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Autore: Dotta Ignoranza    14/01/2018    9 recensioni
Due capitoli.
Due frammenti del passato di Dorian.
"Volevo solo un po' di vino, dell'incenso, un bel libro e perché no? Un corpo caldo con cui rilassarmi la notte facendo del sano sesso. Chi se ne fotteva della politica? Del Tevinter e del Magisterium?
Potevano tutti annegare nella loro stessa magia del sangue.
Lasciatemi libero, lasciatemi libero di essere me stesso.
Solo questo volevo e nient'altro."
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dorian Pavus, Nuovo personaggio
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Threesome, Violenza
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Note della Scribacchina prima di iniziare.
Ciò che segue è uno spezzone della mia raccolta “The Chronicles of Spring”, l’ho scritto qualche tempo fa basandomi sulle varie informazioni ricavate dai manuali extra della Bioware, insieme a una sequela di info trovate nel Codex e tramite i dialoghi dei personaggi all’interno del gioco.
Sono sempre stata una tipa dai mille “perché?” e non amando molto i così detti buchi di trama, ho deciso di scrivere di mio pugno due frammenti della vita di Dorian prima che venisse in contatto con l’Inquisizione. Premetto così che in alcuni punti potrà sembrare OOC, essendo più giovane e capriccioso, ma spero che ti piaccia lo stesso u.u
Bon Voyage~

 

-Non sono mai stata umiliata così!- Il soffio di una vipera a cui avevano pestato la coda. Taffetuglio di piedi sul marmo, lo scuotersi nervoso dei gioeilli.
-Oh Lady Herathinos, non fate così...-  Pazienza in gocce.
-Tanti auguri se sperate di trovargli moglie!- Sillabò da lontano la voce giovane e velenosa, facendo seguire i suoi passi dal Magister Herathions e sua moglie, anch'essi sconsolati, insieme alla corte di schiavi che si erano portati dietro quasi come tributo o qualcosa del genere.
Tirai un lungo respiro rilassato, reclinai il capo all'indietro e strusciai la nuca contro il cuscino di velluto nero.  Dischiusi le labbra e aspettando un acino d'uva che non tardò ad arrivare, poiché uno dei nostri servi me lo appoggiò sulla lingua. Masticai lentamente e attesi.
Chiusi gli occhi contando mentalmente: uno, due e tre.
-Dorian! Dorian! Dorian!- L'ultimo fu più forte degli altri.
Non mi mossi di un centimetro, sperando che la mia figura distesa sul bordo vasca potesse confondersi con le statue circostanti e impedisse così a quell'uomo di vedermi.
Che assurdità sperare di fuggire al proprio padre.
Sentii i suoi passi farsi sempre più vicini finché un grugnito si frappose fra me e lui.
-Kaffas, Rajid! Ecco perché Livia Herathinos era così indispettita!- Tremulò quel tono pacato che in genere lo contrastingueva sempre.
Aprii un occhio, giusto il tempo di vedere il dracolisco domestico vomitare a terra sui piedi di mio padre una matassa di capelli neri mista a gioielli dorati, costati non so quanta magia del sangue e favoritismi vari. C'era da dire, però, che Lady Herathinos sapeva come acconciarsi quel nido di quaglia che spacciava per testa.
-Oh Padre! Non credo che Rajid l'abbia fatto apposta, lui voleva solo giocare con quella gallinella vanitosa.- Detti un colpo di reni portandomi a sedere e stiracchiando la schiena mi sporsi verso l'animale iniziando a grattarlo sotto al mento fra le squame verdastre. -Non è vedo Rajid?- Scoppiai a ridere passandomi la mano disinvolto fra i capelli morbidi.
Alzai lo sguardo ancora con il sorriso ben marcato e sperai che mio padre lo contraccambiasse, dopotutto era stato divertente, no? Mica si vede tutti i giorni la figlia di un famoso Magister venir quasi rasata a zero dalle fauci di un Dracolisco con manie di grandezza!
Eppure i suoi occhi su di me erano seri. Duri. Delusi.
Sentii una fitta al petto e mi zitti con un sospiro rassegnato, colpevole, avevo forse un po' esagerato a deriderla?
