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Autore: Josephine_    29/12/2017    9 recensioni
Deku iniziò a studiare il piccolo gruppo di piante davanti a sé come se si fosse trattato della cosa più interessante del pianeta -cosa che, per inciso, non era affatto- e lui si accese una sigaretta per il solo gusto di dargli fastidio: come supposto, ci riuscì in pieno.
- Non sapevo che avessi iniziato a fumare. -
- Buongiorno, Midoriya. -
- Ehr… lo sai, vero, che fa male ai polmoni? -
- Anche sprecare fiato fa male ai polmoni, eppure tu lo fai quotidianamente. -
(Per citare una frase del famoso Dickens: se Katsuki avesse potuto fare a modo suo, ogni idiota che se ne andava a giro con quello stupido "buon Natale" in bocca meritava di esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio piantato in gola.)
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Mina Ashido, Shouto Todoroki, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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It’s beginning to look a lot like Christmas

 









 
 "Natale non sarà Natale senza regali"
(Piccole donne, incipit, Louisa May Alcott)
 










 
Tenya Iida, o della sconvenienza


Non era andata così male, alla fine. Certo all’inizio si era sentito un po’ scettico davanti a quell’iniziativa che prometteva soltanto una buona perdita di tempo, e nessun credito formativo in palio. Era sicuro che avrebbe tolto un sacco di ore allo studio: probabilmente avrebbe dovuto condensare negli ultimi giorni tutte le pagine necessarie a passare l’esame di metà anno a testa alta, forse il suo punteggio finale ne avrebbe addirittura risentito. Comunque alla fine tutte le ragazze, soprattutto loro, che in pigrizia se la giocavano benissimo con Mineta e Kaminari, avevano votato a favore del Secret Santa, e allora eccolo lì che aveva appena sorteggiato dal cappellino di lana di Uraraka, adibito ad urna per l’occasione, il destinatario del proprio regalo di Natale.
Hagakure Toru.
La ragazza invisibile. La prima cosa che Tenya pensò fu che, visto che era una ragazza invisibile, magari le sarebbe andato bene anche un regalo invisibile. La seconda fu che, se lo avesse sentito adesso, sua madre gli avrebbe con buona probabilità rifilato uno scappellotto accompagnandolo con le parole “Era troppo chiedere un figlio gentiluomo?”
Tutti gli eroi erano gentiluomini. Ma lui dubitava fortemente che un eroe dovesse cimentarsi nella scelta di un regalo di Natale, ecco tutto.
Ma a giudicare dall’espressione sconvolta di Uraraka, a lei doveva essere andata addirittura peggio.








 
 
 
Mina Ashido, o dell’astio ingiustificato 

 
Tenya Iida.
Non voleva crederci: lei con il rappresentante di classe ci aveva parlato sì e no tre o quattro volte da quando era iniziata la scuola, e ovviamente non lo conosceva mica così bene da sapere cosa gli sarebbe piaciuto ricevere come regalo di Natale.
Insomma, cosa poteva piacere a un tipo come quello? Un libro? Una collezione di libri? Un nuovo set di penne per prendere appunti durante le lezioni? Era sicura ne consumasse almeno una a settimana. Prendeva appunti più velocemente di quanto muovesse quelle dannate gambe -e lei era sicura che neanche con tutto l’acido del mondo sarebbe riuscita ad andare veloce come lui. Ma che regalo noioso, noioso come lo sembrava lui, mister Voti Perfetti e Condotta Impeccabile. Non che lo odiasse o lo trovasse particolarmente sgradevole, intendiamoci: solo che quel fare da primo della classe, da secchione diligente, da perfettino, stonava in tutto e per tutto con ciò che invece caratterizzava lei, ovvero un’estrema sbadataggine, una pigrizia invidiabile e dei pessimi voti in tutte le materie. Mina sospirò silenziosamente tutto il proprio sconforto: perché avrebbe dovuto fare un regalo a un tipo del genere, con cui aveva letteralmente zero in comune? Non poteva semplicemente tenersi i soldi da parte e comprarsi quel videogioco con gli zombie che diventavano supereroi?
 








 
 
 Kyoka Jirou, o degli esiti imperfetti 
 
 
Kaminari Denki.
Denki.
Denki…!!
Ancora non ci credeva, che davvero doveva sprecare la sua buona azione natalizia per quello scemo che, se non meritava comprensione tutto l’anno, di sicuro non la meritava per Natale.
E poi chissà quanto l’avrebbe presa in giro per una cosa del genere: Kyoka mi ha fatto un regalo di Natale, Kyoka si è presa una cotta per me, Kyoka è così carina quando incarta i regali con le sue mani….
Insopportabile narcisista.
Perché la fortuna non era stata minimamente dalla sua? Cioè, non che di solito giocasse particolarmente a suo vantaggio, ma neanche era mai stata così spietata!!
E poi era doppiamente imbarazzante se pensava che lei ormai Kaminari lo conosceva piuttosto bene, e tuttavia non aveva la minima idea di cosa regalargli. Neanche si era mai posta un problema: insomma, perché avrebbe dovuto fare un regalo a quello scemo di Denki?
 
 
 










 
Ochako Uraraka, o dei sogni infranti
 
 
Avrebbe mentito se avesse detto che aveva aderito all’iniziativa del Secret Santa per puro spirito natalizio. Certo, sì, c’era anche quello, ma nello schierare in prima linea il proprio cappello rosa come urna per il sorteggio, era stato un altro il pensiero che per tutto il tempo aveva animato il film mentale nella sua testa: lei che frugava ad occhi chiusi in mezzo ai bigliettini, ne afferrava uno tra pollice e indice, lo portava al petto, lo apriva, vedeva il nome di Deku scritto a lettere stampatelle. Poi passava tutto il weekend a cercare il regalo perfetto per lui, nei negozi della periferia e del centro commerciale, era indecisa, alla fine sceglieva quello che le piaceva di più. Il giorno prima delle vacanze, a scuola, anche lui aveva qualcosa per lei, perché anche lui sin dall’inizio aveva sorteggiato il suo nome, il suo soltanto, in una chiara manifestazione di ciò che i veri innamorati chiamavano destino, quel filo rosso stretto al dito indice che la collegava direttamente al polso di Deku.
“Ochako!!” la chiamò qualcuno “Ochako, sta a te.”
“Eccomi, scusate!”
Si preparò mettendosi davanti al cappello con gli occhi chiusi, alzò una mano, la immerse in mezzo ai foglietti. Scavò qualche secondo, aspettando un’illuminazione che non arrivò, così alla fine ne estrasse uno a caso che non era neanche quello che voleva. Lo portò al petto, lo srotolò piano, aprì gli occhi. Per poco non le venne un infarto.
Minorou Mineta.
(Esatto, il pervertito della classe.)
 
 









 
 
(Tsuyu, invece, poteva dirsi molto soddisfatta dell’esito del proprio sorteggio.
Kirishima Eijiro.
Se era vero che loro due non erano mai stati particolarmente in confidenza, era anche vero che Tsuyu sapeva esattamente cosa regalargli in quanto suo Secret Santa: un bellissimo maglione di lana verde scuro, con ricamata una ranocchia all’altezza del cuore. Infatti, nonostante il suo quirk di resistenza non contemplasse necessariamente la resistenza al freddo, Kirishima si ostinava a girare in maniche corte anche in pieno inverno, e allora in classe continuava a lamentarsi non appena la temperatura scendeva sotto i venti gradi, prontamente appoggiato da Bakugou che, come lui, sguazzava nei climi tropicali. Sì, un maglione sarebbe andato più che bene.)
 
 
 






 
 
Denki Kaminari, o della tentazione
 

Denki continuava a fissare con sconsolazione il minuscolo pezzo di carta tra le proprie mani. Eppure sapeva che quel nome in leggero corsivo non sarebbe cambiato neanche se lo avesse fissato per tutta la vita. E come sempre capitava nelle occasioni di spareggio, sorteggio, scommessa o azzardo, lui si era ritrovato fregato ancora prima di aprire bocca.
Momo Yaoyorozu.
(Esatto, proprio lei, la ragazza più ricca della classe.)
Cosa poteva regalare a qualcuno che aveva praticamente tutto?
Era impensabile, era una vera e propria tortura, per giunta immeritata. Avrebbe finito col fare la figura dello stupido qualsiasi cosa le avesse comprato. Era umiliante già in partenza, ecco cosa.
“Tutte ma non lei…” si ritrovò a borbottare tra sé e sé, e subito una figura alta e slanciata si parò davanti al suo banco.
“Proprio tutte?” lo interrogò Todoroki, il solito sguardo vetrato e indecifrabile -da dove era spuntato?
Denki stava appunto per fingersi forzatamente stupito e chiedergli cosa intendesse, ma quello lo batté sul tempo: gli srotolò sotto gli occhi un foglietto delle stesse dimensioni del suo, ma che recitava una grafia meno stondata e più graffiante -soprattutto, diceva tutta un’altra cosa.
Jirou Kyoka.
Rimase interdetto, inizialmente, e subito dopo gli venne da sentirsi frustrato, non seppe neanche lui il perché. Poi pensò che era questione di attimi preziosi, doveva decidere, doveva prendere una posizione. Quasi si stupì per la leggerezza con cui cedette il proprio bigliettino mentre ficcava l’altro nella tasca interna della giacca.
“Affare fatto.”
(Solo, quando Todoroki se ne fu andato, lo raggiunse la strisciante consapevolezza di essere appena finito dalla padella nella brace: come accadeva ogni volta in cui gli era imposta una scelta decisiva che era un azzardo e una scommessa, lui trionfava nel compiere sempre la scelta più sbagliata.)
 
 
 
 





 
 
(In quello stesso momento, due file avanti, Kirishima appurava che non c’era niente di più facile che fare un regalo ad un ragazzo, se quel ragazzo non era Tokoyami.)

 
(Mineta pensava che gli sarebbe piaciuto ricevere una statua a grandezza naturale di Midnight, completa di frustino.)

 
(Tsuyu si chiedeva se il maglione per Kirishima non dovesse essere rosso piuttosto che verde.)

 
(Tokoyami malediceva sé stesso e i propri gusti in fatto di musica, vestiti e quant’altro, che non si prestavano minimamente alla scelta di un regalo per Shoji, che invece era sempre molto pacato e poco appariscente, e nella sua camera da letto non aveva niente di nero -non aveva niente in generale. Un regalo ad una persona che non aveva niente poteva essere una meravigliosa sorpresa o una completa delusione: stava a lui essere all’altezza. Ma comunque non aveva mai fatto pratica con il Natale, e gli unici regali mai fatti o ricevuti erano stati quelli dei suoi genitori.)

 
(Todoroki festeggiava il successo della propria strategia ostentando spiccata indifferenza.)
 
 











 
Izuku Midoriya, o del panico giustificato
 
 
Izuku guardò il proprio bigliettino solo una volta, di sfuggita, poi lo richiuse subito e lo accartocciò nella tasca dei pantaloni. Il cuore gli batteva d’improvviso fortissimo, una vampata di calore lo aveva colto alla base del collo e delle orecchie. Iida si avvicinò e gli chiese se aveva avuto fortuna.
“Ehr…” balbettò Izuku “La stessa del solito, suppongo.”
“Allora non ti è andata così male!”
Proprio non ce la fece, a smentire, e neanche si azzardò a toccare quel pezzetto di carta per tutte le ore di lezione a seguire. Eppure quella sensazione di ansia e malessere non accennò a diminuire, e portò con sé un’altra orribile sintomatica: quella di non riuscire a smettere di lanciare, di nascosto e ogni dieci minuti circa, occhiate rapide e vaghe al ragazzo seduto in ultima fila. Quella mattina aveva sdraiato la faccia sul banco, si era coperto con i libri e si era messo a dormire, così Izuku non riusciva a vedere un bel niente: ma comunque continuava a girare la testa ogni poco, tanto che ad un certo punto Iida si sporse di lato e gli bisbigliò all’orecchio se per caso aveva il torcicollo.
Izuku rispose che era solo mal di schiena, e non si mosse fino alla fine della lezione.
L’aveva visto per poco, l’aveva visto di striscio, ma era più che sicuro di quel nome: lo avrebbe riconosciuto anche solo dallo spessore delle lettere, dalla calligrafia, dal fatto che l’inchiostro era sbiadito per via del movimento duro e frettoloso del polso. Era per questo che i battiti del suo cuore erano accelerati come nelle situazioni in cui riconosceva il pericolo, con la mente che andava in blackout e l’adrenalina che schizzava alle stelle.
Ma nel mentre che si sforzava di regolarizzare, appunto, il battito cardiaco, e di partecipare attivamente al discorso di Iida sull’incombenza degli esami di metà anno, Izuku non poté comunque non chiedersi quale importante antenato avesse esattamente offeso per essersi meritato il titolo di Secret Santa di Katsuki Bakugou.
Perché questa volta, ne era certo, non ne sarebbe uscito vivo.
 
