Lo sapeva
Lo sapeva ormai da un bel pezzo ormai: da quando tutti, quando erano
immersi nel lago di mondi e mondi fa, avevano trovato ustioni sui loro
corpi. Tracce del fuoco che aveva minacciato d'inghiottirli tutti
quanti che il tempo aveva sbiadito, assieme alla loro memoria. E le
avevano trovate curiose, visto che sembravano avere tutte un senso
comune.
D'altronde erano tutti piccolissimi quando il Kamigakushi
bruciò. Erano così piccoli quando attraversarono
varchi per altri mondi, varchi verso la salvezza, varchi verso la vita.
Chi li aveva aperti, quei varchi? Uno stregone invitato da Akareth
quella notte, per festeggiare assieme alle altre quella notte in
maniera particolare.
Come potevano ricordarlo dopo così tanto tempo?
Anche lui aveva rischiato di dimenticare.
Eppure, a guardarli in quel momento, il vecchio Osses si chiedeva come
aveva fatto a scordarsi di tutto nonostante i secoli. Plumeria e Guzma
pattinavano assieme sul laghetto di Malie con una grazia quasi
ultraterrena, complici forse i vent'anni passati a correre e a saltare
in mezzo alle foreste, o forse grazie alle ultime avventure che li
avevano forgiati.
Infaustus e Ash parlavano di un argomento che da un bel po' animava le
loro discussioni: magia divina o magia degli elementi?
Osses ormai non interveniva più in quel genere di confronto:
al massimo, si riscuoteva e tergiversava. Differenze simili perdevano
di valore una volta raggiunta una certa età.
Tsadock e Pendragon, come sempre, bisticciavano riguardo la
quantità di denaro da spendere per le armi e su quali
ripiegare. A quanto pare la differenza fra lo stile di lotta di un
Inquisitore e di un Barbaro non contava ancora gran che, per loro.
Il vecchio elfo, nello sporgersi dall'albero su cui si era appoggiato
per guardarli meglio, non fece a meno di sorridere leggermente nel
vedere il cugino dei due, Grimbull, sfruttare la situazione per
arraffare i risparmi dei due ignari mezzorchi e sgattaiolare via.
Ma il Guerriero, invece che farla franca, fu rapidamente scoperto dai
suoi due simili: le urla in orchesco e le corse dei tre attirarono
l'attenzione non solo di Osses, ma anche del resto del gruppo e dei
sfortunati che passavano quel giorno di fine anno nel Giardino, che
dovettero sloggiare il più lontano possibile pur di non
essere travolti.
A risolvere la questione con le persone coinvolte fu la diplomazia di
Guzma e Ash, che convinsero gli scontenti a non dare troppo peso alla
cosa, a lasciar perdere. A rimproverare i tre, tutti malridotti per le
botte che si erano dati l'un l'altro, ci pensò Infaustus,
parecchio seccato per esser stato interrotto nella sua discussione col
Druido, e Plumeria, che riuscì a sequestrare ai mezzorchi il
denaro incriminato senza commettere l'errore di Grimbull e non farsi
scoprire.
"Sono cresciuti. E' normale che non mi
chiedano più di risolvere i problemi al posto loro"
pensò il mago mentre li seguiva con il suo passo un po'
sbilenco: la sera calava, a Malie si sarebbero tenuti i festeggiamenti
per Yule, nessuno voleva perderseli per nulla al mondo.
"Solo Larethian sa quanto tempo sia passato.
Io ho passato secoli e secoli alla ricerca dei miei ragazzi e
nell'approfondire le arti magiche, e loro? Per loro, nei loro mondi,
non è passato neanche mezzo secolo".
Avevano passato tutti i quartieri residenziali di Malie, pullulanti di
persone dalla più diversa etnia e in compagnia di quegli
esseri magici che Osses ricordava vagamente.