-Dovresti crescere, Dorian, ormai hai ventiquattro anni ed è giunto il momento per te di mettere su famiglia. Trovarti un'altra altus intelligente e bella come te, in grado di darti dei bei figli che un giorno copriranno il tuo seggio all'interno del Magisterium, come farai tu fra qualche anno con me.- Iniziò quell'ennesima tiritera, con la sua voce bassa e pacata, paziente, calda, incapace di capirmi.
Sospirai tirandomi in piedi e lasciando che la mia veste di seta color cobalto strusciasse dietro i piedi nudi, diressi i passi verso la voliera di famiglia, cercando inutilmente di fuggire.
-Ma io non voglio sposarmi per obbligo, Padre, voglio farlo per amore. So già che io e lei non siamo compatibili. Lei è così avida, così velenosa, così...- mi voltai istintivamente verso la figura in lontananza in barca sul lago: mia madre.
Sorseggiava del vino in compagnia del suo vecchio amico provenuto da Navarra: Ser. Pentaghast. Scossi la testa appoggiandomi al cancello in ferro battuto: tutto ciò era un gioco talmente noioso.
-Figliolo, l'amore e la politica non vanno di pari passo. Per noi Pavus, soprattutto, le cose sono ben diverse, non possiamo permetterci che tu incroci il tuo sangue con una donna di liniaggio inferiore al nostro, capisci? Sei l'erede dei primi sognatori, dei primi Magister e dei primi uomini che hanno usato la magia nel Thedas. Cosa ne sarebbe della nostra casata se i tuoi figli fossero dei mezzo sangue?- Appoggiò la mano gentilmente sulla mia spalla e mi sentii morire dentro.
Inghiotii il mostro nella gola e presi fra le braccia il pavone bianco che spesso veniva a farsi coccolare da me, accarezzai le sue piume immacolate e non osai guardare nemmeno per un secondo mio padre.
So che mi amava, so che voleva il meglio per me, ma sapevo anche che voleva il meglio per se stesso e per il suo stupido seggio all'interno del Magisterium.
Non riuscivo a dire niente, la verità era molto più opprimente di quanto io stesso volessi ammettere, magari fosse stato solo un problema di incroci impuri.
La sua presa si fece più salda sulla mia veste leggera -Dorian?- Chiamò di nuovo in quel tono che usava con me fin da quando ne avevo memoria, era stanco, ricordavo benissimo di quanti patimenti aveva dovuto sopportare a causa del mio temperamento, eppure perché non mi capiva?
Bastava che mi amasse per quello che ero, non per quello che dovevo essere. Non gli bastava il cambiamento fatto in questi ultimi anni, degli immensi successi portati al Circolo grazie alla mia costanza e potenzialità magiche.
-Sì?- Sussurrai rassegnato alzando il viso.
-Promettimi che ci penserai. Almeno fino a quando non tornerai a Minrathous.- Incalzò rassegnato.
Non risposi, di nuovo, non volevo mentirgli, non volevo dargli false speranze.
-Hey!! Dorian!!- Una voce squillante interruppe a pennello quel momento imbarazzante. Un ragazzo, un po' impacciato, troppo magro per la sua età, il cui zampettare era divenuto per me sinonimo di "famiglia", fece la sua comparsa all'interno del giardino.
-Salve a te, Felix.- Mio padre sorrise e si allontanò pacato, sembrava che il mio vecchio amico non si fosse accorto della sua presenza e quando realizzo di quella mancanza il suo viso venne invaso da mille colori, facendomi sghignazzare malefico sotto i baffi.
-Magister Pavus! Perdonatemi, signore! Non mi ero accorto di voi...- mugolò abbassando il capo.
-Felix. Quante volte ti ho detto di contare fino a dieci prima di parlare?- Quella voce. Il mio sguardò scattò a cercare il proprietario di quella voce. La persona che più ammiravo e rispettavo in tutto il Thedas.
-Magister Alexius, benvenuto nella nostra umile dimora qui a Quarinus.- Papà fece gli onori di casa andandogli incontro, io lo seguii in modo diligente come mi avevano insegnato a fare.