 
 
 
 













 
Katsuki Bakugou, o della pigrizia
 
 
Katsuki aveva dormito tutta la lezione. Fortuna che si trovava in ultima fila e che Aizawa indulgeva con gli studenti che dimostravano la sua stessa passione per i pisolini profondi e prolungati. Per grazia divina era persino riuscito ad evitare l’ultima trovata di quelle scoppiate delle sue compagne di classe, quella cazzata del Secret Santa. Beh, alla fine non è che l’avesse proprio evitata: quella matta di Uraraka lo aveva comunque costretto a ficcare un braccio dentro un orribile cappellino di lana rosa confetto, e allora Katsuki aveva afferrato il primo foglietto che gli era capitato sotto mano perché voleva che quella tortura finisse il prima possibile. Il biglietto se l’era ficcato in tasca senza neanche guardarlo, tanto non gliene fregava un cazzo. Da ciò che ricordava di aver sentito, avrebbe dovuto fare un regalo alla persona il cui nome era scritto sul foglio. Katsuki sogghignò nel mentre che incrociava le braccia sul banco e vi sdraiava la testa -non si era mai visto, lui che faceva un regalo di Natale a qualcuno.
Rientrò in camera e si buttò direttamente sul letto, abbassò una mano e raccolse il joystick che aveva abbandonato sul pavimento. Doveva ancora finire quella quest lunghissima, sì, esatto, quella che lo aveva tenuto sveglio tutta la notte. Alla fine non era comunque riuscito a vincerla e a superare il livello, e non era mai successo che uno stupido videogioco del cazzo fosse troppo difficile per lui: così Katsuki si impuntò di finirlo entro la sera stessa, e per tutto il pomeriggio non staccò gli occhi dallo schermo neanche per un secondo.
La vittoria arrivò, giusta e meritata, al caro prezzo di aver saltato la cena. Con la fame nello stomaco e gli occhi arrossati, che sentiva crepitare nella testa come polpette fritte, Katsuki decise che per lo meno poteva festeggiare con una bella dormita, per cui si spogliò finalmente della divisa ormai sgualcita e la sostituì con una vecchia maglietta e i pantaloni della tuta.
Il bigliettino scivolò dalla tasca e cadde a terra proprio quando stava impilando i vestiti sulla sedia davanti alla scrivania. Lo raccolse ricordandosi a malapena di cosa fosse, e lo aprì più per inerzia che per reale curiosità. Quando lesse il nome scritto sopra, a lettere stampatelle e con una calligrafia prevedibilmente orrenda, la prima cosa che pensò fu che avrebbe fatto meglio a buttare quel foglietto del cazzo senza nemmeno aprirlo; la seconda, che il destino dimostrava una certa tenacia nel volerlo perseguitare ad ogni occasione possibile; la terza, e d’improvviso gli erano tornate in mente tutte le stupide regole di quello stupido gioco del cazzo, che voleva disperatamente far esplodere qualcosa. Ma alla fine trionfò comunque l’ultimo pensiero, il più saggio, il più efficiente: l’idea di andare a letto facendo finta di non aver letto nessun nome, e ignorare a piè pari l’accaduto per i giorni a venire. Perché col cazzo che avrebbe fatto un regalo di Natale a quella piaga -stupido nerd, decerebrato, faccia di merda, insulso, schifoso, gli insulti si sommarono nella sua testa fino a fargliela scoppiare, e allora Katsuki si buttò sul letto e quasi sperò che il cuscino lo soffocasse- perché col cazzo che avrebbe fatto un regalo a quella piaga di Deku. 
 
 
 











 
 



 
Mina Ashido, o della risolutezza
 
 
Alla fine lo aveva seguito, sì, esatto, come una ex fidanzata gelosa, o una stalker, o una disperata. Perché in effetti era proprio questo ciò che era: disperata, e a un livello tale che il cervello minacciava di esploderle dallo stress. Aveva trascorso gli ultimi giorni a pensarci, pensarci e ripensarci, eppure non aveva concluso nulla -lei, che si considerava una creativa, non aveva avuto lo straccio di un’idea. 
Ma non poteva neanche addossarsi tutte le colpe, di certo non lo avrebbe fatto: era anche e soprattutto colpa di quel Tenya Iida, il rappresentante di classe, il ragazzo borghese che aveva già praticamente tutto -dall’ultimo modello di cellulare alle marche più costose di vestiti. Cosa poteva regalargli lei che già non avesse? E sì che mancava ancora qualche giorno a Natale, ma non voleva mica farci la muffa in quella situazione: soprattutto, doveva studiare come una matta perché aveva insufficienze a quasi tutte le materie -niente di nuovo sotto questo fronte.
Ma poi, pensò nello svoltare l’angolo subito dopo di lui, cosa avrebbe pensato Iida di un regalo fatto da una come lei? Le avrebbe riso in faccia, l’avrebbe guardata con la solita, condiscendente, odiosa superiorità? Perché Mina sapeva che in fondo quel Tenya la considerava una stupida e un’oca, in parole povere: una cretina. E lei voleva davvero farlo un regalo a uno che la considerava una cretina?
Però ormai l’aveva seguito davvero, fino all’ingresso del parco, e si era nascosta dietro un albero ma solo per voltarsi un attimo dopo e accorgersi che era già sparito: a quel punto aveva aguzzato la vista e lo aveva individuato di nuovo, già cento metri più avanti, che correva costeggiando il perimetro del lago. Giusto, Iida era sempre cento metri avanti a lei. Iida correva e non si fermava mai.
Anche lei andava a correre, ma preferiva le zone montuose e ripide, che alternavano salite e discese, magari sullo sterrato. Era nettamente più divertente. Ma comunque per qualche giorno poteva andare a correre lì al parco, e se lo avesse incontrato ne avrebbe approfittato per fargli qualche domanda strategica per capire finalmente cosa diamine dovesse regalargli. Tutte le sue amiche si erano già date da fare, lei era l’unica che navigava ancora in mare aperto. E sì, probabilmente Tenya IIda l’avrebbe guardata come si guardano i cretini, ma forse poteva anche sperare di avere una bella idea e magari lasciarlo senza parole -ok, forse senza parole era eccessivo, ma dentro di sé sentiva di avere margine di miglioramento.
 
 











 
 
Shoto Todoroki, o delle nevicate improvvise

 
Quella farsa del bigliettino era stata un gioco da ragazzi: se lo era detto subito, e aveva potuto averne conferma pochi minuti dopo, quando un titubante Kaminari gli aveva consegnato il bigliettino con sopra scritto il nome che più di tutti avrebbe voluto sorteggiare: Momo Yaoyorozu.
Non che avesse una qualsiasi finalità romantica, intendiamoci. A lui Momo non piaceva in quel senso. Certo, erano amici di famiglia e andavano d’accordo, lei era una ragazza a modo, una tipa con uno spiccato senso del dovere, ed erano amici, in un certo senso, però no, non gli piaceva in quel senso. Non ci aveva mai neanche pensato, e di certo non avrebbe cominciato a farlo adesso.
Il punto era che quella domenica, dopo essere uscito dall’ospedale, mentre percorreva il lungo viale che conduceva alla stazione della metro, era passato davanti al nuovo negozio di fiori e aveva visto, esposte timidamente ai lati della vetrina, una collezione di piccole matrioske di legno colorate. Ecco, aveva pensato subito a Momo: come non farlo? Lei e le sue strane matrioske -per un periodo aveva avuto la fortuna di dimenticarsene, ma anche da piccola non faceva altro che creare matrioske. Adesso, dopo gli allenamenti o le missioni che completavano insieme, Shoto non poteva fare a meno di sognarsele la notte, le sue strane matrioske -perché dovevano essere proprio matrioske? Perché non potevano essere origami?
Comunque, passando davanti a quella vetrina non aveva potuto fare a meno di figurarsi nella mente il volto di Momo, e quando Uraraka se ne era uscita con quel gioco chiamato Secret Santa, non aveva potuto fare a meno di pensare alle piccole matrioske esposte.
Sarebbe uscito a comprarle quello stesso pomeriggio. Se fosse andato troppo tardi e qualcuno le avesse prese prima di lui, non solo il suo sotterfugio con Kaminari sarebbe stato inutile, ma avrebbe pure avuto un problema in più, ovvero cosa regalare a Momo adesso che si era preso la briga di essere il suo Babbo Natale segreto.
Per questo Shoto venerdì uscì di classe appena finita la lezione, salì in camera, indossò il cappotto, raccolse il portafogli e sgattaiolò fuori mentre gli altri erano ancora a riordinare gli appunti.
Varcò il portone della scuola e Momo era lì, paralizzata in un cappottino rosso fuoco che le arrivava a malapena alle ginocchia. Guardava la strada imbiancata dalla neve, e una nuvola di vapore si formava sopra di lei ogni volta che respirava forte dalla bocca. Le avrebbe detto giusto qualche parola di circostanza; lei, comunque, non lo sentì arrivare.
“Vai da qualche parte?”
Momo sobbalzò appena, si voltò e l’espressione velata lasciò subito il posto al solito sorriso cordiale.
“Ho la cena settimanale a casa dei miei. Tu invece?”
“Vado a fare quattro passi.”
Lei aggrottò le sopracciglia “Con un freddo del genere? Ma ti ammalerai, e tra poco è Natale, e abbiamo gli esami…”
“Io non mi ammalo.” la interruppe, salvo poi specificare “Non per il freddo, almeno.”
“Ah… è vero, hai ragione.” Momo scosse piano la testa, i capelli neri ciondolarono al vento “Che scema.”
La affiancò sul patio “Allora io vado. Salutami i tuoi.”
“Aspetta.” lo bloccò lei “Vengo con te. Devo girare l’angolo.”
“Non viene il tuo autista?”
Momo si irrigidì appena “Gli ho detto di non aspettarmi proprio davanti a scuola, mi mette a disagio.”
“Ti mette a disagio che gli altri sappiano che hai l’autista?”
“Esatto, ti sembra strano? Tutti hanno qualcosa che li mette a disagio, no, Todoroki?”
Lo guardò giusto per un momento, un brevissimo istante, ma lo sguardo di Momo era qualcosa a cui non si poteva sfuggire tanto facilmente, perché di rado lo ostentava tenendolo alto, mentre spesso lo nascondeva abbassandolo dietro le lunghe ciglia scure: aveva occhi grandi e espressivi, dal taglio non del tutto orientale, con iridi brune e una pupilla che era brillante come lei, come le sue soluzioni e le sue pretese e le sue stupide domande retoriche che Shoto ghiacciava senza nemmeno degnarle di una risposta.
“Non credevo avrebbe nevicato così tanto, stanotte.” disse ancora lei, probabilmente per rompere tutto quel ghiaccio. Lui decise di allungarle un piccone.
“Lo avevano detto al meteo. La più grande nevicata della stagione.”
“Ma non ero preparata! Non lo sono tuttora. Ho ancora tutto il guardaroba autunnale…”
“Anche il guardaroba autunnale ti mette a disagio?”
“Hai appena fatto del sarcasmo?” Momo si voltò a guardarlo, ma tornò rapidamente a fissare la strada di fronte a sé “Beh, mi dovrò abituare. All’inverno, intendo.”
“Pensavo al sarcasmo.”
“Smettila, ti prego.” borbottò, ma la linea delle labbra era sollevata in una smorfia divertita; tutto il resto del suo corpo tremava di freddo.
“Prendi un cappotto più pesante, visto che vai dai tuoi.”
“È la prima cosa che farò. Ci credi che non riesco più a sentirmi la punta delle dita?”
Sollevò entrambe le mani e gliele mostrò mettendole una accanto all’altra: tremavano anche quelle, e la pelle screpolata si era gonfiata e tinta di rosso lungo tutta la linea delle nocche.
Shoto non ebbe neanche bisogno di pensarci: Momo aveva mani piccole e affusolate, dalle dita sottili, per cui fu facilissimo chiuderle entrambe nella propria mano sinistra.
Ne aumentò la temperatura fino ai trenta gradi e lei, inizialmente rigida, si rilassò all’istante.
“Mi piace il tuo lato caldo.” la sentì sospirare, e alzò di poco un sopracciglio.
“Bene a sapersi.”
“Mi piace anche quello freddo.” si affrettò a specificare, frettolosa “Ma forse aspetterò l’estate per dirtelo.”
“Piuttosto” disse Shoto, con rinnovata esasperazione “Avresti dovuto prendere un paio di guanti.”
Momo tacque qualche istante. Aveva ancora entrambe le mani strette nella sua in quella posa strana quanto imbarazzante, ma non accennò a spostarsi.
“Li avevo.” mormorò invece “I guanti della nonna erano stupendi. Ma non riesco più a trovarli, e sono sicura che se lo dicessi ai miei, mi ammazzerebbero.”
“Puoi crearne di nuovi. Sarebbero identici.”
“Ma sarebbe scorretto!” sbottò Momo “Sarebbe un sotterfugio, e mi sentirei in colpa.”
“Come vuoi.” Shoto lasciò la presa sulle sue mani e subito gli parve che le proprie fossero diventate più fredde “Adesso mettile nelle tasche del cappotto.”
“Non sono mica una bambina, Todoroki.”
“Ah no?”
Lo ignorò “E poi voglio comprarli, i guanti, non crearli. Voglio far girare l’economia.”
“Vuoi far girare l’economia con un paio di guanti?”
“Si inizia dalle piccole cose.” affermò Momo, convinta “Inoltre, non ho buongusto in fatto di accessori. Se creassi dal nulla un paio di guanti, sono sicura che non sarebbero niente di che. Non sarebbero particolarmente belli né alla moda. Sarebbero solo dei banalissimi guanti.”
Shoto non capì “Potresti riprodurre un paio di guanti che hai già visto e che ti piacciono.”
“Ma così non è divertente.” gli parve quasi che avesse messo il broncio “Non c’è gusto.”
Non c’è gusto. In parte continuava a non capire, in parte gli pareva che Momo, in realtà, fosse sempre stata così: una che voleva sudarsi i propri traguardi anche se non ne aveva davvero bisogno. Un po’ come lui, sì, ma in maniera più onesta, meno rabbiosa, nettamente più ammirevole. Ma sebbene le riconoscesse una certa, indiscutibile, maturità, allo stesso tempo non poteva fare a meno di chiedersi cosa le fosse passato per la testa quando aveva deciso di lasciare la scuola vestita con quel misero cappottino e senza guanti né cappello -davvero, cosa le saltava in mente? Voleva ammalarsi, voleva saltare gli esami?
“Stai studiando?” le chiese, giusto per controllare.
“Certo. Ho stilato una tabella di marcia per le vacanze e ho intenzione di rispettarla. E tu, Todoroki?”
“Idem.” disse.
Pensava, ma era solo uno stupido pensiero fugace, che gli piaceva molto come il suo nome si srotolava candido sulla lingua di lei. Gli faceva credere, ma solo per un istante, che non ci fosse niente di male nel chiamarsi Todoroki.
“Ecco l’autista.” esclamò Momo, e Shoto si limitò a salutarla con un breve cenno del capo mentre la vedeva aprire la portiera e infilarsi nella grande auto nera della famiglia Yaoyorozu.
La macchina sparì dietro l’angolo e lui pensò, e stavolta fu più di uno stupido pensiero fugace, che, dopotutto, le matrioske non erano il regalo più indicato. Forse avrebbe dovuto regalarle un paio di guanti.
 