Andando più indietro coi ricordi, forse poteva rievocare
sfocate immagini di un essere come quelli: assomigliava al falco che,
nei momenti di difficoltà, chiamava sempre per accecare gli
aggressori e che una volta li aveva salvati, indirettamente, dalla
furia di un'Idra. Ma quello di secoli fa... quello di tanto tempo fa
aveva un altro nome, aveva un altro aspetto: le piume sul dorso erano
marrone chiaro, quelle sul ventre giallo pallido. La coda era composta
da quattro, forti piume rosse. Sulla testa aveva una cresta gialla e
rossa, lunga e bellissima.
"Com'è che si chiamava?"
si chiese il mago mentre entrava nell'immensa locanda dove i
festeggiamenti sarebbero partiti, sedendosi in un angolino mentre gli
altri si sparpagliavano per l'enorme salone.
"Ah, sì, ora ricordo. Pidgeot, si
chiamava. Sì, era proprio lui!" pensò
soddisfatto.
"... E comunque, ora che ci penso, questo
posto mi ricorda troppo il Kamigakushi" riprese dopo qualche
momento. In effetti, in cosa differivano quel posto e quei
festeggiamenti a quelli di tanti, tanti anni fa?
In mezzo al salone vi era lo stesso albero bianco, addobbato come di
consuetudine. C'era il bancone in fondo, proprio di fronte all'entrata.
I tavoli erano disposti in cerchio attorno all'albero. C'era un odore
particolare nell'aria, un odore sottile, qualcosa difficile da
cogliere. Qualcosa che sapeva di gioia, ma che suonava come un
avvertimento.
Tutto gli sembrava pericolosamente familiare.
-Sono cambiati dall'ultima
volta che li ho visti- gli parlò un giovane uomo
che s'era seduto accanto a lui.
Nel girarsi e nel guardarlo, Osses riconobbe l'Arcanista che li aveva
aiutati una volta che Guzma li aveva condotti tutti in quel mondo che
lui chiamava "casa".
Com'è che si chiamava? Kukui? Sì, era quello
sposato con la studiosa di Piani.
-Sono cresciuti, 'ses! E noi
siamo cresciuti con loro- annuì l'elfo. Kukui
stava guardando Guzma, che nel frattempo era saltato su un tavolo per
cominciare a suonare selvaggiamente il violino, e Plumeria, che
serpeggiava silente fra i tavoli per assicurarsi che tutto andasse per
il verso giusto.
Ormai lui era riuscito a farsi accogliere dalla società che
in passato lo aveva rifiutato, non era più un reietto. Lei
ormai non era più "il mostro" a cui tirare sassi, non era
più l'aberrante punizione mandata sull'arcipelago per
chissà quale motivo.
Osses però guardava anche al resto dei ragazzi, uniti in
quel momento dal canto e dalla musica del loro bardo: Ash aveva
risposto al richiamo della natura e trovato il suo cammino personale,
Infaustus era riuscito finalmente a diventare un guaritore e guerriero
di prim'ordine. Tsadock aveva trovato un compromesso fra magia e
combattimento, Pendragon era riuscito a incanalare la sua ira e
Grimbull a combinare tecnica e forza.
- 'ses?-
ripetè Kukui, avvicinandosi un poco al mago per osservarlo
meglio, come se lo vedesse per la primissima volta.
-Eh?- si riscosse
l'elfo, che ricambiò lo sguardo curioso del giovane moro con
aria smarrita.
-Io e te ci conoscevamo
già. Prima di tutto questo, intendo-
affermò l'Arcanista.
-Osses... Osses non ha
memoria di questo- ribattè il vecchio, ancora
più confuso di prima. Negli ultimi tempi la sua memoria
cominciava a non funzionare come un tempo: ma, ne era sicuro, non aveva
mai visto Kukui prima di quel momento.
-Sarà, ma io penso
che ci siamo incontrati, un tempo. Sei proprio sicuro di non ricordare?-
Osses aggrottò la fronte e tornò a guardare al
centro della sala, dove Guzma stava terminando la sua esibizione.
Nel vedere il ragazzo balzare giù dal tavolo, un frammento
di un ricordo tornò alla mente: un ragazzino, uno dei pochi
amici dei suoi bambini, con un padre mago e circondato da portali...
