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Autore: Unissons    12/01/2018    3 recensioni
[Suicide squad]
Dal capitolo 9:
"Oh no, non voglio ucciderti" disse, mentre mi infilava in bocca la cintura [...]
"Voglio solo farti male" [..]
"Molto, molto male"
Genere: Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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È proprio vero: le parole feriscono molto più dei fatti.
Mi aveva picchiata, fatto uscire sangue, sfregiata per il resto della mia vita e lasciato lividi ovunque. Nulla era stato tanto doloroso come vederlo andare via, senza di me. Ed ora eccomi qui, a guardare la televisione, nella vana speranza di sentire una notizia che lo riguardasse. In qualche modo volevo sentire la sua presenza, per non avvertire quel freddo vuoto dentro di me che mi affliggeva.
 Mi strinsi le coperte al corpo e iniziai a girare per i vari canali televisivi, sperando di trovare un telegiornale, oppure un’edizione straordinaria. Quella coperta era intrisa del suo profumo e sospirai. Lo amavo così tanto, che stare qui con le mani in mano, lontana da lui,  mi faceva sentire inutile.
Mentre la coperta mi riscaldava, coccolandomi, come se fosse il suo corpo a circondarmi, finalmente trovai un notiziario.
Il cucciolo ha salvato il suo padrone dalle fiamme. Un atto davvero eroico da parte sua. Marco ha deciso di regalargli una targa in suo..
Spensi immediatamente il televisore e buttai il telecomando di lato. Chi se ne importava del cane che avesse salvato il suo padrone!
Sarebbe potuto morire, meno notizie al riguardo, che gioia.
Dovevano parlare del mio Puddin, dovevano dire qualcosa, farmi sapere come stesse. Invece parlavano di un misero, inutile, stupido cane. Digrignai i denti e mi alzai dal divano, portando con me la coperta. Avanzai verso l’anticamera che si affacciava al salotto, dove qualche ora prima il mio Jokerino mi aveva abbandonata per andare chissà dove, con chissà chi. Mi sedetti li a terra, decisa ad aspettare il suo ritorno. Non poteva abbandonarmi in quel modo e sperare di non pagarne le conseguenze. Incrociai le braccia al petto e con la testa alta aspettai.
Un quarto d’ora dopo, il mio cuore era al collasso. Sentivo ogni preoccupazione, ogni paranoia, premere sulle mie meningi, scoppiando in un mal di testa senza paragoni. Solo una volta aveva sopportato tanto dolore ed era stato il giorno dopo dell’elettroshock, che al momento ricordai con malinconia, per la mancanza di attenzioni che il Joker mi stava riservando. Sarei voluta tornare a quel momento, oppure alla stanza dell’acido. Tutto per riaverlo con me.
Poggiai il mento sulla mano e sospirai.
“Mi scusi, non vorrei disturbarla..” sussurrò, improvvisamente, una voce ferma, che mi fece voltare di scatto. Vidi un uomo, che dall’alto della sua altezza mi sovrastava e mi osservava con quei suoi occhi scuri come la notte. Mi chiesi chi fosse, mi chiesi cosa volesse da me e soprattutto cosa ci facesse a casa del mio Puddin.
Mi alzai in piedi e feci volare via la coperta, lasciando cadere la coperta. Poco importava se mi trovassi in intimo, anzi, forse era meglio così. Potevo distrarre il mio avversario, perché sapevo di avere un bel corpo, specialmente decorato da tutti i regalini che Joker mi aveva lasciato ieri.
Lo sguardo dell’uomo, come immaginai, iniziò a correre sul mio corpo, ma diversamente da quello che sospettavo sarebbe stata la sua reazione, lui inorridii. Per questo cambio di rotta, mi sentii vacillare e feci un passo indietro. Non avevo avuto molta esperienza con gli uomini, ma ero sempre piaciuta e lo sapevo. Alzai il mento e tirai in fuori il petto.
“Non ti piaccio?” chiesi, con voce arrogante, mettendo le mani sui fianchi per esporre ancor di più la merce. Dovevo piacergli, non era possibile che non fosse così!
“Oh no, tu appartieni al mio capo” rispose l’uomo, portando le mani davanti a se, scusandosi. Quelle parole mi fecero salire un brivido lungo la spina dorsale e chiusi gli occhi per godermi il suono dolce che rimbombava nella mia testa.
Gli appartieni.
Appartieni al mio capo.
Capo.
Riaprii gli occhi e questa volta incrociai le braccia al petto, piegando la testa di lato. Un dolore acuto attraverso la mia mente e mi guardai il braccio, per vedere da dove potesse provenire. Li, una lunga striscia viola marcava il territorio del mio Puddin, segnando che veramente io fossi sua.
Quando rialzai lo sguardo, l’uomo mi guardava ancora con quell’espressione disgustata. Mi stava scocciando parecchio. Sbuffai e riportai l’attenzione sul mio viso, dell’individuo davanti a me.
“Mi dispiace se non ti piace ciò che vedi, ma io non ho tempo da perdere, tesoro. Quindi, tu chi sei, perché sei qua e per caso sai dirmi dov’è il mio Puddin?” gettai li, dapprima in tono arrogante e poi raddolcendomi, mano a mano che in me si addentrava la consapevolezza che magari questo uomo potesse sapere qualcosa di lui.
