo maledetto vestito e te lo annoderò attorno al collo."
Il volto di Boyce divenne sempre più sfocato, le lacrime di Ariana scesero copiose sino a quelle stesse dita che le stavano facendo violenza, poi più giù, verso le clavicole, mentre agitava i piedi e singhiozzava. Non riusciva a respirare, il cuore le batteva così forte che minacciava di esplodere.
"Voglio la mamma" mormorò, il viso congestionato e inzuppato di lacrime. "Lasciami! Lasciami!"
"Boyce, falla alzare!"
Ariana si sentì sollevare e fece per scappare, ma qualcuno la trattenne e le tappò la bocca. Hale le piantò le unghie nella spalla. 
"Azzardati a urlare e per te sarà la fine." 
Boyce iniziò a tastarla dappertutto, alla ricerca di chissà cosa, e ogni tocco le fece provare acuta vergogna, la fece sentire sporca come se si fosse immersa in un fiume di fango. "Dove cazzo l'avrà messo? Cory, strappale via il vestito!"  
Ariana tremava a tal punto che Hale dovette sorreggerla per farla rimanere in piedi. 
Papà... vienimi a prendere. Ti prego, portami via! Non dovevo scappare ancora, scusami! Papino, dove sei?
"Maledizione!" 
Ariana sentì la testa esplodere, un ronzio assordante nelle orecchie, la pelle del viso bruciare. Ebbe la sensazione di precipitare, mentre Boyce abbassava nuovamente la mano per colpirla. 
Non esistevano più i cieli infiniti. Non si sentivano più le risate, i versi degli animali in festa, il profumo delle more. Le favole degli artisti erano morte assieme al sole. E mentre il cielo piangeva violentemente, Ariana si sentiva sbriciolare in mille pezzi sotto quelle mani bestiali. 
Papà, portami via.
 

 
*
 
 
 
Ariana ha sempre amato il profumo delle more. Ma adesso, quando Aberforth ne posa un piatto colmo sul comodino, inizia a gridare disperata. Ariana legge lo sconforto negli occhi di Albus, il tormento nelle mani contratte della madre, l'angoscia nel volto disfatto del fratello minore. Aberforth le sfiora la fronte con le dita e le canta una ninna nanna, le dice che va tutto bene, che ha raccolto le more per lei, che la sera loro due le mangiavano insieme davanti al camino — ma Ariana percepisce il fuoco sul viso, vede il mondo rovesciarsi, sente il sangue inondarle la bocca e le ossa spezzarsi.
Urla, urla, urla — suo padre piange, le solleva la testa e la chiama per nome. Papà, dove sei? Perché te ne sei andato? 
Ariana fissa il soffitto immacolato e lo vede tingersi di rosso, la vernice ramificarsi in tumefazioni violacee. Ariana rimpiange l'odore degli alberi in fiore, la percezione della terra fresca sotto i piedi nudi, il suono dell'acqua che scorre su se stessa. Non ricorda più i giorni di sole e le corse nei prati, le fughe dispettose che compiva abitudinariamente per raggiungere la propria oasi di pace, il colore del tramonto quando suo padre la portava a vedere il lago. Ariana conosce soltanto il buio, sua madre le concede di uscire di casa solo quando ci sono le stelle. Le stelle sono belle, ma la sera il mondo brilla meno, il mondo dorme e non l'aspetta mai. Ariana vorrebbe respirare all'aperto, immergersi nei colori della natura, ma tutti le dicono che è stanca, che ha bisogno di riposare, di stare in pace.
E quando fuori piove i ciocchi e le scosse e le esplosioni inondano la stanza. Ariana vorrebbe fermare tutti quei suoni — lo specchio s'infrange, le costole s'incrinano —, vorrebbe chiedere aiuto, vorrebbe avvertire Aberforth, dirgli che qualcuno sta venendo a prenderla — la porta vibra sui cardini, il suo viso brucia sotto i colpi di quelle mani maledette  —, vorrebbe fermare il tempo e sentire che Albus la sta abbracciando — il lampadario si schianta al suolo, un pugno alla schiena le mozza il respiro —, vorrebbe chiamare la madre, sentirla dire che i mostri non ci sono più, che la pioggia è finita, che nessuno potrà più farle del male — la credenza esplode, il cuore le scoppia nel petto quando arrivano i calci a stordirla.
Ariana vorrebbe chiedere scusa, quando sua madre le si avvicina e la magia esplode dentro di lei, spezzandole la vita. 
Papà, portami via.
 

 
*
 
Aberforth ha una voce bassa e avvolgente come il tepore del camino, una voce che s'innalza decisa e poi scende di colpo per dare vita ai tanti personaggi delle favole. Ariana sorride e stringe le dita sulla sua mano calda, mentre si lascia cullare da quei racconti. Albus le parla dolcemente e le legge altre favole, ma la sua voce non è spontanea. Ariana scorge l'amarezza e il rimpianto dietro le sue lenti a mezzaluna, non sa che il fratello maggiore seppellisce sogni di gloria contro il suo cuscino, ignora il richiamo di terre lontane che riecheggia dentro di lui quando la guarda, ma avverte che qualcosa non va. Ariana non comprende il senso delle storie che le vengono raccontate, le piace semplicemente ascoltare, eppure non ha bisogno di capire il dolore di Albus per sentirlo addosso come fosse suo. 
Albus la guarda come se volesse fuggire, come un bambino a cui stanno incrinando le costole, Albus ha il dolore negli occhi di chi sente la pioggia battere contro il vetro della finestra, come quella che le cadeva addosso mentre le schiacciavano la testa sull'erba.
Ariana chiude gli occhi, vuole cancellare la sua stessa testa, i ricordi, i mostri, gli incubi — gli occhi tristi di Albus. Deve bloccare la magia, deve bloccarla o loro gliela faranno pagare un'altra volta, fermati, fermati, fermati. 
Ma è troppo tardi. Non può fare altro che chiedere silenziosamente scusa al fratello, mentre i mobili vorticano nella stanza e le finestre esplodono. 
È nata soltanto per distruggere.
Papà, portami via. 
 
