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Autore: goldsmerlin    08/01/2018    2 recensioni
Credo che davvero certe cose siano così assurde, che quasi sicuramente qualcosa ha fatto in modo che accadessero. Quella persona incontrata in quel posto così lontano da casa che ora è diventata una presenza costante nella tua vita. Assurdo, no?
Beh, la storia è più che assurda, a dire il vero.
Genere: Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - 1, Doctor - 10
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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A volte la vita è strana; fa in modo che tu metta sempre tutto in discussione. Pensi che il sushi ti faccia schifo? Boom, un amico ti porta in un ristorante giapponese, per caso, e scopri che in realtà è una delle meraviglie del mondo, culinario e non. Facendo un esempio leggermente più serio, anche se il cibo è qualcosa su cui non si scherza, fino a un anno fa mai avrei pensato che una cosa come il destino esistesse veramente. Tutte le cose accadono per una ragione? Tutte le persone che incontro servono a portarmi in un determinato momento della mia vita? Nah. Ricordo che mio padre era solito dire: “Non importa cosa stia accadendo nel mondo, nessuno mi impedirà di partire per visitare nuovi posti e incontrare nuove persone. Se morirò vuol dire che era il destino a volerlo. La nostra ora è scritta da qualche parte.” Io, sentendo queste parole, da piccolo mi immaginavo un faro, al cui interno era racchiuso un papiro con tutti i nostri nomi e le date delle nostre morti. Forse fu quel maledetto faro a farmi credere che il destino fosse in realtà qualcosa di stupido. La vita è un po’ come Ariosto quando scrisse l’Orlando Furioso, tutti quei personaggi e nessuno che raggiungesse la tanto ricercata Quet. Bisogna sempre mettere tutto in discussione, perché quando meno te lo aspetti, arriva la vita a dirti “Pensavi fosse così? E invece è l’esatto opposto, sorpresa!”

Vi starete chiedendo come mai io stia pensando a tutto questo. Semplicemente ora credo che davvero certe cose siano così assurde, che quasi sicuramente qualcosa ha fatto in modo che accadessero. Quella persona incontrata in quel posto così lontano da casa che ora è diventata una presenza costante nella tua vita. Assurdo, no?

Beh, la storia è più che assurda, a dire il vero. 

 

Come avrete capito, sono un ragazzo con i piedi abbastanza per terra. O almeno lo ero. Alto, magrolino, occhi chiari, capelli neri e un’aria costante da persona che si è appena alzata dal letto. 

Nato ben 24 anni fa in una piccola cittadina, in un piccolo Paese, in un piccolo continente, in un piccolo pianeta, in un piccolo sistema solare. Un ragazzo come un altro in poche parole. 

I miei genitori erano fissati con la mitologia e le leggende antiche, quelle che tutti conoscono, ma di cui nessuno sa quale sia l’originale, tra le tante versioni che sono poi nate. Di una cosa i miei erano però sicuri: mi avrebbero chiamato come un personaggio di quelle storie. Ma tranquilli, sono andati sul leggero, un nome che nessuno conosce e per il quale nessuno ti prende per il culo a vita: Merlin. Ricordo che da piccolo avevo un amico immaginario, che avevo segretamente nominato Arthur. Mica dovevo soffrire da solo, no?

Un ragazzo a cui piace la compagnia, ma non disprezza la solitudine ogni tanto. Studioso universitario che cerca di ottenere una laurea con la minima sofferenza possibile in scienze biologiche, fallendo miseramente. Un ragazzo, come ho già detto, come un altro. Un ragazzo a cui è però capitata l’occasione di viaggiare con una persona che era tutto fuorché “nella norma”.

 

Era la vigilia di Natale e io, non avendo più genitori con cui passarla, mi stavo dirigendo a casa di amici, attraverso una buia stradina isolata. Spoiler: non raggiunsi mai quell’abitazione. 

Non so esattamente come accadde, ma ad un certo punto un urlo straziante mi attraversò pure quegli organi interni di cui nessuno ricorda i nomi e, dopo pochi attimi di confusione, mi ritrovai mano nella mano con un ragazzo che mi urlava di correre più velocemente. Così confuso non feci altro che seguire il suo consiglio, anche perché l’urlo si era interrotto, ma i passi dietro di noi iniziarono a farsi sentire, sempre più vicini. Poi, ad essere completamente onesti, quel ragazzo non era mica male, da quel che ero riuscito a vedere, e non mi dispiaceva più di tanto stare mano nella mano con lui. Magari in una situazione più romantica, senza urla e corse. Ad un certo punto ci fermammo dietro un muro e mi presi pochi secondi per guardarlo per bene; capelli castani sparati in aria, occhi marroni e un sorriso da persona entusiasta. Scarpe di tela, che io ancora oggi mi chiedo come facessero a restare sempre bianche, giaccone lungo e completo elegante sotto, con tanto di cravatta. Sembrava che tre stilisti avessero fatto a gara per vestirlo e alla fine nessuno avesse vinto. 

