-Zio Osses?-
Sognava.
Sognava di essere disteso a letto privo di forze, immobile,
paralizzato. Sognava di essere collegato a migliaia di fini tubicini,
attaccati a scatole metalliche di cui non comprendeva i suoni e le
funzioni.
Sognava di essere malato, sognava di essere ferito. Sognava di essere
spezzato da qualcosa che non capiva. Sognava il dolore, sognava la
mancanza, sognava la separazione dai suoi bambini.
Sognava la morte che avanza.
-Zio Osses!-
Sognava una voce, dei sussurri talmente reali e familiari che
riuscirono a sollevarlo dall'immobilità della dimensione
onirica per posarlo nel limbo della dormiveglia.
Sentiva la voce che tanto amava trasportarlo in porti sicuri.
-Zio Osses, svegliati! Fuori
c'è la neve, il sole è già alto e non
ci fanno uscire. Zio Osses...-
Bastò quella frase sussurrata, bastò la
malinconia, bastò l'eccitazione tenuta a freno a convincerlo
ad aprire gli occhi e osservare il visetto ansioso del suo caro
nipotino.
-Ash...-
mormorò, assonnato, rizzandosi a sedere e stropicciandosi
gli occhi.
-Ma che ore sono?-
chiese con uno sbadiglio al piccolo mezzelfo, che intanto si era
accucciato al suo fianco.
-È tardi, Zio
Osses! Dobbiamo andare giù a Malie per gli ultimi regali. Ce
lo avevi promesso!- piagnucolò il piccolo,
abbracciando l'elfo all'altezza dei fianchi. Osses passò una
mano fra i capelli chiari del nipote prima di togliersi le coperte di
dosso e scendere giù dal letto.
Aprì le finestre per permettere alla luce del mattino
d'inondare la semplice camera che gli era stata assegnata, con appena
il letto, un armadio, una scrivania e una piccola libreria.
Ash guardava paziente lo zio cambiarsi per scendere, raggomitolato tra
le coperte calde.
-Gli altri sono
già giù, vero?- gli chiese Osses, una
volta pronto e varcata la soglia della stanza tenendo per mano il
bambino. Ash annuì.
-C'è mamma con loro-
aggiunse.
Osses sorrise nel figurarsi la sua sorellona circondata da quei
bimbetti di razze diverse. Lydia non era abituata ad avere rapporti con
altri se non con altri elfi, non aveva mai viaggiato come aveva fatto
Osses: per cui, era naturale lo stupore in famiglia quando la giovane
primogenita aveva dichiarato di star aspettando un bambino da un
soldato umano, con cui aveva avuto una relazione in segreto.
Mentre camminavano Osses abbassò lo sguardo verso il nipote,
che guardava dritto davanti a sè, e sorrise: nessuno aveva
mai potuto conoscere suo padre, morto in guerra prima che lui nascesse.
Lydia non ne parlava gran che, ma a sentire le sue scarne descrizioni
doveva assomigliare tantissimo al bambino.
-Ecco!-
esclamò il piccolo una volta intravisti da sopra l'ultima
rampa di scale, i suoi amici giocare nel salotto attiguo alla sala
grande del Kamigakushi, vicino al camino e all'alberello verde,
decorato con nastri e palline dipinte. Lasciò quindi la mano
dello zio per precipitarsi verso di loro.
Appena Osses lo raggiunse vide una scena simile a quelle a cui era
abituato, ma ciò non gli impedì di sospirare
rassegnato e scuotere leggermente la testa.
In un impeto di baldanza Guzma, un bambino umano completamente albino,
era rimasto impigliato in alcuni fili per decorare gli alberi e, pieno
di graffi rossi, cercava di liberarsi. Ad aiutarlo c'era il piccolo
Infaustus, figlio di una coppia di nani, e la madre della vittima,
nonché la proprietaria del Kami.
Akareth Sigurdottir non si poteva dire che, nonostante avesse passato
di molto i trent'anni, stesse invecchiando male: alta e dalla
corporatura atletica, l'umana dai capelli ramati riusciva ad avere una
scorta d'energia tale da continuare sia il lavoro di locandiera che la
professione da barda, che l'aiutava moltissimo nel primo ambito ed
essere apprezzata da tutti, anche dopo le avventure che aveva passato.
