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Autore: 09Chia    31/01/2018    4 recensioni
La porta si era aperta e sulla soglia una donna decisamente più giovane di lui lo osservava con un sorriso accogliente.
Anche il serpente a sonagli scodinzola, prima di ammazzarti.
«Benvenuto all’Hotel California, signore».
Gli Eagles ispirano: Benvenuto all'hotel California. What a nice surprise. Sicuro di voler restare una notte soltanto?
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hotel California

 

    On a dark desert highway,

     Cool wind in my hair,

Warm smell of colitas,

 rising up through the air

 

 

Glenn Seagle tirò le labbra in un sorriso, schiacciandosi di più contro il corpo rombante della sua Harley che, ne era consapevole, rompeva il silenzio del deserto per almeno un paio di chilometri tutto attorno. Accelerò ancora un poco, godendosi il vento tra i capelli e l’aria che sembrava aprirgli a forza i polmoni.

Il tachimetro sfiorò i duecento strappandogli una smorfia soddisfatta, mentre il suo pensiero andava al casco abbandonato nelle sacche da almeno un paio d’ore. Se attraversi un deserto di notte, dopotutto, è più probabile che tu ti imbatta in un coyote che in uno sbirro.

I fari si perdevano lungo la strada, lunga e senza una curva fino a dove si confondeva con il nero del cielo. Glenn decise di fermarsi qualche momento per riprendere fiato e godersi le stelle.

Rallentò mentre accostava; inutile precauzione, visto che non incontrava nessuno dal tramonto. Non che la cosa lo infastidisse, anzi: aveva salutato con un sospiro di sollievo l’ultimo paese che si era lasciato alle spalle, conscio di avere davanti almeno una decina di ore di strada, piazzole di sosta, deserto e qualche motel.

Mentre rifletteva, facendo qualche passo attorno alla moto e stiracchiando i muscoli indolenziti, un bagliore giallo in lontananza attirò la sua attenzione.

Strinse gli occhi, sforzandosi di individuare dei contorni nel buio. Rimase fermo per qualche istante, aspettandosi di vedere la lucina aumentare di dimensioni e di percepire il rombo di un motore: un avventuriero folle come lui che attraversava il deserto in solitaria. 

La luce però rimaneva ferma e sempre della stessa dimensione. Una locanda, forse.

Glenn lanciò un’occhiata all’orologio: mancavano pochi minuti alle due di notte. Si era preparato mentalmente a riposare per qualche ora prima dell’alba in una qualche piazzola di sosta, stendendo stuoia e sacco a pelo o montando la tenda se proprio aveva intenzione di farsi una dormita di quelle lunghe. Ora che la possibilità di dormire in un letto vero gli balenava davanti, però, il suo piano originale non gli sembrava più così allettante.

Decise di porsi il problema una volta raggiunta la luce. Tornò alla moto e le girò attorno una volta, ufficialmente per assicurarsi che fosse tutto ok, in realtà per poter sospirare di soddisfazione di fronte a quel piccolo gioiello. Montò in sella, accese il motore e partì in una nuvola di polvere.

 

 

La luce gialla che aveva visto in lontananza proveniva da una lanterna vecchio stile appesa sopra la porta di una locanda.

L’edificio aveva un aspetto curato e modesto, ma Glenn sentì tutti i peli del corpo drizzarsi in contemporanea. Rallentò con largo anticipo, entrando nello spiazzo polveroso davanti all’ingresso con il motore spento.

D’altronde, qualcuno poteva essere addormentato.

Stronzate. Una voce saccente parlò in un angolo del suo cervello. Somigliava in maniera fastidiosa a quella di sua moglie. La verità è che te la stai facendo sotto come un ragazzino imbucatosi alla prima proiezione di It.

Sempre stata delicatissima Tabby. Di quelle che se si accorgono che stai ignorando un problema te lo sbattono davanti agli occhi, e poi vorrebbero anche ricevere un biglietto di ringraziamento. Purtroppo, anche stavolta aveva ragione. Quel posto non gli piaceva per nulla, ma sentiva davvero la testa pesante.

Stai diventando vecchio, tesoro. Certe smattate non fanno più per te. Un amore di donna, veramente.

