“Una fine necessaria”
Stava
ferma sul tavolo, fissando quell’odioso plumcake che cercava invano di mangiare
da qualche manciata di minuti. Non andava giù, come il peso dei rimorsi di una
scelta troppo impulsiva, forse eccessiva, ma comunque
necessaria.
Un
odore acre attraversava la stanza, avvertito a malapena da lei, accaldata in
quei vestiti stropicciati che la dipingevano in un modo grottesco. Le guance,
rosse e graffiate, venivano spesso attraversate da convulsioni
innaturali.
Di
tutto ciò non si curava, mentre agitava nervosamente il suo bicchiere d’acqua, e
dentro di esso rivedeva lui, i suoi sorrisi, le sue carezze e quella sicurezza
che l’aveva tanto affascinata.
Una
risata nervosa intramezzava quei tristi ricordi, quest’immagine ormai sbiadita e
corrosa dal tempo, e un passato più prossimo si affacciava nella sua mente come
promemoria di un futuro che non ci sarebbe mai stato.
Le
primi liti sembravano essere state un momento passeggero, l’eccezione che due
innamorati si tengono ben stretta per giustificare i propri errori e i difetti
di sempre, ma ben presto, dopo alcuni anni di transizione carichi di silenzi e
rancore, sfociarono in una situazione che lei non poteva
sostenere.
Non
riusciva a sopportare la sicurezza di lui, il suo modo garbato e deciso, il
fatto che alle fine avrebbe sempre e comunque avuto ragione, perché in fondo ce
l’aveva, ed era la sua grande colpa da pagare. In quei momenti avrebbe voluto
essere tradita, picchiata, diventare agnello sacrificale dei capricci di suo
marito, mentre egli la guardava con il suo dolce sorriso di sempre usato come
beffardo guanto di sfida.
Un
fremito, come aver ritrovato finalmente un barlume di coscienza per analizzare
tutto con fredda lucidità: ma sì, certo, quel sorriso era stato la causa di
tutto. La colpa poteva essere soltanto sua, perché lei non avrebbe mai accettato
la sua compassione, il suo perdono, tutti lussi accessori che la incatenavano
alla sua consapevolezza di ragione. Lui non poteva essere così speciale, e tutto
ciò era stato una sua convinzione sbagliata, un errore che non doveva più
capitare.
Proruppe
in un pianto, come ultimo sfogo di una vita che non voleva, nella quale si
considerava vittima degli eventi e di un marito innocente, in balia di una
continua espiazione dei suoi sbagli.
Si alzò
scrollando le spalle. Era indolenzita, dovevano essere passati molti minuti da
quando aveva cominciato quei ragionamenti, ma in quel momento erano soltanto le
sue congetture a scandire il tempo di quella giornata programmata da molto
tempo.
Diede
un veloce sguardo alla cucina, e provò fastidio per quell’ordine che contrastava
così palesemente con la sua confusione mentale, ed ebbe voglia di disfare e di
distruggere ancora, ma in un attimo si convinse che non ce n’era più
bisogno.
“Ho
preso la decisione giusta”, disse fra sé e sé come convincendosi dell’ultima
menzogna propugnata a sé stessa, asciugandosi con insoliti gesti le lacrime
condensate sul volto.
Andò
con passi lenti in camera, e lo vide fermo, come un giocattolo buttato a terra
da un bambino annoiato. Il suo corpo, steso in modo inumano, sembrava respingere
i raggi di sole che provenivano dalla finestra sul fondo. “Mi dispiace - disse
sorniona avvicinandosi alla bocca del marito ancora cosparsa di quello stesso
veleno che covava da tanto, troppo tempo - ma a volte la ragione ha un costo
molto alto da pagare…”
Le sue
mani serrate parevano un suo ultimo disperato dissenso ai soliti grilli per la
testa di sua moglie, che se ne accorse con malcelato
disgusto.
“In
fondo sei solo uno dei tanti” pensò, fissandolo fieramente dall’alto della sua
lucida pazzia.
Ma quando già la sua fame di gloria stava inesorabilmente scemando, proprio quel sorriso inerme, divertito rifiuto dell’ultimo fatale capriccio di sua moglie, diventava eterno nei suoi incubi.