Era a lei che Osses doveva tutta la sua gratitudine, visto che aveva
dato lavoro sia alla sorella Lydia sia ad altre famiglie, permettendo
così ai bambini d'incontrarsi.
Osses distolse lo sguardo dalla figura della rossa per aiutare il trio
più turbolento del gruppo, quello dei mezzorchi: questo era
composto da due fratelli, Tsadock e Pendragon, e dal cugino Grimbull.
Sebbene quest'ultimo avesse un temperamento più calmo e il
primo avesse più buonsenso, Pendragon e la sua
vivacità li equilibravano entrambi.
-E dimmi un po', signorino,
per che cosa avete litigato stavolta?- gli chiese Osses,
vagamente seccato, mentre gli puliva il sangue che usciva dal naso.
-Pen ha detto a Guzma che i
bardi sono solo degli inutili menestrelli- spiegò
Tsadock, divertito.
-E Guzma gli ha tirato una
craniata sul muso!- completò Grimbull, finendo con
una breve risata.
A quelle parole Pendragon si rabbuiò ancor di
più, ma non rispose.
-I bardi non sono inutili-
brontolò l'albino, una volta tirato su in piedi e liberato
dai fili che, probabilmente, erano stati legati dallo stesso Pen.
-No che non sono inutili,
Guz. Vi ho raccontato tante di quelle storie, la sera, con la musica in
sottofondo, che sarebbe sciocco un pensiero del genere. Come credi che
sarebbero sopravvissute quelle gesta e quegli eroi, se non ci fossi
stata io ad assistere?- gli domandò la madre
mentre s'alzava e gli accarezzava i capelli.
-Signora Akareth, pensa che
noi potremo partecipare a una di quelle avventure?- le chiese
Infaustus, una volta in piedi anche lui.
-Certo, caro ragazzo. Ma
quando sarete più grandi. E allora capirete a quanto serva
un bardo, quando sarete giù di morale e sarete nei guai-.
-Ma adesso c'è
un'altra avventura oggi, proprio quella che fa per noi!-
esclamò Osses che, una volta tirato su un Pendragon
incupito, s'avviò verso la porta di servizio per accostarla.
-Quella dei regali e della
visita a Malie!-
Tutto d'un tratto i bambini dimenticarono i loro problemi e le loro
rivalità e, con urla di gioia, si precipitarono tutti fuori.
-Grazie per tutto quello che
fai per noi, Osses- mormorò Akareth, una volta
arrivata all'uscio.
-Senza di te non sapremo che
fare coi bambini-.
-Oh, non c'è di
che, signora Sigurdottir- rispose l'adolescente con un ampio
sorriso -Lo sa che
è un onore per me lavorare qui al Kamigakushi nei giorni
liberi. È un modo per ripagare i miei genitori, stanno
facendo molti sacrifici per farmi studiare. E poi...-
Osses si voltò verso i bambini, che giocavano felici in
mezzo alla neve.
-...e poi sono troppo
affezionato a queste pesti per lasciarle a loro stesse-
concluse, rivolgendo lo sguardo verso la donna.
Akareth sbuffò divertita e scosse la testa. Si sporse un
poco per regalare un'ultima occhiata al figlioletto, che in quel
momento stava sfruttando il suo candore per mimetizzarsi ed evitare le
palle di neve dei compagni, per poi congedare Osses con una leggera
pacca sulla spalla.
-Adesso vai, ragazzo. E non
chiamarmi più "signora Sigurdottir", che mi fai sentire
vecchia!-.
Ma il giovane elfo era già volato fuori, e all'umana non
restò altro che osservarlo allontanarsi con i bimbi e, con
qualche brontolio, richiudere la porta dietro di loro.
-Ragazzi, voi che avete chiesto
allo spirito di Yule?- chiese Osses mentre scendevano
giù dalla collina in direzione di Malie.
