Film > Coco
Ricorda la storia  |      
Autore: Tigre Rossa    06/02/2018    1 recensioni
Si dice che le persone che ti amano lo sentono, quando arriva il tuo momento. Anche se forse non se ne rendono conto. Anche se è passato così tanto tempo dall’ultima volta che i vostri occhi si sono sfiorati. Loro lo sentono. Lo sentono nel cuore e nelle ossa.
ImeldaxHector
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 


Ti ho sentito morire

 

 

 

 

 


 

 

Imelda si svegliò di soprassalto, portandosi una mano al petto ed ansimando appena, i grandi occhi scuri fissi nel vuoto.

Accanto a lei, la piccola Coco si mosse e socchiuse gli occhi, cercando con lo sguardo la madre.

“Mama? Stai bene?” mormorò, sbadigliando appena per la stanchezza.

La donna respirò a fondo, tentando di riprendere il controllo di sé.

“Sì, mija.” mormorò piano, quando ebbe abbastanza forza per mantenere la voce ferma.

Allungò la mano che stringeva ancora al petto ed accarezzò con dolcezza i capelli della figlia, gli stessi morbidi capelli del suo papà “Era solo un brutto sogno.” la rassicurò, fingendo un sorriso “Torna a dormire.”.

La bimba annuì e sbadigliò ancora una volta, prima di chiudere di nuovo gli occhi ed accoccolarsi più stretta sotto le coperte, ricadendo in fretta nel suo mondo fatto di sogni.

Imelda rimase lì, a guardare la sua bambina per qualche momento, la mano ancora tra i suoi capelli disordinati. Poi, quando fu sicura che si fosse addormentata, si alzò a fatica dal letto, rabbrividendo appena quando i suoi piedi nudi toccarono il pavimento freddo della stanza. Fece appena in tempo a raggiungere la piccola finestra che dava sulla strada prima che una seconda fitta, ancora più forte, le togliesse il fiato.

Ansimò quando la fitta si affievolì, ma questa volta il dolore non svanì del tutto. Rimase lì, a scorrere languido all’interno del suo corpo, quasi come un infido veleno.

La ragazza sospirò e si appoggiò alla finestra, guardando sconsolata la luna. Non riusciva a capire che cosa fossero quelle fitte. Forse si stava ammalando. O forse era solo stanca. Cercare di mantenere da sola lei e Coco per tutti quei mesi non era facile, però . . . no, non doveva essere questo. Era qualcosa di diverso, qualcosa . . . qualcosa di strano. Non sapeva spiegarselo nemmeno lei, ma quel dolore improvviso le dava una strana sensazione, una sensazione quasi più angosciante di quelle stesse fitte.

Si tirò indietro una ciocca ribelle di capelli ed osservò la luna, tentando di non pensare a niente. Di qualsiasi cosa si trattasse, presto sarebbe passata, e non avrebbe più avuto importanza.

Ma ovviamente la sua testa non voleva saperne di rassicurarsi, e piuttosto che calmarla la vista del cielo stellato le fece sentire solo una maggiore malinconia.

Chissà se, ovunque si trovasse, anche suo marito stava guardando le stelle, proprio in quel momento, senza sapere che lei stava facendo lo stesso. Chissà se anche lui, sotto la luce della luna, la stava pensando.

Questo pensiero le strinse il cuore ancora di più, e tentò di scacciarlo via – non le importava cosa stesse facendo. Non le importava nulla di lui. Le aveva lasciate per andare a caccia di fama con Ernesto. Aveva abbandonato lei e Coco senza nemmeno guardarsi indietro. Non doveva più importarle di lui. Non doveva nemmeno pensarci a lui, mai più. Le avrebbe fatto solo più male di quanto già . . .

Una terza fitta, improvvisamente molto, molto più forte, la fece piegare in due con un gemito soffocato.

Si portò entrambe le mani al cuore, questa volta, e dovette sul serio impedirsi di gridare per il dolore.

Sembrava quasi che qualcuno le stesse strappando il cuore dal petto a mani nude, e faceva così dannatamente male.

