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Autore: Ellery    08/02/2018    1 recensioni
[Heaven’s Door Yaoi GDR]
Un triste giorno, tuttavia, il re si ammalò ed Iye fu convocato immediatamente al suo capezzale.
Giunto nella stanza, ordinò ai servitori di lasciarli soli e si inginocchiò accanto allo sfarzoso letto, tendendo la mano per afferrare quella del padre:
“Eccomi. Mi avete fatto chiamare?” disse solo, sentendo le dita ossute intrecciarsi alle proprie.
Storia (ridicola) di una principessa da salvare e di un gruppo di avventurieri disposti a tutto per riuscire nell'eroica impresa di riportare la pace e, forse, la giustizia... sempre che avanzi tempo!
“Figlio diletto, i miei giorni stanno per finire” la voce del sovrano era spenta ed apatica “Ben presto, il regno passerà nelle tue mani. Tu diventerai il nuovo re, Iye”
“Preferirei di no, grazie. Declino l'offerta”
“Nessuna offerta! È un obbligo, un impegno morale che devi onorare. Tuttavia, non puoi diventare re senza una adeguata consorte ed un curriculum degno di nota”
Genere: Avventura, Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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X. I Campi Elisi



• La storia partecipa al "COWT: Lande di fandom"
• Settimana: Quarta
• Prompt: Morte - Team Langley
• Numero Parole: 1383




Il cammino era ripreso rapidamente, dopo l’ennesimo ritardo. Iye iniziava a credere che non sarebbero mai arrivati dalla bella Kacey. O, qualora vi fossero giunti, lei sarebbe stata vecchia ed attraente quanto un frigorifero.

«Che palle!» sbottò, spronando il destriero  a proseguire lungo il cammino. Dopo la Foresta delle Voci, si erano indirizzati attraverso una vasta prateria. L’erba fresca dondolava cullata dal vento, occultando piccoli stagni dove le rane gracidavano impazienti. Papaveri e margherite costellavano il campo di tenui colori, donando al paesaggio una sfumatura frizzante e rassicurante. «Quanto manca?!»

«Se non lo sapete voi, principe…» replicò Stan, affiancandolo. Il mezzo rettile si sollevò sulle staffe, scrutando l’orizzonte. Non si intravedeva nulla, se non il prato verdeggiante che si estendeva fino all’orizzonte. Dove erano finiti? «Siamo sicuri d’essere ancora vivi?» domandò, infine.

In effetti, in quel posto non vi era nessun altro. C’erano soltanto loro e le rane e quella distesa infinita di arbusti. Non si vedevano né boschi, né montagne in lontananza.

«No, non siete vivi.» una voce profonda li raggiunse, mentre una figura di nero vestita si palesava giusto davanti ai loro cavalli. Possedeva le fattezze di uno scheletro: le dita ossute stringevano una falce ricurva, la cui lama era coperta di sangue. Un mantello color pece copriva il resto del corpo, di cui era visibile soltanto il cranio con le orbite oculari vuote.

«Tu! Chi sei? Come osi intralciare il nostro cammino?!­» Iye sfoderò prontamente la spada, mentre l’estraneo indietreggiava di un passo.

«Non sto intralciando niente… e mettete via quella spada. Cosa pensate possa farmi? Sono la Morte! Non posso mica automorire…»

La sconcertante verità di quell’unica frase spinse Iye a riporre l’arma ed a farsi più attento:
«La Morte?» chiese piano «Che ci fate qui? Volete unirvi anche voi alla spedizione per salvare la principessa Kacey?»

In fondo, un buffone in più o in meno non avrebbe fatto la differenza. Anche se… che compenso si poteva offrire alla Morte? Magari un tributo di anime. Avrebbe ceduto volentieri quella dello storpio che, da due ore a questa parte, non aveva fatto altro che lamentarsi del terreno fangoso, degli zoccoli sporchi, della scomodità della sella… Oppure quella del bardo Etienne: in fondo, era intonato, ma… le sue canzoni ruotavano ormai tutte attorno all’argomento “Moglie morta”; dopo un po’, risultavano noiose.