-Grazie a voi, Halward, per averci ricevuto con così poco preavviso.-
-Non ditelo nemmeno, dopo tutto ciò che avete fatto per mio figlio negli ultimi quattro anni...- lasciò in sospesa la frase, era ancora difficile rivangare il passato per lui.
Bhe. Come dargli torto? Le voci  correvano veloci all'interno del prestigioso Circolo di Minrathous, l'unico che seguisse l'ordinamento andrastiano in tutto il Tevinter, e venire a conoscenza che suo figlio era stato rinvenuto privo di sensi, ubriaco e drogato in un bordello nei bassifondi elfici della città, non dev'essere stato facile. Fortuna volle che il pluricelebrato Magister Gereon Alexius lo avesse trovato e insabbiato buona parte delle voci circostanti all'accaduto. Questo successe quattro anni fa, prima che il mio addestramento avesse effettivamente inizio.
-A proposito, vedo che ti sei fatto più grande quest'estate, Dorian. - Alexius si avvicinò a me divergendo il discorso altrove con estrema maestria. Lo guardai profondamente grato. -E noto con sopresa che ti sei fatto crescere questo paio di baffi. Non sono un po' troppo eccentrici?- Ironizzò pizzicandomi, per l'appunto, il nuovo paio di baffi neri che sfilavano sotto il naso.
Come se non sapesse che adoravo farmi guardare ed essere al centro dell'attenzione.
-Già, le nostre schiave non smettono di guardarlo.- Rise mio padre.
Oh papà.
Risi anche io lisciando il dorso del pavone fra le mie braccia con fare vagamente malizioso -E non solo loro.- Sussurrai ricevendo un'occhiataccia da parte di Felix. Gli feci l'occhiolino e lui scosse la testa amareggiato.
Guasta feste.
I nostri genitori parvero non rendersi conto di niente e continuarono a ridere fra loro, finché mio padre non decise di prendere in mano la situazione e schiarendosi la gola interruppe il discorso: -Mancano ancora un paio di ore al calar del Sole, giusto il tempo per far vedere il nuovo ampliamento della villa a Felix, intanto io e il Magister Alexius abbiamo degli affari di lavoro da sbrigare.-
-Va bene, Padre.- Risposi lasciando planare via il pavone e raccogliendo la mia saccoccia dal divanetto in raso mi infilai i sandali iniziando a correre verso Felix -Scommettiamo 10 monete d'oro che arrivo prima di te infondo al giardino?- Urlai, ma la verità è che già avevo preso a correre con le sue lamentele alle spalle.
Non lo ascoltai, corsi, corsi forte, corsi senza fermarmi e quando raggiunsi l'imponente muro di cinta della villa mi fermai appoggiando la schiena alla parete.
Reclinai indietro la nuca sbattendola contro la superficie ruvida.
Bam. Bam. Bam.
Il cuore batteva a mille, le gambe tremavano e avevo solo voglia di urlare.
Stanco, sfogato, spossato non solo dalla corsa ma da ciò che ero stato costretto a subire quel pomeriggio in compagnia di quella troia famelica. Non smetteva di toccarmi, di accarezzarmi la coscia, di sbattere le sue lunghe ciglia e mettere in mostra il suo davanzale prosperoso, non mi sarei sorpreso se avesse anche tentato di infilarmi la mano fra le gambe.
-Sei diventato più veloce, caspita...- Felix riportò la mia mente alla realtà.
Sogghignai cacciando quella nube dai pensieri. -No, sei tu che sei una lumaca.- Lo canzonai crudele mettendomi in posa davanti a lui: mani sui fianchi e il peso del corpo posto sulla gamba destra, profilo destro del viso e sorriso accattivante.
Sorrise a sua volta e scosse la testa.
 -Non cambierai mai, Dorian.- Sospirò rassegnato. -Ma credo che mi mancherai, sai io e miei genitori partiremo domani per Val Royeaux, dicono che il Flagello sia passato e i proleoscura sconfitti definitivamente lungo la via verso Sud, quindi possiamo tranquillamente attraversare le pianure.- Iniziò a raccontarmi e io di tutta risposta annuii distratto, già, il Sud. Sarebbe stato bello andare a Sud. Vedere il mondo oltre i confini dell'Impero, oltre Navarra, oltre le città libere, oltre il mare stretto.
