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Autore: EffyLou    06/01/2018    2 recensioni
Non credeva che poteva essere possibile provare un amore tanto profondo per un oggetto inanimato. Lui amava le sue opere, le aveva costruite pezzo per pezzo con estrema cura, erano come figli; ma non amava lei in quel modo.
La amava come se fosse vera, come se fosse un'amante.

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La leggenda dello scultore che s'innamorò di una sua creazione, e chiese ad Afrodite di renderla viva.
[2404 parole]
Genere: Romantico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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LA DONNA D'AVORIO
 


«Eccolo qui, amico mio, la tua bella quantità d’avorio» esclamò Fidia, scendendo dal carretto a cui era legato un mulo grigio. Trasportava zanne d’elefante di differenti dimensione.
Pigmalione gli andò incontro, con un sorriso e le braccia allargate per abbracciarlo. Gli diede una pacca sulla schiena, lasciandogli una manata di gesso sulla tunica. Ma Fidia non se ne accorse.
Fidia aveva studiato scultura insieme a lui, entrambi seguiti dal vecchio e nodoso maestro Pausania, ma non aveva continuato a fare arte: si limitava a fornire i materiali agli artisti, oppure a rivendersi opere dimenticate o sottovalutate, ideando storielle fantasiose pur di venderle e racimolare un gruzzolo di soldi.
Pigmalione sarebbe voluto diventare un grande scultore, ed era davvero bravo, ma non aveva poi molta inventiva e ciò che creava era qualcosa di già visto ovunque in Grecia.
Tuttavia non demordeva, e ripeteva sempre che scolpiva per il puro gusto di farlo: se il Fato avesse voluto renderlo noto in Attica, o nell’intera Grecia, gli avrebbe presentato l’occasione. Ma non mancava di cercare di calcare un po’ la mano, come se volesse spronare il destino a far sopraggiungere il momento in cui tutti l’avrebbero riconosciuto come stimato scultore.
E quella volta Pigmalione si stava cimentando in questo.
Aveva disegnato con un carboncino lo schizzo di un nudo femminile che gli era piaciuto così tanto che aveva deciso di scolpirlo e renderlo tridimensionale.
Aveva quindi deciso di scegliere l’avorio per creare la donna, e aveva dovuto chiamare il caro Fidia per procurarsi il materiale. Fidia sapeva sempre come e dove trovarlo.
«Grazie. Vieni, entra. Vuoi un po’ di vino?»
«Sì ma corretto con un po’ d’acqua. Se comincio a bere dall’ora di pranzo poi non smetto più fino a domani» sghignazzò Fidia, seguendolo all’interno della piccola villa.
Pigmalione sorrise, e se ne versò un po’ per sé. Gli offrì del miele, del pane e del formaggio, e quelli Fidia li accentò ben volentieri. Restarono a parlottare mentre bevevano vino e mangiavano pane, formaggio e miele. Dopodiché l’amico mercante si massaggiò la pancia con espressione soddisfatta.
«Allora, mi mostri la tua musa? Voglio vedere il disegno che ti spinge a creare una scultura d’avorio!»
Pigmalione gli fece segno di seguirlo e lo condusse fuori di casa. Fecero il giro delle mura, fino al retro, ed entrarono nella porticina di legno del laboratorio. L’ambiente era ben illuminato da due grandi finestre e mostrava tavoli bassi ai lati delle pareti, su cui erano poggiati alcuni dipinti, ma soprattutto busti di ogni materiale: argilla, marmo, terracotta, ceramica. C’erano vasi di differenti dimensioni, alcuni decorati con pitture ed altri no, e attrezzi di ogni genere; qua e là erano sparpagliati fogli da disegno su cui v’erano bozze, scarabocchi, progetti mai iniziati o mai finiti.
Lo scultore raggiunse il tavolo da lavoro al centro della stanza, su cui era posato un solo foglio di pergamena, sporcato da tratti definiti di carboncino nero. Lo mostrò a Fidia.
L’amico osservò le curve morbide del corpo della donna, la dolcezza nei lineamenti del viso e nello sguardo, la delicatezza della posa.
«È Afrodite?»
«No. – esitò. – Non lo so. L’ho vista in sogno. Per timore di dimenticarla ho dovuto disegnarla immediatamente»
«Anch’io vorrei vedere una donna così in sogno»
Pigmalione scoppiò a ridere. «Potrai tenere il disegno, se vorrai! Tanto io avrò la statua»
«Cosa? Senti, se questa statua viene come Apollo comanda, ne voglio una replica!»
«Ma nessuna statua viene uguale» replicò lo scultore con un sorriso.
Fidia rise, tenendosi la pancia gonfia da bevitore. «Scherzavo! E poi con la fortuna che mi ritrovo con le donne, probabilmente nemmeno questa statua mi guarderebbe»
«Un giorno troverai qualcuno in grado di apprezzare le tue… rotondità. E il tuo buon cuore, caro Fidia» gli strizzò l’occhio mentre l’amico sorrideva e scuoteva piano la testa.
 