«No.» replicò la Morte «Sono qui per farvi da guida nei Campi Elisi. Vi piacciono?»

«Emh… cosa sarebbero questi Campi Elisi?»

«In fede, non lo so nemmeno io. Sono dei prati dove si raccolgono le anime dei defunti. E… basta. Passano lì l’eternità, spiaggiati al sole.»

«E perché siamo qui?»

«Perché siete morti»

«Ma ne siete sicura, signora Morte? A me sembrava fossimo vivi fino al capitolo scorso.»

«Ah, davvero?»  la Morte cavò una pergamena da sotto il lungo mantello, scorrendo velocemente un elenco. Si batté, poco dopo, una mano sulla fronte «Per tutte le lapidi! Avete ragione… stavo cercando un gruppo di cavalieri diretti al mare, ma… li avete mica visti?»

«Mah… se sono quegli sfigati che abbiamo incontrato al capitolo quattro… stavano marciando verso est.
»
«Capisco. Beh, mi dispiace per l’increscioso errore…» la Morte si grattò il capo, perplessa «Desiderate essere risarciti? Penso di potervi regalare un paio d’anni in più, purché mi perdoniate.»

«Un paio d’anni?» Stan si fece subito attento «Un paio d’anni a testa?»

«No, in totale.»

«A testa o non se ne fa niente!» gracchiò il capo spedizione, sputandosi poi su una mano «Affare fatto, allora?»

«Veramente, non credo di…»

Non le diede il tempo di finire. Stan balzò di sella, avvicinandosi alla Morte e tirandole una pacca tanto violenta da far tintinnare tutte le duecentosei ossa:
«Mi piaci! Mi ricordi una delle mie ex… magra come un chiodo anche lei. Sembrava uno scheletro…» aggiunse, rivolgendo un sorriso soddisfatto alla Morte «Senza offesa, eh…»

«Figuratevi…» la Morte squadrò ancora il gruppetto. Doveva rispedire indietro quei sei prodi… anzi, no! Quei cinque prodi e quei sei cavalli. Perché c’era un cavallo in più? Sellato, per giunta… ma sprovvisto di cavaliere. «Mh… sbaglio o manca qualcuno lì?» chiese, puntando la sella con l’indice affilato.

«Oh, cavolo!» Iye scosse il capo. Possibile che capitassero tutte a lui? Di quel passo, non sarebbero mai giunti dalla bella Kacey!

Heinrich si sporse lungo il collo del destriero, sorridendo con la sua solita flemma aristocratica e tedesca:
«Che succede, principe?»

 «Abbiamo perso il bardo.»
 

***
 

Etienne corse a perdifiato attraverso l’immensa prateria. Se quelli erano i Campi Elisi, allora forse c’era una speranza. Doveva assolutamente ritrovarla, per dedicarle una canzone e ricordarle, per l’ennesima volta, quanto l’amava.
Agguantò la cetra, sfilandola dalla custodia e pizzicando velocemente le corde:

«Ether…è morta! È morta!
E non sa tornare…
Ether è morta! È morta…
Ma la vado a trovare.
Ether è morta… mi saprà aspettare!»

Non accadde nulla. Forse aveva sbagliato canzone:

«Dammi tre parole, sole, cuore, Ether…»

Niente, neppure con quella. Accidenti, erano davvero difficili gli spiriti da quelle parti!

«Le bionde trecce e gli occhi azzurri e poi
Le tue calzette rosse… e l’innocenza sulle gote tue
Due arance ancor più rosse.»

