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Autore: _Nina1989_    18/02/2018    0 recensioni
Nina era la sua preferita in assoluto, tra tutte le persone che aveva conosciuto, e questo perché quando la baciava contro il muro di casa sua o in quel vicolo imboscato che raggiungevano in cinque minuti che parevano loro infiniti, e faceva scorrere il palmo della mano e le lunghe dita sul collo della ragazza, lei non rabbrividiva né ridacchiava. Anzi, faceva pressione con entrambe le mani sulle spalle del ragazzo e gli saltava in braccio, attorcigliando le gambe lunghe e sottili alla sua vita, lo guardava in quegli occhi troppo espressivi macchiati di verde e, quasi dolcemente, gli passava la lingua su quel labbro inferiore troppo grosso e rosso, e ci chiudeva la sua bocca sopra.
Diceva “Ogni tanto infrango la legge siccome non ho mai infranto un cuore, e voglio capire che cosa si prova ad essere il mattone, e non il vetro della finestra”, Frederick la ascoltava attentamente e lei si sentiva quasi capita.
Nina e Frederick, e la loro storia d'amore un po' così.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Let’s have another toast to the girl almighty!”

 

 

Nina non aveva bisogno dell’amore.

Non ne aveva mai avuto bisogno in realtà.

Non era asessuata come certe sue amiche, e tantomeno non disprezzava il bene effimero della bellezza; se, per esempio, i suoi occhi incontravano quelli di un ragazzo gradevole durante una di quelle manifestazioni tumultuose contro la privatizzazione dell’acqua o la produzione di pellicce, alle quali andava solo per sfamare quel senso di ribellione che sentiva crescerle dentro dal giorno del suo diciassettesimo compleanno, provava un piacevole solletico allo stomaco ed il sangue le saliva alle guance.

Ma il tutto si fermava lì.

Niente voglia di concatenare il suo cuore arioso a quello di un’altra persona, né tantomeno di avere scambi di saliva o, peggio, di sentimenti forti, e neppure voglia di quel sesso spassionato e delle molle cigolanti del letto di un Motel che tutti parevano cercare così disperatamente.  

A Nina, semplicemente, non serviva nessuno.

Eppure, chissà come mai, un sacco di ragazzi erano attratti da lei, da quei capelli chiari e fini che le cascavano un po’ alla cazzo sugli occhi scuri e da quel corpo magro, spigoloso e dannatamente sgraziato, che ispirava deserto, Malrboro Gold e rose selvatiche, tutte cose che, tra l’altro, a Nina non piacevano. Ma nonostante tutto stava al gioco, cercava di apparire più disinvolta di quello che era in realtà solo per vedere fino a quanto l’avrebbero bramata prima di capire che fosse fuori di testa e scappare a gambe levate il più possibile lontano da lei. Alcuni dicevano che era una gran falsa, altri sussurravano le sue prodezze con una voce concitata e piena di meraviglia, altri ancora le davano della manipolatrice_ “L’ho sognata quasi ogni notte questa settimana”_, della poco di buono; la chiamavano “La Ragazza Onnipotente” e si brindava al suo nome nei bar di periferia, pregando che nonostante tutto potesse mantenere giovani e fatti di luce tutti quei poveretti che perdevano la testa per lei. 

Ma Nina non se ne accorgeva neanche, lei la testa l’aveva perduta tanto tempo fa e non si sentiva affatto onnipotente. Neanche un po’. 

 

- Nina, ma le hai prese tu le mie chiavi?- suo fratello Daniel urlava nel ricevitore per tentare di sovrastare il rumore del giradischi mezzo rotto della ragazza, che al momento stava sparando a tutto volume un album denso e appiccicoso degli Arctic Monkeys. 

 

Nina sbuffò e non si degnò di abbassare la musica, allungò il piede destro con le unghie dipinte di azzurro a prendere la sua borsa che si era rintanata in un angolo sotto la scrivania, se la portò sulle ginocchia ed iniziò a frugarci dentro. Poi scoppiò a ridere.

 

- Sì, devo averle prese per sbaglio. Vieni a prenderle, sono dal papà.
- No, non vengo. Sono con un amico, vieni a portarmele tu.

