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Autore: Ormhaxan    12/01/2018    1 recensioni
«I am the son and the heir of a shyness that is criminally vulgar, I am the son and heir of nothing in particular.»
È il 1985 a Londra e tra le strade della City si propaga la musica degli Smiths, simbolo di una generazione incasinata, affamata di vita, di riscatto e successo.
È il 1985 e Andrea fa del suo meglio per arrivare a fine mese, destreggiarsi tra un lavoro in un pub a Camden Town, pagare le bollette entro la scadenza e non finire fuori corso. La sua vita da ragazza di ventidue anni procede tranquilla, tra un turno di lavoro estenuante e una birra tra amici, fino a quando una serata come tante la sua migliore amica, Zoe, non fa un annuncio che lascia tutti di stucco: è finalmente entrata a far parte di una rock band, di cui diventerà la cantante, grazie a un annuncio trovato in un negozio di musica. Da quel momento, nulla sarà più come prima e il destino di Andrea deciderà di intrecciare i propri fili con quelli di altre persone quasi del tutto dimenticate, con la vita di un ragazzo scostante e apparentemente insignificante che vive esclusivamente per la musica.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Nevica. Silenziosi fiocchi di neve cadono da un cielo rossastro, illuminati dalla luce pallida dei lampioni e vanno a ricoprire i marciapiedi e le macchine parcheggiate.
Andrea si stringe nel pesante cappotto di cammello che le arriva quasi alle caviglie, copre il viso nella sciarpa di lana grigia che sua madre le ha regalato lo scorso Natale e affretta il passo; non sa bene cosa l’aspetta quella sera, ha accettato l’invito di Zoe più per gentilezza che per reale voglia di uscire e mischiarsi a gente che non conosce e, probabilmente, non rivedrà tanto presto.
Una parte di lei è curiosa di conoscere finalmente i compagni di band della sua migliore amica, quei quattro curiosi ragazzi di cui ha sentito continuamente parlare nei precedenti venti giorni; una parte di lei spera di vedere in loro le stesse cose che è riuscita a vedere Zoe, magari di diventarci amica con il passare del tempo, ma come sempre Andrea preferisce essere realista e non concedere troppo alle sue speranze.
Si guarda attorno: per le strade non c’è un cane, ogni anima con un briciolo di buon senso è rintanata in un pub o, meglio ancora, sotto le coperte del proprio letto. In una serata come queste non è consigliabile andarsene a zonzo eppure Andrea non può fare a meno di pensare che c’è qualcosa di decadente e al tempo stesso romantico nel camminare per strada, sotto la neve che cade, in un silenzio che fa nascere pensieri e riflessioni.
Certo, Brixton non è proprio un quartiere indicato per pensieri filosofici e riflessioni sulla vita, tantomeno se sei una ragazza sola alle dieci di sera — preferirebbe di gran lunga Soho o South Kensington, ma al solito si deve accontentare con quello che le viene offerto.

Le luci rosa di un neon la distraggono per un secondo dai suoi pensieri, unico colore diverso da quello dei lampioni che gettano sull'asfalto pozze di luce di un arancio nebbioso.
Nel bar dell’angolo ragazzi e persone adulte sono impegnate a vedere quella che sembra una partita di calcio, mentre altri se ne stanno chini su di una birra dal colore scuro e sussurrano tra di loro, lo sguardo disinteressato e il viso in penombra.
Il semaforo diventa verde, la marcia ricomincia per altri due isolati, fino a quando alle orecchie di Andrea non arriva una musica ovattata, bassi e grancasse che rimbombano ovattate tra le pareti di quello che ha tutta l’aria di essere un palazzo fatiscente che poggia su di un garage ancor più malconcio.
Frugando tra le tasche del cappotto prende un pezzo di carta appallottolata e legge l’indirizzo che quel pomeriggio Zoe le ha dato: non c’è alcun dubbio, adesso, quello è effettivamente il posto in cui c’è la festa, il garage dove tre volte alla settimana la band della rossa tiene le prove.

Un respiro profondo, un secondo respiro profondo: la bocca diventa improvvisamente secca, le sue mani sudate e mentalmente si insulta per aver accettato.
Non è un animale da festa, non le piacciono le serate passate al chiuso di un locale gremito di gente e che puzza di fumo e sudore, rancido e chissà che altro.
Improvvisamente ha voglia di una sigaretta, di riempire i polmoni di nicotina e cercare in qualche modo di rilassarsi — e dire che fumare a lei fa anche schifo.
Si guarda attorno, notando quattro ragazzi in cerchio che, poco distante da lei, sembrano presi in quella che pare una conversazione accesa; ancor più vicino, in ombra e seduto sul davanzale di una finestra che ha decisamente visto giorni migliori, la sagoma di un ragazzo che sbuffa nuvolette grigiastre di fumo attira la sua attenzione.

