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Autore: Pervinca95    31/01/2018    10 recensioni
Gea e Deimos sono tornati.
Gea, una semplice ragazza dello Iowa la cui vita è stata stravolta in una notte, e Deimos, un ragazzo tanto affascinante quanto misterioso che non conosce i buoni sentimenti, si ritroveranno a lottare insieme per mantenere un equilibrio che rischia di saltare.
Un ottovolante di azione, misteri, colpi di scena, poteri che si intrecciano come rampicanti e emozioni che sbocciano come fiori di pesco ove meno ci si aspetta.
Tutto questo è "I misteri del tetraedro", l'inizio e non la fine.
*
È necessario aver letto "I poteri del tetraedro" per poter capire.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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Capitolo 5


















Gea osservò fuori dal finestrino con circospezione. Si sporse in avanti con la schiena, il respiro lento e i muscoli in allerta. 
Era notte fonda, una notte calma e mite. Eppure le sembrava di aver sentito qualcosa muoversi là fuori. Come i passi di qualcuno. 
Il cuore le stava scavando la cassa toracica per quanto batteva forte, le dita erano fredde come il ghiaccio.
Un silenzioso alito le sfuggì dalle labbra, eppure riuscì a riempire l'abitacolo in modo assordante.
Aveva il terrore di distogliere gli occhi dall'oscurità anche solo per un istante. 
Avrebbe voluto allungare una mano per chiamare Deimos, ma la paura le impediva di usare un qualsiasi muscolo. E così fece rapidamente scattare lo sguardo sul ragazzo di fianco a lei senza voltare la testa. 
Il sedile era vuoto. Deimos non c'era.
Il sangue le si gelò nelle vene e gli occhi le si sbarrarono come fanali, ma non per la scoperta dell'assenza del giovane. Non ne ebbe il tempo. 
Udì le sicure della macchina scattare e bloccarla dentro. Ed intanto dell'acqua saliva dal tappetino sporco sotto le sue suole. Saliva in fretta, divorando centimetri dopo centimetri come se non vedesse l'ora di ingoiarla. 
Il respiro le uscì spezzato. Immediatamente tirò le gambe sul sedile e cercò di aprire la portiera, le mani tremolanti e lo sguardo fuori di sé. 
E poi arrivò una luce fulminea, tanto improvvisa da costringere il suo istinto a chiuderle gli occhi per lo shock.
Quando li riaprì trovò un muro di fuoco ad avvolgere la macchina. 
I battiti del cuore le si accavallarono per l'elevata frequenza. 
Non riusciva a pensare, solo a guardarsi attorno con folle panico.
Le fiamme viravano dal rosso al blu, si dimenavano come fossero state vive e bramose di riceverla tra le loro lingue ardenti.
Gea gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Calciò come una furia contro lo sportello della vettura per aprirlo. Picchiò sfrenatamente contro il finestrino, urlando e piangendo, e quando abbassò le braccia i suoi polmoni si svuotarono tutto d'un fiato. 
I suoi occhi erano dritti in quelli del suo carnefice. 
Ed il cuore le smise di battere, la testa cessò di pensare, le braccia le cedettero come se fino a quel momento fossero state attaccate a dei fili. 
Quegli occhi erano sorridenti e spietati, ma di un castano caldo, ambrati. Tanto familiari da farle l'effetto di un pugno nello stomaco.
Perché quelli, quelli che le stavano restituendo lo sguardo, lei li conosceva bene. 
Erano i suoi occhi. 





                                                                    *  *  *





Gea si issò di scatto con la schiena, lo sguardo acceso di paura lanciato verso il buio oltre il tergicristallo.
Con lentezza misurata scandagliò il paesaggio, le labbra semiaperte e secche. 
Ricordò il fuoco, le fiamme che divoravano l'auto come fiere pazze di fame. Subito dopo il respiro le si accorciò, abbassò il capo sul tappetino sotto i suoi piedi con spasmodica celerità. 
Era asciutto, non c'era acqua.
Il cuore le batteva come un tamburo, sentiva tutti i sensi in allerta, tesi come soldati in un conflitto a fuoco. Così espirò pesantemente dalla bocca e si passò le dita sudate fra i capelli per rilassarsi. 
Si era trattato di un incubo, soltanto di un incubo. Niente di cui preoccuparsi veramente.
Per un po' si soffermò ad osservare l'orizzonte che si schiariva velocemente, sfumando il cielo di tonalità calde. 
Sospirò di nuovo, rassicurata dalla luce che le permetteva di avere controllo sull'ambiente circostante. Odiava sentirsi prigioniera dell'oscurità, come se quella le si potesse chiudere addosso e soffocarla. 
Ed in quel momento, col cuore ancora in tumulto, era proprio in quel modo che si sentiva: soffocata. 
Balzò fuori dall'auto, si appoggiò con la schiena allo sportello e chiuse gli occhi mentre incamerava l'aria pulita e fresca dell'alba. 
Aveva i nervi a pezzi, era sicuramente per quel motivo che aveva avuto quell'incubo. 
Era stressata, stanca, costantemente in ansia che acqua e fuoco la raggiungessero e preoccupata per i suoi genitori e le sue amiche. 
Quando ripensava alle persone che si era lasciata alle spalle percepiva un peso gravarle sullo stomaco. I suoi genitori avevano forse avvertito le autorità? E le sue amiche, George? Che cosa stavano pensando? 
Avrebbe voluto così tanto raggiungerli, almeno i suoi genitori. E magari abbracciarli, far vedere loro che stava bene, che... non era un'incapace. 
Le lacrime le salirono agli occhi. Voleva i suoi genitori, voleva vederli anche solo per un minuto, un istante. 
In quel momento ne sentiva la necessità in maniera viscerale, soprattutto quando i suoi pensieri si spostavano su acqua e fuoco. 
<< Che stai facendo? >> 
La voce ruvida e familiare di Deimos aggiunse un battito al suo cuore. 
Sollevò le palpebre ed incontrò lo sguardo freddo e circospetto del ragazzo, in piedi poco distante da lei.
<< Dov'eri? >> gli chiese col tono soffocato dalle lacrime trattenute. 
Lui mosse dei passi avanti, la testa leggermente inclinata e gli zaffiri incastonati sul suo viso a coglierne i dettagli. 
Dalla posa rigida e dai lineamenti tesi, si rese subito conto che qualcosa la turbava. 
La ragazza si accorse di quell'indagine sul suo volto, così abbassò il capo e frugò con lo sguardo per terra. << Si sta facendo tardi. Dovremmo and... >> La voce le si ruppe sull'ultima parola, correlata al pensiero di doversi ancora allontanare dai suoi genitori. 
Si morse forte un labbro e tentò di ricacciare le emozioni all'interno del suo cuore. C'era solo un problema: non ne era mai stata in grado. 
E mentre i fili d'erba danzavano sui suoi sentimenti come ballerini, Gea guardò di sottecchi il ragazzo. Lo trovò immobile, ancorato a lei con quel paio di zaffiri foschi e rigidi che conosceva bene. Ma non se ne sentì giudicata, paradossalmente si sentì libera di mostrargli se stessa. 
E così marciò dritta tra le sue braccia, il labbro che tremava e le lacrime che sgorgavano copiose sul suo viso. 
Nell'impatto del suo corpo contro quello del giovane, il cuore di quest'ultimo ebbe un guizzo d'inaspettata sorpresa. Così come i suoi occhi, che per un istante si dilatarono sfuggendo al severo controllo delle emozioni.