-Io voglio imparare a guarire
la gente e aiutarla a combattere i cattivi!- rispose con
fierezza Infaustus, ergendosi in tutto il suo metro scarso di altezza.
-Ma i nani fanno armi, mica
curano! Dove vorresti andare, con le cure?- lo
canzonò Pendragon, che per fortuna non gli era vicino.
-Non è vero!
Questo non vuol dire niente!- si scaldò il piccolo
nano, arrossendo per la rabbia.
-Bambini, non litigate, su.
Pen, invece di prendere in giro un amico, perché non ci dici
cosa desideri?-
li riprese con decisione Osses, ormai abituato a stroncare i litigi sul
nascere.
-Io voglio una spada, grande
come quella di papà, e imparare a lottare come lui!-
esclamò il piccolo mezzorco.
-Ma se sei alto un tappo e
mezzo e forte meno, pensi davvero di diventare un guerriero come lui?-
rispose il suo gemello, Tsadock.
-Piuttosto, perché
non fai come quei berserker? Sei sempre arrabbiato con tutti, puoi fare
così- continuò, senza dare tempo al
fratello di rispondergli male, come suo solito.
-Bhe, la via del Barbaro non
è poi così male, no Pen?- gli chiese
Osses, accarezzandogli la testolina. Lui fece spallucce, ma non rispose.
-A me quelli fanno paura.
Tanta. Quando l'ira li prende distruggono sempre tutto...-
sussurrò Ash prima di stringersi di più contro lo
zio, intimorito al solo pensiero.
-Oh avanti Ash, se sei loro
amico non ti faranno alcun male, mai!- replicò
Grimbull, che intanto gli si era avvicinato.
-E se succedesse, ti
proteggerò io. Quando sarò grande
diventerò fortissimo, vedrai che ti difenderò a
colpi di spada!-
Ash, a quelle parole, gli rivolse un timido sorriso e un "grazie"
mormorato.
-Io invece voglio aiutare
Infaustus- affermò Tsadock, tra lo stupore
generale?
-Aiutarmi?- gli
chiese dubbioso il nano.
-Sì! Tanto per
guarire e lottare dovrai scegliere una divinità o un ideale
che facciano emergere la magia per entrambi, no? Ecco, io
seguirò un dio per coprire le spalle a tutti-.
Infaustus parve rifletterci un po' su, ma alla fine annuì,
abbastanza convinto.
-E tu Guzma? Cosa pensi di
fare?- chiese Osses al piccolo umano, che per tutto il
viaggio era stato in testa, perso in chissà quali pensieri.
-Cosa voglio fare?-
ripetè, pensieroso.
Erano quasi giunti alle porte di Malie, già s'intravedevano
i primi affollamenti su una delle strade principali.
Guzma osservò quel viavai ancora lontano di persone, poi
alzò lo sguardo verso Osses.
-Io voglio continuare a
suonare e diventare come mamma-. Piccola pausa.
-Perché quando
suono Plumeria sta meglio e gioca sempre con noi. Ma adesso, zio Osses,
neanche la musica di mamma la fa stare bene. Piange sempre e ha la
testa che le fa male, tanto-.
A quelle parole Osses sentì un groppo alla gola. Nessuno dei
bambini osò contestare le parole dell'albino.
-È vero, zio
Osses. Plu sta sempre male. Che le succede?- gli chiese
Infaustus, preoccupato.
-Quando proviamo a bussare ci
urla sempre di andarcene- brontolò Pendragon.
-Io...-
cominciò l'elfo, a disagio.
-Come l'aiutiamo, zio?
Vogliamo che torni a giocare con noi- chiese Ash mentre gli
tirava un lembo del giaccone, cercando di attirare la sua attenzione.
-Un modo ci sarebbe, anche se
non è proprio permanente- rispose Osses mentre
entravano in città e guidava i piccoli in mezzo a strade e
vicoli, cercando di non dare troppo nell'occhio.
-Vi ricordate il regalo che
volevamo farle tutti assieme? Ecco, sono riuscito a trovare un chierico
tiefling in grado di crearlo. Dobbiamo solo ritirarlo-
-E poi starà bene?