Il mio pensiero andò là, verso quelle terre barbariche, verso i famosi mabari sbavosi, i nug, le ballate intorno al fuoco, alle paludi, ai circoli prigioni, ai templari castigatori, alle maschere Orlesiane, agli abitanti del Ferelden. Chissà se erano tutti grezzi e stupidi come diceva la mia gente? Chissà se non si lavavano. Chissà se erano davvero così rozzi e dalle barbe folte e i peli sul petto? Non mi accorsi di aver ormai risalito le scale che conducevano sui bastioni, là verso il Mare del Nord che si affacciava sulle isole Seheron. Appoggiai il fianco contro il parapetto e sospirai trasognato.
L'odore di salsedine mi entrò dentro provocandomi un brivido.
-A cosa pensi?- Felix.
-Chissà se sono caldi come il fuoco?- Mormorai succhiandomi brevemente il labbro inferiore.
-Cosa? Chi?- Non capiva.
-Gli uomini del Sud. Dicono che al Sud ci sono uomini dai capelli rossi come il fuoco e che la loro pelle bruci quando viene toccata. Chissà che sapore hanno gli uomini baciati dal fuoco...?- Chiusi gli occhi per qualche secondo e immaginai le mie dita ambrate stringersi intorno a una ciocca cremisi. Il vuoto mi colpì come un pugno allo stomaco.
Oh sogna, sogna, Dorian.
Strinsi le nocche nervoso e sbuffai dalle narici iniziando a torturarmi con due dita il centro dei baffi, un tic che mi ero venuto da quando avevo scelto di farmeli crescere.
-Già, per quanto riguarda "quella cosa", gliel'hai detto a tuo padre?- Ecco il senso di colpa prendermi vigliacco.
Scossi la testa animatamente -Ma certo Felix, come no? Mi sono presentato davanti a mio padre, il Magister Halward della casata Pavus e gli ho detto "ciao, papì, vuoi sapere l'ultima? Sono frocio fino al midollo, mi piace andare a letto con gli uomini e indovina un po'? Non ho la ben che minima idea di scoparmi una stupida oca per avere dei figli ricolmi di odio e cattiveria, ma non ti preoccupare eh! Con la lingua sono comunque un magister!".- Feci una vocetta fastidiosa e sarcastica per poi incenerire con lo sguardo il mio amico. -Non glielo dirò. Non sono così un figlio di merda da dargli questo dolore, spero solo che gli passi 'sta fissazione di farmi accoppiare con un'altra Altus e mi lasci morire fra i miei libri e il vino.- Sbuffai incrociando le braccia al petto.
Quelle stupide leggi erano proprio insopportabili.
Odiavo dover affrontare quel discorso.
Perché doveva essere così difficile?
Perché non potevo essere normale come tutti gli altri figli dei Magister?
Perché?
Ormai mi ero arreso a trovarvi una spiegazione, avevo accettato le mie inclinazioni quando ero lontano da casa, ma vedere gli occhi di mio padre così vicini mi ricordavano i  doveri che sapevo un giorno avrei dovuto rispettare e onorare.
-Scusami, Dorian, non volevo...- mormorò remissivo Felix, si era ingobbito come un pulcino e il suo viso fatto più rosso del solito. Sorrisi passandogli la mano piena di anelli fra i capelli a spazzola.
-...scusami tu, sono stato un po' acido. Ma che ci vuoi fare? Tutti gli dei sono capricciosi.- Gli feci una linguaccia per stemperare l'aria creatosi.
Lui mi guardò e sorrise, ingenuo e gentile.
Ma da dove cazzo era uscito quel ragazzo?