Gea gli avvolse le braccia attorno al bacino e nascose la faccia tra le pieghe della sua maglietta. La sentì profumare di caffè, un profumo che fino alla sera prima non aveva addosso e che le rivelava dove fosse stato all'alba.
<< Che stai facendo? >> le domandò duro, osservandole la testa. 
Gli dava fastidio quella vicinanza, ma non per la ragazza, bensì per un dilemma tanto stupido quanto umano. Non sapeva dove mettere le mani. 
Il pensiero di abbracciarla lo nauseava, non avrebbe mai compiuto un gesto tanto compassionevole e ridicolo. E così se ne stava con le braccia severamente stese lungo i fianchi, i pugni rigidi e la mascella contratta. 
Detestava quelle manifestazioni umane, ma ancora di più detestava quella sensazione di dubbio che aveva iniziato a provare in presenza della ragazza. Non si era mai sentito in quel modo, impreparato ad una qualche azione. Aveva sempre saputo cosa fare e come farlo, invece ogni volta quella ragazza dai grandi occhi ambrati rimescolava le carte in tavola e lo confondeva. 
<< Voglio i miei genitori >> bisbigliò lei, tirando su col naso. 
Per un istante la fronte di Deimos si aggrottò per l'inaspettata dichiarazione, poi, mentre ripercorreva i ricordi, le sue labbra si stesero in un mezzo sorriso di spregio. << Vuoi chi ti reputa incapace? O sei stupida o sei masochista. >> 
Gea sgranò gli occhi e si distanziò dal corpo di lui per inchiodarlo con lo sguardo. << Te lo ricordi. >> 
Si ricordava delle sue parole, della sua confessione durante il loro primo momento intimo. Si ricordava, lui ricordava, aveva dato importanza a ciò che gli aveva rivelato. 
Quella consapevolezza le fece tamburellare il cuore e imporporare le guance. 
L'aveva ascoltata. Ascoltata davvero.
In quel momento si accorse che i loro occhi erano rimasti allacciati proprio come quella prima volta insieme. E subito sentì le gambe molli e lo stomaco infestato da aironi che agitavano lesti le ali. 
<< Devo vederli, ne ho bisogno >> gli disse con tono vellutato. << Per favore, devono sapere che sto bene. >>  
<< No >> le rispose intransigente. << Mi servi viva, dei tuoi genitori e di quel che pensano non so che farmene. Sono perdite di tempo inutili per entrambi. >> I suoi zaffiri si fecero più duri. << Impara a pensare di più a te stessa. >>
Gea tirò indietro la testa e dischiuse le labbra mentre incassava il colpo.
Il cuore le stava pompando tanto forte da stordirla. Era doloroso ricordare che per i suoi genitori non era in grado di fare molto, se non nulla. Ma in quel dolore, per la prima volta, si mischiava qualcosa di diverso, di bello. 
Non si sentiva sola, l'unica a dover contrastare quella definizione che da sempre le stigmatizzava la vita. 
Per la prima volta aveva il sentore che qualcuno, la persona che avrebbe voluto più di tutte con sé, fosse al suo fianco. A difenderla. 
Era solo una sensazione, ma bastava per renderle più sopportabile tutto. 
Gea abbassò il capo ed allungò un braccio verso il ragazzo per cingergli con delicatezza un polso. 
Deimos non le staccò gli zaffiri di dosso neanche per un attimo, stese persino lo sguardo sulle loro mani vicine senza provare ad allontanarle. 
<< Ho bisogno di vederli >> ripeté piano lei. << Almeno una volta prima che acqua e fuoco... >> Deglutì per ricacciare un bolo d'ansia; le immagini del suo incubo le rabbuiarono gli occhi. << Prima che mi trovino. >> 
Il giovane restò per un po' in silenzio ad indagarle il volto, poi si piegò lento su di lei, le labbra a pochi centimetri dal suo orecchio. Gea avvertì il suo respiro caldo sfiorarle la linea del collo. 
<< Scordatelo >> scandì lui serio, e subito dopo, con un movimento secco, ritrasse il polso. 
Lo stomaco di Gea si strinse in una morsa d'afflizione. Gli occhi le si velarono nuovamente, quando alzò il capo delle lacrime le stavano già scavando le guance. 
Deimos deviò la propria visuale con un senso di fastidio crescente, le mandibole sigillate come maglie di una catena. 
<< So che si tratta di una mossa azzardata, ma io devo vederli. Perché... >> Si morse un labbro ed appoggiò un pugno sul petto del ragazzo. << Perché ho paura, va bene? Ho una paura folle di non vederli mai più e di dimenticarmi i loro volti. Mi hanno fatto male, tanto male, ma... >> Scosse la testa e si strinse nelle spalle con un piccolo sorriso. << Ma io li amo, sono i miei genitori. E per loro riuscirei a rischiare la mia vita con una mossa incauta. Perciò ti prego, permettimi di vederli. Anche solo per un istante. >> 
Deimos piombò rapidamente con gli zaffiri cupi su di lei. 
Non la capiva. Come poteva rischiare tanto per chi le aveva segnato negativamente la vita? Perché lo faceva? 
Per lui era inconcepibile. Il perdono non esisteva tra le sue risorse, né quella che la ragazza stava dimostrando proprio in quel momento: la bontà. 
Perché non era la stupidità a spingerla nelle braccia della morte, lei sapeva a cosa sarebbe andata incontro raggiungendo quei due sciocchi umani. Eppure per quella cosa chiamata amore, avrebbe rischiato. 
Il giovane le esaminò meticolosamente il viso delicato segnato dalle lacrime, i grandi occhi pervasi di tristezza e speranza, le labbra rosse e bagnate. 
Alla fine si scostò e prese a camminare verso la vettura. << Non adesso. >> 
Gea lo pedinò con lo sguardo, sentendo un piccolo sorriso spuntare sulle labbra. Si asciugò le lacrime col dorso della mano e strinse l'orlo della maglietta tra le dita in un gesto quasi infantile. << Quindi non è più no? >> 
Deimos si fermò con la mano sullo sportello, le lanciò un'occhiata da sopra il tettuccio della macchina per poi adagiarci mollemente un braccio. << Forse. Ora datti una mossa, abbiamo perso fin troppo tempo >> ordinò severo, prima di calarsi in auto con il sorriso di Gea impresso nella mente.





                                                                       *  *  *





Erano in auto da circa tre ore. 
Avevano varcato il confine dello stato dell'Oregon per spingersi in quello di Washington. 
Gea stava osservando il paesaggio desertico e arido fuori dal finestrino. 
Le piaceva quella terra brulla, di un marrone ardente e di venature rossicce. Era uno spettacolo a cui non avrebbe mai rinunciato volentieri.
Le alture di roccia rossa, imponenti e maestose, sembravano giganti di fuoco ferme nell'atto del riposo. E il cielo, il cielo spiccava su quello spettacolo come se ne fosse stato il protagonista. Spalancava la scena con i suoi fieri cavalli bianchi, leggeri ed eleganti come piume, per fare spazio alla regina: la luce. Ed eccola, lei, che sfiorava l'arido palco scarlatto, dirigeva le ombre, orchestrava il volgere della vita, ammansiva le bestie striscianti. 
Giganti di fuoco, secchi steli di passata esistenza, cemento ardente e terra sconfinata si inchinavano e riflettevano il suo bagliore cristallino. 
Trionfava la luce, trionfava la natura, vigeva l'armonia. Una tanto pura da spezzare il fiato, smuovere le corde del recondito e inondare gli occhi di bellezza. 