 










 
(Minoru Mineta in quel momento era intento a scegliere il proprio regalo di Natale per la Ragazza Rana della sua classe, che se non era tra le più carine, aveva comunque il pregio di avere un seno da paura. Per questo Mineta aveva deciso che le avrebbe regalato un reggiseno, di quelli super push-up, che avrebbero ingigantito ulteriormente le sue già più che eccellenti dimensioni. Sì, un reggiseno era perfetto. Uno di pizzo, magari, ma anche quelli con le fantasie erano davvero deliziosi, per non parlare di quelli con i nastri e il corpetto, e se non ricordava male Tsuyu aveva una quarta abbondante, era proprio messa bene, chissà se le avrebbe donato di più il balconcino o la seta…)
 

(Kirishima sapeva che a Tokoyami piacevano le cose scure. Anzi, le cose nere. Non era un emo, e di questo doveva tenerne conto, e non era neanche un metallaro, per lo meno da che lui sapesse. Però gli piacevano quelle cose strane tipo le croci capovolte e i libri sull’occulto, questo lo aveva capito. Indossava sempre qualcosa di nero, anzi, si vestiva sempre di nero: maglietta nera, pantaloni neri, camicia a righe grigie e nere. Jeans scuri e raramente magliette blu o bordeaux. Per questo alla fine Kirishima optò per una felpa nera, lunga fino alle ginocchia e col cappuccio. Semplice ed utile -d’altronde lo aveva sempre detto, che fare regali ai ragazzi era, appunto, un gioco da ragazzi.)
 

(Tsuyu decise che il maglione per Kirishima sarebbe stato rosso. No, sarebbe stato verde. No, rosso. Rosso, sì. Ma forse era meglio verde.)
 

(Gli pareva di non aver fatto progressi. Tutte le cose che più gli piacevano erano nere, ed erano strane, erano inquietanti, erano in qualche modo disturbanti, o per lo meno lo erano se confrontate al biancore della camera neutra e asettica di Shoji, deprivata di ogni elemento di contaminazione. Ecco, questo era ciò che faceva lui: contaminava. Ma alla fine l’illuminazione arrivò come arrivava sempre, inaspettata e salvifica, sotto le spoglie di un piccolo bonsai, esposto accanto a un set di matrioske di legno nella vetrina del fioraio vicino alla scuola. Era carino, il bonsai. Aveva foglie di un verde vivido e luminoso, e un tronco nodoso che pareva la miniatura di un albero vero. Gli fece pensare proprio che era il regalo perfetto, e allora lo comprò anche se non aveva la minima idea di come curarlo. Era sicuro che ci avrebbe pensato Shoji.)
 
 
(Che poi davvero, pensò Bakugou, certe cose erano scontate come nei romanzi shojo. Degli stupidi cliché. Di fatti lo avevano capito tutti che il Secret Santa di Jirou era Kaminari, e quello di Kaminari era Jirou: questo perché non si becchettavano più come al solito, ed erano anzi estremamente silenziosi. Patetici, ecco cosa. Tanto lo avevano capito tutti -tutti tranne loro.)
 
 





 
 
Kyoka Jirou, o dell’esitazione che le costò cara
 

Svoltò il corridoio, si arrestò bruscamente e fece un passo indietro. Le era proprio parso di vedere Kaminari, davanti alle macchinette, e non aveva voglia di stare da sola con lui. Ultimamente le dava ai nervi più del solito, e tuttavia si era sforzata con tutta sé stessa per trattenersi dall’esplodere in scatti d’ira ingiustificati: dopotutto, era abbastanza sicura che a darle sui nervi non fosse lui, quanto quel benedetto regalo di Natale.
Ancora non era riuscita a superare il fatto che doveva fare un regalo a Kaminari Denki. Si era detta che era uno stupido gioco, si era detta che era tutto pienamente giustificato. Non doveva prenderla sul serio, ecco cosa, doveva solo seguire il ritmo e assecondare il flusso, e la cosa si sarebbe risolta senza orrende conseguenze -tra cui spiccava, prima tra tante, l’omicidio di Kaminari. Quello stupido le avrebbe fatto saltare i nervi, ne era sicura. Ed era anche sicura che non si meritasse un regalo di Natale, ma tant’era. Il tutto conduceva alla preoccupazione finale, quella che al momento le impediva di guardarlo in faccia senza provare un’ardente e irrefrenabile voglia di prenderlo a pugni: cosa doveva regalare ad un cretino del genere??
All’inizio aveva pensato a una cassetta o un vinile, ma poi si era immaginata la reazione di lui, “Ah, un cd, certo, cos’altro si può ricevere da Jirou?” e le era salita la rabbia. Kaminari non aveva tatto, non conosceva gentilezza e la trattava sempre in maniera troppo rozza.
Allora aveva pensato a un portachiavi, una cosa semplicissima e senza impegno, ma a quel punto “Ehh?? Davvero, Jirou, solo un portachiavi?? Ma tutti hanno ricevuto dei regali bellissimi, guarda! Di’, ho fatto qualcosa di male?”
L’avrebbe messa in imbarazzo davanti a tutta la classe, senza contare che sarebbe stato tremendo dover sopportare quella lagna tutto il giorno.
E così Kyoka era definitivamente entrata in crisi, ma allo stesso tempo aveva deciso che non sarebbe stata lei a uscire sconfitta da quella sfida. Solo, perché doveva incontrarlo proprio ora, proprio da soli? Non era davvero sicura fosse lui, per cui pensò di controllare: allungò i lobi e infilò un jack nella parete, trattenne il fiato e inconsciamente avvicinò tutto il corpo al muro.
Hey, Jirou.” la chiamò una voce aspra, che non era quella di Kaminari “La prossima volta che mi confondi con quello scemo del tuo amico, ti faccio saltare le orecchie.”
E Kyoka sobbalzò, schizzando ad almeno un metro di distanza “V-Va bene, Bakugou.”
 
 
 








 
Izuku Midoriya, o degli incontri improvvisi
 
 
Izuku pensava che gli sarebbe piaciuto fare un bel regalo a Kacchan.
Lo pensava anche se sapeva che, qualsiasi esso fosse stato, lui lo avrebbe fatto esplodere o lo avrebbe buttato via. Nel migliore dei casi lo avrebbe offeso e basta.
Però Izuku ci teneva davvero e non si sentiva minimamente masochista nell’ammetterlo a sé stesso: perché era da quando erano piccoli che non faceva un regalo a Kacchan, e sapeva che non avrebbe avuto altre occasioni oltre a questa. Sentiva, in cuor proprio, che quello sarebbe stato il suo vero primo regalo a Kacchan, ma anche l’ultimo.
E quindi aveva pensato, pensato e ripensato, aveva rimuginato e si era tormentato a lungo alla ricerca di un regalo che potesse piacergli davvero. Che lo lasciasse a bocca aperta e incapace di gettarlo via. Inutile dire che non era giunto al briciolo di una conclusione. Cosa poteva volere da lui, Kacchan, come regalo di Natale?
Aveva pensato di fare un giro in fumetteria, perché ricordava che gli piacevano molto i fumetti -nonostante adesso si sforzasse di nasconderlo. Da piccoli erano soliti scambiarsi gli ultimi volumi di Bleach e Full Metal Alchemist. A Kacchan piaceva anche la saga di Harry Potter, ma non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura -la sua Casa preferita era, ovviamente, Serpeverde. Ma Izuku già immaginava quale sarebbe stata la sua reazione davanti a un regalo del genere: “Uno schifoso regalo da nerd da parte di uno schifoso nerd.”
Ma alla fine in fumetteria ci era entrato lo stesso, e si era diretto subito al reparto dei manga shounen: la libreria stipata di volumi gli balenò davanti agli occhi in un tripudio di costolette lucide e colorate, e Izuku ci mise un attimo a dimenticarsi del proprio obbiettivo: vicino Natale era pieno di uscite speciali, allegati e edizioni limitate, che erano semplicemente irresistibili. Solo che, parallelamente all’eccitazione per i nuovi numeri, Izuku percepì anche un brivido freddo percorrergli la schiena dalla base fino al collo. Si voltò quasi al rallentatore, timoroso di ciò che avrebbe visto: e Kacchan era lì, proprio accanto a sé, che squadrava la parete stipata di fumetti.
“K-Kacchan.” disse, ed era un’affermazione ma voleva anche essere un saluto “Stai cercando qualcosa in particolare?”
“Col cazzo.” sbuffò lui, senza voltarsi a guardarlo “Per chi mi hai preso? Stavo solo facendo un giro.”
“In fumetteria?”
“Ci sono un sacco di nuove uscite.” disse Kacchan “Ma un nerd come te lo saprà di sicuro.”
“Ehr…”
“Leggi sempre le solite storie del cazzo, Deku?”
“P-Più o meno.” ammise Izuku “Ma anche io ero venuto solo a fare un giro.” si difese.
“Certo. Scommetto che sei venuto a ritirare qualche edizione speciale o qualcosa del genere…”
Izuku scosse forte la testa “Ho già ordinato tutto su internet.” poi si rese conto dell’affermazione super nerd che aveva appena fatto, e si sforzò di rimediare “P-Perché la fumetteria è sempre piena in questo periodo.”
“Come no.” frecciò Katsuki “Comunque non c’è niente interessante.”
“Ma tra pochi giorni esce la nuova edizione del finale di Berserk, quella è interessante.”
Lo vide pensarci qualche istante “Quella che mi rovinasti perché la facesti cadere nel fiume.”
“Ehr… te lo ricordi.”
“Certo che me lo ricordo.”
Izuku deglutì “Non lo feci apposta.”
“Tu non fai mai niente apposta, Deku.” Kacchan inspirò forte dalle narici, assottigliò lo sguardo “Mi stanno sul cazzo le tue scuse.”
“S-Scusa…” balbettò “Ehr… hai ragione.”
“Come sempre, Deku.”
“Non compri niente, alla fine?”
“No. Te l’ho detto, ero venuto solo a dare un’occhiata.”
“E non c’è niente che ti piace?” tentò Izuku, come ultima spiaggia.
“Fa tutto schifo.” sentenziò Katsuki, e anche lui non seppe cosa rispondergli.
 
