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Autore: _Bri_    22/01/2018    1 recensioni
E poi è tutto un ricordare le cose meglio di com'erano davvero
di quando avevamo qualche anno di meno.
Senza di te, ho perso un po' di ilarità.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: George Weasley, Ginny Weasley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Contesto generale/vago
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La cantina
 
Ho finalmente messo a posto la cantina.
Ho passato giorni interi a fare su è giù per le scale: finalmente trovavo il coraggio nascosto chissà dove e poi toccavo la porta.
E proprio quando credevo di riuscire a spingere quel pomello mi arrestavo, con tutta la forza che veniva meno, come se non avessi che dei cuscinetti proprio come i gatti, al posto delle dita, con cui era davvero, davvero impossibile tentare di aprire alcunché.
Questo rito l’ho compiuto almeno una decina di volte.
Una mattina mi sono svegliato con gli occhi appiccicati da tutto il pianto della notte precedente; le palpebre si erano incollate per bene tra di loro e nello schiuderle ho sentito come uno strappo. Avrei preferito soffocare piuttosto che costringermi ad alzarmi di nuovo e realizzare ancora una volta che tu non ci sei più.
Questo è un processo difficile, complicato, talmente tanto intimo che non sono in grado di spiegarne nemmeno un piccolo pezzetto.
Perché quando c’è qualcuno che muore ci sono due cose che rischiano di farti uscire di testa davvero:
 
Il distacco
 la razionalità umana non riesce a registrarlo, perché come è possibile che fino ad un minuto, un secondo, un battito di ciglia prima quella persona è lì con te, ed immediatamente dopo non è più così? Per quanto ci si possa impegnare ad una cosa così non ci si arriva proprio. Si crea un buco, uno di quelli che non si copre con niente e l’unica cosa che resta da fare e girarci intorno e sperare di diventare talmente tanto bravi da riuscire ad imparare il percorso a memoria, così che ogni tanto ci si possa concedere il lusso di non doversi ricordare che lì proprio non ci devi passare; e per questo può aiutarti solo il tempo, forse.
 
La consapevolezza
tutto quello che era legato alla persona ora non è che un ricordo ed i ricordi tendono ad affievolirsi con il tempo. La tua faccia non me la posso dimenticare, no, perché basta che mi guardo allo specchio.
La tua voce potrebbe essere simile alla mia.
Ma il tuo odore? Quello come faccio a tenerlo bene in mente? E le espressioni che erano solo le tue? E il modo in cui scrivevi?
 
Quindi succede che si accumula tutto il possibile. Io l’ho fatto sai. Ho passato gli ultimi due anni a mettere da parte con gelosia ogni piccola cosa che non permettesse che il tuo ricordo potesse svanire. Che dolore amico mio, ogni oggetto, ogni piccolo pezzo di pergamena con i tuoi scarabocchi sopra, ogni vestito cencioso io l’ho preso e chiuso nella cantina.
 
Charlie ha provato ad aiutarmi una volta. Si è svegliato di buona lena e me lo sono visto presentare a casa; così dopo avermi costretto ad alzarmi si è tirato su le maniche ed ha sfoderato quelle braccia piene di cicatrici con tutte le più buone intenzioni. Mi ha preceduto nei passi e si è intrufolato in cantina; io sono rimasto sulla porta a rigirarmi la tua bacchetta fra le mani, l’unica roba che non ho accantonato, sai. Però dopo un po’ è uscito fuori e te lo giuro, piangeva così tanto che era impossibile fermarlo, così ci siamo seduti su un gradino e siamo rimasti zitti a singhiozzare fortissimo, fino a quando non ci siamo decisi a tornare su.
 
Poi sono venuti Bill e Fleur; lei è stata così graziosa, davvero. Si è messa a pulire la cucina come una furia assieme a Bill e poi abbiamo bevuto una cioccolata calda insieme. Bill ci ha provato a proporsi, ma io ho solo negato col capo, conscio che se non c’era riuscito Charlie a fare quel maledetto lavoro, difficilmente ci sarebbe riuscito Bill. E così pure loro se ne sono andati via.
 
Che te lo dico a fare, papà e mamma si sono proposti non so quante volte, ma non c’è stato proprio modo di farmi cambiare idea.
 
Allora è stato il turno di Ron. Io lo so quanto per lui sia stato insopportabile tentare di prendere il tuo posto; non ha fatto altro che tentare di farmi ridere per tutto questo tempo, eppure anche lui si è dimenticato come si fa. La tua morte ci ha spezzati, Fred. Ci ha spezzati in una maniera per cui non c’è soluzione, perché se di una cosa sono certo è che niente potrà più tornare come quando c’eri tu, nelle nostre vite.
 