 
Pigmalione si era messo di buona lena a lavorare sulla statua, subito dopo che Fidia se ne fu andato.
Tra le sue mani l’avorio prendeva forma. Si curvava creando la forma affusolata del polpaccio, le cosce, i fianchi morbidi; fino a stringersi appena sul girovita, e allargarsi di nuovo per formare il seno piccolo e sodo; gli avambracci leggermente sollevati e le dita delle mani, delicate, tese in una posa aggraziata.
Con estrema cura lavorò al viso, intagliando occhi rotondi che immaginò vivaci e luminosi, sopracciglia inarcate in un’espressione ingenua ed innocente, il naso piccolo, zigomi alti, labbra carnose, lineamenti dolci ed infantili su un corpo da dea. Con dell’oro liquido andò a tracciare sul suo corpo linee che simboleggiassero ornamenti: un bracciale sotto la spalla e altri ai polsi, una sottile catenina d’oro sui fianchi, una cavigliera, una collana, degli orecchini.
Adornata solo d’oro.
Pigmalione, dopo intensi giorni di lavorazione sul corpo della donna, restò a contemplare il suo operato. Non riuscì a far a meno di schiudere le labbra dallo stupore, mentre le gote si arrossavano, nel vedere cotanta bellezza.
Era così bella. Ne accarezzò il corpo, in modo diverso da come l’aveva toccata fino a quel momento per costruirla: ora la carezzava come se fosse vera, come se potesse sentirne il calore e il profumo della pelle d’avorio. La immaginava pallida, profumata di boccioli di rose, il corpo morbido fatto per essere accarezzato e coccolato, le labbra dal sapore del miele, i capelli rossi come il fuoco che gli bruciava il cuore di passione, gli occhi azzurri e vispi.
Aveva alzato gli occhi incontrando lo sguardo vuoto della scultura e gli sembrò quasi di vederli. Ma fu un attimo, perché si ricordò subito che lei non era viva. Non era davvero una donna.
Questa consapevolezza gli lasciò un vuoto nel petto, come se gli avessero strappato il cuore e l’avessero lasciato sanguinante. Non credeva che poteva essere possibile provare un amore tanto profondo per un oggetto inanimato. Lui amava le sue opere, le aveva costruite pezzo per pezzo con estrema cura, erano come figli; ma non amava lei in quel modo.
La amava come se fosse vera, come se fosse un’amante.
Oh, l’amore… com’era crudele.