 
 
 
 
 
 







 
 
Mina Ashido, o del fiato (ben) sprecato
 

Si incontrarono finalmente sul piccolo ponte di legno che collegava le sponde più strette del lago. Lei veniva da sinistra e stava per concludere il terzo giro, lui giungeva da destra e probabilmente era al venticinquesimo: infatti, quando Mina era arrivata al parco, quella mattina, il rappresentante di classe era già lì, e chi sa da quanto.
Lo aveva osservato da lontano per qualche minuto prima di chinarsi e stringere i nodi delle proprie scarpe. Non si era concessa più di un quarto d’ora di riscaldamento, ed era partita scattando in avanti dalla parte opposta in cui si trovava lui. Se anche aveva pensato di affiancarglisi con la migliore nonchalance, si era dovuta ricredere quando si era accorta che con quell’andatura sarebbe riuscita a raggiungerlo praticamente mai: così si era arresa dopo appena due giri di corsa, accettando come dato di fatto l’eventualità di concludere l’allenamento in tutta solitudine.
Stava appunto elaborando il proprio piano B, e tra l’altro con risultati pietosi, perché davvero non le veniva in mente nessuna strategia che potesse risultare vincente: Mina non stava guardando davanti -guardava, invece, lo specchio d’acqua e l’alba che lo illuminava- e l’impatto con qualcosa di forte e duro le fece perdere l’equilibrio spedendola dritta contro la ringhiera del ponte. Chiuse gli occhi, già sicura del dolore che l’avrebbe colta alla schiena, ma di nuovo si sentì strattonare per un braccio e spingere via.
Quando ebbe il coraggio di sollevare le palpebre, inizialmente credette di aver battuto la testa troppo forte e di avere le allucinazioni: perché davanti a sé stava Tenya Iida, il rappresentante di classe -esatto, proprio lui-, e la teneva ferma per le spalle nel mentre che ansimava piano con la testa chinata. La alzò all’improvviso, cogliendola ulteriormente di sorpresa.
“Ashido.” inspirò forte dal naso, aveva ancora il fiatone “Ti sei fatta male?”
Mina controllò velocemente: stava ancora in piedi e non sentiva dolore, per cui scosse la testa “No, non mi sono fatta niente, ma in effetti è stata colpa mia, non stavo guardando dritto.” ammise, con un sorriso che voleva essere di scuse ma probabilmente pareva solo strafottente, come tutti continuavano a ricordarle “Senza quei tuoi riflessi me la sarei vista brutta.”
“Nemmeno io stavo guardando, e andavo veloce. È stata colpa mia.” disse Iida, e solo in quel momento Mina notò che vi era in lui qualcosa di diverso.
“Oh, cazzo!” esclamò “I tuoi occhiali! Chi sa dove li ho fatti cadere…”
Ma lui la fermò subito “Non li ho, oggi. Volevo provare le lenti a contatto.”
“Ah… E come vanno?”
“Direi bene. Non sono scomode.”
Mina lo guardò un po’ più a fondo di prima. Notò che i suoi occhi, senza le lenti lucide degli occhiali, erano molto più espressivi del solito: e non due fondi di bottiglia, come ci si sarebbe potuti aspettare, ma grandi, con iridi di un pacato blu scuro e pupille serie e brillanti.
“Ti… stanno bene.” disse, quasi senza pensarci, e si salvò giusto in calcio d’angolo “Vieni qui a correre spesso?”
“Vengo tutti i giorni.”
Ma lei questo già lo sapeva.
“Non ti annoia mai, dover fare sempre il solito tragitto?”
“Nah.” Iida scosse la testa, un’unica goccia di sudore scivolò giù dalla sua fronte fino al profilo alto dello zigomo “Adoro questo posto. Tu invece corri in montagna, di solito.”
Mina boccheggiò “Sì, è vero.” ammise “Lo trovo più divertente. Ma per un po’ mi andava di cambiare, e forse fa troppo freddo per andare in alto.”
“Saggia decisione. Come te la cavi con la neve?”
“Non benissimo.”
“Immaginavo.”
“Immaginavi?”
“Dagli allenamenti che ti ho visto fare alla U.A.”
Sbuffò “E quanti allenamenti mi avresti vista fare?”
E il rappresentante di classe sbatté le palpebre come se non capisse “Tutti, perché?”
“Eh??” sbottò Mina “Hai visto tutti i miei allenamenti?”
“Certo. Guardo gli allenamenti di tutta la classe, e anche quelli delle altre sezioni.”
“Sei davvero un mostro.” si lasciò sfuggire lei, ma se ne pentì subito “Cioè, non in senso cattivo.”
Iida sorrise “Sicura che non ti sei fatta niente? Andavo piuttosto veloce.”
“Tutto okay, davvero.” si affrettò a dire Mina “Non sono così debole. Dopotutto, siamo nella stessa sezione.”
“Certo. Allora continuiamo insieme, per oggi?”
Mina rispose con un semplice cenno d’assenso, ma in realtà tante sensazioni diverse si stavano accatastando dentro di lei: dall’orgoglio alla simpatia all’invidia alla comprensione al senso di rivalsa -ed erano così tante che non avrebbe saputo come gestirle, se non con una corsa da lì alla fine del mondo. E lei e il rappresentante di classe fecero proprio questo, corsero fino alla linea dell’orizzonte, fino al punto in cui l’alba proiettava il proprio rosa sul prato innevato. Arrivati lì, si sedettero sull’erba bianca e non parlarono.
 
 
 
 
 
 
 



 
 



 
Katsuki Bakugou, o dei ripensamenti
 
 
Non è che ci avesse proprio ripensato. Né aveva speso più di cinque minuti al giorno a rimuginare su quella stupida storia del regalo per Deku -riguardo alle notti, invece, era tutt’altra storia.
Alla fine aveva raggiunto la certezza di essere davanti a uno stupido stallo, e uno di quelli che non avrebbe di certo vinto con la propria solita cocciutaggine: perché, se fosse stato per lui, un regalo a Deku non lo avrebbe proprio fatto. Ma cosa sarebbe successo l’ultimo giorno di scuola, il 23 dicembre, quando tutti avessero aperto i propri regali e Midoriya fosse stato l’unico a non aver ricevuto niente? Gli altri si sarebbero guardati intorno e lo avrebbero subito individuato, il Grinch verde livore che se ne stava in disparte nell’ultimo banco. Lo avrebbero capito tutti, che era lui il Secret Santa di Deku, e che aveva appositamente deciso di non fargli nessun regalo. E come al solito Deku si sarebbe preso tutto il conforto, la comprensione e la pietà della classe; a lui sarebbe rimasta qualche offesa e una ramanzina inutile da parte di quello scemo di Iida, che si sentiva sempre in dovere di dire la propria.
Semplicemente, non poteva permettere che le cose andassero così. Per questo dopo notti e notti trascorse a rimuginare, alla ricerca di un piano B, o C, D, E, Z, che potesse trarlo d’impiccio, Katsuki era arrivato alla soluzione quanto mai ostica di dover fare quel maledetto regalo. Dopotutto, qualsiasi cosa sarebbe andata bene, anche un cazzo di portachiavi, e il 23 dicembre sarebbe trascorso in fretta -cosa erano mai, ventiquattro stupide ore.
Si era ritrovato davanti alla vecchia fumetteria senza neanche accorgersene, e a quel punto aveva pensato che tanto valeva dare un’occhiata dentro. Era molto più fornita di quanto ricordasse, più colorata e piena zeppa di speciali di Natale -le pagine di ogni volume straripavano di spirito natalizio, e Katsuki proprio non riusciva a sopportarlo. Non ci era voluto molto, prima che si rendesse conto della presenza di una nota stonata, un qualcosa che avrebbe dovuto assolutamente non esserci: e quel qualcosa, o per meglio dire qualcuno, era proprio Midoriya.
Lui e Deku, l’uno accanto all’altro, che guardavano i fumetti -gli aveva ricordato un qualche pomeriggio delle scuole elementari, quando lui era meno cattivo e Deku meno patetico.
Era scappato da quella scena più in fretta che poteva, e si era imposto di non pensare a quello stupido regalo per tutto il giorno a venire.
 
 
 
 
 
 






(Il rappresentante di classe indossava sempre il solito paio di scarpe da ginnastica. Erano delle vecchie Nike logore e grigiastre: un tempo dovevano essere state bianche, ma adesso lo sporco si era incrostato fino a dentro le trame del tessuto, rovinandole irrimediabilmente; la suola era consumata all’inverosimile, e rimaneva incollata al resto della struttura solo per metà. Ma lui le indossava sempre: col sole, col vento, sulla neve, l’asfalto, la pietra irregolare di lato al laghetto. Sembrava possedesse solo quell’unico paio di scarpe.)
 
 
(Forse quello scambio con Todoroki non era l’idea più geniale che Kaminari avesse avuto, e dire che all’inizio era stato sicuro che fare un regalo a Jirou fosse molto più facile che farlo a quella riccastra di Yaoyorozu. In realtà, sebbene si vantasse quotidianamente con sé stesso di conoscere Kyoka meglio delle proprie tasche, non aveva la minima idea di cosa le sarebbe piaciuto ricevere. All’inizio aveva pensato a un cd, un vinile o un album musicale, ma poi si era reso conto di non conoscere così bene i suoi gusti musicali, senza contare che Jirou si comprava già da sola tutti i cd che voleva -o lo stressava affinché glieli scaricasse sul computer. Era sicuro che lo avrebbe guardato con disappunto, se le avesse regalato qualcosa inerente alla musica. Così Karminari aveva escogitato, ed era stato con totale giubilo e soddisfazione nei confronti di sé stesso e delle proprie idee, di comprarle qualcosa di femminile, ad esempio degli orecchini -ci mise giusto un secondo a pensarlo, e altrettanto a figurarsi Jirou tirargli dietro i preziosi gioielli inveendo contro il suo poco tatto in merito. “E dove dovrei metterli, degli stupidi orecchini? Dovrei appenderli come nappi alle tende???” Gli venne da ridere, ma cambiò anche idea. Qualcosa di femminile per Jirou -non avrebbe potuto esserci niente di più difficile.)
 
 
(Non doveva pensare ad Hakagure come alla ragazza invisibile. Glielo aveva detto anche Uraraka: doveva pensare a lei solo come a una ragazza. E cosa piaceva a una ragazza? “Le cose carine” pensò. Così Iida entrò nel primo negozio di articoli per bambini che trovò nel centro città, e comprò il peluche più morbido e carino che trovò -li tastò tutti uno ad uno, e chiese pure di vedere gli articoli del magazzino. Subito dopo andò al negozio di videogiochi.)
 
 
(Tsuyu pensò: perché mai il maglione per Kirishima doveva essere verde o rosso? Perché non poteva essere blu o giallo? Oppure blu e giallo. Dopotutto Natale significava anche creatività e sperimentazione. Però, e non c’era niente da fare, pensava che un bel maglione verde sarebbe stato senz’altro la cosa migliore.)
 
 
(Hakagure era indecisa tra una confezione di tè alla rosa e una collezione di cioccolatini belga. Conoscendo la persona a cui avrebbe comprato il regalo, sarebbe stata indecisa anche lei.)
 
 
(Mineta si era perso al centro commerciale. Sì, esatto, come quella volta quando aveva sei anni. Ma stavolta perdendosi era arrivato in paradiso, ovvero al piano sotterraneo di un negozio che di fatto era un sexy shop: allo stupore e lo sdegno iniziale era subentrata l’estasi completa nel momento in cui era giunto al reparto delle bambole gonfiabili.)
 