 
 
 
*
 
 
Gellert l'osserva con occhi accesi d'interesse e Ariana pensa di non averne mai visti di così belli. Sanno di mare in burrasca, di terre ghiacciate, di cieli infiniti. Gellert è un'armonia di sguardi affilati e tratti delicati, le sorride con grazia feroce ogni volta che le scosta i capelli dalla fronte, e Ariana non si sente più sbagliata — dimentica la pioggia e il rumore delle ossa che si spezzano, quando lui è con lei. Persino Albus sembra sereno. Gellert è venuto per salvarli.  È il principe che le donerà il suo 'e vissero felici e contenti'.
"Guardala, Albus. È così innocente, così bella..."
Ariana si lascia cullare dal suono di quella voce. È dura, autoritaria, eppure morbida. Gellert schiude sogni privi di pioggia ogni volta che le parla, intaglia promesse di pace con dita da pianista, dove un tempo erano stati i lividi a decorarle la pelle. 
"I Babbani l'hanno ridotta in questo stato. Non vanno protetti, ma distrutti."
Albus scuote la testa, gli occhi fissi sull'orizzonte al di là del vetro, occhi che anelano a viaggi e scoperte e conquiste, ma che intravedono già l'illusione oltre il vetro appannato. 
"Ti sbagli. Se vuoi scacciare il mostro, fai in modo di non usare le sue stesse armi."
"Credi ancora al mito di un mondo giusto senza il bisogno della violenza?"
Ariana sorride beata, Gellert le scruta l'anima alla febbrile ricerca di una risposta, eppure non soffre, sembra soltanto curioso. È l'unico che la guarda in quel modo, l'unico che le fa dimenticare le sue crepe. 
"No, credo a un mondo in cui non esistono soltanto carnefici. Tu non sei come loro, lo so."
Gellert si finge occupato a scostare i capelli dal viso di Ariana. Ariana che è bionda, con la carnagione chiarissima e gli occhi azzurri, come lui. Ariana che mentre l'osserva è il ritratto della gratitudine e sembra dirgli sarò sempre dalla tua parte, mentre l'oscurità cresce spietata in lei per divorarla dall'interno. Gellert pensa che Ariana sia la risorsa che stava cercando, ma sa anche che è il cancro di Albus.
Non riesce a respirare. 
 
 
 
*
 
 
Le voci si sovrappongono nella stanza con la violenza di un temporale. Ariana è pietrificata nella tragedia, mentre le sente scontrarsi come pugni contro i timpani. Gellert e i suoi fratelli danzano in un triangolo di morte, sono tre come i mostri che le hanno spezzato le ossa e la mente, tre come i Doni maledetti che li stanno spingendo al duello.  
Ariana vorrebbe fermarli, ma non sa e non può fare niente, si sente soltanto vibrare, vibrare, vibrare.  
 
 
 
Per un istante Gellert pensa che se Ariana non esistesse Albus partirebbe con lui. Se Ariana non esistesse, Albus non avrebbe una Obscuriale da proteggere e dal quale difendersi. Gellert sente la magia di Ariana sull'orlo del collasso, e gli basta quel singolo istante per ruotare il polso verso di lei. 

 
 
Gellert non è mai stato il suo principe. È il fulmine caduto sulla terra per distruggerla. Ariana però non teme più la pioggia. Ha la testa reclinata sul cuscino, gli occhi vuoti fissi sul soffitto che abbracciano cieli infiniti. È morta con la paura sul viso, ma finalmente è libera.
Papà, mi hai perdonata. 
 
 
 
Gellert abbandona Albus sapendo di avergli salvato la vita. Legge soltanto dolore, furia e disgusto sul suo volto, ma dirgli addio in quel modo è meno devastante. 
Gellert ha un unico pensiero che gli permette di andare avanti. Ce l'ha scritto nel nome — è un distruttore, ed è in quelle vesti che sogna di diffondere il mito di Ariana per l'Europa.
Gellert creerà un esercito in suo onore, la ergerà a simbolo della propria guerra. Ricorda un viso innocente straziato dalla follia, rimpiange il potere che lui stesso ha stroncato, ma se pensa che ha trovato un altro modo per rendere Ariana immortale, se pensa alle mani di Albus affondate tra i suoi capelli, capisce di aver fatto la cosa giusta.
Ha permesso a entrambi di rinascere. 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Spazio dell'autrice
La OS partecipa a "Il contest dei momenti perduti" indetto da Mary Black sul forum di EFP. 
La teoria che Ariana sia in realtà una Obscuriale è molto diffusa, siccome mi piace da matti e la sostengo ho voluto darle spazio in questa OS. Sapendo inoltre che Gellert in "Animali Fantastici" ha fatto carte false per avere come alleato l'Obscuriale Credence, ho un po'calcato la mamo in tal senso. Ovviamente non sarei io se non inserissi rimandi all'etimologia  (ma è anche colpa della Rowling! :D), Gellert è descritto come un fulmine distruttore perché 'Grindel' in tedesco antico significa 'fulmine', mentre nell'inglese antico 'Grind' significa 'distruggere' o 'distruttore'. Il 'portami via' del titolo è quello esplicito che Ariana dice al padre, ma anche quello implicito che Albus rivolge a Gellert. Lo stile è volutamente semplificato nella prima parte della storia perché volevo adattarlo il più possibile a una bimba di sei anni. 
Ho finito, grazie a chiunque abbia letto! 
 
 
  
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