«Hai una sigaretta?» chiede con voce non troppo convinta, tenendo le mani nelle tasche e abbassando leggermente la testa.
Il ragazzo alza lo sguardo, i suoi occhi scuri incontrano i propri e le sue labbra contornate da una folta barba si increspano in un sorriso sornione.
«Dipende chi me la chiede.» il suo tono è strafottente, il suo sguardo vaga sul corpo di Andrea, studiandola come fosse una qualche strana creatura.
La bionda rotea gli occhi, pentendosi immediatamente di aver chiesto una paglia e sbuffando fa un passo indietro e si incammina verso la porta d’ingresso poco distante.
«Aspetta! — esclama il ragazzo, la voce alta e un tono che quasi la intimorisce — Se ti ho infastidita oppure offesa in qualche modo ti chiedo scusa. Stavo solo scherzando.»
Andrea alza un sopracciglio, per nulla divertita: «Peccato, perché non mi hai fatto neanche lontanamente ridere.»
«Ammetto che la simpatia non è il mio forte, ma per farmi perdonare vorrei offrirti una sigaretta. — sorride sghembo e Andrea scuote la testa con fare rassegnato — Ecco, prendine quante ne vuoi, anche tutto il pacchetto.»
Le porge la piccola scatola di cartone bianca e rossa e, avvicinatasi, Andrea nota le sue mani affusolate e all’apparenza callose — non rovinate e dure come quelle tipiche di chi fa un lavoro usurante, ma ben curate ed eleganti come quelle di un musicista.
«Grazie.» dice semplicemente, estraendone una e portandosela tra le labbra carnose, ridando poi il pacchetto al suo legittimo proprietario.
«Ecco, aspetta!» con un balzello il ragazzo scende dal davanzale e, preso un accendino, porta le mani attorno alla sigaretta, poco distanti dal viso di Andrea, e con un movimento secco del pollice dà vita ad una tremolante fiammella rossastra.
«Ha qualcosa di maledettamente familiare, — confessa il ragazzo, facendo un passo indietro — eppure non riesco a capire se ci siamo già visti da qualche parte.»
«Dubito. — risponde secca, lasciando andare la prima boccata di fumo — È la prima volta che vengo qui e poi una faccia come te me la ricorderei.»
«Una faccia irresistibile?»
«Una faccia che mi fa venir voglia di prenderti a schiaffi.»
Il ragazzo scoppia in una fragorosa risata, una di quelle che ti fa portare il capo all’indietro e una mano all’altezza della pancia. La bionda gli piace, non ha peli sulla lingua ed è una delle persone più intriganti che abbia conosciuto da quando è tornato a Londra.
«Piuttosto, ti dispiace se ti faccio una domanda?»
«Tutto quello che vuoi, baby
«Non chiamarmi baby! — minaccia, anche se non riesce a trattenere l’ombra di un sorriso — Piuttosto, toglimi una curiosità e dimmi da dove arrivi perché, nel caso non te ne fossi accorto, ha un accento piuttosto bizzarro.»
«Colpa della erre, vero? Troppo vibrante. — fa una pausa e si aggiusta i lunghi capelli scuri, legandoseli in una coda più ordinata — Che tu ci creda o meno sono nato e cresciuto a Londra, ma ho passato tutta la mia adolescenza e la prima parte dei miei vent’anni in giro per il mondo, diventando così una specie di ibrido.»
«Sei una specie di nomade.»
«Lo sono stato, anche se mi sono più che altro limitato a seguire mia madre, una donna che in tutti questi anni ha cercato di fuggire dalle proprie radici. — chiarisce, perché se in un primo momento l’appellativo di nomade è stato per lui un vanto, adesso è qualcosa che vuole togliersi di dosso come uno zaino divenuto troppo pesante — A differenza sua non sono riuscito mai del tutto a voltare le spalle alle mie radici, anzi credo di non averle mai dimenticate del tutto ed è per questo che sono tornato.»
È più di una risposta quella data, è una confessione che non è riuscito a fare neanche alla sua stessa famiglia, mentre con questa sconosciuta le parole sono uscite con semplicità, quasi non fosse la sua vita quella appena raccontata.
Si guardano negli occhi, notando come il loro colore si incredibilmente simile — non marrone e neanche verde, ma una via di mezzo, una tonalità quasi indefinibile — ed entrambi si riscoprono a voler sapere qualcosa di più dell’altro, a volerlo conoscere come si conosce un vecchio amico, una persona intima.
«Lip!» esclama semplicemente, allungando la mano in attesa di stringere quella della bionda.
«Andrea.» risponde con altrettanta semplicità, come se rivelare il proprio nome sia la sola cosa giusta da fare, la sola che importa davvero.

