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Autore: summers001    25/01/2018    3 recensioni
Post-MJ, pre-epilogo | POV Peeta | "Io e Peeta ricominciamo a crescere insieme."
Dal secondo capitolo:
"Aspetta!" la chiamo e sento la mia voce venire fuori con una certa urgenza. "Vuoi restare? Puoi aiutarci a ricostruire la recinsione, tagliare via le erbacce o..." continuo elencando una serie di mansioni che potrebbe coprire senza stancarsi troppo dopo una mattinata di caccia.
Devo essere pazzo, mi ripeto per la milionesima volta in questi ultimi mesi. Hai continuato a provare a parlarle per anni prima della mietitura, per mesi dopo i primi giochi, per settimane dopo i secondi e dopo la guerra. Perché ti aspetti qualcosa di diverso? Perché dovrebbe voler rimanere qui con me questa volta? Tra i detriti, la polvere e i ricordi che tanto la tormentano per di più.
[...] D'altronde la follia non è ripetere gli stessi gesti aspettandosi ogni volta un risultato diverso?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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​Capitolo 1




"Posso chiamarla?" gli chiedo come un mantra, alla fine di ogni seduta di terapia, dopo avermi fatto parlare delle arene, della prigionia, della guerra e persino della mia infanzia. Mi ha vietato di tornare a casa per la mia salute e per quella di lei ed in fin dei conti non posso dargli torto.

Il dottor Aurelius mi guarda, mi studia, sembra soppesare ogni minima espressione del mio sguardo, ogni inclinazione della mia voce e persino la mia postura irrequieta su questa poltrona eccessivamente comoda. Non mi piacciono le comodità e lo sa benissimo.

Una settimana fa mi ha detto che sta bene, che Haymitch è con lei e che dovrei pensare a me per una volta. Ed io invece non riesco a smettere di pensare a lei. E' un pensiero costante, anche se non la amo più, come abbiamo convenuto di recente. Persino quando credevo di odiarla, persino quando credevo di averla dimenticata, c'era questa costante parte di me che voleva starle vicino, che voleva salvarla e proteggerla. Che voleva che lei scegliesse me.
"Gale? Non gli parla da mesi." si è lasciato sfuggire il dottore dopo avergli chiesto se ci fosse almeno lui con lei ad aiutarla. Avrei preferito che lui fosse lì piuttosto che lasciarla da sola. Se l'è lasciato scappare perché di solito non parliamo di Katniss, vuole che eviti completamente storie che riguardano lei, vuole che prima riesca a controllarmi del tutto prima di chiarire i miei ricordi. Fu quello il giorno che cominciai a preoccuparmi ed a chiedere costantemente di poterla chiamare. Se non potevo vederla, dovevo almeno sentirla. Avevo bisogno, ho bisogno di sentirla.

In questo ospedale i telefono sono sotto custodia del personale. Non posso chiamare nessuno senza un preciso permesso. C'è una donna, l'arpia come la chiamo io, che conserva gelosamente la chiave che apre una cabina telefonica bianca. L'arpia mi guarda ogni giorno sfidandomi a raggiungere il telefono. So che non dovrei chiamarla così, so che è scortese e che lei lo sa. So che questo è un nomignolo affibbiatole dal Peeta depistato e per cui il vecchio Peeta si sente addirittura in colpa. Mi sono concesso però questa piccola scorrettezza per far fare pace ai due, per trovare un nuovo me stesso che mi calzi, che non si senta in colpa per un velato insulto appena pensato e che non urli contro la donna perché mi dia la maledettissima chiave.

Il dottor Aurelius continua a guardarmi, poi recupera un mazzo di fogli dalla scrivania, la mia cartella clinica. Ho dannatamente paura di quei fogli e stringo i pugni forte. Sembra cercare qualcosa, sfoglia tra le date delle nostre ultime conversazioni o quella del mio ultimo episodio, fino a che si decide, mi fa un segno e mi scrive una nota su un fogliettino.

"Autorizzo il paziente Peeta Mellark ad usare il telefono..." ... timbro e firma.
Finalmente! Credevo ci sarebbe voluto molto di più. Sono felice di essermela cavata con così poco che quasi non ci credo.