Il sorriso che il pensiero di Tabby aveva fatto spuntare ebbe appena il tempo di affacciarsi agli angoli della bocca: la porta si era aperta e sulla soglia una donna decisamente più giovane di lui lo osservava con un sorriso accogliente.

Anche il serpente a sonagli scodinzola, prima di ammazzarti.

«Benvenuto all’Hotel California, signore».

Il saluto educato che gli rivolse lo colse di sorpresa, perso in quella riflessione quanto mai inopportuna. Eppure ogni singola cellula del suo corpo sembrava urlare per andarsene da lì.

Glenn si schiarì la voce «Grazie. Avete una stanza libera?» chiese, mentre spostava lo sguardo dalla ragazza sulla porta all’insegna in legno appena sopra la lanterna, al resto dell’edificio: una curata locanda in mezzo al nulla il cui unico segno di nota era il più banale nome della storia.

Nonostante ciò, un leggero brivido gli scese lungo la spina dorsale. Sei stanco morto, amico. Forse era davvero meglio fermarsi a riposare.

«Abbiamo molte stanze libere in qualunque periodo dell’anno, signore» rispose lei, come se stesse recitando uno slogan «Si ferma solo stanotte?»

La domanda gli strappò un sorriso: «Sì, grazie» rispose, mettendo a tacere tutto il suo corpo che gli urlava di andarsene «Riparto domani mattina».  Anche se suppongo che le attrazioni turistiche nei dintorni siano spettacolari. Quasi quasi rimango qui una settimana a godermi la polvere e gli scorpioni nelle ciabatte.

«Può uscire in qualunque momento»

Di nuovo, la risposta sembrava programmata da un computer, ma Glenn diede la colpa all’orario. Dopotutto, chissà che da quante ore era sveglia, l’unica cameriera di quel posto dimenticato da Dio.

«Le faccio strada».

La giovane donna recuperò una torcia dalla tasca posteriore dei pantaloni «Il generatore si stacca alle undici» disse «Ma domattina alle cinque e mezza la sveglierà la luce del giorno, se vuole partire presto». Chiuse la porta alle sue spalle e Glenn sentì subito nostalgia del vento e del silenzioso rumore del deserto che aveva lasciato fuori.

Appena possibile.  

La luce della torcia rischiarava le pareti, riflettendosi sulle lastre di vetro di quadri e specchi. Glenn intravvide qualche fotografia antica del motel e un paio di busti: uomini sorridenti con folti baffi, gli occhi nascosti sotto larghi cappelli; donne vestite da perfette casalinghe, ma con volti determinati e abbronzati dal sole.

Glenn si immaginò di trovarseli ad accoglierlo appena smontato dalla sua Harley, sorridenti e impolverati.

Benvenuto all’Hotel California, un posto delizioso. Diavolo, aveva davvero bisogno di una dormita. Abbiamo stanze libere in qualunque periodo dell’anno.

«Questa è la sua camera, signore» disse la ragazza, aprendo una delle tante porte di legno scuro. «Se ha bisogno di qualunque cosa venga pure a bussare alla mia, sono alla numero 66. C’è una lanterna elettrica appoggiata sul comodino, la accenda adesso, così non rimane al buio».

Vedendola più da vicino, Glenn intuì che cosa gli aveva fatto pensare al serpente a sonagli: la giovane era molto carina e sfoggiava un sorriso educato, ma questo raggiungeva a malapena gli angoli della bocca; dal naso in su, il suo viso sembrava pietrificato.  

«Come ti chiami?» chiese Glenn, mentre recuperava la lanterna e una luce fredda rischiarava una piccola stanza con letto matrimoniale. Si disse che gliel’aveva chiesto solo per cortesia, ma la verità era un’altra.

La verità è che ti stai facendo un miliardo di paranoie.

Se aveva un nome, non poteva essere un fantasma, giusto?  

«Mi chiamo Angie» rispose lei. Se l’era immaginato quel lampo di derisione nei suoi occhi? «Buona notte, signor Seagle»

 

Glenn fece in tempo a chiudersi la porta alle spalle, poggiare la lanterna e sedersi sul letto, prima di realizzare la stonatura.