Mi accorsi che anche lui aveva iniziato a guardarmi, poi mi fece segno di seguirlo. Mi riprese per mano e continuammo la nostra corsa, fino a quando non ci ritrovammo davanti una specie di cabina blu. Una cabina della polizia, per essere precisi. 

“Forza, entra!” disse, sparendo al suo interno. 

“Ma che cazzo…. È più grande all’interno!?”

 

E così tutto iniziò. Disse di chiamarsi il Dottore, si, il suo nome era Dottore, non era un titolo, assurdo, vero?, signore del tempo proveniente da un pianeta chiamato Galli qualcosa nella costellazione qualcos’altro. Un tipo con tutte le carte in regola insomma. E no, quella in cui eravamo non era una cabina della polizia, non dovevo essere stupido, andiamo, era chiaramente il suo TARDIS, grazie al quale viaggiava nello spazio e nel tempo. Ripeto, un tipo con tutte le carte in tavola. Inizialmente pensai mi stesse prendendo per il culo e non nel modo in cui io avrei voluto. Poi lui azionò qualcosa, la cabina (perchè si, era una cabina) fece qualche strano rumore e quando aprii la porta mi ritrovai davanti nient’altro che il vasto ed eterno e sconfinato spazio.

Iniziò così la nostra amicizia. Un po’ per caso, un po’ grazie ai miei amici che si erano trasferiti da poco, un po’ grazie agli alieni che avevano deciso di passare per di lì e un po’ grazie a lui che aveva deciso di seguirli, dopo aver fatto urlare quella vecchietta. 

Lui e quel dannato apparecchio sonico e quel dannato sorrisetto che faceva quando capiva qualcosa e si metteva a spiegarla con termini che non capivo assolutamente, facendo si che mi limitassi a sorridere ed annuire come un coglione. Così come quando i tuoi, da piccolo, ti dicono che il Sole è una stella e tu sorridi per nascondere pensieri come “ma son deficienti?”

Ecco come mi sentivo: un bambino che muove i suoi primi passi. 

Vidi pianeti lontani e persone così diverse da me da farmi capire che ero stato uno stupido a considerarmi, per alcuni piccoli momenti della mia vita, importante. C’era così tanta vita in quel vasto universo, e il Dottore si impegnava a salvarli tutti. Non voleva un grazie, non voleva un applauso, era solo un modo per cercare di riempire quel grande vuoto che si era formato nei suoi due cuori (assurdo, vero? Due cuori?).

Un giorno gli chiesi quanto piccoli e insignificanti gli dovessimo sembrare, noi umani, che ci crediamo tanto importanti e potenti, ma alla fine siamo solo briciole in un castello enorme. Lui rispose “Siete tutto, tranne che insignificanti. Tutto, tranne che una piccola briciola da pestare” e io, non so come, gli credetti.

 

Incontrai persone che non si mettevano a ridere del nome Merlin, e questo mi fece realizzare quanto lontano da casa mi trovavo e quanto felice ero di esserlo. Mi sentivo libero. Non importa quanto imprigionati, quanto in pericolo di morte o quanto spaventati fossimo, mi sentivo, e forse per la prima volta ero, libero.

Fu in uno di quei giorni che incontrai quella persona. Altra galassia, altri abitanti, altro tutto e, al sentire il nome “Merlin”, qualcuno dietro di me scoppiò a ridere di gusto. Mi girai, dando le spalle ad una lucertola, trovandomi davanti un ragazzo biondo, alto, con gli occhi azzurri. 

“Lo trovi divertente?” chiesi, con il tono che ormai avevo perfezionato nel corso degli anni. Lui mi guardò e, ancora sorridendo, mi porse la mano, dicendo “Io sono Arthur, piacere”

Inutile dire che mi chiesi, per un millisecondo, come mai il mio amico immaginario d’infanzia si ritrovasse davanti a me. 