La ragazza sorrise alla vista di un falco che, come un pennello su una tela, si librava con fierezza e poesia. Immaginò il vento accarezzargli le soffici piume con la premura di una mano che scorre sui tasti e genera armonia. 
<< Non è stupendo? >> disse piano.
Deimos ruotò per un attimo la testa e seguì la traiettoria del suo sguardo, ma non le rispose. 
Non aveva mai fatto caso alla bellezza di un paesaggio o di un luogo. Non gli era mai interessato, per lui erano inutilità, sprechi di tempo. Contavano le azioni, la praticità, il rigore, la disciplina, l'utile. La distrazione rendeva deboli. Ma la verità era che non aveva mai trovato bellezza in niente.
Quel concetto era affiorato nella sua mente solo per mezzo dell'umana. 
E così i suoi zaffiri scesero sulla figura di Gea in maniera spontanea, la osservarono giusto il tempo di un battito di ciglia prima che lei si voltasse e lui, immancabilmente, dissimulasse.
<< Sai cosa penso? >> chiese lei, proiettando lo sguardo davanti a sé. << Che la vita mi abbia tolto tanto, ma che forse mi abbia regalato molto di più. >> Le sue labbra si allargarono in un sorriso. << Insomma, guardati attorno. Ho messo piede in luoghi incantevoli, li ho potuti ammirare da una prospettiva diversa rispetto a quella di un semplice turista, ed ho imparato tanto di me stessa. Sto viaggiando in più di un senso >> dichiarò con convinzione. << A volte mi faccio così prendere dalla malinconia e dalla paura da non vedere quel che ho guadagnato. Sono umana, dopotutto >> concluse con una scrollata di spalle, per poi lanciare un'occhiata scherzosa al giovane. << Un'umana molto poetica, non trovi? >> 
Deimos le rivolse un debole sguardo di sufficienza e tornò a concentrarsi sull'autostrada. 
In realtà aveva ascoltato con interesse le parole della ragazza. Lo disorientava il modo in cui lei a volte riuscisse a vedere le cose, perché non lo capiva. 
Non gli era mai capitato di dover trovare una chiave di lettura diversa dalla realtà. L'unica cosa su cui gli era stato insegnato meditare era l'azione, quella pratica, non teorica. 
Gea tirò le gambe sul sedile e se le circondò con le braccia. << Prenderò il tuo silenzio come un assenso e dunque come un complimento, perciò ti ringrazio >> scherzò con un inchino simulato con la testa.
Il giovane buttò un'occhiata su di lei per un breve istante. 
C'era qualcosa, dentro di lui, che premeva per uscire. Era come un rigurgito di lava che gli bruciava sulla punta della lingua. 
Era... curioso, sì, curioso di conoscere dei frammenti di vita di quella ragazza. Avrebbe voluto sapere perché si ostinava a cercare i propri genitori, perché puntualmente li perdonava, perché vivesse da sola, perché volesse trovare qualcosa di positivo ad ogni circostanza, perché e ancora perché. 
Ma la vera domanda era: perché a lui interessava? 
Spostò gli zaffiri sullo specchietto retrovisore con un gesto infastidito del capo, le mascelle strette. 
Il punto era che una risposta non ce l'aveva, gli interessava e basta. 
Stava diventando una consuetudine per lui non avere risposte quando si trattava della ragazza. 
Inspirò forte dal naso e aumentò la presa delle dita sul volante. 
Gea lo guardò stranita. << Che hai? Devi andare in bagno? >> chiese innocentemente. 
I muscoli del giovane si rilassarono all'istante. << Non sei degna di ricevere una risposta. >> 
<< Guarda che non c'è nulla di male. Anche a me una volta è capitato mentre ero in autostrada con il pulmino della scuola. Be'... >> si strinse nelle spalle. << In realtà fu piuttosto umiliante chiedere all'autista di fermarsi alla prima stazione di sevizio disponibile, soprattutto se si considera che ero nel bel mezzo di una gita scolastica. Ma adesso siamo solo noi, quindi se dev... >>
<< Non devo andare in bagno >> la interruppe secco.
Gea rimase per una manciata di secondi in un silenzio da confessionale, palesemente stordita dalla brutta figura. << Oh. Ah >> blaterò imbarazzata, annuendo. Subito dopo si schiarì la voce e sistemò dei capelli dietro l'orecchio. << Comunque... ero piccola. Intendo quando dovetti bloccare il pulmino. Ecco, sì, molto piccola. Non vorrei esagerare, ma... quasi in fasce. >> 
Un sopracciglio del giovane si sollevò scettico. << Certo >> disse schioccando la lingua al palato. << Al massimo sarà successo un anno fa. >>
Gea strabuzzò gli occhi. << Come lo sa... >> Si bloccò di colpo, prima di finire l'ultima parola. Le guance le presero fuoco mentre si malediceva per la sua avventatezza. << Hai... hai visto che bella giornata oggi? >> buttò là senza nemmeno sapere cosa stesse dicendo. << Fa proprio caldo >> aggiunse mentre si sventolava il viso paonazzo. 
Deimos si voltò a fissarla con un mezzo sorriso beffardo. 
<< Non dovresti guardare la strada? >> lo reguardì lei accigliata. << Concentrati. >> 
Se solo non fosse stata in compagnia del ragazzo si sarebbe certamente data uno schiaffo. 
Cosa le veniva in mente? Ci teneva così tanto a piacergli e poi si metteva a parlare dei suoi disturbi intestinali. O era idiota o era idiota. 
Il giovane la bersagliò di occhiate divertite finché quelle sue guance rosse non tornarono del solito colorito, poi quegli sguardi fugaci, man mano, si fecero più intensi ed esaminatori. 
Senza che quasi se ne rendesse conto, i suoi zaffiri rimbalzavano dalla strada a lei ad intervalli sempre più stretti. E nel frattempo la sua mente si riaffollava di indesiderati interrogativi sulla sua vita, su ciò che ne era trapelato e su quanto ancora non conosceva. 
Tese i muscoli per quella curiosità seccante.
<< Perché continui a cercare i tuoi? >> domandò subito dopo, diretto. 
Le gemme ambrate di Gea si spalancarono per quella richiesta inaspettata. 
Era stata colta così alla sprovvista da sentire il cuore correre rapido come una lepre ed un insolito formicolio dietro la nuca. 
Era la seconda volta che le faceva una domanda sulla sua vita privata. Era la seconda volta che mostrava interesse nel conoscerla. Eppure quella le sembrava la prima vera volta che provava a saperne di più sul suo conto.
Si guardò le scarpe con timidezza e ne ripulì la punta dal terriccio incrostato. << Perché li amo >> dichiarò con un filo di voce. 
<< Anche se per loro sei un'incapace? >> insistette lui, il tono grave. 
L'indice della giovane continuò a vezzeggiare la scarpa con movimenti lenti, lo sguardo spento dai tristi ricordi incastrato su quell'azione. << Anche. Non riuscirei ad immaginare la mia vita senza di loro. >> 
<< Eppure vivi da sola >> precisò Deimos con la volontà di mettere in discussione le sue parole.
Per lui tutto quell'amore, quella mielosa cosa da umani, era inconcepibile. Così insensata da essere snervante e irrealistica. Solo una stupida illusione a cui gli umani si aggrappavano per dare uno scopo alle loro vite. 