Quando diamine le ho detto il mio nome?

Ripercorse i pochi minuti di conversazione, ma non ricordava proprio di essersi presentato.

A dire il vero, non ti ha chiesto nemmeno l’ombra di un documento.

Si passò una mano sul viso, cercando di convincersi che fosse tutta colpa della stanchezza. Probabilmente si era presentato in automatico, senza nemmeno rendersene conto.

Ma allora si sarebbe presentata anche lei, genio.

Glenn scrollò le spalle. Andò in bagno per darsi una rinfrescata e bere dal lavandino, godendosi l’acqua fresca; non si era accorto di essere così assetato fino a quel momento. Tornò sul letto, sfilò le scarpe e si sdraiò sopra le coperte.

Si disse che non doveva temere nulla, c’erano di certo altri ospiti alla locanda. Qualunque problema potesse avere la ragazza, non avrebbe dovuto affrontarlo da solo.

Ospiti arrivati volando, tesoro?

Gli servì qualche secondo per elaborare il senso di quello che la voce di Tabby, nel suo cervello, gli stava suggerendo.

Il parcheggio, Glenn. Come diavolo credi che siano arrivati gli ospiti?

Il parcheggio era vuoto. Non c’era nemmeno una macchina quando vi era entrato con la sua Harley, che infatti aveva lasciato praticamente in mezzo allo spiazzo. Glenn si conosceva abbastanza: la sua fissazione per i motori era qualcosa di istintivo e viscerale, non era il tipo da passare di fronte a un qualunque mezzo senza registrare marca e dettagli; se ci fosse stato un qualunque catorcio abbandonato in quel parcheggio, lo avrebbe notato.

Abbiamo stanze libere in qualunque periodo dell’anno, signore.

Alzarsi. Scarpe, giacca, corridoio, porta, spiazzo; Harley e tanti saluti all’Hotel degli orrori. Un piano geniale, che Glenn però riuscì a formulare solo nella sua mente. Un istante dopo, era crollato in un sonno profondo e decisamente innaturale.

 

C’era gente che ballava: uomini stretti gli uni agli altri si accalcavano in uno spazio troppo angusto. Glenn li osservava dalla finestra e tutto quello che riusciva a pensare era che di certo dovevano avere molta sete. Avrebbe voluto portare loro dell’acqua. No, sbagliato: se avesse avuto dell’acqua, se la sarebbe bevuta tutta lui, d’un sorso. Ma non ne aveva. Aveva in mano un bicchiere, pieno di un fresco vino bianco. Sapeva però che non lo avrebbe aiutato: avrebbe peggiorato la situazione.

Si sentiva la gola ardere, le labbra tirate. E gli uomini ballavano. Glenn ebbe l’impressione che ballassero per non sentire la sete.

Si svegliò sudato, con le labbra e la gola secche come se stesse bruciando dalla febbre. Riuscì a trascinarsi al lavandino del bagno, attaccandovisi con un desiderio che gli riportò alla mente i pomeriggi della sua infanzia, quando era capace di giocare per delle ore sotto il sole cocente senza sentire la necessità di bere; quando però smetteva di giocare, quando pensava a quanto in effetti avrebbe dovuto avere sete, allora quella arrivava tutta d’un colpo, e lui correva in casa sotto lo sguardo oltraggiato della nonna, che gli ricordava che solo i selvaggi si attaccavano al rubinetto a quel modo e tu non sei un selvaggio, giusto, Glenn? Sei un ragazzino beneducato che sa che per bere si usano i bicchieri.

Quando fu dissetato, Glenn si trascinò barcollante verso il letto, dove sprofondò di nuovo nel sonno, questa volta senza sogni.

 

 

 

Glenn aprì gli occhi e fissò il soffitto. I ricordi del sogno di quella notte sembravano troppo vividi per essere davvero ricordi di un sogno. Aveva di nuovo sete, ma questa volta non era in un lago di sudore e il fatto di riuscire a distinguere con facilità i contorni degli oggetti rendeva tutto meno confuso nella sua mente.

Di fronte al suo letto, illuminato dalla luce aranciata che filtrava dalle imposte, un grande quadro incorniciava la foto in bianco e nero di quello che avrebbe potuto essere il protagonista di un qualunque film Western.