 

La ragazza guardò l’orologio. Le 11.30 pm. Rovesciò la testa all’indietro e sentì i capelli lunghi solleticarle la schiena nuda. 

 

- No, non posso Daniel. Il papà mi ammazza se gli chiedo di accompagnarmi a casa tua a quest’ora.
- Non mi importa Nina, e anzi, vedi di muoverti che se no domattina non so come fare a venire lì a pranzo- e riattaccò.

 

Nina si alzò malvolentieri dalla sua sedia di legno, abbassò finalmente il volume e sporse la testa in salotto, i capelli appiccicati agli occhi. 

 

- Papà, devo andare a portare a Daniel le sue chiavi che ho preso per sbaglio.
- Mi dispiace Nina, ma sono troppo stanco.
- Oh, non ti stavo chiedendo un passaggio- la ragazza si morse la lingua- Volevo solo dirti che prendo la tua bici. 

 

Tornò in camera sua, afferrò la vecchia felpa a quadri di suo padre e se la infilò, senza nemmeno preoccuparsi di mettere una maglia, o almeno il reggiseno, sotto. Prese le sue chiavi e quelle di Dan, e dopo essersi allacciata le scarpe da ginnastica andò in sala, e salutò suo padre.

 

- Ma ci sai andare sulla mia bici?
- Certo- mentì. Non saliva sulla bici di suo padre da un anno ormai, quando era caduta sbucciandosi le ginocchia e la fronte.
- Va bene. Stai attenta. 

 

Lei non finì nemmeno di ascoltarlo, e si chiuse la porta alle spalle.

L’uomo sospirò, ed alzò il volume della televisione.

 

- Cazzo Nina, però- sospirò, più a sé stesso che ad altro.

 

Intanto in garage, Nina tentava di salire su quella bici tanto alta quanto scassata. Ci riuscì solo dopo vari tentativi, e con solo un gomito leggermente graffiato. 

 

Sorrise, poi iniziò a pedalare, ed il suo sorriso si allargò quando sentì l’aria calda infilarsi sotto la sua larga felpa ed accarezzare dolcemente la sua pelle nuda. Nonostante le strade ed i quartieri che percorreva fossero praticamente privi di essere umani, data l’ora tarda, e continuasse a voltare la testa indietro per accertarsi di non essere pedinata da nessuno, trovava la situazione abbastanza divertente. 

 

Quando arrivò sotto casa di suo fratello si sbilanciò leggermente dalla bici mentre suonava al campanello, ma riacquistò in fretta l’equilibrio. Daniel scese velocemente e la ragazza fece tintinnare il mazzo di chiavi davanti ai suoi occhi prima di allungarglielo. 

 

- Si è arrabbiato il papà?- domandò il ragazzo. Nina fece dondolare la testa- Meglio, dai. Grazie per le chiavi.

 

La ragazza tirò le labbra in un sorriso che pareva più una smorfia che altro e fece per ripartire, ma la voce di Dan la frenò.

 

- Non voglio che tu vada in giro in mutande a quest’ora- sbuffò.
- Sono culottes. E comunque non si vedono.
- E dovresti metterti il reggiseno.
- Odio i reggiseni.
- Ma sei una ragazza, e sono le 11.45 pm. Stai pedalando in mutande su una bicicletta storta, e non c’è della bella gente per strada a quest’ora.

 

Nina scrollò le spalle e salutò suo fratello con un cenno veloce della mano, perché quando la gente si sentiva in dovere di suggerirle come comportarsi, lei iniziava ad infastidirsi e le veniva voglia di andare via.

 

 

Frederick è seduto ad un tavolino di fronte alla vetrata più grande dello Starbucks sotto casa sua, un muffin al mirtillo è appoggiato dolcemente sul piattino bianco situato accanto alla sua grande tazza di caffè nero e al pentolino di metallo lucido che emana un forte profumo di latte e spezie; il profumo della domenica, di New York e del libro di Stephen King che ha iniziato da venticinque giorni ormai e che purtroppo non è ancora riuscito a finire perché Ross vuole andare al Central Park troppo spesso e Michelle ha sempre voglia di fare l’amore e, Dio santo, a lei non si può proprio dire di no.