Dovrà sempre averlo con sé?-
continuò Grimbull, che s'era infilato fra Ash e Osses.
-Certo che starà
bene! Anche se, sì, dovrà sempre portarlo con
sé- rispose paziente l'elfo, riprendendo per mano
il nipotino irritato da quella intrusione.
-Ma adesso non disperdetevi,
bambini. Dobbiamo prendere i fuochi d'artificio, siamo arrivati al
negozio!-.
A sentire ciò Guzma gridò felice e corse dentro
la bottega dov'erano tutti diretti: gestita da un noto mago
specializzato in Piromanzie e studi sui Piani, spesso e volentieri a
gironzolare fra le cose del padre vi era il figlio in apprendistato, un
coetaneo del resto dei bambini e l'unico esterno a sapere di Plumeria.
-Ragazzi, aspettatemi...-
mormorò il giovane, allungando il passo dopo che tutti
quanti decisero d'ignorarlo e seguire l'umano.
I fuochi
d'artificio chiusi sottochiave nello sgabuzzino: fatto. Lydia ci aveva
pensato personalmente.
I regali erano sistemati vicino al grande albero, i bambini dovevano
aspettare fino a sera per scartarli. Avevano deciso di comune accordo
di andare prima da Plumeria, con la speranza che sarebbe scesa con loro
per avere prima il suo, di regalo, date le sue condizioni.
Ma, per idea di Tsadock, avevano comunque portato il pacchetto con
loro, nel caso servisse.
Nonostante il brontolio impaziente di Pendragon alla fine tutti quanti
salirono le rampe di scale, Guzma in testa, per raggiungere la porta
perennemente chiusa della camera della bambina.
-Sei già sveglia
oppure dormi?
Giochiamo insieme dai!
Da quando non ti vedo
più, mi sento giù, mi manchi molto sai!
Noi siamo tanto amici, o
forse no? Che cosa ti ho fatto mai?
Se tu vuoi spiegarmi come,
faremo un bel pupazzo insieme!- cantilenò Guzma
una volta arrivato alla porta e alla relativa serratura, con la
speranza di farsi sentire meglio.
Pendragon e Tsadock ridacchiarono fra loro, ma il resto dei bambini, in
ansiosa attesa, si radunò attorno all'albino per sentire la
risposta.
-Vattene via!-
ribatté una voce femminile al di là della porta.
-Ma...-
mormorò il bambino, ferito da quelle parole brusche.
-Lascia fare a me, Guzma. Ok?-
gli chiese con tono gentile Osses, appoggiando le mani sulle sue spalle
e chinandosi per raggiungerlo.
Il piccolo annuì in silenzio, cercando di trattenere le
lacrime.
-Plumeria? Sono io, zio
Osses. Aprimi, per favore. Verrò da solo, gli altri bambini
resteranno fuori se vuoi. Ma, per favore, aprimi: così posso
aiutarti!-
A quelle parole la porta s'aprì di poco, giusto uno
spiraglio verso l'interno in penombra.
I bambini arretrarono di un passo, Osses entrò e si richiuse
la porta alle sue spalle.
Le imposte, come aveva intuito l'elfo da fuori, ancora non erano state
aperte. Il lettino non era ancora stato rifatto, armadio e scrivania
avevano graffi e morsi nuovi. A terra c'erano piccole piume nere sparse
ovunque.
Nell'angolo alla sua sinistra ecco un tremante fagottino fatto di
vestiti stropicciati, ali sparute dalle piume corvine, coda terminante
con una punta acuminata e piccole corna sulle tempie.
-Plumeria?- la
chiamò Osses con la stessa gentilezza di prima.
La piccola tiefling alzò lo sguardo verso di lui,
scostandosi i capelli rosa e gialli.
L'elfo le si avvicinò, le si sedette accanto e
l'abbracciò delicatamente. Lei smise di tremare, ma a
smettere di singhiozzare non ne voleva sapere.
-Zio Osses, fa male... fa
tanto male...- ripeteva in continuazione, premendosi le
manine sulla testa e piangendo via via più forte.