 
* * *
 
 
Usciva ormai di rado dalla sua dimora, solo quando cominciavano a mancare i viveri. A volte nemmeno in quei casi, restando digiuno a lungo. Aveva sempre evitato di incontrare Fidia. A volte l’amico lo accompagnava al mercato, certo, ma Pigmalione non voleva farlo più entrare in casa sua e quando il mercante lo andava a trovare a sorpresa, lo scultore fingeva di non essere in casa.
Avrebbe voluto dirglielo, ma si imbarazzava del suo amore per una statua.
Lei, d’altro canto, era stata spostata all’interno della dimora vera e propria. Pigmalione preparava i pasti anche per lei, le raccontava tante cose della sua vita come se lei – sotto la scorza d’avorio – potesse sentirlo. Le faceva domande, aspettandosi risposte. La notte dormiva abbracciato alla statua, quasi nella speranza che potesse prendere vita.
Pensò che con il calore del suo amore l’avrebbe animata, le avrebbe dato il soffio vitale.
Si pentì subito d’averlo pensato, poiché non era un dio ma un uomo mortale, ed era stato blasfemo.
Nonostante ciò continuava la sua vita coniugale con la donna d’avorio.
«Pigmalione! – urlò la voce di Fidia, mentre bussava energicamente alla porta. – Lo so che ci sei, apri!».
Lo scultore fece finta di nulla. Strinse la donna tra le braccia, come a volerla rassicurare che non c’era niente da temere, che Fidia sarebbe andato via presto e avrebbe smesso di insistere. Le baciò la guancia fredda e le labbra pallide, confortandola.
«Pigmalione, ascolta. Smettila di respingermi. Se c’è qualche problema, parlamene! Sono tuo amico, non tagliarmi fuori dalla tua vita, per favore».
C’era una punta di dolore nella voce di Fidia, e fu strano per Pigmalione udirla. L’amico mercante era sempre allegro, gioviale, e sentire quella nota di tristezza e frustrazione nella sua voce fu come destarlo da un sogno durato settimane.
Si separò lentamente dalla donna d’avorio e si avvicinò alla porta. Fidia aveva smesso di bussare, ma sospirava dall’altro lato del legno. Lo immaginava in piedi lì davanti, con la testa china, sul punto di arrendersi.
E quando aprì la porta fu proprio così che lo trovò: arrendevole.
«Pigmalione, se hai bisogno di qualcosa io sono qu--» provò a dire.
L’amico scultore lo abbracciò. Fidia era l’unico che non l’avrebbe giudicato per il suo amore contro natura, l’unico che avrebbe saputo consolarlo da quella terribile tristezza che gli attanagliava il cuore per il fatto che lei non fosse viva.
«Tu sarai mio amico sempre, vero?»
Fidia sembrò confuso. «Ma certo, testa di rapa. Perché non dovrei?»
«Anche se sto probabilmente diventando pazzo?»
L’amico sorrise. «Soprattutto!»
«Allora entra. Devo confessarti una cosa».
Lo afferrò per il braccio paffuto e lo trascinò in casa. Gli servì del vino corretto e qualche verdura da mangiare. Fidia non si fece pregare e si sedette a gustare quel pasto gratuito.
Poi i suoi occhi castani furono attirati da un pallore mortale dall’altro lato del tavolo, come un fantasma che cenava con lui. Il mercante impallidì a sua volta per lo sguardo gelido che gli stava rivolgendo la statua.
«Uhm… Pigmalione, insomma… Hai finito la statua vedo! Molto bella, mi piace lo sguardo freddo e accusatorio»
Lo scultore scoppiò a ridere. «È proprio di lei che dovrei parlarti, in effetti»
«Scommetto che ti perseguita la notte»
«Ma no! È che… - si martoriava le dita nervosamente. – Fidia, io credo di essermi innamorato di lei»
«Dicevi così anche dell’ultimo busto che hai fatto» replicò, a bocca piena, senza dare troppo peso alla cosa.
«No, non è quel tipo di amore. Io la amo. Per quel che mi riguarda, è il mio ideale femminile e nessuna donna potrebbe mai superarla in bellezza. La amo, Fidia»
L’amico smise di masticare, ingoiò lentamente, sollevando lo sguardo su Pigmalione. Aggrottò le sopracciglia. «Eros ti ha giocato un brutto tiro»
«Lo credo anch’io» sospirò sconsolato, sedendosi vicino a lei.
Fidia bevve. Osservò il volto deluso e amareggiato di Pigmalione, e osò guardare di nuovo la statua. Doveva pensare a qualcosa. Forse avrebbe potuto cercare una donna che le somigliasse, ma questo non avrebbe cancellato dal cuore dello sculture l’amore per la sua creatura. Si grattò il mento glabro, meditabondo, poi schioccò le dita.
«Puoi sempre chiedere ad Afrodite»
«E per cosa? Non posso scomodare una dea»
«Afrodite è la dea dell’amore, se leggerà amore vero e puro nel tuo cuore, potrebbe farla vivere. Capisci? Renderla in carne ed ossa. Devi solo provare a chiederglielo, cos’hai da perdere?»
«Oltre alla speranza, intendi?» replicò amaramente.
Fidia alzò gli occhi al cielo. «Provaci. Non costa nulla, avanti. Ti ci accompagno io al tempio»
«Adesso?»
«Adesso».
 