 

Sorride stancamente, e afferra il pentolino del latte. Non appena ne versa un po’ in quel caffè così scuro, il suo cuore ha un sobbalzo improvviso. Stringe forte le labbra ed espira lentamente, il tutto mentre continua a riversare il liquido bianco nella tazza. Quando, finalmente, riesce a riacquistare la padronanza sui suoi pensieri e abbassa lo sguardo sulla bevanda, si maledice mentalmente, siccome ora è troppo chiara per ricordare il marrone scuro degli occhi di Nina.

 

 

 

Nina era la sua preferita in assoluto, tra tutte le persone che aveva conosciuto, e questo perché quando la baciava contro il muro di casa sua o in quel vicolo imboscato che raggiungevano in cinque minuti che parevano loro infiniti, e faceva scorrere il palmo della mano e le lunghe dita sul collo della ragazza, lei non rabbrividiva né ridacchiava. Anzi, faceva pressione con entrambe le mani sulle spalle del ragazzo e gli saltava in braccio, attorcigliando le gambe lunghe e sottili alla sua vita, lo guardava in quegli occhi troppo espressivi macchiati di verde e, quasi dolcemente, gli passava la lingua su quel labbro inferiore troppo grosso e rosso, e ci chiudeva la sua bocca sopra. 

Diceva “Ogni tanto infrango la legge siccome non ho mai infranto un cuore, e voglio capire che cosa si prova ad essere il mattone, e non il vetro della finestra”, Frederick la ascoltava attentamente e lei si sentiva quasi capita. 

Quando era ubriaca lo guardava con aria di sfida, si raccoglieva i capelli e si stringeva forte nella camicetta, coprendosi il più possibile; tutta bottoni e cinghie e pizzo e calze autoreggenti.

Quando fumava una canna lo guardava con dolcezza, scioglieva i capelli chiari che le ricadevano immediatamente sugli occhi e si passava la lingua sulle labbra, iniziando a svestirsi; tutta pelle e pelle e pelle e pelle.

 

 

Nina era seriamente innamorata di Frederick, della sua musica di merda, di quelle mani dalle unghie curate e dalle dita lunghe, piene di anelli di metallo freddo, che le si stringevano intorno alle cosce nelle sere d’estate, dei capelli lunghi e non troppo puliti che però profumavano sempre di mele e zucca, dei denti, bianchi, diritti, che le mordevano le guance e la pelle intorno all’ombelico, dei tatuaggi senza senso, delle camice a fiori, delle guance sbarbate e bucate da quelle due fossette profonde, dei muscoli che si tendevano e affioravano sodi sopra la pelle ad ogni piccolo movimento, delle gambe lunghe che, oh, riuscivano a fare le cose più impensabili. 

E a Frederick piaceva Nina, le piacevano quei capelli fini, gli occhi scuri e talmente grandi da sembrare quelli dei protagonisti dei Manga giapponesi, il colore chiarissimo della pelle, quasi cadaverico, le labbra a punta e quei suoi seni tondi, né piccoli né grandi, che non si preoccupava di costringere in reggiseni. Semplicemente, si toglieva la maglia, o apriva la felpa, ed era lì. Nuda. 

A Frederick tutta quella pelle scoperta piaceva un sacco.

 

 

 

 

Era il 6 maggio, ed erano le 23.45 pm.

Nina era in discoteca e, come succedeva ogni volta che andava in discoteca, era sudata, ubriaca e libera. C’era una canzone talmente bella, o che perlomeno sembrava bella solo perché in quella sala tutto era bello e caldo, e lei saltava scrollando i capelli, che le si attaccavano alla schiena.

Poi iniziò la solita storia.

Un ragazzo le strinse un fianco, un altro la spalla. Qualcuno appoggiò una mano sul suo sedere, e a lei mancò improvvisamente l’aria. Si allontanò fingendo di continuare a ballare, ma dopo pochi passi un altro ragazzo le passò le dita fra i capelli umidi, stringendo più forte in prossimità della cute, e l’apostrofò:

 

- Ma guarda, la ragazza onnipotente.

 

Nina deglutì e lui le si avvicinò al viso, soffiandole sul naso il suo alito che sapeva di sigarette e rum e cola.

