Il mondo appartiene a noi
Jaime
si muoveva rapidamente tra i corridoi della Fortezza Rossa e il
mantello dorato
formava delle onde ogni volta che lui voltava l'angolo. Nonostante la
grazia
che lo contraddistingueva, il cavaliere non aveva mai avvertito la
pesantezza
dell'armatura come in quel momento: l'accusava di rallentarlo, di
fargli
perdere del tempo prezioso. Perfino il destino si era messo contro di
lui,
permettendo all'uomo che avrebbe dovuto avvertirlo per tempo di
perdersi tra i
giardini del castello. No, non avrebbe più concesso a Cersei
di destinargli dei
servitori tanto inetti, ma era un discorso che avrebbero affrontato
dopo.
Adesso avevano cose più importanti a cui pensare.
Quando
finalmente fu giunto di fronte agli alloggi di sua sorella, una guardia
dalla
faccia da idiota strabuzzò gli occhi e si parò
dinnanzi a lui.
«Mi
dispiace, ser Jaime, ora non può entrare nella...»
Jaime
non gli permise di continuare, spingendo con forza il suo esile corpo
contro il
muro di pietra. «Il prossimo che mi impedirà di
vedere mia sorella incontrerà
la mia spada!» avvertì le due guardie rimanenti,
che già avevano messo mano
all'elsa. Entrambi la ritrassero.
Non
appena la porta fu spalancata, lo sguardo di Jaime cadde sul corpo
disteso di
Cersei. Lei si accorse del suo arrivo.
«Jaime...»
Una
septa si parò fra loro, cercando di cacciare la Guardia
Dorata come aveva
appena fatto l'uomo del re. «Non potete stare qui! La regina
ha bisogno...»
«So
io di cosa ha bisogno la regina, e di certo non è vedere le
vostre brutte
facce. Dovete rimanere, quindi lo farete. Ma non mi impedirete di
restare qui.»
Jaime
aveva parlato con una tale veemenza che le donne presenti reagirono
come le
guardie all'esterno della camera. Ignorandole, il cavaliere, si mosse
rapidamente
verso la sorella, pallida e sudata.
«Che
cosa... che cosa ti è venuto in mente? Vattene,
Jaime...»
«Non
mentire, tu vuoi che sia qui.»
Cersei
provò a sorridere, ma tutti i suoi sforzi erano concentrati
sul basso ventre.
La septa si avvicinò alle sue gambe, non prima di avere
lanciato uno sguardo di
disapprovazione a Jaime, e spiò sotto la veste della regina.
«Ci
siamo» annunciò alle sue aiutanti. Una di loro
bagnò una pezza, l'altra si
avvicinò alla septa e scrutò anche lei tra le
cosce della partoriente.
«Ci
sono io» sussurrò Jaime alle orecchie di Cersei,
vedendola in preda
all'agitazione. «Andrà tutto bene.»
Sua
sorella gli strinse la mano e lo fissò negli occhi,
reprimendo un gemito: le
leonesse non urlano. Lo fissò finché ne fu in
grado, poi le spinte divennero
così forti da farle dimenticare tutto il resto.
Dopo
pochi minuti, Joffrey era nato.
Fu
Jaime il primo Lannister a tenerlo fra le braccia, strappandolo dalle
mani
della septa; lo portò dalla madre, ancora esausta e
dolorante, e mise il
fagottino sul suo petto.
«Uscite»
ordinò Cersei, e il suo tono non ammetteva repliche. Le tre
donne lasciarono la
stanza.
La
regina non riusciva a smettere di guardare il suo pargoletto. Ne
osservava i
pochi capelli biondi, le palpebre chiuse, le sottili e rugose dita
delle mani;
lo ascoltava piangere e come Jaime immagazzinava nella memoria ogni
suono. Suo
fratello sorrideva, lieto di vedere il suo primogenito tra le braccia
della
madre, e ancora di più di sapere che Cersei era
sopravvissuta al parto.
«Non
è stato tanto difficile, potrei farlo anch'io»
cercò di farla ridere e di
distrarla da quel neonato roseo di cui cominciava a essere leggermente
geloso.
Cersei
gli rivolse uno sguardo ammonitore, ma sorrise. E non era mai stata
così bella.
«Joffrey...»
riprese Jaime, riflettendo su quel nome. «Dunque alla fine
hai scelto questo?
Il re è d'accordo?»
«Che
a Robert piaccia o meno non cambia niente. Non era nemmeno qui per
vederlo
nascere.»
«Non
c'era nemmeno per vederlo concepire.»
Cersei
rise, di quella risata genuina che apparteneva agli anni della sua
infanzia,
prima che il peso di essere una Lannister si impadronisse di lei. Una
delle sue
mani si allontanò dal bambino e cercò quella di
Jaime. Lui la trovò, la strinse.
Era calda e sudata, era meravigliosa.
«È
nato per essere re» considerò Cersei, senza
riuscire a togliere gli occhi di
dosso dal suo bambino. «Il mondo appartiene a lui.»
«Ti
sbagli, Cersei» la corresse Jaime e un attimo dopo fu sulle
sue labbra, ancora
più calde e umide delle mani, ancora più dolci e
desiderate. «Il mondo
appartiene a noi.»