Però questa mattina qualcosa è cambiato: Ti ho detto quanto è brutto svegliarsi che ancora si piange, non è vero? Tu lo sai quante poche volte abbiamo pianto noi due nella vita, beh sappi che in questi due anni ho pianto un numero di volte paragonabile ad ogni nostra singola risata. Lo crederesti possibile?
Insomma questa mattina è stata una di quelle mattine lì, dove le lacrime mi sono salite in gola ancora prima di poter spalancare gli occhi, però qualcosa le ha distratte, perché dalla nostra piccola cucina è arrivato un profumo di caffè e biscotti che davvero non mi sarei potuto immaginare.
Mi sono alzato ed indovina un po’, la nostra Ginny se ne stava lì, arrabbiata come non mai, ad armeggiare con il forno ed i fornelli; mi ha guardato in un modo tale, Freddy, che ancora mi fa paura: i suoi occhi erano due fessure sottilissime e le sue labbra una linea dura che le tagliava il viso. Ha cominciato a strillare e mi ha ordinato di sedermi e di non provarci nemmeno, a piangere, che sennò avrebbe cominciato anche lei e proprio non ne aveva voglia. Mi ha scaraventato la colazione davanti con la stessa delicatezza di un Erumpent in amore e mi ha letteralmente ordinato di mangiare, che poi avremmo dovuto ripulire la cantina. Io ci ho provato a dirle qualcosa, che non avevo voglia e che sarebbe dovuta andare via, ma se non ho perso anche l’altro orecchio credo sia stato un miracolo, tanto quella non la smetteva più di gridare di essere stufa. Perciò ho fatto l’unica cosa che mi ha permesso Ginny: ho bevuto il caffè, mangiato quei biscotti buonissimi e mi sono vestito.
 
E poi l’abbiamo fatto.
Ginny mi ha stretto la mano con estremo coraggio e con l’altra ha spalancato la porta, rischiando di scardinarla via data l’irruenza. Non si è fatta scrupoli nell’aprire gli scatoloni e con furia ha iniziato a tirare fuori ogni pezzo di te:
 
I quaderni delle lezioni.
I nostri appunti di quando stavamo progettando i Tiri Vispi.
Le sciarpe e i cappelli che ti ha fatto mamma durante gli anni.
I tuoi stendardi di Grifondoro e le tue divise di Hogwarts.
Le penne rotte e le boccette di inchiostro vuoto.
I disegni e le lettere d’amore che hai ricevuto durante gli anni di scuola.
I boccali che abbiamo rubato ai Tre Manici di Scopa.
 
Più disponeva le cose davanti a me, più un senso di claustrofobia impossibile da gestire mi attanagliava. Le ho chiesto di fermarsi ma lei non ha voluto sentire ragioni, non si è fatta scalfire dalle lacrime che ho cominciato a versare, dai singhiozzi convulsi. Mi guardava dura, nonostante anche i suoi occhi si sono coperti di lacrime e mi ha costretto a fare una cernita della tua roba.
Mi sono ritrovato inginocchiato a terra a piangere come una bambino, ma ogni volta che le chiedevo di smettere o non rispondevo ad una domanda, Ginny prendeva ed accantonava per buttare via.
Sono stato costretto a scegliere, sono stato obbligato a decidere cosa fosse davvero importante e cosa non lo fosse.
 
Vuoi sapere una cosa, Freddy?
 
Ora la cantina è quasi vuota.
 
Più le ore passavano più le lacrime si facevano meno irruente. Alla fine ho smesso di piangere definitivamente; ho tenuto una manciata di cose e giusto qualche vestito.
Finalmente ho capito che questo mausoleo non ti avrebbe fatto tornare in vita; lo so che è stupido ed irrazionale, ma la tua morte ha portato via anche l’ultimo barlume di razionalità che era presente in me.
Però Ginny c’è riuscita: quella meravigliosa ragazza che non ha smesso di piangere quasi mai, ma che mi ha trattato con tale polso fermo da farmi tornare a ragionare, ha dimostrato di amarti in una maniera unica.
 
Appena abbiamo finito mi ha preso la mano e mi ha portato di nuovo su, ma la porta della cantina l’ho chiusa io, Fred.
 
Ora dorme acciambellata vicino a me, sembra un gatto sai? Ha le guance arrossate e gli occhi ancora gonfi di pianto, ma riposa come una guerriera che ha appena vinto la sua più sanguinolenta battaglia.
Ed io non smetto di guardarla e ringraziarla in silenzio, perché è riuscita davvero a compiere un miracolo.
 
Ci manchi da impazzire Fred, ma ora lo so che l’unica cosa di cui ho bisogno per ricordarmi di te non è di certo una cantina gonfia di dolore. Mi basta guardare mamma e papà, Charlie, Ron Percy e Bill. Mi basta accarezzare i capelli di Ginny e gioire davanti al suo più bel sorriso, così incredibilmente simile al tuo.
 
Di una cantina muffita ne posso fare a meno, se dentro non ci sei tu.



Senza di Te – Gazebo Penguins

Senza di te ho perso un po’ d’ilarità 
Berrò di più per annegare la città 

Ho finalmente messo a posto la cantina, te lo ricordi lo spavento che mi sono preso tu invece eri serena
del resto era solamente un topo
Ho ritrovato quel disegno in cui dormivi stesa al sole, dentro alla cesta delle robe inutili, che di buttar non ho mai avuto il cuore
 ci si affeziona
E poi è tutto un ricordare le cose meglio di com'erano davvero
 di quando avevamo qualche anno di meno 

Senza di te ho perso un po’ di ilarità 
Berrò di più per risciacquare la città

 
 
 
 
Come mi accade spesso, mi sono ritrovata ad ascoltare una canzone che non sentivo da tanto tempo: scrivere di questo momento di dolore è stato facilissimo, le parole si sono assemblate da sole. Anche se fa male, malissimo, parlare di lutto, ora eccomi qua. So che tantissimi scrittori hanno affrontato il dolore di George per l’assenza di Fred, ma era molto tempo che avevo l’esigenza di farlo anche io.
Dedico a voi questo pezzetto di George, nella speranza di non avervi annoiati.
Vi abbraccio
D.

 
 
 
   
 
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