Gea inspirò profondamente e tirò indietro la testa per appoggiarla contro il sedile. Per un po' non parlò. Se ne stette lì, con gli occhi puntati sul tetto interno dell'auto e la mente invasa di ricordi. 
Ad un certo punto si inumidì le labbra e rilasciò un sospiro dal naso. << Era un modo per dimostrar loro che non sono un'incapace. Quando gli ho detto che avrei voluto provare a vivere da sola non hanno fatto resistenze. Non mi hanno trattenuta. >> Gli occhi della ragazza si persero sulla strada. << Erano fieri di me. Per la prima volta forse >> le uscì con tono atono. 
In un attimo quel frammento del suo passato le saettò alla vista. Rivide le espressioni sorridenti dei suoi genitori, l'approvazione nei loro occhi, il modo in cui si erano guardati, con orgoglio. E risentì, risentì il suo cuore che si spezzava.
Si riscosse dall'oblio di quella memoria e schiarì la voce mentre le sue iridi ambrate rimbalzavano da un lato all'altro del tappetino. << Alla fine non c'è molto da raccontare >> disse in fretta, come a voler chiudere quel capitolo prima che le facesse troppo male.
Deimos notò il repentino cambiamento nell'atteggiamento e nella voce della ragazza. Con la coda dell'occhio vide il suo viso farsi ombroso e serio, la sua postura farsi più rigida e curva, come se il peso dei ricordi la opprimesse e lei non riuscisse a contrastarlo. 
Lo innervosì. 
<< Sei patetica >> le disse infatti, spregioso. 
Gea spalancò gli occhi e in un secondo atterrò con lo sguardo sul suo profilo granitico. << Che vuoi dire? >> 
<< Rincorri una delusione per speranza. Non esiste niente di più patetico >> asserì con una smorfia sprezzante della bocca. 
La giovane scosse il capo con decisione, il cuore che batteva forte. << Non devi parlare così di loro. Forse non sono stati dei buoni genitori, ma spero sempre, tutti i giorni, che possano diventarlo, che mi apprezzino per ciò che sono, che... >>
<< Smettila di sperare che tutto cambi se a cambiare sei solo tu >> la interruppe con fredda risolutezza.
Gea sbatté rapidamente le palpebre mentre i palpiti del cuore le salivano fino alle orecchie. 
<< Che vuoi dire? >> chiese sottovoce. 
Gli occhi cobalto di Deimos non si mossero dalla strada. Erano impassibili e tanto glaciali da sembrare che appartenessero ad un essere senza anima. << Che cambiare per essere accettati è patetico >> sentenziò lapidario. 
Le guance della ragazza si riscaldarono come quel muscolo che le stava impazzendo di battiti. 
Anche se i termini con cui lui spesso si esprimeva erano brutali e al vetriolo, lei aveva imparato a leggere tra le righe e a cogliere quel senso che, con parole più dolci, non le avrebbe mai dichiarato. 
Ed in quel preciso istante era come se lui le avesse detto che non sarebbe mai dovuta cambiare per piacere a qualcuno. 
Non era certo una confessione d'amore, ma per lei aveva un'importanza enorme. Era ciò che di più bello le fosse mai stato detto fino a quel momento.  
Sprofondò nel sedile con un piccolo sorriso e ruotò il viso per guardarlo. << Hai ragione, non dovrei cercare di essere qualcun altro per essere apprezzata dai miei genitori. Ma questo non cambierà mai l'amore che nutro per loro, cambierà solo la concezione che ho di me stessa. Forse imparerò ad essere più sicura di me, chi lo sa. >> Si strinse nelle spalle e rilasciò un debole sospiro per scaricare la tensione. 
Poi nell'abitacolo calò il silenzio. 
L'espressione di Deimos era quella di chi aveva appena ascoltato qualcosa di nullo interessante, eppure non gli era sfuggita l'inflessione più rilassata nel tono di lei, non gli era scappato il sorriso che aveva percepito nella sua voce. Aveva prestato attenzione ad ogni minuzia e ad ogni parola. 
Gea intanto lo osservava assorta, sperando che lui non la scoprisse da un momento all'altro. 
Era rimasta colpita da quel che le aveva detto. Aveva intravisto un'altra sfaccettatura del suo modo di pensare e vedere le cose che la rendeva felice. 
Perché più lo conosceva e più voleva conoscerlo, più lo conosceva e più se ne invaghiva. Perdutamente. 




                                                                       *  *  *






Era sera inoltrata quando Deimos slacciò i cavi sotto al volante dell'auto. 
Diversamente da ogni altra volta non si trovavano in un antro nascosto o al limitare di qualche boscaglia, ma in un comune parcheggio nel bel mezzo di un piccolo centro cittadino.
Gea aggrottò la fronte mentre la sua vista si stendeva tra le file di lampioni e le insegne luminose di alcuni negozi ancora aperti. << Che ci facciamo qui? >> 
<< Cerchiamo un posto per la notte. Va' a prendere quel giornale >> le ordinò con un cenno del mento ad indicare un distributore di riviste sul marciapiede. Subito dopo le lanciò una moneta sulle gambe. << Datti una mossa >> la esortò ferreo.
La ragazza alzò gli occhi al cielo. << Agli ordini, capo >> disse ironicamente mentre balzava fuori dalla vettura. 
Corse a prendere un giornale e tornò di volata dal giovane. << Questo va bene per il tuo misterioso scopo? >> chiese porgendoglielo. 
Deimos glielo prese di mano e lo sfogliò celermente alla ricerca degli annunci immobiliari. 
Gea si sporse verso di lui per capire cosa stesse facendo. << Compriamo casa? >> gli chiese dubbiosa, mentre la sua fantasia ed il suo cuore andavano di pari passo. 
In un batter d'occhio si immaginò mentre varcava la soglia di una casetta arredata di tutto punto in braccio a quel ragazzo dagli occhi cobalto, magari vestita con un abito bianco.
La sua romantica fantasia fu interrotta bruscamente da un'altra moneta che atterrava sulle sue gambe. 
<< Va' a farti dare l'indirizzo >> le disse Deimos restituendole un pezzo di giornale con un gesto indolente del braccio. La guardò dritta negli occhi, la testa inclinata verso di lei e la nuca incollata al poggiatesta. << Sbrigati. >>
Gea osservò il frammento di carta su cui si trovava l'annuncio di un monolocale. Sospirò stancamente e scese di nuovo dall'auto per dirigersi alla cabina telefonica. Inserì la moneta e digitò il numero sul foglietto.
Al terzo squillo le rispose la voce di un uomo.
<< Salve, ho letto il suo annuncio sul giornale. Ehm, dell'appartamento. Sì, ecco, io e il mio... >> I suoi occhi saettarono istintivamente oltre il vetro per raggiungere il ragazzo. 
Se ne stava con una gamba vicina al petto, il braccio pigramente abbandonato sul ginocchio, il mento alto e il capo adagiato al sedile. Ma il cuore le traballò soprattutto per quegli occhi; quegli occhi che la stavano fissando da lontano e che in quel momento erano legati ai suoi da un filo invisibile. 
<< È ancora lì? Signora? >> 
Gea mantenne lo sguardo ancorato a quello del giovane. << Sì, mi scusi. Io e il mio... compagno >> sussurrò con un sorriso imbarazzato, per poi guardare a terra timidamente, il cuore impazzito. << Noi vorremmo vedere la casa. Sarebbe possibile domani o dopodomani? Se mi dà l'indirizzo possiamo trovarci direttamente lì. >>
Pochi minuti dopo Gea montò in macchina con un ampio sorriso e un sospiro liberatorio. << Ho l'indirizzo. Mi è dispiaciuto prendere così in giro quel pover'uomo, ma sono troppo contenta di potermi finalmente fare una doccia e di dormire su un materasso. Mi ha detto che la casa viene venduta coi mobili, o con la maggior parte almeno. Comunque domattina, per sdebitarci, gliela lasceremo esattamente come l'abbiamo trovata. Non... >>
<< Mi vuoi dare quest'indirizzo? >> tagliò corto il giovane.  