Di corsa raggiungo la cabina telefonica. Agito il lucchetto che lo blocca ed il rumore metallico avverte il personale della mia presenza. Senza guardare chi mi sta raggiungendo sventolo l'autorizzazione scritta e firmata del dottor Aurelius. L'arpia mi vede, sbuffa per aver perso e mi raggiunge. Intanto saltello quasi dall'emozione, provando a ricordare il suono della sua voce, la musicalità delle parole che le uscivano scontrose dalla bocca.

Mi si affollano ricordi nella testa: qualche conversazione fatta durante gli addestramenti, Katniss su un albero che lascia cadere il nido di api, quel bacio a Capitol City prima di riuscire ad arrivare da Tigris. E poi mi ricordo di quella ragazza, quella senza sorella, che ferita ci aveva raggiunto alla riunione dei vincitori. Mi guardava attraverso le increspature dell'acqua, mentre io curioso la studiavo e poi fuggivo con lo sguardo, un copione che abbiamo già recitato prima di conoscerci.

Quando mi trovo davanti alla tastiera compongo il numero senza esitare e mi sorprendo di me stesso di quanto facilmente riesca a ricordare queste piccole cose come i numeri di telefono, ma di come mi sembrano sfuggenti i pomeriggi passati con lei durante il tour della vittoria o durante le due arene.

Uno squillo, due squilli, tre squilli e il mio entusiamo comincia a scemare. Ci riprovo di nuovo senza ottenere un risultato diverso. Mi dico che forse è sotto la doccia o in giardino e così provo ancora. D'altronde la follia non è ripetere gli stessi gesti aspettandosi ogni volta un risultato diverso? Alla quarta volta comincio ad agitarmi e l'arpia mi chiude la chiamata con un dito sul telefono dove poggia la cornetta.

Non risponde. Non risponde. Scivolo piano piano nella delusione e nel disappunto. Corro verso lo studio del dottore mentre quella cerca di fermarmi, ma sono più veloce io.

"Non risponde." ringhio al dottor Aurelius e lo sentenzio come se fosse un'accusa.

"Lo so." mi dice lui senza staccare gli occhi dal foglio su cui sta scrivendo.

"Lo sa?" gli urlo in faccia e sento un altro di quei flashback tornare, il Peeta depistato mettermi in un angolo e prendere il sopravvento, mentre l'ultima cosa che ricordo è l'aver pensato di dover ricominciare tutto d'accapo. Qualcosa mi sorprende dietro alla nuca. Una puntura? E poi il buio.
 

**


Mi sveglio più tardi nella mia stanza, legato come un salame ad un letto. Due cinghie mi tengono il petto ed altre due le gambe. Faccio per alzare le mani per liberarmi, ma sono bloccate anche quelle.

Mi assale un'ansia che conosco molto bene, quella di credere ancora di essere là a Capitol City nel centro di addestramento, legato e torturato con decine e decine di buchi sulle braccia dentro le mie vene. Subito dopo aver realizzato che non sono più là, ricordo immediatamente quello che è successo: il telefono, Katniss, un episodio, settimane di terapie buttate al vento.

Non mi lascio andare di nuovo all'ansia, alla rabbia che quel Peeta mi suggerisce invece di usare per tirarmi fuori da questa situazione. Prendo un respiro profondo, chiudo gli occhi, caccio via l'aria e mi guardo attorno. Ho vinto io stavolta, mi dico soddisfatto. La stanza è calda ed accogliente, la finestra aperta lascia entrare i raggi i sole del tramonto mentre particelle di polvere vi danzano attraverso. Il dottor Aurelius è seduto su una sedia, quasi addormentato col faccione pieno poggiato sul pugno chiuso. Mi schiarisco la voce e lui si sveglia.

"Le dispiace?" gli chiedo alzando la mano, cercando di ricompormi e provare ad essere gentile un po' per abitudine un po' per convincerlo a lasciarmi andare.

Il dottor Aurelius si alza e si stiracchia come un gatto. Si sfrega gli occhi coi pugni mentre le sue lenti a semiluna si sollevano sulla fronte e si appannano. Alla fine decide di venire da me, recupera dalla tasca una piccolissima chiave, me la mostra e finalmente scioglie le catene. Mi tiro su a sedere e mi massaggio i polsi doloranti. Sotto le dita sento le cicatrici dei tagli che mi sono procurato durante la guerra ed in questi mesi di prigionia.