Mi avvicinai un po’ di più, guardandolo speranzosa, dal basso della mia statura. Doveva essere qualche centimetro più alto del mio Jokerino, ma comunque non emanava la stessa forza. Se questo uomo era importante, probabilmente brillava di luce riflessa.
“Sono Jonny Frost, un amico del signor Joker. Mi ha mandato qui per controllare che non facessi, come ha detto lui, ‘cose per cui potresti pentirti’. Perciò, tutto okay?” rispose l’uomo, che ora, oltre all’immagine del suo viso con una barba ben curata, aveva anche un nome.
Sotto gli occhi neutri dell’uomo, scoppiai a ridere, portandomi una mano sullo stomaco. Risi fino alle lacrime, fino a che non sentii la gola bruciare. Cosa credeva che potessi fare? Scappare? Certamente no. Passai più e più volte le mani sugli occhi, nel tentativo di ricompormi e caciare via quelle lacrime insulse. Era lui che se n’era andato via, per la seconda volta, ed era lui che doveva essere preoccupato a tornare a casa. “Direi che posso anche andare” fece Jonny, aggiustandosi la cravatta, che solo ora notai. Non avevo visto come fosse vestito quest’uomo e mi chiesi veramente, cosa lui c’entrasse con il mio Puddin. Erano completamente opposti, lui nel suo completo nero elegante, da ufficio; il mio Joker, precedentemente, era uscito con la sua camicia bordeaux e pantaloni neri. Inoltre lui, sembrava un uomo tranquillo e sereno. Che fosse solo una facciata?
“No, aspetta” dissi, bloccandolo. Lui, che si era voltato e già mi dava le spalle, pronto a sparire oltre una porta che non avevo idea di dove portasse, si bloccò e lentamente si voltò verso di me, facendo un gesto con il capo, come a spingermi a parlare.
Oppure era reverenza?
Mi piegai un attimo a terra e ripresi la mia coperta, stringendomela al corpo, sentendo l’odore del Joker, avvolgermi ancora una volta. Poi, presi a camminare intorno all’uomo, approfittandone per osservare se avesse pistole o altre possibili armi che avrebbero potuto far del male. Una volta alle sue spalle, la notai. Grigia lucente e molto grande. Non avevo idea di come si potessero riconoscere le pistole, ma quella mi piaceva molto. Piegai la testa di lato e l’osservai attentamente. Era all’interno di un fodero, praticamente impossibile da sfilare, se non da Jonny stesso che la indossava. Distolsi lo sguardo e tornai a camminare, voltando l’angolo che formava il suo profilo e arrivandogli davanti. Mi portai una mano alla bocca e, questa volta, osservai il suo viso barbuto. I capelli erano tenuti bene, come tutto il resto sul suo viso. il corpo presentava un uomo grande e coraggioso, ma a me sembrava solo un uomo alla ricerca del successo riflesso. Questo caso, del riflesso del successo del mio Puddin.
“Jonny..” sussurrai, per poi prendergli la mano e trascinarlo. Come immaginai, non oppose resistenza. Voleva avere potere e per raggiungerlo, non doveva mettersi contro la donna del Joker. Il mio stomaco fece due capriole. Quelle parole mi faceva sentire contenta come non mai. Mi sentivo importante e voluta.
Arrivati a destinazione, lo lasciai andare verso il divano e lo guardai sorridendo come una bambina felice. “Jonny!” esclamai ancora e mi ci sedetti accanto.
“Vuoi qualcosa da bere?” chiesi, piegando la testa di lato, cercando di immaginare nella mia mente il sorriso del Joker e lo emulai. Facile dire che il mio tentativo fallì miseramente, ma sapevo di avergli fatto comunque un effetto di inquietudine. Infatti lo vidi scuotersi e, anziché rispondere, annuì semplicemente. Felicemente, mi alzai in piedi, e saltellando raggiunsi quella che qualche ora prima avevo identificato come la cucina.
Aprii il frigo, e presi quel che rimaneva. Una bottiglia d’acqua e il limone. Danzando leggermente, come se nella mia mente ci fosse una canzoncina segreta, andai alla ricerca di un bicchiere. Aprii un bel po’ di credenze prima di trovarne uno. Pentole, padelle e vari aggeggi, che non immaginavo utilizzare al mio Puddin, erano presenti in quella stanza. Se quell’uomo nell’altra stanza conosceva Joker la metà di quel che sembrava, avevo molte domande da porgli.
Mi avvicinai al freezer, al di sotto dell’enorme frigo e ne tirai fuori qualche cubetto di ghiaccio. Anche quello era vuoto, come tutto il resto. Sbuffai e il mio stomacò brontolò. Non mangiavo nulla da ore e se non lo avessi fatto, sarei svenuta.
Riempii il bicchiere d’acqua e tagliai una fettina di limone. Danzando, tornai verso il salotto, dove l’uomo ora non era più solo.
Il bicchiere mi cadde dalle mani e si infranse ai miei piedi.
   
 
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