 

E così il duo divenne un trio. Il Dottore, Arthur e Merlin. Dottore, cavaliere e mago. L’inizio di una di quelle barzellette che non fanno ridere nessuno.

Arthur era umano, ma veniva dall’anno 3068, quindi sarebbe stato un po’ difficile incontrarlo senza l’aiuto del Dottore. Era scappato da quello che venne chiamato Impero Terrestre rubando uno di quegli aggeggi per teletrasportarsi, per poi viaggiare di qua e di là. Quello che ogni ragazzo fa quando si annoia, insomma.

Viaggiammo per tanto tempo e salvammo tante persone. Una popolazione ci dedicò pure una canzone, e ogni tanto mi sembra di risentire quella melodia, in lontananza, ricordandomi di quando un piccolo magro ragazzo aiutò a liberare un popolo dalla schiavitù. 

Inutile dirlo, mi innamorai. Non solo di quella vita, ma anche di quel ragazzo che si era aggiunto a noi in ritardo, con quel dannato sorriso e quei dannati occhi azzurri. Mi innamorai giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto, fino a quando il mio cuore aveva posto solo per lui, per l’altro alieno/signore del tempo, con gli occhi appartenenti ad una persona molto più vecchia di quella che li stava usando al momento e un piccolo posto anche per me. Avrei voluto avere due cuori, uno per loro due e uno per me, perché ciò che imparai in quei viaggi fu una lezione che mai dimenticherò: io valgo. Per qualcuno, per qualcosa, per quella popolazione ora non più schiava. Io valgo. E anche per me. Perché per qualcuno io ero e sono e sarò importante. Forse non sarò un genio, e togliamo pure il forse, forse non sarò un eroe, ma esisto e respiro e vivo. Qualcosa valgo pure io. E merito un posto nel mio cuore. Così come lo meritavano quei due ragazzi provenienti da luoghi e tempi lontani.

Io e Arthur, comunque, ci fidanzammo, dopo esserci baciati in un pianeta da cui si vedevano due lune e tre soli, completamente di ghiaccio. 

 

E poi arrivò quel momento che tanto temevo da quella vigilia di Natale; il Dottore ci salutò. Piansi, non mi vergogno ad ammetterlo. Piansi e piansi, aggrappato ad Arthur. Ma lui non volle sapere ragioni, quella vita era diventata troppo pericolosa per noi, disse. Io ancora penso, però, che si era ormai troppo affezionato a noi. Aveva paura di perderci in un modo peggiore. Almeno questo è ciò che mi ripeto.

Così ora mi ritrovo a casa mia. Un anno e mezzo dopo quella vigilia di Natale, insieme al mio fidanzato proveniente dall’anno 3068 che amo alla follia e con gran parte del mio cuore. Un’altra parte è per me. Un’altra è ancora lì, nel TARDIS, con quello strano Signore del Tempo impegnato sicuramente a salvare popolazioni o anche un solo bambino sperduto.

 

La vita ti sbatte sempre la realtà in faccia; niente è come pensiamo.

Il destino forse esiste, forse mio padre aveva ragione, forse i dottori si chiamano così grazie al Dottore, ma la cosa più straordinaria di tutte è un’altra: altri genitori erano così fissati e fuori di testa da aver chiamato loro figlio come il protagonista di leggende antiche. 

La gente. Strana forte.

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Mi sentivo particolarmente malinconica la sera in cui ho scritto questo strano e senza senso crossover. Credo sia stata la rigenerazione di Twelve e la vicina vigilia di Natale aka vigilia della morte di Arthur. Però ci ho messo un po' di me in tutto questo insieme di parole. Tutto ciò che Merlin pensa è ciò che penso io, perfino la storia del padre. Quel faro mi perseguita ancora. Soprattutto, però, volevo scrivere riguardo a ciò che Merlin dice riguardo a quanto noi valiamo. Doctor Who, e anche Merlin, sono delle serie tv che lo evidenziano bene: ognuno di noi può fare qualcosa di importante e speciale ed essere importante e speciale. Basta anche valere per qualcuno. O per noi stessi. La nostra esistenza non è uno spreco: possiamo fare qualcosa di grande, possiamo migliorare ed imparare dai nostri errori. Infondo, 900 anni di vita e il Dottore non ha mai incontrato qualcuno che non fosse importante. Semplicemente vivete la vostra vita al meglio. Incontrate gente, divertitevi, studiate, leggete. Voi siete importanti.

 
   
 
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