Sento gli occhi del dottore su di me. Non voglio restituirgli lo sguardo perché so cosa mi sta per dire e non voglio sentirlo. Sebbene lo riconosca, non voglio che mi ricordi del mio fallimento, del mio episodio e della mia incapacità a controllarli. "Capisci perché ero contrario?" mi chiede alla fine, anche se sembra più un'affermazione che una domanda.

Sospiro, chiudo gli occhi così forte da non lasciar passare il minimo filo di luce. Lui non dice niente ed allora mi ricordo delle nostre conversazioni, di quando fino ad un mese fa mi spronava ad affrontare i miei flash, a fare pace con i due Peeta, a non cercare di essere né l'uno né l'altro ma a trovarmi una nuova dimensione. "Già." gli rispondo. Mi offre un bicchiere d'acqua che bevo avidamente. "Non so a cosa stessi pensando." continuo mentre lui si trascina una sedia per sedersi accanto a me.

"Peeta," mi chiama con la solita voce pacata ed impenetrabile. Sembra indeciso se continuare oppure no, si massaggia una mano con l'altro pollice come fa di solito, resta a bocca aperta sperando che ne escano parole. "parlami di Katniss Everdeen." dice alla fine.

Rimango immobile mentre il sole s'è spostato e mi colpisce gli occhi.

Vuole che gliene parli perché evitarla non funziona? Perché sono peggiorato o perché sono migliorato? O fa semplicemente parte della terapia? Sembro di pietra e sembro non avere niente da dire, quando la luce del tramonto mi ricorda qualcosa: un pomeriggio su una terrazza, lei con la testa sulle mie gambe e gli occhi chiusi che mi dice che vuole restare con me. Così inizio a raccontarglielo e non riesco a smettere.

Qualunque sia la ragione so che non voglio smettere di parlare di lei.
 

**


Quando dopo altre due settimane riaquisto l'uso del telefono, mi faccio furbo e non chiamo lei. Chiamo qualcunaltro che so essere con lei.

"Haymitch!" urlo felice quando lo sento alzare la cornetta. L'arpia mi guarda con le braccia conserte e capisco che devo sembrarle pazzo, ma non importa perché lo sono.

"Ragazzo." mi risponde lui. Sembra stanco, appena uscito dal sonno, forse ancora un po' confuso, pieno d'alcol. Una rabbia mi pervade: dovrebbe badare a lei, perché continua a bere? Schifoso, ubriacone... No, no. Scuoto la testa e mi riprendo, ignorando qualunque cosa il Peeta depistato volesse dire.

"Come sta?" gli chiedo stringendo un po' troppo forte la cornetta e risistemandomi sui miei piedi. L'infermiera si allontana ed allunga una mano per chiamare qualcuno, questo dovrebbe significare che il mio tempo a telefono sta già per finire.

"Io bene, ragazzo innamorato, grazie dell'interesse."

Ragazzo innamorato? Nessuno mi chiamava così da quanto? Dalla prima arena? Mi blocco davanti a quell'epiteto, quello che apparteneva al vecchio Peeta. Non mi ci riconosco più, eppure so che devo saper di lei, devo sentirla e vederla, almeno un'altra volta. E non posso sprecare quest'occasione. Ragazzo innamorato. Mi ci aggrappo sperando di trovarlo da qualche parte nella mia testa ed intanto prego Haymitch sperando che lui capisca. Mi giro e vedo altre due persone con tanto di siringhe in mano, pronte a stendermi se dovessi cominciare a dare di matto. Sospiro e mi ripeto in testa: ragazzo innamorato, ragazzo innamorato, ragazzo innamorato.

"Non bene, ragazzo." risponde alla fine. "Non mangia, non esce da quella stanza." mi racconta ed io la immagino lì, piccola, indifesa, dimagrita. La mia Katniss. La Katniss che non amo più come una volta (come continuo a ripetermi), ma a cui non riesco a smettere di pensare. La mia Katniss rotta. So che devo andare da lei. Devo tornare a casa ed andare da lei. "Non si lava." aggiunge Haymitch in un inutile tentativo di farmi ridere.

Comincio a piangere al pensiero di lei sola nel distretto dodici, perseguitata dai fantasmi. Sebbene io sia qui, quasi prigioniero, impossibilitato a fare una sola chiamata senza avere prima il permesso, so che ho tutto l'aiuto che mi serve, che se volessi potrei andare via, che per quanto non sembri sto facendo dei progressi enormi e che adesso quando sento un episodio che arriva riesco a controllarmi ed a mandarlo via prima di fare del male a qualcuno.