Lei gli scoccò un'occhiataccia. << Come sei antipatico, santo cielo. Non hai letto su quel giornale che oggi sono diventata santa? Era in prima pagina. >> 
<< Se non la finisci domani sarai nei necrologi. >> 
Gea sbuffò stizzita e carpì con la coda dell'occhio il sorrisetto impudente che gli si era stampato in faccia. 
Incrociò le braccia sul petto e scosse il capo fermamente. << Sei odioso, davvero odioso. >> 





                                                                         *  *  *





Si erano teletrasportati nell'appartamento da circa un'ora. Gea aveva avuto il tempo di esplorarlo ed esaminarlo con cura, finendo col reputarlo carino e confortevole.
Si trattava di sole due stanze: una abbastanza spaziosa per il soggiorno e l'angolo cottura, la seconda più piccola per la camera. 
La maggior parte dei mobili erano coperti da teli di plastica che ne evitavano accumuli di polvere, ma tutto sommato Gea poté constatare che di sporcizia ce n'era ben poca. Probabilmente, pensò, era stata messa in vendita da poco tempo.
Prima di teletrasportarsi aveva fatto bottino di biancheria pulita, di saponi per corpo e capelli e di un cambio d'abito per il giorno dopo. Ed in quel momento, mentre il ragazzo era fuori a prendere da mangiare, lei stava giusto osservando i vestiti che aveva appoggiato sul letto.  
La sua attenzione era catturata da una maglietta in particolare. Era marrone, di un colore caldo che ricordava tanto quello della terra baciata da sole, e che le aveva fatto battere il cuore per la persona che le aveva detto di prenderla. 
Quel ricordo le fece spuntare un sorriso e tingere le guance di sfumature purpuree.
Era curiosa di scoprire come le stesse.
La prese in fretta e furia, assieme alla biancheria, e sgattaiolò nel bagno a fare la doccia.
Si lavò dalla testa ai piedi per estirpare quella sensazione di sporcizia che percepiva da giorni e che le faceva arricciare il naso. Lasciò che l'acqua le scorresse sui capelli e sul viso come a volersi far scivolare di dosso le preoccupazioni e i pensieri assillanti. 
Quando uscì dalla doccia, avvolta nel lenzuolo del materasso, si cercò allo specchio. 
Aveva gli occhi cerchiati dalla stanchezza e le guance più scavate rispetto ai mesi precedenti, quelli in cui la sua vita scorreva monotona. Qualche livido qua e là sulle spalle e sulle braccia le ricordava quanto la sua routine fosse, invece, diventata insolita e pericolosa. 
Si trovò diversa, pur sempre se stessa, ma con una maturità ed una consapevolezza diverse negli occhi, nel volto. Come se la sua mente avesse trasferito la sua crescita interiore anche sul corpo. 
Il suo sguardo era più deciso, più attento, più cosciente, esprimeva un vissuto percepibile dalla sua intensità. Eppure conservava la vecchia se stessa, quella più ingenua e spensierata. 
Sorrise al suo riflesso, per poi tamponarsi i capelli e vestirsi con un nuovo paio di pantaloncini, stavolta morbidi ed elasticizzati, e la maglietta che le aveva indicato Deimos. 
Quando tornò ad esaminarsi il cuore prese a batterle un po' più forte. 
Dovette constatare che la maglietta le tornava bene, forse meglio di quanto avesse sperato, e che quel colore le donava. L'unica pecca era il fatto che le lasciasse il ventre scoperto malgrado i vani tentativi di abbassarla. 
Era emozionata al pensiero di farsi vedere dal giovane, aveva un groviglio nella pancia e nello stomaco. Mentalmente non poteva che darsi della scema, eppure il suo cuore reagiva di propria iniziativa. 
Quando udì un pugno contro la porta per poco, quel cuore, non le scoppiò per lo spavento. 
<< Esci, devo fare la doccia anch'io >> sentì dire dal ragazzo. 
Gea spalancò la porta con una mano sul petto. << Ma sei pazzo? Sono quasi morta >> dichiarò provata, per poi rendersi conto che lui non la stava neanche guardando in faccia. I suoi occhi cobalto stavano passando in rassegna ogni centimetro del suo corpo con un'espressione seria e vigile. 
In un batter d'occhio le guance le andarono a fuoco e le farfalle nello stomaco morirono per il sovraccarico emozionale. 
Gea si schiarì la gola e tornò rapidamente sui suoi passi per raccogliere le sue cose. << Che hai preso da mangiare? >> chiese nella speranza che quell'improvvisa tensione si spezzasse. 
Quando si voltò a guardarlo, proprio mentre stava afferrando l'ultimo calzino sporco, trovò gli zaffiri di Deimos dritti nelle sue gemme ambrate. 
<< È sul tavolo >> si limitò a dire lui con un lieve cenno del capo. 
La ragazza scappò da quel contatto visivo con alcuni secondi di ritardo. << Ok, vado a vedere. E... ti lascio il lenzuolo. Ok, fai veloce se puoi. Ho fame >> disse abbozzando un sorriso.
Il cuore le tamburellò nel petto mentre gli passava accanto e sbucava nella camera. Nel vedere il letto matrimoniale, dettaglio su cui prima aveva sorvolato, lo stomaco le lanciò delle fitte e la frequenza cardiaca ne risentì con un'impennata.
Buttò la sua roba alla rinfusa dentro un cassetto del comò e attraversò di volata il breve corridoio che conduceva all'altra stanza. 
Quando fu lontana dalla vista del ragazzo si lasciò andare ad un sospiro ansioso. Si appoggiò con il fondoschiena e i palmi ad un bancone della cucina e cercò di calmarsi. 
Aveva il viso in fiamme. 
Possibile che il giovane le facesse sempre più quell'effetto? 
Nei primi tempi non si sentiva arrossire per ogni suo sguardo né il cuore le impazziva per ogni suo avvicinamento. 
Una vocina nella mente le rivelò quello che il suo cuore conosceva già da tempo. 
Era incondizionatamente innamorata di lui, molto più di quanto lo fosse in precedenza. 
Per lei quel ragazzo dai modi scontrosi e gli occhi glaciali era diventato un compagno di vita, un pilastro nella sua esistenza, l'unica persona della quale le interessasse veramente il parere. Teneva a lui più di quanto tenesse a se stessa. 
E mentre diventava sempre più consapevole di quel sentimento, le fronde degli alberi si agitavano, le luci dei lampioni apparivano ad intermittenza, la terra si riscaldava assieme al suo cuore. 
Le venne da sorridere per la felicità. 
Per un attimo si lasciò andare ad una breve risata sommessa e scosse il capo.
Lei che aveva sognato il principe azzurro, un ragazzo dai modi gentili e pacati, capace di dimostrarle amore sia coi gesti che con le parole, alla fine si era innamorata del principe oscuro. 
Rappresentava quanto di più lontano avesse mai immaginato.
Appena udì i passi del ragazzo farsi vicini, sgranò gli occhi e saltò sul posto. 