 
(Tokoyami pensò che quel bonsai sarebbe morto prima di arrivare a destinazione. Dopotutto lui non era pratico di piante -non era pratico di creature viventi in generale. Per di più, la sua stanza era buia e troppo fredda. Per questo decise di chiedere a Uraraka di prendersene cura al posto suo: lei, di rimando, gli chiese quale poteva essere un buon regalo di Natale per una persona che non aveva altro interesse nella vita oltre popolarità e donne. Tokoyami rispose che il miglior regalo per Minoru Mineta era senza dubbio una bella collezione di film d’autore -Ochako non capì se fosse un modo educato per dire “un cofanetto porno” o se davvero Mineta avesse una passione nascosta per il cinema.)
 
 
 
 
 









 
Shoto Todoroki, o della sorpresa
 

Lo avrebbe negato a sé stesso per tutto il tempo necessario, ma dentro di sé sapeva che non sarebbe comunque servito a niente: allora tanto valeva accettare pacificamente il fatto di aver trascorso gli ultimi tre giorni, ovvero tutto il weekend, a pensare al regalo giusto per Momo. C’erano quelle piccole matrioske di legno e c’erano i guanti -c’erano le sue mani affusolate tremanti di freddo.
Domenica pomeriggio, dopo la visita all’ospedale, si fermò di nuovo davanti al negozio di fiori: la collezione di matrioske era ancora lì dove la ricordava, per cui rimase qualche secondo a guardarle ma se ne andò comunque senza neanche entrare.
Passarono giusto pochi minuti prima che si rendesse conto che era già il ventidue di dicembre, e il giorno dopo sarebbe stato l’ultimo delle lezioni -l’ultimo per adempiere a quell’ingrato dovere di Secret Santa. Allora Shoto batté da cima a fondo qualsiasi negozio, boutique, bazar e centro commerciale della zona: vide guanti di lana, di pelle, leggeri, pesanti, alla moda, vintage, colorati, neri, eleganti, casual -vide un’infinità di guanti, ma alla fine non comprò niente. Non li vedeva bene addosso a Momo, ecco tutto, e aveva come l’idea che non sarebbe riuscito a scamparla se le avesse regalato qualcosa di insulso -o, peggio, qualcosa che le stava male. Forse i guanti non erano l’idea migliore, forse doveva tornare indietro e prendere quelle benedette matrioske, quelle per cui aveva fatto tanto casino. Shoto guardò l’orologio: erano appena le cinque, per cui aveva ancora un paio d’ore prima del coprifuoco.
Rientrò a tarda sera, completamente esausto, e il suo sconforto si amplificò nel momento in cui trovò di fronte al portone principale proprio Yaoyorozu, da sola, fasciata nel solito cappottino rosso di quando l’aveva salutata venerdì. Se ne stava ferma davanti ai battenti di ferro senza muovere un muscolo: come al solito non lo sentì arrivare.
“Aspetti qualcuno?”
Momo si voltò di scatto, arrossì -ma forse era colpa del freddo “N-No, stavo per entrare.”
“Avevi dei ripensamenti?” la schernì, mentre dalla tasca estraeva il proprio badge e lo faceva scorrere sopra il minuscolo schermo al plasma: la serratura del portone scattò e l’anta destra si aprì in automatico. Momo sfilò all’interno prima di lui.
“Ho smagnetizzato il badge.” la sentì spiegare in un mormorio “E faceva troppo freddo per digitare a mano il codice.”
Todoroki sospirò “Per questo dovresti crearti dei maledetti guanti.”
“Sai cosa?” sbottò Momo “Penso proprio che lo farò.” poi smorzò la propria risolutezza con una risata “Dopotutto sarei rimasta lì per chi sa quanto, se non ci fossi stato tu.”
“Esatto.”
“Quindi grazie, Todoroki.”
“Di niente.”
“Vuoi darmi qualche consiglio?”
“Su cosa, di preciso?”
“Su come creare i miei guanti!”
“Per ora aspetta.” l’aveva presa per un braccio senza neanche rendersene conto, o forse se ne era accorto ma aveva deciso di ignorarsi: di fatti non era colpa sua se Momo era in grado di farlo sentire frustrato a un simile livello -ricordò che era successo anche l’anno prima, all’esame con il professor Aizawa, e non gli era piaciuto per niente.
“Perché stiamo andando in cucina?”
“Stiamo andando in salotto.”
“Allora, perché stiamo andando in salotto?”
 Shoto alzò gli occhi al cielo: non la ricordava così pedante, Momo, né particolarmente incline a sparare a raffica tutte quelle domande senza senso. Solitamente campionessa mondiale di pacatezza e razionalità, pareva adesso smarrita nel malfunzionamento dei propri stessi circuiti. 
“Yaoyorozu, per caso sei nervosa?”
“N-No, certo che no.” smentì subito lei “È solo che saranno tutti nei dormitori, e non capisco dove vuoi arrivare…”
“Qui.” disse, paziente “Davanti al camino. Ecco dove volevo arrivare.” poi alzò appena la mano sinistra: la legna spenta si accese istantaneamente in un’unica fiamma rossa, e l’attimo seguente la stanza venne investita da una vampata morbida di calore; Momo, accanto a sé, rilassò tutti i muscoli e si dimenticò, finalmente, di tutte le proprie inutili questioni. Shoto la vide accovacciarsi per terra e sciogliere con una mano l’elastico dei capelli, che le scivolarono sulle spalle in una massa ampia e disordinata: come temuto, erano zuppi d’acqua mista a neve.
“Grazie, Todoroki. Sei sempre molto gentile.”
“Solo perché tu ti comporti in maniera sconsiderata.” si costrinse a dire, poi le sedette accanto e incrociò le gambe davanti al camino.
“Hai freddo anche tu?”
“Non particolarmente.” Shoto alzò in automatico gli angoli della bocca “Mi viene freddo a guardarti.”
“Se è ancora per la storia dei guanti…”
“Per i capelli.” mormorò “A conti fatti, avrei dovuto prenderti un cappello.”
“A-Avresti dovuto…?” balbettò lei, confusa, ma ormai era troppo tardi: Shoto aveva già tirato fuori dallo zaino il proprio pacco regalo, una confezione tonda incartata come fosse stata una caramella.
Vide Momo sgranare gli occhi e trattenere il fiato: una reazione che si era aspettato -e in certo modo aveva persino previsto- ma che non risultò meno tenera a vedersi; quasi dovette distogliere lo sguardo mentre le allungava quel pacchetto sgangherato, e non gli era mai capitato di sentirsi così messo sotto pressione dall’attesa della reazione di chi aveva davanti, ma Momo pareva pensarla diversamente: disfaceva i nastri e scostava la carta come se quelli fossero stati il vero regalo, ovvero con una cura e un’attenzione maniacali. Todoroki, pur non volendo, si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo.
“Non ti ho detto che è fragile.”
La ragazza sobbalzò “L-Lo so! Ma non voglio rovinare il pacchetto… perché devi sempre avere da ridire?”
Shoto non trovò una risposta a quella domanda, e allora si limitò a stare zitto.
In compenso, poté godere appieno dell’espressione assolutamente incredula e oltre modo emozionata di Momo quando dall’incarto colorato estrasse il proprio regalo: un manicotto di pelliccia bianca.
“Questo è…”
“Per rimpiazzare i guanti.” disse Shoto, perché era sicuro che gli si sarebbero seccate le labbra se avesse continuato a guardarla. Subito dopo si concesse un sospiro di sollievo nell’appurare che aveva fatto bene a declassare le matrioske; ma forse, pensò, le sarebbero piaciute pure quelle.
“Come sto?”
Lo aveva indossato. Stava bene. “Stai bene.”
E Momo si aprì nel sorriso dolce e un po’ infantile che riservava soltanto ai capricci più importanti.
“Grazie, Todoroki. È davvero il regalo perfetto!”
“Ma se tuo padre ti ha comprato una macchina…”
“Ma io non volevo una macchina, mentre volevo tanto un paio di guanti.”
“Quello è un manicotto.”
Fu certo che lei stesse per tirargli una gomitata, ma poi la vide scuotere piano la testa, sfilare una mano dal manicotto e infilarla dentro la borsa “Anche io ti ho fatto un regalo, Todoroki.”
“Eh?”
Momo sbatté le palpebre “Anche io sono il tuo Secret Santa. In effetti è una bella coincidenza essere capitati insieme.”
“Davvero una coincidenza.”
Che aveva il nome di Kaminari, ma evitò di dirlo ad alta voce: piuttosto, adesso era incapace di distogliere lo sguardo dalla piccola confezione rettangolare che Momo gli stava porgendo con entrambe le mani.
Aveva un incarto semplice con un fiocco semplice, che sciolse con facilità. Sollevò il coperchio della scatolina e rimase qualche secondo a fissare l’oggetto al suo interno prima di prenderlo in mano, ma solo con due dita. Una penna a sfera color mogano, bella e elegante, con il beccuccio laccato d’oro.
“Gira la parte superiore.”
Shoto obbedì, e quella scattò subito, rivelando una seconda punta dalla parte opposta alla prima.
“È il modello speciale con doppia punta.” disse Momo “Una parte ha inchiostro blu e l’altra ha inchiostro rosso. Ho pensato, visto che Bakugou ha fatto esplodere il tuo astuccio, che ti mancassero delle penne. Puoi usarla per gli esami.”
Alzò la testa. Momo lo guardava con un’espressione a metà tra lo statico e l’impaziente, e in un certo senso era quasi carina da vedere, divertente da stuzzicare -in quel momento più di altri- ma lui non era mai stato una persona scorretta, una persona di quel tipo, per cui fu spontaneo volerla rassicurare subito con un sorriso, e uno di quelli che finora aveva riservato solo a sua madre.
“Era proprio ciò di cui avevo bisogno.”
“E poi ho pensato fosse perfetta per te, visto che ha sia il rosso che il blu… è doppia, come il tuo quirk.”
Per la prima volta da quando era nato, Shoto sentì una vampata di calore partire dal petto e propagarsi non solo nel lato sinistro, ma in tutto il corpo. Pensò, ma a posteriori poté considerarsi un ingenuo, che il suo quirk si fosse improvvisamente potenziato -e anche le fiamme del camino erano senz’altro troppo vicine.
 
 





 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mina Ashido e Tenya Iida, o del confronto
 