 

Hector.

 

Non capì nemmeno lei perché la prima cosa che le venne in mente fu quel nome, il suo nome.

Non seppe perché lo associò a quel dolore improvviso, a quella sensazione terribile di perdita che fitta dopo fitta si faceva largo dentro di lei, devastandola.

Non riuscì a capire perché, quando quel dolore si attenuò pian piano, lasciandola completamente vuota e senza forte, si accasciò a terra con un terribile senso di perdita.

Non capì perché sentì il proprio cuore spezzarsi in mille pezzi, quello stesso cuore che credeva di aver perso per sempre quando aveva guardato l’amore della sua vita darle le spalle ed abbandonarla.

Non riuscì a comprendere come mai le lacrime le rigavano il viso, né perché aveva quella terribile impressione che le avessero appena rubato qualcosa di prezioso, qualcosa che niente e nessuno avrebbe potuto restituirle.

Non sapeva che, dall’altra parte del Messico, il suo Hector era appena morto, abbandonato in una strada isolata di una città sconosciuta, né che il suo ultimo, disperato pensiero, era stato per lei e la loro bambina.

Tutto quelle che sapeva era che rimase lì, sul pavimento gelido, per un tempo che le parve infinito, rannicchiata come una bimba, a ripetere come un triste mantra quel nome che –se l’era giurato- non avrebbe mai più dovuto pronunciare nemmeno una volta in tutta la sua vita.

“Hector. Hector. Hector . . .”

 

 

 

 

Quando giunse il momento, Hector lo capì subito, fin dalla prima fitta.

Gli avevano detto che era orribile. Gli avevano descritto quanto facesse male. Ma non pensava che fosse così.

Era una notte senza luna, almeno lì, nel mondo dei morti, quando lo scheletro sentì quel dolore improvviso ed intesto entrargli nelle ossa e scuoterlo come una scarica elettrica, facendolo tremare come mai prima di quel momento.

Rimase lì, appoggiato alle parete di una casa abbandonata di una strada che nemmeno lui conosceva. Senza fiato, tentò di riprendere il controllo, ansimante e con quel nome che gli risuonava in testa, come una triste consapevolezza che non poteva ignorare, per quanto fosse dolorosa.

 

Imelda.

 

Era arrivato anche il suo momento, dunque. La nera falciatrice era andata a reclamare anche lei ora, la stella più luminosa di tutte, il suo angelo dalla voce celestiale.

Così presto. Stava succedendo così presto.

Aveva sperato che tutto questo non sarebbe accaduto se non tra tanti altri anni. Aveva sperato che almeno lei potesse vivere una vita lunga e piena, quella vita che a lui era stata portata via all’improvviso, prima che potesse anche solo dire addio.

Avrebbe voluto non provare quel dolore per molto, molto tempo ancora. Avrebbe voluto che lei vivesse tutti quegli anni che gli erano stati portati via e anche di più, infiniti di più. Almeno lei.

Ma la morte non guarda in faccia a nessuno, mai. E lui lo sapeva meglio di chiunque altro.

Con un gemito si staccò dalla parete, senza smettere di tremare.

Gli avevano raccontato che, quando la persona che ami lascia per sempre il mondo dei viventi, ti sembra di morire un’altra volta, di morire ancora al suo fianco, condividendo la sua stessa agonia, il suo stesso dolore, ma amplificato a mille, come se fossi una cassa di risonanza della sua stessa sofferenza. Gli avevano spiegato quanto fosse devastante, un’esperienza del genere.

Ma non credeva che potesse esistere un dolore del genere.

Una seconda fitta lo attraversò, facendolo piegare su se stesso, entrambe le sue mani scheletriche strette nel punto in cui una volta stava il suo cuore, e per un attimo gli parve di sentirlo battere disperatamente, proprio lì sotto le sue ossa stanche, quasi in agonia.

Era. . . era come se qualcuno gli avesse appena restituito il suo vecchio cuore, fatto di carne e sangue, glielo avesse deposto nel petto con dolcezza ed adesso lo stesse dilaniando a mani nude, strappandolo in mille infiniti pezzi con una lentezza ed una crudeltà inimmaginabili.