La mano di Lip è stranamente calda, seppur callosa come immaginato non è ruvida, il suo tocco è piacevole e le comunica una sensazione di calma e sicurezza.
«Sicura che non ci siamo già incontrati? — chiede ancora, perché qualcosa in lei risveglia una sensazione a cui non riesce a dare un nome, uno strano senso di appartenenza — Dannazione, giuro che qualcosa in te…»
«Magari nei tuoi sogni. — scherza Andrea, sorridendo per la prima volta — In un sogno, come in quel dannato cartone animato, quello con la tipa che si addormenta e…»
«Stai insinuando che adesso dovrei iniziare a cantare e ballare? Perché, ti avviso, sono stonato come una campana e il ballo non è proprio il mio forte.»
Entrambi ridono di gusto, immaginando quanto surreale potrebbe essere una cosa del genere, quando dannatamente pazza e fuori luogo — qualcosa che potrebbero considerare solo dopo aver bevuto almeno quattro birre o aver inghiottito una di quelle pasticche colorate capaci di portarti non solo nel mondo delle fiabe, ma addirittura nel fottutissimo Paese delle Meraviglie.
«No, grazie, preferisco persone reali a principi dalla presunta virilità. — declina con fare sornione — Inoltre devi sapere che sono abbastanza cinica da non credere alla cazzata del vissero per sempre felici e contenti.»
«Concordo perfettamente ed è per questo che ti propongo di entrare, prenderci da bere e brindare al cinismo e alla vita di tutti i giorni.»
«Accetto! Prego, fai pure strada.»


 


**





Una canzone dei Depeche Mode di cui non ricorda il nome sta suonando a tutto volume quando entrano.
Ci sono almeno quaranta persone in quella sottospecie di garage, persone della loro età avvolte da una coltre di fumo e sudore; oscillano al ritmo di musica, portando le mani in aria, bevendo birra e chiudendo gli occhi.
Andrea sente l’aria mancarle, vorrebbe tornare immediatamente fuori, ma la mano che le sfiora il polso in qualche modo la fa desistere: Lip fa un cenno con il capo, chiedendole silenziosamente di seguirlo e fidandosi si lascia condurre verso una scala che porta ad un soppalco, in una stanza più silenziosa dove ci sono solo una decina di persone.

«Lip! Dove cazzo eri finito?»
Un ragazzo dal viso squadrato e il fisico da giocatore di rugby si avvicina a loro: ha un’espressione divertita, nonostante la sua stazza non è minaccioso come la bionda ha temuto in un primo momento.
«Tutto questo casino mi aveva dato alla testa e sono uscito a prendere una boccata d’aria. — risponde asciutto il moro, scrollando le spalle — Lei è Andrea.»
«Una boccata d’aria, uh? — il ragazzo sorride sornione — Io sono Mike e, se posso darti un consiglio, voglio metterti in guardia dal ragazzino e dai suoi modi: fa strage di cuori, quindi è meglio se lo lasci perdere e dai le tue attenzioni a qualcun altro.»
«Qualcuno come te? — rimbecca Lip — Non ascoltarlo, baby, non sa di cosa parla.»
«Ho già detto che non devi chiamarmi baby, baby! — esclama piccata Andrea, provocando in Mike una risata — Piuttosto, sapete dirmi dove posso lasciare il mio cappotto, così da poter cercare la mia amica?»
«Amica? — chiede curioso Mike, inclinando la testa — Perché non hai detto subito che c’era anche un amica? Dimmi come si chiama, magari la conosco o, magari, potresti presentarmela.»
Andrea scuote la testa e, anche se non vorrebbe, dice: «Si chiama…»
«Andy!» una voce squillante la interrompe e, in un batter d’occhio, la rossa le si lancia addosso, facendole quasi perdere l’equilibrio.
«Sei arrivata, finalmente. — prosegue con voce alta, più alta del dovuto nonostante la musica che arriva dabbasso — Per un momento ho temuto che non venissi e… non dirmi che questi due ti stavano importunando?»
«Li conosci?» chiede curiosa la bionda, guardando prima Zoe e poi i due ragazzi.
«Ovviamente! Andrea, loro sono Lip e Mike, rispettivamente il chitarrista e il batterista della mia band. — introduce senza sapere che le presentazioni sono già state fatte — Ragazzi, lei è Andrea, la mia amica. La mia migliore amica.»
«Certo, ma certo! Tu sei Andrea, quella Andrea, la Andrea di cui sentiamo parlare da settimane! — ridacchia Mike — È un vero piacere conoscerti, meno lo è sapere che la tua amica è la nostra cantante. Peccato, un vero peccato.»
«Non fare il melodrammatico, Mike: ci sono decine di ragazze stasera e sono sicura che ne troverai una disposta a venire a casa con te. — rimbecca Zoe — Dai, Andy, vieni che ti presento gli altri. Vedrai, adorerai Lex e anche lei sarà pazza di te.»