 
Quella mattina, a colazione, lo vide dare ad Hakagure il proprio regalo, ovvero il peluche di una volpe.
Lei reagì con tutta una serie di esclamazioni felici, a cui seguì l’affermazione “Il Piccolo Principe è il mio libro preferito, come facevi a saperlo?”
“Non lo sapevo” sentì Iida rispondere dall’altra parte del tavolo “Ma sono contento che ti piaccia.”
“È davvero morbidissima, la adoro! Grazie, Iida-kun!”
Ecco, Mina non seppe spiegarsi perché, ma nell’ascoltare a orecchie tese quella semplice conversazione, e anche dopo, quando per sbaglio i suoi occhi incontrarono quelli del rappresentante di classe, si sentì davvero accaldata. Fuoriposto. Impacciata. In definitiva, una stupida sciocca.
Poi fu il turno di Hakagure di tirare fuori il proprio regalo: una confezione di cioccolatini belga e una selezione di tè inglesi per Uraraka, la quale ringraziò facendo colazione con un particolare infuso che mischiava cocco e frutti rossi.  
Durante il resto della giornata, sventuratamente, le capitò di assistere a tutti gli scambi di regali della classe. Sembrava che una qualche divinità delle vacanze natalizie avesse deciso di mettere a dura prova la sua già preoccupante ansia da prestazione, e più guardava quelle scene dense d’imbarazzo, tenerezza e velato romanticismo, più temeva il momento in cui lei stessa avrebbe dovuto affrontare la medesima situazione.
Mineta aveva regalato a Tsuyu niente di meno che un completino intimo di pizzo rosso, mentre quest’ultima aveva scelto come regalo per Kirishima un maglione di lana a collo alto, rosso, con la scritta “buon Natale” ricamata in verde, e lo stesso Kirishima, durante l’ora di pranzo, aveva allungato a Tokoyami un pacco contenente una felpa nera col cappuccio. Quest’ultimo -ma Mina lo aveva saputo per vie traverse, ovvero da Uraraka- aveva regalato a Shoji un piccolo olivo in miniatura, un bonsai, e Shoji aveva ricambiato con una scacchiera realizzata in stile gotico -anche se non era affatto il Secret Santa di Todokoyami, aveva insistito per fargli un regalo.
Ecco, a metà giornata Mina era arrivata all’unica conclusione che il Natale facesse impazzire la gente: i suoi compagni non erano immuni all’incantesimo, e neanche lei era da meno.
Le capitò persino di assistere allo scambio di regali tra Kaminari e Jirou. Lei gli aveva regalato un maglione invernale a righe nere e gialle, molto simile al motivo di un’ape, mentre lui le aveva comprato un cappello con le orecchie da gatto: Jirou arrossì come una matta al solo vederlo, ma poi lo indossò comunque. Le stava bene, la rendeva carina -glielo disse, e glielo disse anche Karminari; naturalmente, solo per sentirsi dare di stupido e pervertito.
I regali dei suoi compagni di classe erano tutti molto belli, divertenti, adatti all’occasione. Lei era rimasta tra i pochi che non avevano consegnato il proprio, e non avrebbe potuto sentirsi più nervosa all’idea: dopotutto, il destinatario di quel regalo di Natale era il rappresentante di classe, Tenya Iida, il perfettino, il secchione, il ragazzo medio-borghese che poteva avere qualsiasi cosa chiedesse.
Mina non si sentiva per niente ottimista, e per questo fuggì da scuola non appena ne ebbe l’occasione, con quello stupido regalo ancora nello zaino. L’inerzia la guidò dritta al parco, che quel giorno era avvolto dal biancore più dilaniante: la neve era ovunque, e ricopriva le sponde del lago, gli alberi e il ponte di legno. E Tenya Iida era proprio lì, ad aspettarla dove si erano incontrati la prima volta. Indossava la tuta da ginnastica e pure lui correva con lo zaino in spalla.
“Corri anche oggi?” le chiese quando furono faccia a faccia.
Mina evitò sapientemente il suo sguardo, anche se quel giorno aveva gli occhiali “Potrei farti la stessa domanda.”
“In questi giorni fa più freddo, per cui il parco è meno affollato.”
“Quindi ti alleni meglio?”
Iida scosse appena le spalle “Per lo meno non corro il rischio di buttare a terra qualcuno.” e la guardò di traverso, facendola arrossire.
“Se è solo per questo, potresti allenarti in palestra.”
“Le palestre sono asettiche. Contrariamente a ciò che si può pensare, mi piace di più stare all’aria aperta.”
“Perché ‘contrariamente’?” Mina corrugò le sopracciglia “Per me è del tutto ovvio. Il tuo quirk non è fatto per gli spazi chiusi.”
“Vero?” il rappresentante di classe adesso pareva contento “Immagino sia lo stesso anche per te. Allora, dieci giri e poi pausa?”
“Facciamo quindici!”
Gli urlò da dietro, perché ormai Iida era già partito e le apriva la strada qualche metro più avanti.
 
 
 
 
 
 
 
 
Tenya si fermò soltanto perché aveva iniziato a perdere sensibilità alle dita. Il fatto che anche Ashido, poco dietro di sé, avesse il naso e le guance gelate non contava -assolutamente- nulla. Però era stata brava a reggere quel suo ritmo sfiancante, e un paio di volte era pure riuscita a raggiungerlo e allora avevano corso fianco a fianco. Forse per questo Tenya entrò nella caffetteria e le prese una bottiglietta d’acqua e un cappuccino caldo senza neanche chiedersi se fosse sconveniente o quant’altro, e la raggiunse sul patio mentre faceva un po’ di stretching.
“Non ti fermi proprio mai, Ashido.”
“Proprio tu parli, rappresentante.”
Iida le allungò l’acqua e il cappuccino, completi di occhiataccia quando lei indugiò prima di prenderli.
“Grazie.”
“Figurati. Vedilo come una sorta di premio per essere riuscita a starmi dietro.”
“Mmm…” Ashido mandò giù mezza bottiglietta, poi sorrise “Tu sei bravo a rallentare il passo senza che gli altri se ne accorgano.”
Le lanciò un’altra occhiataccia, un ammonimento “Ma tu te ne sei accorta.”
“Bhe, è il minimo, dopo una settimana che corriamo insieme!” sbottò Ashido “Anche un cieco se ne sarebbe accorto!”
 
 
 
 
 
 
 
In genere le piacevano le conversazioni lunghe e corpose, i dialoghi infiniti magari ricolmi di pettegolezzi, le speculazioni, le barzellette -insomma, a lei parlare piaceva proprio. Ma nel momento in cui finalmente trovò il coraggio di frugare nello zaino e tirò fuori il temuto regalo per Tenya Iida, Mina si rese conto, e per la prima volta in tutta la propria vita, di non avere niente da dire. Così gli allungò il pacchetto e basta, senza aggiungere altro, e comunque con le mani tremanti e lo sguardo basso ad evitare il suo.
Alla fine non aveva scelto un paio di scarpe da ginnastica. Aveva pensato che doveva per forza esserci un motivo se il rappresentante di classe, il saccente, il perfettino, conservava e utilizzava quotidianamente un paio di scarpe così consunte e rovinate. Doveva esserci un motivo che a lei sfuggiva, e su cui non avrebbe indagato.
Invece gli aveva comprato una felpa: dello stesso blu che avevano i suoi occhi quando non aveva gli occhiali, felpata, col cappuccio e un sacco di tasche interne.
“Puoi metterla quando vai a correre.” riuscì a dirgli alla fine, ma la voce le tremava come il resto del corpo.
E forse avrebbe dovuto aggiungere un ‘lo so che non è niente di che’ o per lo meno un ‘giusto un pensierino per quella cavolata del Secret Santa’, oppure un più chiaro ‘solo perché sono il tuo Secret Santa e non sapevo cosa regalarti, perché lo so che una felpa del genere puoi comprartela da solo quando vuoi’ ma qualsiasi rappresaglia verso sé stessa le morì in gola non appena Tenya Iida alzò lo sguardo dalla felpa al suo volto e le sorrise in una maniera che lei non aveva mai visto.
“Lo farò senz’altro. Grazie, Ashido.” rimise la felpa nel sacchetto, aprì lo zaino, si sistemò gli occhiali sul naso “Ma, se posso dirtelo, lo avevo già capito che eri tu il mio Secret Santa.”
Mina cascò dalle nuvole e, come prevedibile, si schiantò al suolo “Eeeeeehh?!?”
Ma il rappresentante di classe rimane composto come sempre “Ti sei esposta quando hai iniziato a correre qui al parco.”
“Vuoi dire… vuoi dire che l’hai sempre saputo??” boccheggiò.
“Lo sospettavo.” precisò lui “E sei venuta a correre tutti i giorni, per cui dopo un po’ mi sono sentito in colpa.”
“M-Ma… che stupidaggine! L’ho fatto perché mi andava di farlo.”
“Lo so. E io, sempre perché mi andava di farlo, ti ho fatto un regalo. Anche se non sono il tuo Secret Santa.
Mina trattenne il fiato. Adesso tra le mani stringeva una confezione rettangolare incartata in rosso e oro, e poté percepire distintamente, allo stesso modo in cui sotto i polpastrelli percepiva l’incarto ruvido del regalo, l’istante in cui tutta l’adrenalina accumulata fino a quel momento le salì al cervello: scartò il pacchetto senza neanche premurarsi di ringraziare, e rimase assolutamente di stucco quando vide che si trattava dell’ultimo videogioco di Zombie Heroes. Le ci volle qualche secondo di troppo, in effetti, a stabilire che per una volta non si trattava di un sogno ma dell’inaspettata, buona, meravigliosa realtà.
Comunque -di nuovo- trovò il modo di dire proprio la cosa più sbagliata “Come… come facevi a sapere che mi piace questo videogioco?”
“Quando il primo giorno mi hai seguito, anche io ho voluto seguirti. E ti ho vista fissare la vetrina di quel game shop e controllare nel portafoglio…”
Mina sbatté le palpebre un paio di volte, infine distolse lo sguardo dal regalo e lo rivolse, ma non con meno ammirazione, al ragazzo davanti a sé -il cocciuto, razionale, puntiglioso rappresentante di classe.
“Sei davvero il più intelligente della classe, Iida.”
“Per così poco?” ma sorrise lo stesso mentre la prendeva in giro “Anche un cieco se ne sarebbe accorto.”
“Dovresti chiedermi il permesso prima di citarmi.”
“La prossima volta. Tu, invece, dovresti almeno saper ringraziare per i regali che ricevi.”
Arrossì quando si rese conto che Iida aveva ragione: non lo aveva ancora ringraziato per il videogioco, quel videogioco, quello che costava all’incirca quattro paghette e mezzo. Ecco, sua madre aveva ragione a dirle che era cresciuta arrogante e irrispettosa, e che non aveva la minima idea di cosa significasse avere una conversazione matura in un mondo adulto. Per queste e altre preoccupazioni, l’inchino che rivolse a Iida fu così profondo che arrivò a toccargli la coscia con la fronte: ma non se ne sentì imbarazzata, non come si sentiva al pensiero di non riuscire a esprimergli tutta la propria gratitudine.
“Grazie… grazie davvero… Iida… rappresentante.” quando riemerse dalla propria prostrazione sentì le guance ancora più calde di prima “Non c’era bisogno che mi facessi un regalo, e uno così costoso… questo videogioco costa un’assurdità… e tu non eri neanche il mio Secret Santa…”
“Te l’ho detto, mi andava di farlo.”
“Ma hai speso troppo!!”
“Non credi stia a me decidere quanto è troppo?”
Mina sbuffò “Lo so anche io, che sui numeri non si discute.”
Al ché Iida sospirò “Ti farebbe stare meglio se dicessi che ho avuto il videogioco da un amico dei miei genitori che mi ha fatto uno sconto speciale?”
Mina ci pensò attentamente “Forse.”
Forse.” ripeté lui, sorridendo “Non ti scervellare, Ashido, tanto non c’è stato nessuno sconto. Chi farebbe sconti per Natale?”
“E chi farebbe un regalo a una persona a cui dice di non scervellarsi?” sbottò a quel punto, ma a voce bassa, quasi pensando di parlare solo a sé stessa. Lui, comunque, la sentì.
“Era per dire che…”
“Sì, lo so cosa stavi per dire. Che sono un po’ stupida e ci metto più degli altri a capire le cose. Che non sono intelligente e brillante come te. Tutte cose che so già, quindi, come vedi, puoi risparmiartele.”
Per tutto il tempo non aveva sbattuto gli occhi: ma adesso, eppure lo desiderava così tanto, era sicura che se lo avesse fatto avrebbe finito col rompere vergognosamente gli argini delle proprie lacrime. E non poteva farsi veder piangere dal rappresentante di classe, o avrebbe aggiunto umiliazione all’umiliazione.
“Io non penso che tu sia stupida, Ashido.” fu solo per un momento, ma la voce di Iida si sovrappose a quella dei propri pensieri “Chi ti ha detto una cosa del genere?”
“N-Nessuno in particolare. È una cosa che penso io… un’intuizione. Non credo di sbagliarmi.”
Alzò di nuovo la testa, ma stavolta non era pronta a ricevere l’occhiata che lui le restituì: era seria e penetrante come non mai, e dava l’idea che non avrebbe potuto perdonarle un singolo crimine per tutta la vita.
“Certo che ti sbagli.” disse alla fine Iida, la voce tagliente come lo sguardo “Non ti ho mai ritenuta una stupida. Non ti avrei fatto un regalo, se ti ritenessi una stupida.”
E non faceva una piega, davvero, tanto che Mina guardò di nuovo il suo prezioso regalo ma già con occhi diversi, gli occhi di chi lo considerava un fantastico tesoro e non un orribile smacco.
Poi, ancora, un altro pensiero minaccioso le attraversò la mente “Ma hai comunque speso troppo… e adesso è come se fossi in debito con te, e i debiti non mi piacc…”
Venne colta di sorpresa, sì, proprio lei che non faceva altro che vantarsi dei propri riflessi. Beh, c’era un motivo se Iida era il primo della classe, lo studente modello, il più intelligente, il più veloce: interruppe il suo misero sproloquio tappandole la bocca con la propria, e la lasciò riprendere fiato solo dopo aver smontato bacio dopo bacio ogni sua argomentazione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Katsuki Bakugou, o dell’insostenibile pesantezza del Natale
 