Non era proprio adatto per essere il figlio di un Magister, e penso che questo persino suo padre lo sapesse benissimo, sapeva che non avrebbe mai avuto speranza all'interno del magisterium e che mai sarebbe riuscito a sopravvivere in quella vasca di squali. Era per questo motivo che aveva scelto me come suo allievo e futuro successore: io ero il genio, io ero il miracoloso ragazzo dalle dita magiche, io ero il giovane mago che a nove anni aveva sfidato la morte con un incantesimo di rango elevato e aveva quasi ucciso il figlio di un altro magister, io che ero stato espulso da ogni circolo del Tevinter, amato e odiato da ogni precettore, io ero Dorian Pavus e io sarei stato il futuro Arconte e tutti coloro che mi avessero aiutato nella mia vita sarebbero stati beati dalla mia grandezza una volta seduto su quel seggio. Mio di diritto.
Bla bla bla bla bla bla.
Noia.
Volevo solo un po' di vino, dell'incenso, un bel libro e perché no? Un corpo caldo con cui rilassarmi la notte facendo del sano sesso. Chi se ne fotteva della politica? Del Tevinter e del Magisterium?
Potevano tutti annegare nella loro stessa magia del sangue.
Lasciatemi libero, lasciatemi libero di essere me stesso.
Solo questo volevo e nient'altro.
Urtai con la bisaccia contro il muso di Rajid che nel frattempo ci aveva seguiti con il suo fiuto, stava cercando qualcosa, forse qualcosa da mangiare.
-Piano. Fai piano!- Lo rimproverai vedendolo abbassare subito il capo mugolante accasciandosi ai miei piedi, sbuffai una risata fra me e me infilando la mano dentro alla tasca in cuoio. Tastai qua e là ma al primo colpo non beccai nulla, sospirai spazientito e presi a tirare fuori ogni cosa appoggiando i miei averi sul bordo del parapetto: un pettine, uno specchietto, delle boccettine di olio, delle monete d'oro, un libricino nero, dei dadi e finalmente ecco lì! Dei dolcetti caramellati.
-Sono questi quelli che vuoi, eh?- Chiesi retorico vedendolo scondinzolare all'impazzata. Alzai sopra al suo naso un confetto azzurro e gli intimai il comando di sedersi in lingua antica. Lui ubbedì subito e gli lanciai lontano il suo premio vedendolo correrci dietro eccitato.
Scoppiai a ridere in una risata liberatoria, rozza, a bocca aperta.  Mi piaceva, ogni tanto, poter ridere in quel modo lasciando andare le ipocrisie e il buon costume.
-Che cos'è?- Di nuovo Felix mi distrasse, e subito seguii le attenzioni che stava riservando al libricino estratto qualche attimo prima. Accidenti! Quasi mi ero dimenticato di rimetterlo a posto!
-Niente. Solo un libro di frivola narrativa. Niente più, niente di meno.- Scandii cercando di sistemare il mio disordine con celere fretta.
-No, dai, aspetta, voglio leggere il titolo! La copertina di certo è molto bella. Sembra prioprio scritto in lingua antica, ma di cosa parla?- Ma perché non la smetteva!? Impiccione!
-Di niente. Ho detto niente. Parla solo di una faida fra famiglie e di qualche uccisione, sai, complotti, le solite cose Tev, no? Ora me lo puoi ridare?- Insistetti iniziando a sentire le dita prudere e emettere delle lievi scosse elettriche, nonostante provassi in tutti i modi a mantenere un tono di voce disinteressato.
-Va bene, va bene, non c'è bisogno che ti scaldi... anche se sembra proprio scritto bene.- Indietreggiò di un passo e lo aprì leggendo la didascalia nella prima pagina.
-"Quando il suo nome, quando?
Quando la sua voce, quando?
Quando le sue mani, quando? I suoi baci, quando?
Quando l’arco di Urthemiel punterà il mio cuore,
quando sentirò un dolore annunciare il Sole,
quando dentro le mie vene scenderà quel bene fino ad impazzire più di quanto il cuore posso sopportare senza mai morire, quando?"
-
Calò il silenzio più tombale. Felix alzò lo sguardo sconvolto verso di me.
Io, dal mio canto molto probabilmente, avevo assunto un colorito paonazzo.
-Tu. Proprio tu, tu leggi queste cose? Tu che sei lo sciupacuori di mezzo impero?!- Felix non si trattenne più. Scoppiò a ridere piegandosi in avanti con le mani sulla pancia.