-Plu- le
sussurrò lui, massaggiandole le tempie e provando a usare un
po' di magia per alleviarle il dolore.
-Continuano a parlare, zio
Osses! Mi ordinano di uccidere, vogliono il loro sangue. Zio Osses!-
mormorò tutto d'un fiato, alzando lo sguardo per guardarlo
con i suoi occhi gialli e dorati, come quelli di una gatta, ricolmi di
lacrime e angoscia.
-Io non voglio uccidervi,
ma... ma zio Osses, non ce la faccio più. Non ce la faccio!
Continuano a sussurrare, a parlarmi e a farmi del male! Non devono
più avvicinarsi a me, altrimenti...-
singhiozzò ancora senza finire la frase, stringendosi ancora
più forte al ragazzo.
-Plumeria, ascoltami-
sospirò Osses mentre le accarezzava la schiena e le piccole
ali per calmarla.
-Comprendo che tu voglia
proteggere me e i tuoi amici dai tuoi impulsi. Capisco che ti senta un
mostro per quello che sei, ma io non sono d'accordo. E non lo sono
neanche gli altri bambini-.
A quelle parole la tiefling smise di piangere e alzò di
nuovo lo sguardo verso di lui, scettica.
-A nessuno qui importa se hai
delle ali, due corna o una coda. Nessuno ti tirerà sassi o
insulti per il tuo retaggio. Qui ti amano tutti, soprattutto io e i
bambini.
Loro ti adorano, Plumeria, e
lo sai bene. Ti hanno trovata loro in mezzo alla foresta, in balia di
pericoli e predatori. Eppure allora, invece di farti del male,
t'invitarono a giocare con loro e a venire a conoscermi. Ti ricordi?-.
A quelle parole la bambina annuì decisa, poi diresse lo
sguardo verso la porta.
Osses seguì il suo gesto: Guzma e Infaustus erano entrati di
soppiatto e tenevano fra le braccia due scatole: tra le mani del nano
c'era l'ultimo regalo preso a Malie. Invece il ragazzino aveva il suo
vecchio carillon, regalatogli anni e anni prima dalla madre.
Ash e i tre mezzorchi si erano affacciati alla porta incuriositi, ma
troppo intimoriti per poter proseguire.
-Plumeria, noi...-
cominciò Infaustus. Indeciso su come proseguire, il nano
guardò prima Guzma, che lo invitò con lo sguardo
a continuare, e poi gli altri quattro, che si ritrassero un poco dietro
la porta aperta.
-Ecco... ti abbiamo portato
questo. Zio Osses ha detto che aiuta quelli come te a stare meglio, per
cui oggi siamo andati a prenderlo dal tiefling che l'ha costruito-
concluse poi, avvicinandosi a loro due, poggiando la scatola accanto
alla bambina e sedendosi dietro a questa.
Guzma lo seguì a ruota e si piazzò vicino a lui,
con ancora la sua scatola fra le mani, recuperata forse mentre Osses
parlava con Plumeria.
Gli altri bambini si decisero a entrare e a sedersi poco dietro ai due,
in attesa di quello che sarebbe successo.
Plumeria lo guardò uno a uno con aria dubbiosa. Poi si
spostò verso il misterioso pacchetto e lo scartò
con cura. Una volta aperta la scatola, prese l'oggetto protetto da
carta stropicciata e lo sollevò: le sue mani stringevano con
reverenda delicatezza un cerchio d'argento, simile a un'aureola.
-Cos'è?-
chiese incerta.
-Zio ha detto che
è una... un'Aureola della Calma Interiore- le
spiegò Ash, che nel frattempo s'era avvicinato.
Plumeria guardò l'elfo, in cerca di conferme.
-Su, forza, indossala-
la invitò lui con un sorriso.
Senza troppa convinzione, la tiefling si portò l'aureola
sulla testa. Immediatamente l'oggetto cominciò a fluttuare a
pochi centimetri dai suoi capelli.
Sorpresa, la bambina si guardò attorno con occhi spalancati,
per poi tornare a guardare l'elfo, colma di meraviglia.