Ancora silenzio. Ether non gli rispondeva! Possibile che si fosse dimenticata di lui? Che non volesse più vederlo? Che nemmeno uno scherzo del destino poteva farli riabbracciare? Abbandonò la piccola arpa al suolo, accasciandosi sul bordo di uno stagno. Osservò la propria immagine riflessa: il volto distrutto dal dolore e dalla preoccupazione, le speranze infrante sul fondo dello sguardo ormai arreso. Non avrebbe mai più rivisto l’amata moglie e…

«Oh, cielo! Mio marito! Nasconditi nell’armadio, presto!»

Rialzò immediatamente il capo al cogliere quella voce. Ether era lì accanto, immersa sino alle spalle nell’acqua fresca della pozza. Accanto a lei, un giovane virgulto con dei pettorali simili a delle colline ed una ispida barba da latin lover.

Etienne li squadrò attentamente: a giudicare dalla luce azzurrina che emanavano, erano indubbiamente due fantasmi. Due fantasmi nudi che si trastullavano in uno stagno.

«Ether…» sussurrò, la voce spezzata dal pianto. «Mi hai tradito con questo bamboccione… morto! Io mi struggo per la tua fine, e tu mi cornifichi nell’aldilà?»

«Posso spiegare!» pigolò Ether, nuotando verso di lui «Non è come sembra!  Ebbene sì, io amo Sir Giangiacomo Romualdo, Conte degli Impuri Pensieri, ma… devi sapere che è una relazione nata soltanto di recente e ultraterrena! Non ti ho mai tradito, mentre ero in vita… se non col pensiero, ovviamente.» Ether mimò un leggero sorriso «Perché, si… insomma, Rin Walker è proprio un bel figliolo e un giretto con lui me lo farei volentieri.»

«Ma… ma… come puoi dire una cosa del genere?! Sono un uomo finito. Mia moglie morta mi ha tradito! Come farò a dirlo a Demian?»

«Eti, tesoro… non è il caso di farne un dramma. Non vorresti rifarti una vita, dopo la mia morte? Insomma, se trovassi una bella signorina da corteggiare… ti tratterresti soltanto per amore del mio ricordo?»

«Naturalmente!»

Ether scosse il capo. Quello era pazzo:
«Ma per favore! Senti… tra noi non potrebbe comunque funzionare. Io sono morta e tu sei vivo. È giusto che ci rifacciamo entrambi una vita, d’accordo?»

«Ma … come farò ad andare avanti? A dimenticarti?»

«Non lo so. Non è un problema mio. Piuttosto…» Ether si tolse un anello dall’indice, poggiandolo nelle mani di Etienne «Questo è il rubino della mia famiglia. Me lo ha dato mio padre, poco prima che ci sposassimo…»

Etienne fissò sbalordito la grossa pietra, incastonata su una base d’oro massiccio:
«E voleva che lo avessi io?» domandò, infine, mentre la moglie morta scuoteva velocemente il capo.

«Niente affatto! Figuriamoci… mio padre ti odia. Per cui, desidero che glielo riporti, così almeno avrà un ricordo della figlia defunta.»

«Ah…» Etienne ripose l’anello nella tasca dei pantaloni «Per me, invece? Niente ricordo?»

Ether sorrise:
«Ti ho già lasciato Demian. Non ti basta?»

«Io…»

«Bel ricordo di merda, il figlio cannaiolo.» Stan irruppe nella scena, agguantando il bardo per un braccio e caricandolo in spalla «Vogliate scusarci, madama! Noi abbiamo un viaggio da riprendere, voi il vostro fantasmagorico amante da sbaciucchiarvi e… diamine, siamo in ritardo!» esclamò il mezzo pitone, osservando i compagni già in sella ai loro destrieri. «Andiamo, uomini! Un periglioso cammino ci attende… Che ora è?­»

«L’ora dell’avventura!» esclamarono gli altri in coro, mentre Heinrich puntualizzava prontamente:

«L’ora dell’avventura in ritardo! Già che è tardi… facciamo colazione?»
 
  
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