Avvertii una fitta nell'orgoglio. Stronzo. Almeno lui avrebbe dovuto capirmi!
Strinsi i pugni tremando di rabbia e senza dargli il tempo di difendersi gli lanciai addosso una piccola palla di fuoco che lo sbalzò giù dal muretto.
-Ah! Cazzo! Dorian!- Ululò dal dolore dimenandosi fra i cespugli, mi affacciai trionfante con una mano sul fianco e l'altra alzata a mezz'aria con al centro la seconda palla pronta per essere lanciata nella sua direzione.
-Ho ucciso per molto meno, Felix Alexius, quindi giura sedutastante che non rivelerai mai a nessuno ciò che hai appena letto, o per il Creatore ti verrò a cercare!- Abbaiai con un ghigno malefico sulle labbra.
-NO! Lo giuro! Lo giuro! Non rivelerò mai niente!- Affermò in mezzo ai gemiti doloranti e le risate mal trattenute. Alla fine mi calmai pure io a vedere quella scena ridicola. Sorrisi e lo raggiunsi balzando verso il basso, gli piantai un piede contro la pancia e lo punzecchiai beffardo.
-La prossima volta di lancio in mare aperto, chiaro?- Feci un occhiolino giocoso e gli tesi la mano per invitarlo ad alzarsi, gli tolsi il mio libretto dalle mani e lo nascosi velocemente nella saccoccia.
Alzai lo sguardo verso il cielo macchiato di cremisi, in lontananza  fra le nuvole vidi un corvo volare libero, e di nuovo quel senso di vuoto mi assalì.
Risentire quella poesia mi aveva smosso, come sempre, quella solita amartezza dettata dalla consapevolezza che non ci sarebbe mai stato nessun "quando" nella mia vita.
Non mi era permesso provarlo: non io, non un altus, non un futuro magister, non un Pavus.
-Credo che dovremmo tornare, tua madre vorrà sceglierti i vestiti prima di cena.- Felix attirò la mia attenzione tirandomi per la manica della tunica. Sospirai e annuii.
-Grazie, Felix. Sei un buon amico. Se non il mio unico e migliore amico. E adesso andiamo.- Era proprio un ragazzo dolce e premuroso, ma per me era davvero solo un amico, mi portava i biscotti di notte quando studiavo a casa loro, ma non c'era niente di interessante in lui. Niente che mi facesse palpitare il cuore o smuovere i lombi, eppure dovetti confessare a me stesso con un poco di vergogna, che mi sarebbe piaciuto avere un fidanzato romantico e premuroso, ma nel Tevinter l'amore aveva sfumature spinose, che lasciavano poco spazio per la gentilezza e la dolcezza.
Iniziava a fare freddo, la tiepida brezza del tramonto mi sferzò i pettorali nudi accapponendomi la pelle. L'unica cosa che mi spingeva a non scendere al Sud era proprio questa: il freddo. Ne ero certo, sarei morto e i miei piedi si sarebbero congelati se fossi vissuto in quelle terre.
Eppure qualcosa dentro di me gridava di volerle visitare, di partire e non tornare mai più, qualcosa, più forte di ogni arte magica mi diceva che là era il mio destino perché là avevo paura di andare.
Passammo la serata in spensieratezza, fra gli sguardi oltraggiati delle nostre madri e i sorrisi pacifici dei nostri padri, eravamo ancora giovani e nonostante ne avessimo già viste tante insieme, nessuno dei due poteva immaginare cosa sarebbe successo da lì a una settimana e come la nostra vita sarebbe cambiata per sempre.
 


Note di fine capitolo:
Com’è andato questo primo frammento? Spero bene. Ho sempre trovato incredibilmente dolce il rapporto fra Dorian e Felix, remore di un’amicizia pura e a tratti infantile.
A breve pubblicherò il continuo, fammi sapere le tue impressioni, ne sono curiosa~
ps: la poesia citata nel libretto in realtà è presa dallo spettacolo di Romeo&Giulietta: Ama e Cambia il Mondo. Ho una fissa malsana per quest'opera, quindi all'interno della raccolta di cui fa parte questa storia, vi sono diversi riferimenti simili.
Baci!
  
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