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Autore: 9Pepe4    23/01/2018    2 recensioni
«Poe?» chiamò poi Ben. «Perché sei sempre così buono?»
Poe continuò il suo lavoro. «Faccio del mio meglio».
Stava scherzando, più o meno, ma la sua risposta parve dar da pensare al bambino più piccolo.
«Credevo ti venisse naturale».
Poe alzò gli occhi per mostrargli un sorriso. «No, devo impegnarmi. Specialmente quando ci sei di mezzo tu».
Ben non sorrise di rimando, e distolse lo sguardo.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Poe Dameron
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fidati di me

Quel pomeriggio, Poe si ritrovò a correre tra la folta vegetazione di Yavin 4.
Teneva in mano uno straccio impregnato d’acqua, e ad ogni falcata lo sentiva battere contro il proprio petto. Aveva la maglia ricoperta di chiazze di bagnato, ormai, ma non gli dava fastidio. Col caldo che c’era, era quasi piacevole.
Vedendo che le piante iniziavano a diradarsi, rallentò il passo, e dì lì a poco sbucò in una piccola radura.
I suoi occhi saettarono verso l’albero che cresceva al centro dello spiazzo. Era enorme, dal tronco largo e robusto, e torreggiava senza difficoltà sulle piante giovani e gli intrecci di liane che delimitavano la radura.
Appollaiato sulle sue radici nodose si trovava un bambino minuto, coi capelli neri e le orecchie grandi. Si teneva le mani in grembo e aveva il viso chino.
Temendo che stesse piangendo, Poe lo chiamò – «Ben?» – e lui alzò subito lo sguardo. Si stava mordendo il labbro, ma i suoi occhi e le sue guance erano asciutti.
Sollevato, Poe gli giunse davanti, e scosse appena lo straccio. «Missione compiuta».
Ben sbatté le palpebre e allungò le mani. I suoi palmi erano gonfi ed arrossati, coperti da una sostanza giallastra e appiccicosa.
Poe trasalì interiormente. Conosceva bene il bruciore che Ben doveva provare in quel momento. Si inginocchiò sul terreno, e poi, più delicatamente che poté, prese le mani dell’altro bambino nella propria e vi passò sopra lo straccio bagnato.
«Ti avevo detto di non arrampicarti su quella pianta» disse, in tono di rimprovero.
Le guance pallide di Ben avvamparono. «Pensavo… ho pensato lo dicessi perché non mi credevi capace di farlo».
Poe interruppe lo strofinamento per fissarlo, gli occhi ridotti a fessure. «Non te l’ho detto per quello! L’ho detto perché quella corteccia ti irrita tutta la pelle!»
«Be’, adesso lo so».
Per uno che doveva provare un bruciore insopportabile, Ben riuscì a suonare notevolmente risentito.
Poe avrebbe ribattuto, ma era distratto dal pensiero che se non altro adesso si spiegava come mai l’amico non gli avesse dato retta. A forza di trascorrere del tempo con lui, infatti, aveva capito che spesso il modo più veloce di spingere Ben a fare qualcosa era dirgli che non ne sarebbe stato in grado.
Non che Poe lo giudicasse per questo; sarebbe stato ipocrita da parte sua, dato che prendeva sempre commenti del genere come una sfida.
Poi Ben parlò di nuovo, stavolta in tono stranamente ansioso. «Ti hanno visto? Prendere lo straccio, voglio dire».
«Nah» rispose Poe, scuotendo la testa. «Erano in soggiorno a ridere per chissà cosa».
A ben pensarci, forse la principessa Leia – o meglio la senatrice, era una senatrice adesso, per quanto lui faticasse a separarla dal titolo che aveva in tutti i racconti dei suoi genitori – forse lei l’aveva visto, ma non gli parve il caso di puntualizzarlo.
«Quindi non sanno che cos’è successo» dedusse Ben.
Poe gli inclinò una mano per poterla pulire meglio. «È un segreto tra me e te».
A dirla tutta, non capiva perché Ben ci tenesse tanto a tener nascosto cos’era successo ai loro genitori. D’accordo, si era comportato un po’ da stupido, arrampicandosi su quella pianta anche se Poe lo aveva avvertito di non farlo, ma non era certo la fine del mondo.