-Kukui!-
esclamò, voltandosi di nuovo verso l'uomo.
-...Zio Osses? Eravamo
tutti...-.
Non finì mai la frase.
Dal retrobottega si sentì l'eco di un'esplosione.
Passò solo un istante di silenzio generale: prima che
l'incendio esplodesse e divorasse le prime strutture già
tutti gridavano e si precipitavano fuori, alla rinfusa, calpestandosi a
vicenda per trarsi in salvo a discapito del vicino.
"Moriranno innocenti!"
pensò disperato l'elfo, arrampicandosi sopra il tavolo per
non farsi travolgere dalla folla.
Kukui era schizzato via per dare manforte ai ragazzi: Osses
già sentiva Pendragon andare in ira per sfondare gli
ostacoli, la musica frenetica di Guzma e le urla di Tsadock e Grimbull
indirizzare i fuggitivi verso le vie più sicure. In mezzo
alle fiamme crescenti, Osses non riusciva a scorgere Ash, Plumeria e
Infaustus.
"Sono tornato nel passato, forse? Dove sono i
miei ragazzi? Stanno rischiando la vita per aiutare feriti e quelli
rimasti intrappolati più su?" continuò
disperato l'elfo mentre li chiamava a gran voce, in mezzo al fuoco.
Le ombre delle ultime persone correvano a fianco a lui, cercando la
tanto agognata uscita.
"Zio Osseees!" sussurravano deboli
voci di bambini.
L'incendio stava facendo crollare le colonne portanti del grande
locale: eppure in quell'inferno un bardo continuava a suonare
imperterrito e dei mezzorchi a urlare per salvare le ultime anime.
L'ombra di una tiefling guizzò via, trasportando sulle
spalle due piccole masse vagamente umanoidi.
"Zio Osseeees!" imploravano. Di Ash
e Infaustus nessuna traccia, se non cenere e voci indistinte.
L'elfo ebbe un fremito prima di levare le braccia verso il cielo.
Qualcuno lo chiamava a gran voce al di là dei muri di fiamme
e del legno.
"Zio Ooosseees! Aiuto!"
Il mago alzò il capo, con gli occhi chiusi per cercare
invano di fermare le lacrime, e cominciò a borbottare parole
d'incantesimi noti solo a lui.
Le fiamme ormai avevano divorato la maggior parte del locale ma, appena
sentirono la magia cantare attraverso il vecchio elfo, si tramutarono
in bestie luminose per scagliarsi felici verso la nuova presenza.
"Bambini. Bambini, no, non piangete. Zio Osses
è qui con voi" pensò tra i singhiozzi e
le parole magiche. La morsa crudele del fuoco si faceva sempre
più stretta, esseri attorno a lui cercavano di aiutare altri
a salvarsi e di raggiungerlo.
"No no, bimbi miei. Andate via, non piangete,
scappate via. Osses è qui per proteggervi. Questo fuoco vi
divorerà anche se siete cresciuti così tanto.
Andate via da qui. Io ormai sono solo uno stupido vecchio".
Bastavano solo leggeri movimenti delle braccia per dare alle fiamme
vorticose quella di una colonna di fuoco, ma la pressione si faceva via
via più insostenibile. Un macigno premeva sopra il cuore, il
calore gli mangiava la pelle, il fuoco gli asciugava le lacrime e
rendeva il suo corpo sempre più avvizzito.
La colonna arrivò al limite, bastavano solo pochissimi gesti
e tutto sarebbe finito.
Osses piangeva a dirotto -o almeno, così credeva: chi lo
sapeva cosa sarebbe uscito dalle ustioni e pus che lo avrebbero
ricoperto?- mentre li compiva.
Gli avevano già raccontato della vita che scorreva negli
istanti che precedevano la morte: lui stava rivivendo la sua
gioventù, e ciò era più doloroso di
qualsiasi altra fiamma.
Sentiva di nuovo le manine dei suoi bambini che lo prendevano, i loro
abbracci, i loro chiacchiericci. I loro sguardi, i loro sorrisi, le
loro facce che con l'età crescevano e cambiavano. E che
urlavano il suo nome mentre bruciavano.