Alla fine si erano incontrati nel luogo meno probabile in assoluto, la serra B, quella delle piante grasse -come se i cactus avessero bisogno di una serra: questo Katsuki lo aveva sempre contestato, eppure nessun altro in tutta la scuola pareva trovare la situazione altrettanto inadeguata.
Comunque, aveva avuto la sfortuna di incontrarlo proprio lì, nel posto che aveva scelto per evitarlo; e non perché si sentisse nervoso, pressato, o tediato in alcun modo dal fatto che il resto della classe avesse deciso di scambiarsi i regali proprio quel giorno -niente di tutto ciò: Katsuki aveva deciso di evitare Deku per il semplice fatto che quel regalo non voleva darglielo. Su questo vi era poco da aggiungere -non voleva e basta. Anche se gli aveva comunque preso qualcosa -una cazzata, una cosa da niente. Ma adesso Deku era proprio lì davanti a sé, dalla parte opposta della serra, e lo guardava come se avesse temuto di finire in cenere da un momento all’altro: esito che, comunque, non si allontanava poi tanto dalla realtà.
“Che ci fai qui, Deku?”
“E-Ecco… volevo controllare il progetto di scienze. Quello sull’ostilità dell’ambiente. Tu, Kacchan?”  
“Sono venuto a dare l’acqua alle mie piantine di marijuana.”
Midoriya sgranò gli occhi “Eeeh??! Davvero?? Ma è contro il regolamento, se la scuola dov-“
“Rilassati, Deku, era solo una stupida battuta del cazzo. Non devi prenderla così seriamente.”
“Ah… c-certo, giusto.” balbettò, e parve quietarsi ma durò solo un attimo “Allora cosa sei venuto a fare?”
Katsuki alzò gli occhi al cielo “Fatti i cazzi tuoi.”
“O-Okay…”
Finita lì. Deku iniziò a studiare il piccolo gruppo di cactus davanti a sé come fosse stata la cosa più interessante del pianeta -cosa che, per inciso, non era affatto- e lui si accese una sigaretta per il solo gusto di dargli fastidio: come supposto, ci riuscì in pieno.
“Non sapevo che avessi iniziato a fumare.”
“Buongiorno, Midoriya.”
“Ehr… lo sai, vero, che fa male ai polmoni?”
“Anche sprecare fiato fa male ai polmoni, eppure tu lo fai quotidianamente.”
Ma Deku non raccolse la provocazione, e invece gliene lanciò un’altra “Lo dico per te. Rallenterà anche le tue prestazioni da eroe, non credi?”
“Credo che non sia un tuo cazzo di diritto giudicare cosa rallenti le mie prestazioni da eroe.” masticò Katsuki, inspirando forte una boccata di tabacco che gli finì negli occhi e gli bruciò le lenti a contatto, ma senza scomporsi “Muoviti a dare l’acqua a quel mostro che hai il coraggio di chiamare pianta.”
Vide Deku serrare le labbra “Non dovresti fumare dentro la serra.”
“Hai detto che il progetto è sull’ostilità dell’ambiente, no? Aiuto solo a renderlo più ostile.”
“Tu rendi tutto più ostile.” gli parve di aver sentito, ma in un mormorio così basso che poteva anche essere un’illusione del proprio udito dovuta al fruscio delle liane e dei tralci sopra la di sé: comunque, si voltò di scatto e inchiodò Deku con lo sguardo più rabbioso che riuscì a trovare.
“Che cazzo hai detto?!” tuonò.
“Niente.” cinguettò lui, ed era fortunato perché -così nascosto dalle piante- Katsuki non riusciva a vederlo direttamente “Stavo parlando col cactus.”
“Che razza di malato di mente parla con una pianta?”
“Le piante hanno il pregio di non rispondere.”
“È perché a te piace giocare facile, Deku.”
“Forse.” ammise lui, e Katsuki si sporse in avanti per nascondere in un vaso il mozzicone della sigaretta, ma al contempo si premurò bene di lanciare un’occhiata a Midoriya e non poté fare scelta più sbagliata, vista la scena che gli si figurò davanti: Deku impacciato e vergognoso come al solito, se non più del solito, che frugava a caso nel proprio zaino e non smetteva un secondo di mordersi con gli incisivi il labbro inferiore-contro ogni aspettativa, Katsuki pensò che lo avrebbe fermato ad ogni costo, con ogni mezzo.
Fu più o meno in quel momento che decise di alzare una volta per tutte la propria maschera e metterla da parte, seppur soltanto per i successivi tre minuti. Voleva considerarsi un eroe, giusto? E un eroe non rifiutava mai nessuna sfida, anche se non aveva voglia di affrontarla.
“K-Kacchan…” fu il mormorio di Deku, esitante e pietoso come solo lui sapeva essere, per cui Katsuki decise di batterlo sul tempo prima che la situazione si deteriorasse ancora: avanzò nella serra e percorse a passo spedito, senza mai vacillare, i metri che lo separavano da Midoriya; a pochi passi da lui, aprì lo zaino che teneva in spalla e ne estrasse una semplice confezione rettangolare incartata di blu.
“Il tuo regalo, Deku.” glielo allungò come gli avrebbe allungato un topo morto “Ero io il tuo stupido Secret Santa del cazzo.”
E Deku proprio non poté evitare di aprirsi nel suo solito sorriso, quello che usava da dieci anni a quella parte per confonderlo ed irretirlo -quel maledetto sorriso del cazzo, felice e luminoso nel proprio essere sorpreso, quasi estasiato e, in definitiva, dopo qualche secondo, appagato, completamente gioioso e soddisfatto.
“… Davvero??” comunque non poté fare a meno di uscirsene con una delle sue solite domande retoriche del cazzo “Cioè… non me l’aspettavo proprio… insomma…”
Katsuki lo zittì semplicemente sbuffando “Aprilo, prima che ci ripensi e lo faccia esplodere insieme al tuo cervello.”
“G-Giusto.”
Anche se non gli piaceva ammetterlo a sé stesso, il pensiero del regalo per Deku lo aveva torturato giorno e notte. E alla fine non era riuscito a comprargli niente di originale, o anche solo pertinente, o formale. Aveva semplicemente scelto l’unica cosa che Deku gli avesse mai detto di volere: la sua terza action figure di All Might, quella in edizione limitata con il mantello di stoffa e le braccia snodabili. Quando avevano sette anni, Deku gli aveva chiesto di poterci giocare almeno un centinaio di volte, e mai una volta Katsuki aveva acconsentito. Probabilmente per questo, quando Midoriya scartò il pacchetto e si trovò faccia a faccia con il modellino completo di gadget e confezione originale, i suoi occhi luccicarono in una maniera che Katsuki non aveva mai visto -d’un tratto gli sembrò che Deku avesse ancora sette anni e che non fosse cambiato niente, niente di niente.
 
 
 
 






 
 
 
 
 
Izuku Midoriya, o dei sentimenti pungenti
 
 
Rimase almeno dieci secondi a fissare ad occhi sgranati la confezione che stringeva tra le mani, quella originale dell’edizione limitata di All Might con il mantello di stoffa e le braccia snodabili. Izuku ricordava che era il giocattolo che gli aveva invidiato di più, quando erano piccoli. Glielo aveva chiesto un sacco di volte, di poterci giocare, ma non aveva mai potuto perché era quello che usava sempre Kacchan. Ecco cosa -gli tornò in mente solo in quel momento: era il suo giocattolo preferito. Kacchan gli aveva appena regalato il suo giocattolo preferito, e tale consapevolezza lo investì di così tante sensazioni diverse che alla fine gli occlusero la gola, impedendogli di parlare. Eppure doveva ringraziarlo, doveva dire qualcosa, sarebbe stato irrispettoso se non avesse detto niente, e soprattutto non poteva restarsene imbambolato come un idiota quando in mano aveva il regalo mai più bello che avesse ricevuto. Non poteva restarsene imbambolato quando anche lui aveva un regalo da dargli.
Sopraffatto dal nervosismo e completamente su di giri, Izuku si abbassò di lato per prendere lo zaino, ma i suoi movimenti si bloccarono a metà quando una scarica acuta di dolore lo colpì al palmo destro facendolo gridare dal dolore.
Gridò proprio come una femminuccia, o come un bambino di cinque anni, e quando abbassò lo sguardo e vide cos’era accaduto sentì che gli veniva pure da piangere, come quando aveva cinque anni: invece di raccogliere lo zaino, la sua mano destra si era chiusa attorno alla punta di Pablo, il cactus argentino di Uraraka, così ora aveva il palmo pieno di spine nere e aguzze.
“Cristo, Deku, sei un disastro.” sentì Kacchan borbottare “Ti sei drogato, prima di venire qui?”
Izuku si strofinò gli occhi con la manica per scacciare il pianto “C-Certo che no… è che Uraraka sposta sempre le sue piante e poi le lascia in mezzo al corridoio…”
“Come no. Sempre a scaricare le responsabilità sugli altri.”
Izuku inspirò forte dal naso, sforzandosi di ignorarlo “Adesso devo togliere tutte le spine.” peccato che usare la mano sinistra non fosse proprio il suo forte, e per giunta adesso gli tremava con violenza non appena si avvicinava alla zona contusa.
Digrignò i denti, provò a insistere. Chiuse addirittura gli occhi per farsi coraggio, e come risultato ottenne di spingere un paio di spine più a fondo nella carne. Gemette a voce alta masticando un’imprecazione, per un attimo considerò pure l’idea di tagliarsi l’intero arto e continuare una vita senza. Forse poteva respingerle con il potere di One for All…? Ma tutte le sue congetture si arrestarono brutalmente quando Izuku sentì qualcosa imprigionargli le dita della mano destra in una presa decisa ma gentile; abbassò lo sguardo e vide che si trattava delle mani di Kacchan.
“Siediti, Deku, o ci farai la muffa qua dentro.”
“Ehr…” Izuku obbedì, alla stregua di un robot, ma non mancò di osservare “Non sarebbe poi così sbagliato, farci la muffa, considerato che siamo in una serra.”
“Di’, le tue battute fanno sempre così schifo o è solo perché è Natale?”
“Dovresti saperlo meglio di tutti.”
“Fanno sempre così schifo.” borbottò Katsuki, poi si alzò dalla panchina laterale su cui si erano seduti e si guardò rapidamente intorno “Dove lo trovo un cazzo di kit per le emergenze?”
“Se chiedi a Uraraka, potrebbe avere delle pinzette…” azzardò Izuku, ma Kacchan lo bloccò lanciandogli un’occhiata che non ammetteva repliche.
“Se esco di qui, Midoriya, te lo puoi sognare che torno. Puoi anche morirci dissanguato, in questa serra del cazzo.”
“O-Okay…” balbettò “Prova nell’armadio dietro alla porta.”
“Bingo.” lo vide estrarne un paio di pinzette, garze e disinfettante, per poi tornare a sedersi accanto a lui “Paura, Deku?”
“Affatto.”
In realtà non si sentiva del tutto tranquillo all’idea di porgere a Kacchan una mano piena di spine: non era lo stesso che dargli una pistola e chiedergli di non sparare? E se, dopo l’intervento di Kacchan, avessero dovuto davvero amputargli la mano?
Ma allo stesso tempo non doveva pensare male di lui, e sapeva che era ingiusto partire prevenuto: dopotutto, il modo in cui Katsuki gli teneva ferma la mano, esaminandone le dita e studiando il palmo ma senza premere troppo sulla pelle, rivelava una gentilezza quanto mai inaspettata, che stonava del tutto con l’immagine, l’idea, il ricordo che Izuku aveva di lui. Una vocina in fondo alla testa dichiarò che non era vero, quella non era affatto la prima volta che Kacchan era gentile con lui: poco prima, per esempio, gli aveva dato quel regalo, e lui non era ancora riuscito a ringraziarlo. Volle subito rimediare, per cui aprì la bocca ma anche stavolta tutta una serie di emozioni contrastanti gli occlusero la gola, e tutto ciò che ne uscì fu un patetico rantolio.
“Eh??”
Izuku si schiarì la voce “Grazie… per il regalo. Mi piace davvero tanto.”
“Lo vedo.” borbottò Kacchan, senza alzare gli occhi dal suo palmo aperto “Non l’hai lasciato cadere neanche quando ti sei punto con il cactus.”
Era vero: lo stringeva ancora a sé con il braccio sinistro, nonostante avrebbe fatto meglio a metterlo nello zaino; non seppe neanche lui perché, ma gli venne da sorridere.
“È l’edizione limitata, vero? Il tuo modellino preferito.”
“Avevamo cinque anni, Deku.”
“Fa’ lo stesso. Era il tuo preferito e io ti assillavo sempre per averlo.” gli venne da ridere al ricordo “Sono contento che alla fine hai ceduto.”
“La colpa è del tuo quirk.”
“Ehr… il mio quirk?”
“Il potere dell’esasperazione.”
Izuku si rilassò “Non ti ho esasperato così tanto.”
“Non sai essere oggettivo, cazzo.”
E la sua voce in quel momento vibrò di una nota tagliente, per certi versi amara, e così spaventosa che Izuku volle allontanarsi da quella conversazione il più velocemente possibile.
“Sei bravo a… fare questa cosa, di togliere le spine e disinfettare.” osservò “Hai tolto quasi tutte le spine e non ho sentito niente.”
Katsuki sbuffò “Cosa pensavi che facessi, il carpentiere? Il muratore, il macellaio?”
“Ehr… no, volevo solo dire… c-che hai… un tocco gentile.”
“Contrariamente alle aspettative.”
“Sì.” fiatò Izuku, e spiando da sotto l’espressione di Kacchan, che immaginava rigida e snervata, si stupì nel trovarla solo immensamente rassegnata.
Subito dopo, lo vide sospirare.
“Sta’ zitto, Deku.”
“Ma non ho detto niente.”
“Allora continua così.”
Ma Izuku non si era mai considerato bravo nel raccogliere certi ammonimenti -soprattutto se provenivano da Kacchan.
“Mi spiace se ho detto qualcosa di inopportuno. Per quello che vale, io penso che sia fantastico avere la capacità di ferire e di curare con le stesse mani. Le mie, per esempio, non sono niente di che. Non lo sa nessuno, ma a qualche dito ho addirittura perso la sensibilità.”
“Al medio.” disse Katsuki, poi tornò a concentrarsi sulle ultime due spine rimaste conficcate “Me ne sono accorto perché hai cambiato impugnatura della penna.”
Izuku schiuse le labbra in una ‘o’ di stupore “Già, è vero.”
“Di fatti le tue mani sono un disastro.” aggiunse Kacchan “Sembrano quelle di un vecchio contadino armeno.”
“Che ha di speciale un contadino armeno?”
“Immagino lavori più di qualsiasi altro contadino.”
“Non ne sono poi così sicuro.”
“Vuoi controllare su Wikipedia, stupido nerd del cazzo?”
Deglutì “Magari per una volta vado sulla fiducia.”
“Che onore.” masticò Kacchan, ma contrariamente al suo tono, il suo tocco continuava ad essere morbido sulla pelle contusa.
Finito di rimuovere le spine, versò il disinfettante sulla garza e gliela passò piano su tutto il palmo, strofinando via il sangue rappreso: alla fine di quello strano rito, l’interno della sua mano pareva come nuovo, e Izuku lo rimirò per qualche istante prima di ricordarsi che, di nuovo, non lo aveva ringraziato.
“Grazie... Kacchan.”
Ma lui non rispose, e anzi rimise le garze e il disinfettante nella cassetta e se ne era quasi andato, aveva spinto la maniglia antipanico della porta e aveva già messo un piede fuori, quando Izuku lo richiamò a sé.
“Aspetta!” Katsuki si fermò esattamente sulla soglia “A-Anche io ti ho fatto un regalo.”
“Prego?”
“Ero il tuo Secret Santa, e ti ho fatto un regalo.”
Mosse le gambe senza rendersene conto, afferrò lo zaino con la stessa mano che poco prima era stata piena di spine, e, senza accusare il minimo dolore, la ficcò dentro e ne estrasse il proprio pacchetto, una busta sottile e rettangolare. Gliela porse guardandolo dritto negli occhi, coraggioso nella maniera ipocrita e codarda di chi aspettava l’ultimo secondo per sferrare la propria mossa.
Kacchan afferrò la confezione senza neanche guardarlo, e per tutto il tempo la sua espressione rimase scettica e circospetta, con gli occhi affilati e le labbra tese nella solita espressione di disappunto; vacillò solo per un istante, quando estrasse dalla busta la nuova edizione del primo finale di Berserk, quello che Izuku aveva fatto cadere nel fiume.
“Per rimediare… al volume che ti ho rovinato, quella volta.”
Katsuki, di nuovo, non lo guardò: continuava a scrutare dall’alto il fumetto che teneva tra le mani, e più lo guardava e più la sua stretta si faceva incerta e esitante.
Alla fine sospirò “Adesso siamo pari.”
E fu un’affermazione così neutra, così poco tipica di lui, che ferì Izuku più di qualsiasi offesa o impropero rivolto ai suoi antenati. Forse per questo decise di insistere, puntandosi inconsciamente sui talloni e sporgendosi in avanti per essergli più vicino.
“Non mi dici che è uno stupido regalo da nerd?”
È uno stupido regalo da nerd.” sbuffò “Ma so che non potevo aspettarmi altro da te, Deku.”
“Ehr…” Izuku annaspò, alla ricerca di un appiglio che non c’era “Non ti piace proprio?”
“Non ho detto questo.”
E in quel momento accadde la cosa più inaspettata in assoluto: Izuku vide Kacchan alzare un braccio e di riflesso chiuse gli occhi aspettandosi il peggio, ma ciò che percepì subito dopo fu un qualcosa di morbido e tiepido scompigliargli piano i capelli -le dita gentili, esperte, attente e sicure di Kacchan. Finì così come era iniziato, all’improvviso e senza spiegazione, e a Izuku non rimase altro che un’immensa quanto inutile confusione.
“Torna al dormitorio, Deku.” la voce di Katsuki era vento secco dal deserto “Io rimango altri cinque minuti.”
“Devi… fare qualcosa?”
“No. Non voglio che ci vedano tornare insieme.”
“A-Ah, giusto.”
Si alzò alla stregua di un automa, e con altrettanta naturalezza oltrepassò il profilo alto e perentorio di Kacchan, con le spalle larghe risaltate dalla divisa da ginnastica della scuola.
Raggiunse le scale del secondo piano, ma il calore che percepiva laddove la mano di Kacchan lo aveva accarezzato piano, che dalla nuca si propagava lungo il collo fino a sotto le spalle, dritto al cuore, era sempre lì -era ancora lì, era tutto lì, ed era così forte che minacciava di fargli esplodere la testa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Katsuki Bakugou, o del classico cliché natalizio
 