-Zio Osses, non le sento
più! Non sento più le voci, non mi fa male
più nulla!- esclamò, estasiata.
-Adesso tornerai a giocare
con noi?- le chiese a mezza voce Guzma.
Plumeria sorrise e scosse la testa per esprimere il suo assenso, ma poi
indicò la scatola che l'albino teneva.
-Prima però vuoi
suonarlo? E' da tanto che non lo sento- gli chiese.
E mentre il resto dei bambini scoppiò a ciarlare e a
incoraggiare l'amico, Osses si alzò per andare ad aprire le
imposte.
Il vento dell'inverno e la luce del mattino penetrarono in quella
oscurità sulle note cristalline di un carillon.
Osses li
sorvegliava da sotto il suo albero preferito.
Nel Giardino di Malie c'era neve a sufficienza per farli contenti, non
ce n'era abbastanza per metterli in pericolo e per impedire alla natura
di vivere nonostante il freddo.
Guzma e Plumeria cercavano di pattinare sul ghiaccio del laghetto del
Giardino: o, per essere precisi, la piccola tiefling cercava di aiutare
il suo amico umano a tenersi in piedi.
Osses sorrise: loro due non avevano altri amici all'infuori dei bambini
del Kamigakushi, ma per ora non sembrava pesargli.
"Sono tutti dei rifiutati dalla
società, mezzosangue o troppo diversi dagli standard"
pensò mentre osservava Ash e Infaustus che discutevano sulle
fonti magiche migliori, se quelle divine o naturali, o che fossero
innate o frutto di studio.
"Ma a noi va bene così. Non
vogliamo altro che restare assieme" continuò
sereno mentre spostava lo sguardo ai tre mezzorchi che correvano come
forsennati: Tsadock e Pendragon stavano litigando su qualche cosa,
Grimbull aveva messo in pratica un vecchio detto e aveva tentato di
arraffare l'oggetto conteso, facendosi però scoprire e
attirando l'ira dei cugini.
"Sì. Va tutto bene".
Si era
allontanato solo per un giorno.
Non doveva succedere niente.
Era tornato a Malie per passare il Capodanno umano assieme a dei
colleghi apprendisti.
Aveva sottovalutato i bagliori che provenivano dall'alta collina, in
lontananza.
Aveva pensato con leggerezza che si trattassero dei classici fuochi
d'artificio che venivano scoppiati, quei fuochi che il padre del
piccolo Kukui gli aveva consegnato. Quel mago gli aveva detto che erano
sicuri.
Ma quando i bagliori si trasformarono in vampe Osses capì
che la tragedia era appena iniziata.
Era arrivato assieme ai soccorsi, assieme all'acqua, assieme a una
salvezza rivelatasi tardiva.
Tutti i clienti erano salvi, complice il fatto che non si trovassero al
Kamigakushi per via delle feste a Malie.
Ma Akareth, Lydia, i bambini -i suoi bambini!-
e i loro genitori che lavoravano lì, loro... loro
continuavano a bruciare.
La frenesia del momento aveva annebbiato la sua mente, tanto da
isolarlo dal resto del mondo: contava solo l'acqua che versava ed
evocava, contava solo il fuoco che riusciva a estinguere.
"Zio Osses!" sussurravano delle voci
di bambini. Forse era il vento, forse l'incendio che dilagava, forse
allucinazioni, figlie della sua disperazione.
Le fiamme danzavano e divoravano: sibilavano divertite davanti alla sua
impotenza, ne ridevano a crepapelle.
In fondo, era solo un apprendista, un elfo che aveva superato
l'infanzia solo da poco. Era completamente inutile di fronte alla morte.
"Zio Osses! Aiutaci!" continuavano a
sussurrare le voci dei bambini, sempre più forti, sempre
più strazianti.
"Aiuuuutaaaaciiii!"
Osses non ce la fece più: sentì la mente
crollare, cadde in ginocchio, affondò le unghie nelle guance
fino a far uscire il sangue, reclinò la testa all'indietro e
urlò.