Non voleva di certo farsi trovare lì, con una faccia da ebete sognante e le guance rosse come un evidenziatore. 
Si guardò frettolosamente intorno e poi si lanciò sulla busta del cibo. 
Quando Deimos entrò nella sala la vide mezza riversa sul tavolo, in una posa simile a quella di un animale che ha atterrato la sua preda.  
Sollevò un sopracciglio guardingo. << Che stai combinando? >> 
Gea forzò un sorriso per niente imbarazzato. << Te l'ho detto che avevo fame. >>
<< Hai mangiato il mio panino? >> le chiese con uno sguardo improvvisamente minaccioso. 
<< No, certo che no >> si difese lei. << Ti stavo aspettando e... nel frattempo li tenevo caldi >> asserì tirando qualche debole pacca al sacchetto. 
Deimos continuò ad osservarla con sospetto, almeno fino a quando non appurò con i propri occhi che il suo panino era intatto. 
Cenarono sul divano, di fronte ad un piccolo televisore a cassettone sovrastato da un'antenna più grossa dell'elettrodomestico stesso. O meglio, il ragazzo ci si era diretto senza proferire parola, col suo cheesburger e la sua birra, Gea lo aveva seguito come una bambina che segue le orme del padre. 
Se ne stavano uno al lato opposto dell'altra: Deimos seduto stravaccato, con un braccio allungato sulla testata del sofà che teneva la birra e Gea addossata ad un bracciolo con le gambe piegate sul tessuto scolorito del divano.
Il ragazzo stava guardando con indifferenza un episodio di una serie TV d'azione, lei invece aveva già finito il proprio panino e se ne stava a fissare il giovane.
E così, mentre lo studiava tanto attentamente da scoprire una piccola cicatrice alla fine del suo sopracciglio destro, nella mente le sciamavano innumerevoli domande sulla sua vita. Una più di tutte, in quel momento, le pizzicava la lingua come la chela di un granchio. 
Voleva saperne di più sul suo passato, sulla sua famiglia. Voleva sentire cose che nessun altro aveva mai udito pronunciare dalla sua bocca.    
E proprio in quel momento, nella breve frazione di attimo in cui pensò che sarebbe voluta essere la sua confidente, la persona che più lo conosceva, quella con cui lui si sentiva se stesso, le tornò alla mente una persona. E le sue domande cambiarono indirizzo, deviarono su un terreno che le faceva sentire il cuore infilzato dagli spilli.
<< Hai più rivisto Brittany? >> gli chiese secca, il tono serio.
Aveva paura della risposta. Una parte di lei avrebbe preferito non indagare per timore di ricevere qualche brutta sorpresa, un'altra invece, la più coraggiosa, la spingeva a cercare risposte.
Deimos si voltò a guardarla con un sorrisetto da schiaffi ad accendergli il blu delle iridi. << Quasi tutte le notti. >> 
Il cuore di Gea perse battiti in successione mentre gli occhi le si sgranavano. Per qualche secondo i suoi pensieri si bloccarono, la sua attività cerebrale andò in panne, ma poi, improvvisamente, si rese conto che qualcosa stonava. 
<< Stai mentendo >> dichiarò incrociando le braccia sul petto con la speranza che la sua osservazione fosse esatta. 
Il giovane sollevò un sopracciglio. << Cosa te lo fa pensare? >>
<< Di solito non rispondi in maniera così diretta, specialmente se ad essere toccata è la tua sfera privata. Sarebbe stato più da te uscirtene con un categorico "sono fatti miei" e lasciarmi crogiolare nella curiosità  >> spiegò Gea con un tono falsamente sicuro.
I suoi occhi ambrati lo tennero sotto mira con ansiosa aspettativa finché non videro il sorrisetto del ragazzo allargarsi di poco, come compiaciuto.
Dentro di sé sospirò di sollievo e ringraziò il cielo.
<< Se non t'importa niente di lei perché l'hai scelta come tua ragazza? Non è una cosa da umani? >> gli chiese assottigliando lo sguardo confusa.
<< Mi era utile per entrare in casa sua e prendere quel di cui avevo bisogno >> le rispose con disinteresse, riprendendo a concentrarsi sulla televisione. 
La bocca della ragazza si spalancò basita. << Tu stavi con lei per derubarla? Puoi rubare ovunque col teletrasporto, a cosa ti serviva lei? >> 
<< Era un fornitore di soldi, cibo e macchine senza telecamere. A volte tornava più utile di un supermercato. >> 
La giovane non riusciva a credere alle proprie orecchie. << Perciò quella volta che le hai detto di lasciare la finestra aperta sei andato a rubare? >>
<< Mai sentito parlare dell'utile e il dilettevole, umana? >> Deimos le scoccò un'occhiata tanto sfacciata quanto il sorriso delinquente che gli accendeva di pericolosità lo sguardo.
L'irritazione e la gelosia per quella dichiarazione avvolsero il cuore della ragazza che, di conseguenza, strizzò le labbra e smise di guardarlo per concentrarsi su altro. 
Odiava il fatto che lui fosse tanto libertino nei rapporti, odiava immaginarlo con una ragazza che non fosse lei, figurarsi quando le confessava delle sue avventure notturne con quella faccia da schiaffi. 
Deimos notò la sua espressione tirata con la coda dell'occhio. << Hai perso la lingua, umana? >> la punzecchiò divertito. 
Un sopracciglio di Gea saettò verso l'attaccatura dei capelli fin quasi a finirci nel mezzo tant'era stizzita. << Non sono interessata alle tue storielle, tutto qua. Ti sembrerà impossibile, ma non sei il fulcro dei miei pensieri. >> E invece sì che lo era, ma in quel momento avrebbe preferito tagliarsi una mano piuttosto che dargliela vinta. 
Il sorrisetto impertinente del ragazzo divenne spregiudicato. << Cos'è? Fai la gelosa? >> 
Lo divertiva talmente tanto stuzzicarla e beccarsi le sue occhiate truci, proprio come in quel momento, che prima che se ne rendesse conto era diventato il suo passatempo preferito. Ed era la prima volta che nella sua vita si affacciava un'altra persona, che qualche pezzo della sua vita, anche solo un particolare, coinvolgesse qualcun altro all'infuori di se stesso. Ma in quegli istanti di spasso non se ne rese conto, non si accorse che quella giovane dai grandi occhi ambrati di giorno in giorno assumeva un ruolo più centrale nella sua vita.
<< Guarda, mio caro >> attaccò Gea con un ampio gesto della mano. << Mettiamo subito in chiaro le cose. Non sono minimamente gelosa di te e, anzi, ti dirò di più, non so nemmeno cosa sia la gelosia >> affermò sicura. << Ad irritarmi è la tua persona. Comunque... solo per curiosità... >> Si schiarì la voce con finta nonchalance e si attorcigliò i capelli su una spalla per dare un'impressione di sé disinteressata. << Brittany per te non contava nulla? Insomma, non ti piaceva? >> chiese guardandolo di sottecchi. 
Il sorriso insolente di Deimos si estese, mentre un lampo divertito dal controsenso palese nelle parole di lei gli attraversava le iridi cupe, ravvivandole. 
<< No, caro >> riprese Gea, notando quel bagliore nel suo sguardo. << Non è gelosia. Sono una gran pettegola e voglio farmi i fatti tuoi. Forza, rispondi >> lo incitò aprendo e chiudendo la mano. 