 
Rimase nella serra per un quarto d’ora abbondante. In piedi in mezzo al corridoio che separava le piante grasse da quelle tropicali, nel silenzio completo che solo la vegetazione poteva garantire, Katsuki non trovò neanche la forza di volontà necessaria ad accendersi una sigaretta. Non riusciva a smettere di guardare il volume che teneva tra le mani, e più continuava a fissarne la copertina lucida e pulita, più sentiva montare in sé l’inestinguibile desiderio di aprirlo e leggerlo dalla prima all’ultima parola senza riprendere fiato. Alla fine fu esattamente ciò che fece.
Nel mentre che ritornava ai dormitori, guardandosi bene dall’intraprendere lo stesso tragitto percorso da Deku pochi minuti prima -la prudenza non era mai troppa in questi casi-, pensò che non si trattava poi di un regalo così brutto. Anzi, si poteva quasi dire fosse un pensiero gentile e adeguato, in perfetto stile Deku, stracolmo di emotività e buone intenzioni. Forse per questo si era sentito un po' in colpa all'idea di non riuscire a ringraziarlo, e allora aveva pensato di rimediare con quel gesto stupido e senza senso, una mano a strofinargli i capelli -la parvenza di un contatto. 
Ma non era forse assurdo, che entrambi fossero stati sorteggiati come Secret Santa dell’altro? Che razza di stregoneria aveva praticato Uraraka su quello stupido cappello rosa? Quale inettitudine l’aveva spinta a mescolare così malamente i bigliettini? E dove cazzo era quel fottuto divertimento di cui tutti continuavano a parlare? Perché lui, di divertimento, non ne aveva vista neanche l’ombra: piuttosto gli era parso di trovarsi davanti all’anticamera dell’inferno, quando Deku gli aveva allungato quel regalo con gli occhi chiusi di trepidazione.
Preso com’era dalle proprie speculazioni su quanto accaduto, che considerò sufficienti per una vita intera, Katsuki notò troppo tardi la piccola folla che si era radunata davanti all’ingresso della sala da pranzo. C’erano Mineta e la ragazza-acido, Tokoyami, Kirishima, la ragazza-ipod e Kaminari, entrambi vicini dopo quasi una settimana di patetica lontananza, quello scarto di Todoroki, accanto alla viziata della classe, e poi, poco vicino alla soglia, c’era anche Deku con i suoi amichetti Iida e Uraraka. Tutti fottutamente fastidiosi -ma se avesse mantenuto un profilo basso, di sicuro sarebbe riuscito ad andarsene evitando ulteriori conseguenze.
 
 
 






 
(Uraraka ci aveva pensato tutta la settimana, a quell’idea del Secret Santa, ed era arrivata all’amara conclusione che, a conti fatti, non era stata poi così soddisfacente come aveva immaginato.)
 

(Shoji, candidamente, ricordò a tutti l’esistenza di una certa tradizione occidentale, ma solo perché l’aveva vista il giorno prima in un telefilm.)

 
(Kirishima andò a parlare con quelli dell’altra sezione, in particolare con Shiozaki, che di piante e verdure se ne intendeva. Tornò dieci minuti dopo e disse che sapeva esattamente cosa fare.)

 
(Anche Tsuyu considerò che non vi fosse davvero niente di male in un’iniziativa del genere: si trattava sempre di tradizioni natalizie e quant’altro, giusto?)

 
(Mineta pensò di spingere Asui sotto la porta per poterle toccare finalmente le tette, ma quella si spostò all’improvviso e allora lui colpì Uraraka, che si sbilanciò e per mantenere l’equilibrio si aggrappò ad Hakagure, che a propria volta incespicò e si portò dietro Momo e Mina, la quale non mancò di spingere a propria volta il povero Iida, che nel cadere fece lo sgambetto a Midoriya.)
 






 

 
Katsuki stava passando di lì proprio in quel momento, e davvero non avrebbe voluto altro dalla vita se non una tazza piena fino all’orlo di latte e miele, ma Kirishima fece per tirargli un pugno amichevole sulla spalla e allora, siccome amichevole non si era mai considerato, dovette scansarsi di lato e cambiare traiettoria; al che incespicò sulle gambe invisibili della ragazza invisibile, e sarebbe di sicuro finito con i polsi a terra se non avesse avuto la prontezza di riflessi per riprendersi giusto in tempo -giusto in tempo per essere sorpreso dall’ennesima disgrazia: sbatté la testa contro qualcosa di nettamente troppo duro, simile a una noce di cocco, poi qualcuno lo spinse in avanti e fu in quel momento, con gli occhi ancora accecati dal dolore e la testa pulsante di rabbia, che con la bocca scontrò qualcosa di umido e morbido, qualcosa che sembrava proprio un’altra bocca. Sapeva di biscotti, biscotti zuccherati di un qualche tipo, non avrebbe saputo dire quale. Però -e questa fu la più amara delle consapevolezze- sapeva esattamente a chi appartenevano quegli occhi grandi, verdi cangianti e spalancati in tutto il loro infantile stupore.
 
 
 
Uuuuuhh, disse qualcuno, Bakugou e Midoriya si sono baciati sotto il vischio!

 
 
E Katsuki Bakugou giurò a sé stesso che se non avesse fatto esplodere la scuola, di certo non poteva garantire lo stesso per il resto della città


















































































Gentilissimo pubblico! 
Nonostante la maturità porti con sè numerose consapevolezze e cambiamenti, tra i quali spicca senz'altro l'assenza di un qualsiasi spirito natalizio, chi mi conosce saprà che, in perfetta linea con gli special invernali dei telefilm e delle serie tv, raramente riesco a resistere a tentazioni (assolutamente infime e commerciali) quale la fanfiction-di-Natale!!!!
E se qualcuno è stupito dalla mancanza del santissimo raiting rosso *minuto di silenzio*, deve sapere che in me trova assoluta empatia -vogliamo chiamarlo esperimento, un throwback ai tempi del liceo? Ma soprattutto ^^^Sondaggio serio^^^ da uno a Cristiano Malgioglio, quanto sono ingenui i personaggi di questa storia????
Piccolo regalo per chi si è mai chiesto quale sia stato il vero primo bacio di Kacchan e Deku, ma soprattutto per chi ha recensito le altre mie one shot sul fandom, per chi le ha inserite tra i preferiti/seguiti/ricordati, e per tutti i lettori silenziosi -vedo anche voi, e siete un sacco!- che hanno speso un po' del loro tempo per una delle mie storie. 
Tantissimi auguri di buon Natale (in ritardo, come tradizione mio solito) eeeeeee ci rivediamo nel 2018????
Kissessssssssss
Josephine_ 
  
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