Di nuovo, Glenn immaginò di arrivare alla locanda e trovare quel tipo così incredibilmente pittoresco ad accoglierlo con un educato “Benvenuto all’Hotel California”.

Benvenuto un paio di palle.

Si tirò a sedere, facendo scrocchiare il collo. Notò le ombre allungate sul pavimento. Un campanello d’allarme.

Luce aranciata dalle imposte?

Fu alla finestra con uno scatto, la aprì e si lasciò andare ad una imprecazione: in lontananza, un sole infuocato si stava lasciando scivolare dietro le montagne, in quello che non poteva essere altro che un tramonto.

Glenn uscì dalla stanza e cercò la numero 66 lungo tutto il corridoio.

Bussò con foga, ma la voce di Angie lo raggiunse alle spalle: «Signor Seagle?»

«Stammi lontano» sbottò, facendo un passo indietro. La ragazza gli rivolse per l’ennesima volta quel dannato sorriso da serpente a sonagli.

«Va tutto bene, signore?»

«Perché non mi avete svegliato stamattina?» Parte del suo cervello lo avvertiva che si stava comportando da vero maleducato. L’altra metà gli suggeriva di prendere per il collo quella sottospecie di cameriera che gli stava davanti e che lo osservava con lo sguardo che generalmente si riserva ai malati di testa. Dopotutto, aggredirla solo verbalmente gli pareva un valido compromesso.

«Non mi aveva detto di svegliarla, signore»

«Le avevo detto che volevo partire presto, però» sbottò Glenn, sentendosi però un po’ stupido «E comunque ho dormito davvero tutto il giorno senza che uno di voi si preoccupasse di me? Maledizione, potevo essere morto!»

«Sono entrata stamattina con il passpartour, signor Seagle. Ma dormiva, quindi l’ho lasciata stare»

«Quando ti ho detto il mio nome?» chiese lui a bruciapelo.

«Ma ieri sera, mentre entrava dalla porta» rispose lei «Mi era sembrato confuso, ma non pensavo stesse tanto male. Forse è per questo che ha dormito tutta la giornata»

Angie gli rivolse l’ennesima increspatura di labbra. E Glenn costatò con l’ennesimo brivido lungo la schiena che non sembrava minimamente spaventata. Eppure, avrebbe dovuto esserlo: era un esserino minuto e delicato, di fronte a un uomo adulto e in forze che pareva -Glenn ne era consapevole- aver perso la testa.

«La accompagno in sala da pranzo? Tra poco serviamo la cena… o forse vuole partire prima?»

Cerca di evitare che la ragazza chiami la polizia, magari. Del tipo -agente, c’è uno che ha dormito alla locanda ma mi sembra un po’ svitato, venga a prenderlo-.

Il pensiero seguente di Glenn fu che, se quello era il prototipo della dolce cameriera che si trovava nella zona, non voleva avere a che fare con il prototipo dello sbirro. Cercò di darsi un contegno.

«Sì. Io... arrivo tra un momento»

Fece una tappa in camera, sciacquandosi la faccia con l’acqua fredda e fissandosi negli occhi per qualche minuto allo specchio. In quel posto c’era qualcosa di strano, ma doveva tener presente che era in uno stato diverso dal suo, lontano da casa, e che nelle ultime ore si era comportato come uno schizzato. Ci mancava solo di dover pagare una cauzione per poter ripartire da quel buco. Sempre che le applicassero, lì, le cauzioni, e non fossero rimasti ai confronti con le pistole. In quel caso, temeva che lo sceriffo del distretto avrebbe avuto gioco facile su di lui.

Cena, e poi si fila via. Hai dormito abbastanza.

Una volta presa questa decisione si sentì un po’ meglio e raggiunse la sala da pranzo.

Era una grande stanza quadrata, con numerosi piccoli tavoli e un lungo bancone di legno scuro che separava la zona degli ospiti dalla cucina vera e propria. Angie stava mescolando qualcosa in una pentola, girata di spalle.