<< E a chi lo andresti a spifferare? >> 
<< A me stessa allo specchio. Gradirei una risposta, grazie >> disse con un sorriso falsamente bonario. Subito dopo attaccò a dargli dei morbidi e ripetitivi colpetti col piede sulla gamba. << Sto aspettando. >> 
Deimos la infilzò con lo sguardo. << Togli il piede. >>
<< No >> rispose lei con tono di sfida. << E poi ho fatto la doccia e mi sono messa dei calzini puliti. Fai poco lo schizzinoso. >> 
Un attimo dopo il ragazzo le aveva agguantato la caviglia e gliela teneva sollevata. 
Gea mosse le dita del piede con ironica sensualità e rise divertita. << Vuoi dare un bacetto al mio piedino profumato? Guarda quant'è affascinante. >> 
Il giovane le spintonò via la caviglia con una smorfia schifata. << Mi dà il voltastomaco. >> 
La ragazza si portò una mano sul cuore con un'espressione teatralmente sconvolta. << Oh mio Dio. Non voglio credere che tu l'abbia detto. >> Si alzò dal divano e lo guardò scherzosamente torva. << Io e il mio piede non possiamo accettare un simile spregio. Ce ne andiamo >> sentenziò partendo per la camera col mento sollevato per l'offesa. 
Mentre attraversava il corridoio ruotò un attimo il capo. << A mai più >> disse annuendo decisa. 
Quando riprese a guardare davanti a sé per poco non le venne un colpo. Deimos era lì, sul suo tragitto verso l'altra stanza, con un mezzo sorriso insidioso stampato sulle labbra. << Dove pensi di andare? Devi pulire. >> 
Gea esplose in una risata sardonica. << Scordatelo. Piuttosto tu... >> Iniziò a punzecchiarlo con l'indice sul petto. << Devi ancora rispondere, ricordi? >>
Il giovane le avvolse saldamente il polso per porre fine quel fastidioso picchettamento. E intanto non le staccava gli occhi di dosso che, nella penombra del corridoio, parevano due zaffiri grezzi in una cava buia. << Cosa vuoi che m'importi di quell'umana? >> le disse assieme ad un tono basso e ruvido. 
Il battito cardiaco della ragazza accelerò mentre le guance le si tingevano di rosa. 
Il sollievo per quella risposta le fece sentire le gambe di gelatina e la mente leggera. Percepì distintamente quel peso trasformarsi in polvere e volar via dal suo cuore. 
Avanzò di un piccolo passo e si morse piano un labbro. 
<< Ti importa di qualcuno? >> gli domandò sottovoce, intanto che pian piano, con flemma, si alzava sulle punte. 
Deimos le strinse di più il polso, poi guidò l'altra mano verso un suo fianco scoperto e ci affondò le dita. << Di me stesso. >> 
Sulle labbra della ragazza spuntò un sorriso. Sapeva che avrebbe risposto in quel modo. Un qualsiasi altro responso le sarebbe suonato come un accordo stridente. Non sarebbe stato da lui, dalla persona ruvida di cui si era innamorata. 
<< Come sospettavo >> sussurrò prima di far incontrare le labbra con le sue. 
Gli diede un bacio casto, delicato, senza pretese. Appoggiò lievemente la bocca su quella del ragazzo per qualche secondo, poi si ritrasse piano. 
E fu proprio nell'istante in cui le sue gemme ambrate entrarono in contatto visivo con gli zaffiri di Deimos che qualcosa scoccò nella bolla d'aria che li ammantava. 
Si mossero quasi nella stessa frazione di secondo. 
Lui la spinse freneticamente contro una parete e lei gli cinse il collo mentre i loro respiri si incrociavano e le loro bocche si scontravano. 
Deimos le tolse subito la maglietta e la gettò da qualche parte alla rinfusa. 
Era tutta la sera, da quando le aveva visto indosso quel capo che aveva scelto lui stesso, che non riusciva a pensare ad altro che a toglierglielo. 
La verità era che gli piaceva, gli piaceva da morire il modo in cui le stava.
Gea gli strattonò il colletto della t-shirt e lo costrinse a staccarsi dalle sue labbra per sfilargli la maglietta. Senza perdere altro tempo, Deimos si piegò su di lei e cominciò a costellarle il collo di baci appassionati, rabbrividendo man mano che la sentiva sospirare di piacere. 
Le passò le mani sotto le gambe con urgenza e la issò da terra per trasportarla nella camera da letto. 
<< Se mi lanci ti picchio >> gli sussurrò Gea all'orecchio, il fiato spezzato.
Deimos sorrise mordace prima di compiere esattamente ciò che lei gli aveva imposto di non fare. 
La osservò, sentendosi irrimediabilmente attratto da tutto ciò su cui posava lo sguardo, e provò divertimento per il modo truce in cui lo stava guardando. 
<< Vuoi provare ad essere tu quello lanciato? >> gli domandò Gea scendendo di volata dal letto. << Guarda com'è divertente, soprattutto dopo aver mangiato >> disse piantandosi davanti a lui. 
<< Non riusciresti a spostarmi di un millimetro >> le fece presente il ragazzo. 
Gea si sgranchì le dita e stiracchiò le braccia, poi lo guardò di sottecchi con un che di provocatorio. << Ho i miei trucchetti, caro. >> 
Le labbra di Deimos si stirarono in un mezzo sorriso compiaciuto. Un attimo prima che lei gli sfiorasse l'addome per liberare un piccola scossa, lui le ghermì il polso, la fece ruotare tanto veloce da disorientarla e le bloccò la schiena contro il suo petto. 
Con l'avambraccio destro la teneva stretta a sé. << Hai perso anche stavolta >> le bisbigliò rauco all'orecchio. Poi le morse il lobo e intraprese un tragitto lungo la linea del suo collo con le labbra. 
Il cuore della giovane picchiava contro al petto al ritmo sostenuto di un tamburo. Ma non era solo per il modo in cui la stava baciando o per il fatto che fossero praticamente incollati l'uno all'altra. C'era qualcosa di diverso. Qualcosa di diverso in lui
Aveva sempre i suoi modi bruti e grezzi, ma le sembrava che giocasse di più con lei, che fosse più partecipe allo scherzo, che fosse pure più attento al modo in cui la toccava.  
Sembrò quasi che le avesse letto nel pensiero, perché subito dopo le scostò i capelli dal collo col tocco leggero di due dita.
Gea chiuse gli occhi mentre un brivido caldo le solcava la schiena. << Deimos >> mormorò a fior di labbra. 
<< Mm? >> La bocca del ragazzo indugiò su un lato della sua mandibola mentre la osservava tra le ciglia.
Lei si morse un labbro e sollevò le palpebre pesanti. Sentiva lo stomaco mandarle stilettate di piacevole dolore e la mente tanto leggera da darle l'impressione di poter essere più audace. 
E così, mentre ruotava il viso per cercare gli occhi del giovane, scavò dentro se stessa per trovare coraggio. Deglutì un bolo d'ansia e adrenalina di fronte a quegli zaffiri torbidi capaci di farle aggrovigliare lo stomaco e d'inghiottirla in un vortice di emozioni. 
<< Voglio baciarti >> gettò fuori con un filo di voce, il cuore in folle corsa. 
Nello sguardo di Deimos saettò un lampo di eccitazione accompagnato alla sorpresa. 
Indebolì la presa dell'avambraccio sulla sua pancia e le permise di voltarsi faccia a faccia, coi petti che si sfioravano per il fiato corto.  
Gea lo guardò con imbarazzo mal celato. 
Le sembrava quasi impossibile aver ammesso quel desiderio che le bruciava dentro. 