Fidia caricò sul carretto la statua, e poi partirono verso il centro di Atene.
Di tanto in tanto anche lui faceva visita al tempio, per chiederle aiuto in cerca dell’amore. Ma forse non lo desiderava abbastanza ardentemente, e per questo Afrodite non lo ascoltava. Ma tanto valeva tentare.
Era sera tarda, non c’era nessuno per le strade se non qualche mendicante o mercante intento a chiudere il banco del mercato. Nessuno fece caso a loro.
Fidia lo aiutò a tirarla giù dal carretto, ma Pigmalione decise di portarla da solo all’interno del tempio. Attraversarono l’ampio salone in silenzio. C’era odore d’incenso, le colonne di marmo bianco intorno a loro avevano alcune piccole rifiniture in oro; c’erano vasi di ceramica finemente dipinti in scene riguardanti le vicende della dea ed arazzi rappresentanti le stesse scene ma in inquadrature diverse. In fondo v’era la sua statua: le nudità erano pudicamente coperte da un velo e i gioielli erano in oro. Proprio come la sua donna. Pigmalione non poteva dire di non trovare attraente Afrodite, ma la sua scultura aveva rubato il suo cuore ormai.
Fidia attese poggiato ad una colonna, a metà del percorso, e osservò l’amico avanzare titubante nel salone silenzioso. L’unico rumore erano i suoi passi lievi, ma poteva sentire il cuore martellargli nelle orecchie e il respiro affaticato. Tra le braccia stringeva la statua.
La posizionò di fronte alla scultura di Afrodite e si inginocchiò con la testa china, mostrando rispetto e prostrazione.
La pregò parlando a bassa voce, piangendo, lasciando sfogare tutto il suo struggente amore e la sua logorante frustrazione per quella donna che amava… ma che non era viva.
La pregò più volte, con intensità accorata e sincerità.
E una volta uscito dal tempio, ancora singhiozzante per la potenza delle sue emozioni, pregò che lei l’avesse udito.
 


 
Pigmalione cominciò a svegliarsi. Come di consueto, si era addormentato abbracciato al corpo gelido della statua. Nonostante ciò, quel giorno fu svegliato da un piacevole calore su tutto il corpo. Qualcuno era accoccolato a lui, con la testa sul petto e le mani sul corpo. Non pensò alla statua. Pensò semplicemente che era una sensazione deliziosa e piacevole risvegliarsi con qualcuno di caldo vicino.
Aprì gli occhi lentamente e incontrò uno sguardo azzurrino, vispo e vivace come quello di una bambina dispettosa; i suoi capelli erano ricci, rossi, disordinati sulla testa e le conferivano un aspetto indomabile come fuoco. Sul naso, uno sciame di lentiggini chiare.
Pigmalione si ritrasse dalla sconosciuta, confuso. Con gli occhi cercò la statua nella stanza, allarmato e preoccupato. Forse era una delle prostitute del tempio di Afrodite, Fidia gli aveva giocato il brutto scherzo di pagarne una per quella notte e consolarlo? Eppure non ricordava di essersi lasciato andare a piaceri carnali.
«Ma come, non mi riconosci?» pigolò lei, con un sorriso.
Aveva un sorriso bellissimo, sembrava chiedere il permesso per fregarti. Eppure c’era un profondo amore nei suoi occhi azzurri, nella sua voce dolce. Gli accarezzò il viso.
Era così calda. Pigmalione chiuse gli occhi, sopraffatto dalla delicatezza di quella coccola.
Quando li riaprì, riconobbe finalmente i lineamenti della sua statua.
«Non può essere» sussurrò, senza fiato.
«Hai chiesto e ti è stato dato. Sono qui ora, sono viva»
Gli baciò il collo, sotto l’orecchio, una guancia. Una scia di baci caldi dati da quelle labbra che Pigmalione sognava su di sé da troppo tempo.
La sua donna d’avorio era lì, viva. Aveva un colore degli occhi, di capelli, una tonalità della voce, uno sguardo. Non era fredda, era calda e piacevole.
Le toccò un fianco, timidamente, saggiando la morbidezza delle sue curve e lei sorrise. Anche lui sorrise, scoprendola esattamente come l’aveva creata. Come l’aveva immaginata.
L’avrebbe amata per sempre, le avrebbe dato una vita degna di essere vissuta, e l’avrebbe stretta a sé ogni notte.
Afrodite non lo aveva solo accontentato, ma gli aveva restituito un cuore risanato.
   
 
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