A uno dei tavoli più lontani dal bancone, un uomo e una donna sedevano silenziosi. Glenn tirò un sospiro di sollievo e pensò a quanto sarebbe stato felice di saperlo la sera prima, che c’era anche qualcun’ altro nel locale.

Scacciò il pensiero del parcheggio vuoto: potevano esserci miliardi di spiegazioni.

«Posso sedermi con voi?» chiese.

L’uomo e la donna gli risposero con uno sguardo vacuo.

«Oh, non ci faccia caso» Angie era apparsa al suo fianco, con in mano tre piatti pieni di pasta «Il signore e la signora Smith sono molto silenziosi con gli stranieri. Si sieda pure al loro tavolo, ma non credo che le rivolgeranno più di tanto la parola».

Glenn si mise seduto.

«Vi porto subito qualcosa da bere» disse Angie, prima di allontanarsi di nuovo.

«Ma c’è solo lei in questo hotel?» chiese Glenn. La donna inclinò leggermente la testa, osservandolo confusa.

Da vicino, Glenn notò che lei e suo marito avevano un aspetto livido: la pelle pallida e tesa, gli occhi che sembravano sporgere dalle orbite.

Il signor Smith gli afferrò la mano e scosse freneticamente il capo.

«No? Ci sono altri che lavorano qui?»

Di nuovo, lui scosse il capo.

Glenn pensò di cambiare approccio: «Da quanto tempo siete qui?»

Questa volta i due si guardarono negli occhi a vicenda, poi abbassarono lo sguardo sul piatto e cominciarono a mangiare.

Il parcheggio. Chiedigli del parcheggio!

Angie riapparve con una brocca d’acqua, mentre Glenn stava chiedendo «Come siete arrivati qui?».

Il signor Smith, di nuovo, scosse la testa, come se stesse cercando di passargli un messaggio fondamentale.

«No? Che cosa…»

«Il Signor Smith cerca di dirle di non fare domande, signor Seagle» disse Angie, e Glenn non ebbe bisogno di guardarla in viso per sapere che stava sfoggiando il suo insopportabile sorriso.

Serpente.

«Prenda un bicchiere d’acqua».

Glenn si versò l’acqua, chiedendosi perché lo stesse facendo, come se lei l’avesse ordinato.

Lei l’ha ordinato, amico. La domanda è perché tu le stai obbedendo.

Il signor Smith gli rubò la brocca di mano, mentre sua moglie gli afferrava il braccio e lo scuoteva, facendo uscire tutta l’acqua dal bicchiere.

«Hei!» scattò Glenn.

Uno sbuffo divertito provenne da Angie «E’ troppo tardi, signori Smith. Lasciate stare» disse, con il solito tono amabile «Fareste meglio a pensare a voi stessi».

Glenn fissò il bicchiere ormai vuoto che aveva in mano e sentì che la gola e le labbra iniziavano a bruciargli.

«Troppo tardi per cosa?» rantolò, non riuscendo quasi a riconoscere la sua voce. I coniugi Smith avevano ricominciato a mangiare, gli occhi incollati ai piatti.

«Ha mai sentito la storia di Persefone, signor Seagle?» chiese Angie, versando l’acqua nei bicchieri dei signori Smith.

«Io.. non capisco cosa…» Glenn faticava a concentrarsi. Vedeva solo l’acqua che scivolava dalla brocca ai bicchieri, e che poi spariva nelle bocche degli Smith.

La mia acqua.

«Gliela racconto io, nella versione breve: avrà tempo in futuro di informarsi più approfonditamente. Il re dell’Ade vuole tenersi Persefone tutta per sé, ma lei non ne vuole sapere. Lui le offre un frutto dell’oltretomba e lei lo mangia» la voce di Angie stava lentamente perdendo la dolcezza; anche se sapeva che era stata finta, Glenn si trovò a rimpiangerla quando il tono della ragazza divenne freddo e il suo sorriso più di derisione che di comprensione.

« Da quel momento in poi, Persefone è legata all’Ade senza possibilità di fuga.Vuole un goccio d’acqua?»