In quel momento avrebbe voluto essere tanto più audace da confessargli anche quel che provava nei suoi confronti, ma il timore di essere respinta e cadere in pezzi la fece desistere. E così si tuffò sulle sue labbra per esprimerglielo coi gesti, per trasmettergli quel sentimento attraverso una muta dichiarazione d'amore.
Avrebbe voluto interpretare l'ardore con cui lui la stava contraccambiando come una forte risposta al suo sentimento, ma sapeva che per quello avrebbe solo dovuto sperare e, forse, aspettare. 
Deimos la trasportò sul letto, stavolta senza lanciarla, ma solo spingendola a sedere e poi distesa. 
Le slacciò in fretta il reggiseno e tanto più velocemente le sfilò ciò che le restava addosso, per poi seguirla in quella svestizione e ricoprirla col suo corpo. 
E mentre le loro membra si fondevano come un perfetto accordo dove una nota sparisce nell'altra, mentre i loro respiri divenivano un unico alito, mentre i loro cuori battevano i tempi della stessa armonia, mentre la terra vibrava e l'elettricità abbandonava la casa, i loro occhi si fusero in uno sguardo liquido e tanto intimo da renderli inconsapevolmente complici di un legame più profondo di quello fisico. 
Quando il culmine passò, Deimos si abbandonò su di lei sorreggendosi sui gomiti. Seppellì il viso nell'incavo del suo collo per riprendere fiato e ne inalò il profumo dolce della pelle. 
Il suo era l'unico profumo che ricordasse. Non era mai esistito un odore buono, che gli smuovesse ricordi quieti o sensazioni di piacere, nella sua vita.  
Quando Gea prese a passargli le dita calde tra i capelli e ad accarezzargli la linea della spina dorsale, chiuse gli occhi. 
Non ci volle molto perché dentro di lui insorgesse la stessa battaglia che prendeva campo ogni qual volta il dovere entrava in conflitto col suo volere. E non ci volle molto perché il piacere di quel momento gli fosse strappato via. 
Avrebbe voluto odiarla per il caos che gli portava dentro, ma più provava a respingerla e più aveva voglia di cercarla. 
Contrasse la mascella mentre i suoi muscoli divenivano tesi e duri.
Gea percepì quel cambiamento sotto le dita.  Allontanò la mano di scatto per timore che di lì a poco lui scappasse da quel contatto. << La smetto, ok? >> disse piano, con tono morbido. << Ma tu non te ne andare. Non mi lasciare sola, per favore >> sussurrò.
Deimos sospirò forte dal naso e tirò su il capo per scrutare il suo sguardo ambrato. 
Ci lesse una supplica vera, come se ogni pagliuzza dorata di quelle iridi gli stesse chiedendo di restare. 
Le sue mandibole si strinsero ancora più forte. 
Si staccò in fretta dal corpo di lei e rotolò giù dal letto, ma prima che il dovere lo conducesse lontano, il suo volere assunse il comando delle sue proprie azioni. 
Dal ripiano del comò afferrò la lunga maglietta che la ragazza si era portata come pigiama e gliela lanciò. 
Poi, sotto lo sguardo sorridente di Gea, si infilò i boxer e tornò sui passi del letto.
Si distese senza degnarla di un'occhiata, sistemò le braccia dietro la testa ed incastrò l'impenetrabile sguardo sul soffitto. 
La ragazza si posizionò su un fianco e lo osservò per qualche minuto con un tenue sorriso sulle labbra. 
Era tornato da lei, ancora una volta non era fuggito. 
Avrebbe voluto allungare una mano e accarezzargli la fronte, ma sapeva che proprio in quel modo avrebbe finito con l'allontanarlo.
Dopotutto lui non era abituato a quelle manifestazioni d'affetto, era quasi certa che le reputasse da deboli. Ed era proprio quella, la debolezza, che lui non riusciva a concepire.  
Le palpebre le calarono dal sonno, ma si sforzò di tenere gli occhi aperti per poterlo ammirare un altro po'. Poi, senza rendersene conto, cedette alla stanchezza, si addormentò con l'espressione innocente di una bambina che ha ricevuto il regalo dei suoi sogni. 
Fu solo a quel punto che Deimos la guardò. Sondò ogni dettaglio della sua figura, a partire dalle sue gambe scoperte a quella maglietta troppo grande che la faceva sembrare più piccola e fragile, per poi concentrarsi su un ciuffo di capelli che le scivolava sulla guancia, sulle sue labbra dischiuse e rosee, sulla posizione delle mani, una sotto e l'altra sopra al cuscino. 
Più di ogni altra cosa avrebbe voluto odiarla. Avrebbe voluto togliersela dagli occhi e lasciarla alla mercé di chi le dava la caccia. Avrebbe voluto sentirsi odiato e non essere guardato con bontà. 
Avrebbe voluto, avrebbe voluto eppure al tempo stesso non voleva. 
Sei stato educato in un modo, ma questo non preclude il fatto che tu possa cambiare. 
Quelle parole pronunciate in passato dalla ragazza gli risuonarono nelle orecchie come un'eco. 
Girò di scatto la testa e tornò con gli zaffiri, adesso più taglienti, sul soffitto. 
La sua vista fu annebbiata dai ricordi. Ricordi di suo padre: un uomo avido del proprio potere, fautore di una maniacale disciplina, rivestito di una corazza tanto spessa da renderlo vuoto. 
Contrasse i muscoli come sotto sforzo mentre ripercorreva con la memoria gli allenamenti sfinenti a cui si era sottoposto. Risentì il puzzo di bruciato, rivide il fumo che si stirava come un serpente verso il cielo, percepì la pelle arsa da gocce di pioggia incandescente, ascoltò il rombo delle rocce che venivano distrutte per evolvere in armi aguzze, riassaggiò il sapore ferroso del sangue che gli riempiva la bocca, rivide quel colore vermiglio mascherargli la faccia e oscurargli la vista.
E poi ricordò le urla di terrore che si erano alzate al cielo per merito suo. Ricordò gli occhi di chi lo aveva guardato implorante, lo strazio di chi gli aveva chiesto pietà con gesti disperati, artigliandosi la gola e sfiorandogli le scarpe con dita tremanti. 
Strinse talmente forte i denti da risentire il sapore del sangue sulla lingua.
Si alzò da letto e raggiunse lo specchio del bagno. Artigliò i bordi del lavandino e alzò il capo per scontrarsi col proprio riflesso.  
I suoi occhi cobalto gli restituirono lo sguardo di suo padre, lo sguardo di un mostro: freddo, spietato, bestiale, dannato.
Sviò da quella vista con una rotazione secca del capo. E fu allora che i suoi zaffiri caddero di nuovo su Gea. 
Perché era lei che aveva riportato a galla quel frammento del suo trascorso, sotterrato da una coltre di impietosa indifferenza. Era per colpa sua che sentiva quel peso opprimergli lo sterno come la lama di un boia. Era lei la causa di quel seccante senso di condanna che lo faceva quasi sentire in fallo. 
Sei stato educato in un modo, ma questo non preclude il fatto che tu possa cambiare. 
Le mani gli si strinsero a pugno mentre nella sua mente quelle parole si accavallavano alle urla di un passato che lei non conosceva. 
Alla velocità di un battito di ciglia schiantò un pugno contro lo specchio e lo mandò in pezzi. 
Lui non poteva cambiare. 
Chi era maledetto non cambiava. 
Chi era maledetto, restava maledetto.     





































  
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