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Autore: Monique Namie    14/02/2018    3 recensioni
In un futuro nostalgico, che si rifà allo stile degli anni '70 e '80, una coppia di fidanzati è prossima a unirsi in matrimonio. In questa realtà, degli individui extraterrestri con poteri preveggenti si aggirano per il mondo. Per guadagnarsi da vivere si offrono di leggere il futuro ai passanti, nonostante la legge lo vieti.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il racconto è stato scritto per la XIX Challenge Raynor's Hall.
La sfida non è competitiva.
Tema estratto: nozze



La certezza del futuro


I

Ci eravamo incontrati in uno di quei locali dove la sera il jukebox mandava disco music a tutto volume, le ampie gonne delle ragazze si aprivano come code di pavone dai mille colori e i cocktail dai sapori tropicali deliziavano labbra estasiate.

Il posto si chiamava Metrò. Il nome, secondo una mia teoria, era nato dalla fusione delle parole “moda” e “retrò”. Negli ultimi anni erano stati aperti moltissimi pub nostalgici, con atmosfere che ricordavano gli anni '70 e '80 del XX secolo. Sì, qui sembra di stare nel set cinematografico di un film ambientato nell’epoca della rivoluzione estetica e sociale, quando gli hippie andavano ai concerti vestiti solo di fiori e con la mente annebbiata dalla droga.

Il nostro stile di vita, al contrario, segue una linea più moralistica e salutistica. La gente vive più a lungo e per questo vuole certezze lungimiranti. Ecco perché è usanza tra le coppie frequentarsi in media per tre anni prima di unirsi in matrimonio.

Io e lui ci eravamo conosciuti al Metrò quasi cinque anni addietro. Pian piano l’amicizia si era consolidata e tra noi si era sviluppata una particolare attrazione.

Ultimamente le amiche me lo ripetevano spesso con una nota maliziosa: «Vedrai che allo scoccare dei cinque anni ti chiederà la mano».

Alla profetica data mancava davvero poco e io non sapevo cosa pensare. Mi trovavo in una situazione nuova che non avevo mai preso in considerazione. Se da una parte mi sarei sentita lusingata, dall’altra avrei avuto voglia di fuggire ed emigrare in una qualsiasi delle colonie del Sistema Solare.




II

Un giorno mi trovavo davanti alla vetrina di una gioielleria del centro a fissare ori e gemme di pregevole fattura: monili che non avrei mai potuto permettermi. Quelli più costosi erano stati realizzati con materiali extraterrestri e sembravano emanare un’energia propria.

«Leggo il futuro, signorina?»

Una voce femminile, gentile e dall’accento sibilante, distrasse la mia contemplazione. Mi voltai e mi trovai di fronte alla figura esotica di una chironemis. Piuttosto numerose in ogni Stato, venivano dal pianeta Kepler, lontano 1400 anni luce dalla Terra. Arrivavano qui per sfuggire dalla loro condizione di schiavitù. Salivano sulle navi spaziali terrestri offrendosi di svolgere ogni tipo di mansione per pagarsi il viaggio. Erano per la maggior parte femmine, ma in città avevo visto anche esemplari maschi.

Gli esponenti di quella popolazione avevano la pelle bianchissima, quasi tendente all’azzurro, iridi colorate che riempivano l’intera apertura dell’occhio, e soprattutto possedevano incredibili doti sensitive. La legge terrestre vietava loro di esercitare, ma in molti lo facevano lo stesso.

«Leggo bene. Io migliore chironemis del pianeta», si indicò con entrambe le mani. Aveva le dita ricoperte di tatuaggi e due bracciali neri che sbucavano da una manica dell’abito.

Normalmente avrei rifiutato, non sono mai stata un’amante degli spoiler, e in questo caso non si trattava di un virtuolibro o di un film a realtà aumentata, ma del mio futuro. Oltretutto quella specie mi inquietava. Non so perché quel giorno mi lasciai convincere. Forse volevo avere una certezza in più riguardo le mie prossime scelte.

«Quanto?», le chiesi.

«Un po’ di pane», mi rispose. «Ragazza gentile, prezzo speciale.»

Ci infilammo in un ristorante vicino. Ordinai due primi piatti, uno per lei e uno per me. Prima che il robot inserviente ci portasse le pietanze, la chironemis si tolse uno dei due bracciali che aveva addosso e me lo mise al polso. Poi la sentii parlare nonostante la sua bocca fosse chiusa e le sue labbra immobili. Si espresse usando il suo idioma natale, e io ebbi l’impressione di capire tutto. Quei suoni sibilanti aprirono la porta di un mondo magico. Fui proiettata con prepotenza in una realtà onirica che si faceva sempre più limpida e allora vidi…




III

C’era gente che impazziva dopo aver ottenuto un responso chironemisico: da un giorno all’altro cambiava radicalmente comportamento. A me, invece, non successe nulla. Avevo conosciuto gli avvenimenti principali della mia vita futura. E in quella frazione di tempo non accadeva nulla di sconcertante, tutte cose normali, se non quasi noiose.

Pochi mesi dopo, come previsto, arrivò il giorno del mio matrimonio. Indossavo un abito bianco, secondo la tradizione del XX secolo. Il bianco non mi piaceva, era troppo perfetto, monotono, vuoto. Ma il modello era bello. Anche la chiesa sconsacrata che avevamo scelto mi piaceva. Il problema era solo il colore, tutto il resto andava bene. Non avevo nulla di cui lamentarmi né di cui preoccuparmi.

Quando lui mi aveva chiesto la mano, avevo risposto con un sorriso. Ora bastava un “sì” pronunciato al momento giusto e tutti i pezzi del puzzle si sarebbero incastrati precisamente, dando una forma concreta a ciò che la chironemis mi aveva fatto vedere.

L’amministratore civile era presente in forma di ologramma di fronte a me. Le sue parole mi arrivavano in modo distorto, sembravano lontane. Stava citando una sfilza di note burocratiche e articoli. La sua figura subiva saltuariamente qualche interferenza e tremolava in modo innaturale. Alla fine di ogni frase poneva una domanda: «Accetti consapevolmente?»

«Accetto», rispondeva il mio futuro sposo, e poi era la mia volta.

Più continuava a leggere, più sentivo un peso insopportabile gravarmi sulla testa.

“Perché lo chiede prima a lui?”, pensai. “Dov’è andata a finire la parità di diritti? Avrebbe dovuto chiederlo a entrambi nello stesso momento, non prima a uno e poi all’altro.”

Sentii una mano gentile sfiorarmi il braccio. «Cara, va tutto bene? Perché non dici nulla?»

Chissà a che punto della celebrazione eravamo arrivati. All’ennesimo articolo, o al fatidico “sì”? Di certo non avrei chiesto di ripetere la domanda. Non mi andava nemmeno di pronunciare un “sì” a casaccio, senza sapere a cosa rispondevo.

«No», dissi.

«Cosa?» Lo sposo apparve confuso. La sua espressione mi sembrò buffa.

«Scusa… è che… ho conosciuto una chironemis.» E, dopo aver detto ciò, mi voltai e uscii di corsa ridendo.

C’era gente che impazziva dopo aver ottenuto un responso chironemisico: da un giorno all’altro cambiava radicalmente comportamento. A me, invece, non successe nulla. Sarei stata pazza se avessi risposto di sì.




"La certezza del futuro"
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