In ogni caso, però, Poe era disposto a tacere sulla cosa, se questo era quello che il suo amico voleva.
Strizzò appena lo straccio per bagnare un po’ di più le mani di Ben, e gli gettò un’occhiata di scuse quando l’altro ebbe un piccolo sussulto.
«Lo so» disse, «fa male. Quando è successo a me mi sono pure venute le lacrime».
Ben lo guardò come se pensasse che gli stesse mentendo per farlo sentire meglio.
«Chiedi a mio padre se non mi credi» lo sfidò allora Poe.
Tornò a dedicarsi alla sua opera di pulizia, e per qualche momento i soli suoni che si udirono furono i respiri spezzati di Ben e il cinguettio degli uccelli.
«Poe?» chiamò poi Ben. «Perché sei sempre così buono?»
Poe continuò il suo lavoro. «Faccio del mio meglio».
Stava scherzando, più o meno, ma la sua risposta parve dar da pensare al bambino più piccolo.
«Credevo ti venisse naturale».
Poe alzò gli occhi per mostrargli un sorriso. «No, devo impegnarmi. Specialmente quando ci sei di mezzo tu».
Ben non sorrise di rimando, e distolse lo sguardo.
«Perché?» aggiunse allora Poe, «a te viene naturale?»
Gli occhi scuri di Ben saettarono sui suoi. «Io non sono buono».
Preso in contropiede, Poe smise di sfregargli le mani. «Cosa dici?» protestò. «Certo che sei buono».
«No» insistette Ben, con aria cocciuta.
Poe rimase a fissarlo per qualche istante. Ben aveva i capelli scuri attaccati alle tempie per il sudore, le labbra serrate in una piega ostinata.
«Chi ti ha detto che non sei buono?»
Non poté evitare di suonare un tantino sospettoso. Ogni tanto, quando Ben e i suoi genitori erano in visita, Poe se lo trascinava dietro a giocare coi suoi amici e i suoi cugini.
Sapeva, però, che Ben non andava a genio quasi a nessuno, perché non era proprio bravissimo a stare in compagnia. E il fatto che ogni tanto si coprisse le orecchie, mormorando qualcosa tra sé e sé, non aiutava di certo.
A Poe non risultava che lo avessero mai trattato davvero male – il massimo erano state delle lamentele perché non mostrava i suoi poteri da Jedi agli altri bambini – però chissà…
«Non è stato nessuno» affermò Ben. «So che è così e basta».
Poe emise uno sbuffo. «E come faresti a saperlo?»
Ben esitò, e si mosse come per allontanarsi da Poe il più possibile. «Hanno paura» sussurrò. «Certe volte. Quando mi guardano».
«Chi?» chiese Poe.
Ben non rispose. Sembrava in seria difficoltà, adesso. Nervoso, quasi impaurito. Forse si era pentito di aver parlato.
«Per me è una stupidaggine» tagliò corto Poe. «Io so che sei buono».
L’altro bambino scosse la testa. «Non sai tutto».
«Forse no» concesse Poe, «però… Fammi vedere le mani».
Ben aggrottò la fronte ma obbedì, sollevando le mani per mostrargliele. La sua pelle era ancora arrossata, ma non c’era più resina e il gonfiore era decisamente migliorato.
«Non ti fanno più male come prima, vero?»
Seppur guardingo, Ben fece segno di sì.
«Quindi forse non so tutto, ma qualcosa lo so» concluse Poe con una punta di trionfo. «Sapevo come farti passare il male. Fidati di più di me quando ti dico che sei buono».
Ben lo fissò con aria quasi ipnotizzata. Sembrava volesse credergli, disperatamente, ma non osasse farlo.
«D’accordo?» insistette Poe.
Lentamente, l’altro bambino incontrò il suo sguardo. «D’accordo».
E forse Poe se lo stava immaginando, ma pareva già più rassicurato. Soddisfatto, si alzò in piedi e gli porse la mano in cui non stava stringendo lo straccio.
«Del resto» non riuscì a trattenersi dall’aggiungere, mentre lo tirava su, «se ti fossi fidato di me anche prima non ti saresti nemmeno fatto male!»














Note:
Ringrazio Itsamess, perché è merito suo – e della sua recensione – se sono riuscita a mettermi a lavorare su quest’idea che mi ronzava in testa da un po’…
E niente, spero che il risultato non sia terribile, e che questa OS non abbia inorridito nessuno!
  
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