Osses spalancò le braccia, abbandonandosi al suo sacrificio.
Il fuoco ululò prima di disperdersi nell'aria.
Si sentì cadere fra la cenere e il carbone, col corpo
incendiato e con l'anima a pezzi.
Si sentì chiamare dalle voci dei suoi ragazzi. Li sentiva
piangere e pregare, tutti.
Si sentì sollevare in alto e trasportato chissà
dove. Ma, annilichito com'era, a malapena era riuscito a ritagliarsi un
angolino nel suo inconscio per rifugiarvisi, tremante come un pulcino,
in attesa che tutto finisca.
"Bambini miei. Vi avevo promesso che vi avrei
protetto. L'ho fatto bene? Bambini..."
Era a letto
privo di forze, immobile, paralizzato. Era collegato a migliaia di fini
tubicini, attaccati a scatole metalliche di cui ormai conosceva le
funzioni a menadito.
Era così malato, così ferito. Così
irrimediabilmente spezzato. Dentro di sè sentiva solo
dolore, solo vuoto, solo un lunga mancanza che sapeva di straziante
agonia.
Sentiva la morte che avanzava leggera, mascherata da giovane donna
dalla pelle pallida, dai capelli corvini e dal vestiario nero.
Stringeva fra le mani una Chiave della Vita bianca e gli rivolgeva un
sorriso amaro.
-Zio Osses?-
Caldo e freddo, a sinistra e a destra. Una dolce presenza accanto a
lui, dall'altra solo il vuoto. Voce e silenzio. Cenere e Morte.
E un grande nulla tutto intorno.
-Zio Osses!-
Voce e silenzio, luce e ombra, il dolce ignoto che gli prende la mano
per condurlo oltre il Velo degli Dei, verso nuovi orizzonti, lontano
dai suoi preziosi bambini.
Ash, angelo mio, io sono pronto, lasciami morire. Del mio cuore non
restano altro che braci.
-Zio Osses, svegliati! Fuori
c'è la neve, il sole è già alto e non
vogliamo uscire senza di te-.
I sensi lo stavano abbandonando, lasciando il posto a un silenzio che
dava sul nulla.
No Ash, non posso alzarmi più. Bambino mio, non piangere:
non ce la faccio a venire con voi. Siamo stati felici e fortunati
assieme, vedrai che lo sarete anche senza di me. Non ti preoccupare.
Avete tutta la mia anima, l'avete avuta da sempre.
E continuerete a sentirmi, come io ho sempre sentito le vostre voci
nella mia mente. Basterà solo un po' di allenamento. Ma io
sarò lì, con voi, per
sempre.
-Zio Osses...-
I due sussurri si persero in un silenzio assordante.
Il cuore si fece di pietra.
Il mondo si tinse di nero, il suo corpo perse ogni tipo di consistenza.
In sottofondo, appena sussurrate, come se fossero suonate in un punto
indefinito e lontane, le note di un carillon.
Eeeee
nulla. Anche questa è
completa.
Devo dire che sono riuscita a stupirmi:
arrivare tranquillamente alla scadenza, senza affrettarmi all'ultimo,
non capita spesso con me. Ma va bene così, è un
piccolo traguardo.
Come anticipato dall'intro: questa mini-long
è basata su un "What If?" che coinvolge il mio party di
Pathfinder.
Trasportare tutti i personaggi in
un'età decisamente più giovane del normale
è stato... strano. Ma anche divertente, in un certo senso.
È bello vederli tutti in una sfera ben al di fuori delle
"classiche" avventure che Pathfinder potrebbe regalare, in modo da
sviluppare situazioni che in un altro contesto non potrebbero mai
svilupparsi. No?
Piccoli chiarimenti in più:
Corellon Larethian, per i profani, è il dio elfico della
magia, delle arti e della guerra, oltre che "rappresentante" divino
della razza elfica.
La musica che il carillon di Guzma produce
all'inizio, nella stanza di Plumeria, è -ovviamente- la
stessa che Osses sente alla fine, ed è questa
qui.