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Autore: sfiorarsi    16/02/2018    4 recensioni
«Ho così tante cose da dirti, ma riassumerò tutto in un cazzo!, con te è tutto fantastico. Perché è vero, Der, rendi esaltante anche lo sfarfallio delle ali di un colibrì» proferì tutto d’un fiato, senza badare troppo all’ambiente che aveva intorno, ma fissando gli occhi in quelli del mannaro.
«E, siccome voglio che i colibrì continuino a sbattere le loro ali in modo così gioioso, e voglio che le rose comincino a piacerti davvero, e che il mondo ci appaia meno buio, volevo chiederti se...»
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cammino dei petali.

 

Disclaimer: i personaggi descritti in questa storia non mi appartengono, ma sono proprietà di Jeff Davis, e di chiunque ne detenga i diritti. La storia è stata ideata, scritta e pubblicata senza alcuno scopo di lucro.

 

*

 

Derek odiava le rose rosse. Derek odiava qualsiasi specie di fiore, in realtà. Ma, per tutti i lupi, aveva un vero e proprio ribrezzo per quei fioracci spinosi e color del sangue. Ne aveva così tanto che, ogni volta che ne vedeva una, quasi si divertiva a distruggerla. Ne aveva distrutte a dozzine, quando gli capitavano fra gli artigli, in ogni modo possibile.

E così, quando Stiles gli portò un mazzo da tredici rose rosse, Derek fu così sorpreso che, per un attimo, dimenticò anche quell’istinto di distruzione. Per un attimo.

Poi, il ribrezzo gli salì addosso, inerpicandosi come l’edera su una grata, e i ricordi sfarfallarono sotto le sue palpebre. Le rose erano le preferite di sua sorella Laura.

Quella sera, chiuso fra le mura della sua stanza, Stiles si dondolava sui talloni, torcendosi le budella per i sensi di colpa. Come aveva fatto a dimenticarsene? Come aveva fatto a dimenticarsi che Derek, dopotutto, aveva paura come tutti gli umani?

Erano passati due anni da quell’orribile San Valentino. L’alba accarezzava i rami spogli degli alberi e il Sole si apprestava a fare capolino nel cielo che, fino a poco prima, era sparso di pallide, candide stelle. Di nuovo, il quattordici febbraio era venuto a bussare alla porta di Stiles che, si era convinto da due mesi a quella parte, avrebbe reso le rose rosse i fiori preferiti di Derek.

Cominciò a prepararsi con lentezza, curando i minimi dettagli, cercando di domare quella chioma ribelle, aggiustando qua e là le pieghe della camicia, ripetendosi il discorso nella testa. Aveva ormai ventuno anni, Stiles, e ora che aveva imparato a fare il nodo alla cravatta, non la indossava comunque. Con il cuore in gola, preparava la cena, vestendosi di un grembiule per evitare di sporcarsi i vestiti.

«Sai, Derek, sono ormai due anni e mezzo che...» diceva ad alta voce, bloccandosi nel bel mezzo del discorso per sgusciare le cozze. Ah, dannazione. Quella serata, se lo sentiva, si sarebbe rivelata un disastro.

Quando suonarono al campanello, credette che lo squittio fosse stato soltanto frutto della sua mente. Agitato com’era – gli sudavano le mani – aveva ripetuto quella scena centinaia di volte nel corso della giornata. E ora che era scesa la sera, e Derek si trovava dietro la sua porta, Stiles non volle credere alle sue orecchie. Solo quando il campanello suonò per la seconda volta, si rese conto che, forse, Derek era davvero alla porta.

«S-scusami il ritardo, sourwolf! Stavo riordinando gli ultimi det–» non fece in tempo a finire la frase, che l’alpha lo baciò, stringendogli le mani attorno al viso. Era un bacio casto, privo di malizia, ma che fece avvampare Stiles fin nella parte più recondita della su anima.

«Ciao anche a te, Stilinski» sussurrò Derek, ridacchiando sotto i baffi.

E, sorprendentemente, la serata andò per il verso giusto. Il giovane non versò nessun bicchiere di vino sul pavimento, non fece disastri con il cibo, addirittura spostò la sedia per permettere a Derek di sedersi.

«Vado a prendere una cosa, torno subito» disse, con voce flebile.

La camera da letto non gli era mai apparsa tanto grande e tanto cupa come in quel momento. Ogni cosa sembrava sovrastarlo con un’ombra mastodontica e, nonostante avesse acceso la luce – che ancora stava scaldandosi –, sentiva la paura e l’agitazione che venivano pompate nelle sue vene al posto del sangue. Aprendo con sorprendente delicatezza un cassetto, s’infilò quella scatolina nella tasca, tremante.

«Sai, Derek» disse, mentre scendeva le scale. Erano ancora piuttosto lontani, ma era convinto che l’alpha lo sentisse «mi ero preparato tutti quei gran discorsi, tutte quelle enormi manfrine da propinarti, e adesso che sono davanti a te» scese l’ultimo gradino, trovandosi di fronte il moro «sembra che le parole mi manchino. Ho così tante cose da dirti, ma riassumerò tutto in un cazzo!, con te è tutto fantastico. Perché è vero, Der, rendi esaltante anche lo sfarfallio delle ali di un colibrì» proferì tutto d’un fiato, senza badare troppo all’ambiente che aveva intorno, ma fissando gli occhi in quelli del mannaro.

«E, siccome voglio che i colibrì continuino a sbattere le loro ali in modo così gioioso, e voglio che le rose comincino a piacerti davvero, e che il mondo ci appaia meno buio, volevo chiederti se...» disse, inginocchiandosi di fronte all’alpha, al suo alpha «se volessi sposarmi, Derek Hale» concluse.

Il moro aprì la bocca, alla ricerca d’aria, e la sua testa si mosse come guidata da volontà propria, muovendosi in un sì!

E, da quel giorno, le rose non si rivelarono poi così male.

 

Note d’autrice: storia priva di pretese pubblicata con due giorni di ritardo e quasi del tutto no-sense. Buon San Valentino, miei cari lettori e lettrici!

 
  
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