L'arpia intanto si è fatta più coraggiosa. Ha capito che non le avrei fatto del male e si è avvicinata. Allunga una mano indicandomi il suo orologio, facendomi capire che il tempo e scaduto. Alza il palmo e mi suggerisce di darle il telefono.

"Tenete duro" dico al mio vecchio mentore con la fronte poggiata sulla plastica bianca di quella cabina.

"Anche tu, ragazzo." gli sento dire prima di allungare loro la cornetta.
 

**


"Beh, Peeta," fa il dottor Arelius prendendosi una mano nell'altra seduto dietro la sua possente scrivania "finalmente ci siamo!" esclama. Penso che una notizia del genere dovrebbe essere data con più entusiasmo, che dovrebbe esserci, se non felicità, soddisfazione nella sua voce invece di questa costernante ed avvilente preoccupazione.

"Posso andare a casa?" chiedo allora pieno di speranza, non sicuro di aver ben capito, confuso dal suo tono di voce. Dopo settimane e settimane di terapia, dopo aver guardato video sui giochi, i pas-pro e tutte le interviste, parlato e parlato di come mi facessero sentire, di quello che credevo di ricordare, di come le cose piano piano ricominciassero ad avere un senso e farsi chiare, finalmente mi lascia andare. Sono guarito! O meglio, non più un pericolo per me stesso e per gli altri. Cerco di sopprimere il sorriso davanti alla compostezza del mio dottore.

"Già." mi dice di nuovo con lo stesso entusiasmo. Si batte le mani l'una sull'altra e poi sulla scrivania. Si tira su e lo guardo confuso. Mi allunga una mano e realizzo finalmente che ci stiamo per salutare. "E' stato un piacere avere un paziente come te."

"E' stato un piacere avere un dottore come lei!" gli rispondo io senza nascondere la felicità. Gli prendo la mano e la agitiamo.

Quando apro finalmente la porta del suo ufficio e sento già il profumo fresco della libertà, il dottor Aurelius mi richiama e l'odore pungente della candeggina nei corridoi mi torna al naso. Mi giro sopprimendo una incontentabile irrequietezza. "Dì a Katniss di alzare la cornetta di tanto in tanto. Non posso pretendere di averla in cura per sempre." mi dice alla fine e tiro un sospiro di sollievo. Poi lui mi strizza un occhio e mi fa "A presto!".

"Oh non ci conti troppo!" gli rispondo, prima di correre via senza portare niente con me, verso il treno, verso il distretto Dodici, verso casa, verso Katniss.




 



An​golo dell'autrice
​Salve a tutti!
​Come avrete ben capito, questa è la milionesima storia che pretende di continuare la saga e dal punto di vista di Peeta per di più. Tra l'altro nemmeno la mia prima sullo stesso argomento. Capisco che potrebbe essere noiosa dal vostro punto di vista, quindi non mi aspetto una buonissima accoglienza. Tuttavia ci tengo per diverse ragioni: il narratore in prima persona maschile, poi ho rivisto i film su italia uno e riletto i libri quindi sto di nuovo in fissa (lol) e perché, come al solito, se dovessi fare una selezione delle storie che mi piacciono su efp ne sceglierei pochissime, mentre ao3 o altri sono pienissime di storie davvero toccanti. Ci tengo a raccontare soprattutto quei momenti in cui Katniss piano piano si scopre innamorata... La trovo dolce! Voglio lasciare quindi il mio contributo e sperare in meglio. Mi basta una sola persona con cui saltellare e shippare xD 
​Il titolo ovviamente riprende il film "qualcuno volò sul nido del cuculo". Il riferimento ovviamente vuole lasciar intendere la natura rotta ormai di Katniss e Peeta, la follia che un po' li accompagnerà fino alla fine, ma anche l'ottima capicità di resilienza di entrambi: sebbene a pezzi riusciranno a rimettersi insieme. Quindi vuole essere anche una ff un po' profonda sotto questo punto di vista. 
​Il primo capitolo è stato ovviamente breve, introduttivo e lento. Con un Peeta depistato e confuso per di più. Dal prossimo si torna a casa, ricompaiono Katniss, Haymitch, Sae, Thom.. tutti! 
​Spero di avervi stuzzicato abbastanza la curiosità. Fatemi sapere se la storia vi piace e (soprattutto) se i personaggi vi sembrano IC.
​Xoxo

  
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