Era questo che sentiva e, dannazione, se faceva male.

 

Imelda!

 

I suoi piedi, nonostante il dolore, si mossero da soli, facendo un passo esitante in avanti, e poi un altro, e poi un altro ancora, fino a quando non si ritrovò a correre, guidato da niente se non il suo istinto.

Quando quel dolore sarebbe scomparso, Imelda avrebbe aperto gli occhi dall’altra parte, morta.

E, lo giurava su Dio, non avrebbe permesso che l’amore della sua vita si risvegliasse da sola nel buio, come era successo a lui. No, non l’avrebbe mai permesso. Mai.

Continuò a correre per le strade, stringendo i denti e cercando di ignorare quei brividi continui che lo scuotevano. Doveva continuare a correre. Doveva raggiungerla. Doveva . . .

Una terza fitta lo colpì come una pugnalata all’altezza del cuore, ed Hector cadde in ginocchio con un grido, rannicchiandosi su se stesso come per impedirsi di spezzarsi in mille pezzi.

Restò lì, ad ansimare con gli occhi colmi di lacrime fissi per terra almeno qualche secondo, prima di riuscire ad alzarsi a fatica e costringersi ad andare avanti, nonostante quel dolore tanto forte da sbriciolargli ogni singolo osso.

Non poteva farsi annientare, nonostante facesse addirittura più male di quando era stato lui a morire, ormai anni ed anni prima.

Non poteva cedere, stendersi per strada ed aspettare che il dolore fosse avvolto da una sensazione di oblio e disperazione, di vuoto e rassegnazione.

Non poteva arrendersi, non ora.

L’aveva lasciata vivere da sola. L’aveva lasciata affrontare da sola la vita senza nessuno al suo fianco, se non la loro piccola Coco.

Ora non l’avrebbe lasciata morire da sola, nemmeno se per farlo avrebbe dovuto rinunciare alla sua vita una seconda volta.

Non poteva lasciarla morire da sola. Quando si sarebbe risvegliata lì, lui sarebbe stato al suo fianco, come avrebbe sempre dovuto essere.

Sarebbe stato lì, e le avrebbe spiegato tutto. L’avrebbe rassicurata – ricordava ancora fin troppo bene la propria paura quando si era risvegliato da solo e morto laggiù, e non avrebbe mai sopportato che lei provasse qualcosa del genere. L’avrebbe stretta tra le sue braccia, se avesse pianto per la sua vita spezzata o per l’aver lasciato Coco dall’altra parte. Le avrebbe promesso che tutto sarebbe andato per il meglio. Le avrebbe chiesto di perdonarlo per tutto il male che le aveva fatto.

Forse lei non glielo avrebbe permesso. Forse era ancora troppo ferita ed arrabbiata per permetterglielo. Forse avrebbe rifiutato le sue braccia e gli avrebbe urlato contro. Forse l’avrebbe colpito e si sarebbe girata dall’altra parte pur di non mostrargli le sue lacrime. Forse gli avrebbe gridato che lui era l’ultima persona che desiderava vedere, in quel momento.

Forse l’avrebbe odiato ancora di più.

-Perché lei doveva odiarlo per quello che aveva fatto alla loro famiglia, vero? Doveva farlo. Lui stesso si odiava. Si odiava tanto da impazzire.-

Ma a lui non importava. Avrebbe corso il rischio, qualsiasi esso fosse.

Doveva essere al suo fianco come non aveva fatto quando ancora ne aveva la possibilità.

Doveva essere con lei, e così sarebbe stato. E sei lei lo avesse odiato, l’avrebbe accettato, anche se si sarebbe sentito morire ancora una volta.

Ma adesso non importava. Non importava nulla di tutto questo.

Ora importava solo lei.

La sua Imelda.

“Sto arrivando, mi corazon.” sussurrò al vento, nella speranza che potesse portarle le sue parole, ovunque lei fosse “Sto arrivando, Imelda.”

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Coco / Vai alla pagina dell'autore: Tigre Rossa