Senza attendere una risposta la trascina per un braccio, dandole il tempo di voltare brevemente il capo e incontrare lo sguardo di Lip, rimasto in silenzio per tutto quel tempo, che le rivolge un sorriso gentile.
Ricambia il sorriso e mormora un timido “scusa”: non sa neanche lei perché sta chiedendo scusa, alla fine si sono appena conosciuti e non hanno mai avuto intenzione di passare il resto della serata a chiacchierare e bere qualcosa insieme; nessuna promessa è stata fatta, eppure sente una strana sensazione mentre si allontana da lui, un senso di colpa e rammarico per non poter stare per qualche altro minuto con Lip, godere della sua compagnia e…

Smettila! — si rimprovera mentalmente — È il chitarrista della band della tua amica, il ragazzo di cui ti ha parlato ripetutamente per venti giorni e qualsiasi pensiero tu abbia fatto su di lui non ha più importanza.

Quella sera conosce Lex e il suo ragazzo, Jeff, parla con loro per molto tempo e instaura un inspiegabile feeling con la bassista; beve anche qualche birra, balla fino a quando i piedi non iniziano a farle male: si gode la serata e si diverte come non si è divertita da tanto tempo.
La festa è grandiosa, tutto è perfetto eppure Andrea non riesce a togliersi dalla testa Lip, a non cercare il suo sguardo tra le ombre della stanza: ripensa alla sensazione delle sue mani affusolate che stringono il suo polso, al suo sorriso sgembo e appena accennato e ogni volta che incontra il suo sguardo perennemente fisso su di lei rabbrividisce. E' una strana sensazione quella che sente durante quelle ore, un’attrazione inspiegabile che poche volte ha provato nella sua vita e questo le fa quasi paura perché nel profondo sa che Lip è sbagliato per lei, un ragazzo che la incasinerebbe, eppure…
Eppure qualche ora dopo, mentre sta attendendo un taxi chiamato poco prima, non riesce a negargli quella semplice richiesta.

«Ti ho pensato tutta la sera. — sussurra al suo orecchio, facendola rabbrividire per quella vicinanza agognata per ore  — Vieni a casa con me.»
Non lo ha visto o sentito arrivare, si è avvicinato a lei silenzioso come un felino, e quando poggia delicatamente una mano sul suo fianco destro Andrea non può fare altro che annuire: l’attrazione è troppo forte e anche se è sbagliato, anche se probabilmente l'indomani mattina se ne pentirà, si dice che quella sarà solo una cosa di una notte senza, troppa importanza e che nessuno lo verrà mai a sapere.
Lip le apre lo sportello del taxi, l’aiuta a salire e insieme si avviano verso la conclusione di una notte che cambierà le loro vite.






*
 


Angolo Autrice: No, non state sognando. Sì, ho davvero aggiornato dopo tutti questi mesi. Non ho molte scusanti, posso dire solo che è un periodo in cui scrivere non mi viene facile e per ogni capitolo ci metto anni. Inoltre è anche un periodo strano della mia vita e... ma non siamo qua a psicanalizzarmi!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che qualcuno vorrà darmi un parere onesto. Ringrazio, inoltre, chi ha pazientemente aspettato.

Alla prossima,
V.
  
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