Il cervello di Glenn, quella parte che ancora non era in preda al panico, fece scattare un allarme «No… io, grazie, sono a posto così»

Angie si avvicinò un poco «Non si preoccupi, caro. Dopotutto l’ha già bevuta ieri sera, questa non può farle male»

«Io… preferirei del vino»

«Non ne abbiamo, sono desolata» rispose Angie, anche se i suoi occhi dicevano tutt’altro «Solo acqua. E’ sicuro di non volerne?»

Glenn scosse la testa, mentre il suo sguardo era attirato dai coniugi Smith: lui era rimasto incantato a fissare il bicchiere; lei entrava con le dita a raccogliere le ultime goccioline rimaste e se le portava alla bocca. Nessuno dei due sembrava più interessato a lui.

E anche lui faticava a mantenersi concentrato: sentiva una parte di sé che non avrebbe desiderato altro che trappare quella maledetta brocca dalle mani di Angie e scolarsela tutta.

«Quanti altri?» chiese Glenn in un sussurro con la lucidità che era riuscito a mantenere.  

«Più di quanti può immaginare, caro» rispose Angie amabile «Pochi decidono di andarsene, le nostre camere sono sempre piene di ospiti»

Decidono?

Portali via. Uccidila e portali via.

«Io lascerei perdere, signor Seagle»

Legge nel pensiero?

«Esattamente, signore. Ed è solo una delle tante cose che posso fare»

Questo era un sorriso vero, forse il primo da quando Glenn l’aveva incontrata. Sembrava però, più che il sorriso di una accogliente cameriera californiana, il ghigno di una iena di fronte alla preda.

«Non sarebbe il primo che tenta di fare l’eroe, signor Seagle» continuò Angie «Ma visto che mi è simpatico voglio darle un consiglio».

Il suo braccio si mosse ad una velocità inumana: afferrò l’affilato coltello per il pane che era appoggiato sulla tavola e se lo infilzò nel costato.

Glenn capì quello che era successo con un istante di ritardo, mentre già prendeva nota degli altri particolari: del sorriso di Angie che non era cambiato di una virgola, per esempio, o del fatto che dove il pugnale spariva in mezzo alla carne non era apparsa neanche una goccia di sangue.

«Le sconsiglio di cercare di uccidermi, signor Seagle»

Ma gli altri…

«Sono tutti qui per loro volontà, signor Seagle. Nessuno le impedisce di andarsene con la sua moto quando vuole»

Glenn le rivolse un’occhiata scettica, ma la vista del coltello piantato nel suo stomaco gli provocò un conato di vomito. Angie non sembrò turbata: «Può andarsene in qualunque momento, se desidera, signor Seagle. Ma non potrà mai davvero lasciarci».

Vuoi aspettare che cambi idea o ci diamo una mossa?

Glenn indietreggiò, prima lentamente, poi accelerando. Arrivato alla porta della sala da pranzo si voltò e attraversò di corsa il corridoio. Nel cortile, la sua Harley lo attendeva docile.

Glenn saltò in sella e partì, senza voltarsi indietro, cercando di contrastare il suo stomaco che si contraeva e il suo cervello che continuava a presentargli quello schifoso coltello che spariva in mezzo a… Basta.

 

 

 

Si fermò solo qualche chilometro dopo essere uscito dallo stato della California, al primo punto di rifornimento che trovò.

Stava morendo di sete e guidava da troppe ore in uno stato di trance: ormai era da parecchi chilometri che era sorto di nuovo il sole.

Barcollò giù dalla moto e sentì un paio di braccia che lo afferravano al volo e delle voci che gli ponevano domande in un tono preoccupato.

«Acqua» riuscì a dire.

«Sta male» disse una voce alle sue spalle, probabilmente appartenente all’uomo che lo sosteneva «Portate dell’acqua».

Passi che si allontanavano, passi che si avvicinavano.

Acqua.

Qualcuno gli avvicinò un bicchiere alle labbra, e Glenn assaporò l’acqua polverosa del deserto ad occhi chiusi.

Fu quando gli allontanarono il bicchiere, dopo che lui l’ebbe finito, che il sorriso da iena di Angie gli apparve davanti agli occhi.

Non potrà mai davvero lasciarci.

Aveva ancora sete.

 

 

 

'Relax,' said the night man,
We are programmed to receive.
You can checkout any time you like,
But you can never leave.

   
 
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