 

- Sei bella come dicono- bisbigliò- La vuoi una sigaretta, ragazza onnipotente?
- No- rispose lei, e si voltò, diretta ai bagni. Una mano si aggrappò alla sua.
- Non volevo spaventarti- disse il ragazzo, con un tono da scuse.
- Vattene- rispose solamente lei.

 

Attraversò la pista con passo veloce; le era già passata la voglia di ballare, e la rabbia aveva praticamente fatto evaporare qualsiasi stilla di alcool presente nel suo corpo. Entrò nel bagno e si sciacquò il viso e il collo con l’acqua fredda, cercando di ignorare i gemiti che provenivano da dietro la porta del gabinetto.

Uscì dalla porta di emergenza, stringendo forte i maniglioni antipanico, e si sedette sulle scale antincendio. Aveva appena preso la prima boccata della sua prima Winston Blue della serata quando si accorse che non era sola.

C’era un ragazzo seduto sul corrimano delle scale, con le gambe a penzoloni del vuoto. Si girò subito verso di lei, e Nina si sentì quasi male, un po’ per quegli occhi che brillavano nel buio, squadrandola, e un po’ perché soffriva di vertigini. Rimasero a fissarsi in silenzio per un po’, poi lui si voltò nuovamente, dandole le spalle.

Nina deglutì a disagio e tornò alla sua sigaretta, che nel frattempo aveva continuato a bruciare imperterrita, e ora la cenere rovente stava minacciando di caderle sulle cosce nude.

Cinque lunghe boccate di fumo più tardi si era quasi dimenticata di quella presenza sulle scale, fino a che non sentì una voce roca provenire dall’ombra.

 

- Sei tu?- chiese la voce.
- Io chi?- rispose la ragazza.
- Lo sai.
- Ma cosa?

 

Un sospiro leggero, e una risatina.

 

- La ragazza onnipotente.

 

Nina si alzò in piedi, cercando il ragazzo con lo sguardo, furente. Sembrava volesse buttarlo giù dalla scala. I suoi occhi incontrarono un verde luminoso, e lei vi si aggrappò.

 

- Senti testa di cazzo, cosa vuoi di preciso? Offrirmi un drink? Una sigaretta? Limonarmi contro le scale? O sbattermi come un cane in calore nel bagno delle ragazze? Perché sai, di drink ne ho già bevuti troppi, le sigarette ce le ho, come puoi vedere, contro le scale potrei sbatterci al massimo la tua testa e ti assicuro che il bagno delle ragazze è occupato da almeno un’ora da due che, oh fidati, ci stanno dando dentro alla grande.

 

Contro ogni previsione, gli occhi verdi si socchiusero e una grande risata scaturì dall’angolo buio. Poi finalmente il ragazzo si mostrò. 

Nina credette di non aver mai visto nulla di più bello.

 

- Cazzo, che tipetto che sei. Stavo solo scherzando- dondolò la testa a destra e a sinistra e sorrise di nuovo, guardando un punto imprecisato sotto di lui- Da lì- ed indicò una finestra vicino alla porta d’emergenza da cui Nina era uscita- Si riesce a vedere la pista da ballo. Ho visto quei quattro approcciarti, e ho sentito come ti ha chiamata quello più alto.

 

La ragazza era ancora in silenzio.

 

- Stavo scherzando, te lo giuro- ripeté lui- Non so nemmeno il perché di quel soprannome, in realtà. Mi è solo parso di capire che ti da’ parecchio fastidio.
- Davvero non sai la storia?- Nina aggrottò le sopracciglia; in una città piccola come quella era praticamente impossibile non aver mai sentito parlare di una storia ormai così popolare. Il ragazzo scosse la testa.
- È una specie di offesa?- domandò, sedendosi accanto a lei. Un profumo fortissimo la investì. Hugo Boss; mele; sigarette; caffè; estate. Non lo avrebbe scordato più, ne era certa.
- No, in realtà- si riscosse dai suoi pensieri- Corre voce che io sia in grado di... oddio, capisco che sia una cosa stupida, ma la gente è convinta che io sia una manipolatrice in grado di riuscire a fare... beh, di riuscire a fare tutto.

 

Il ragazzo rise di nuovo, con una nota di sarcasmo questa volta.

 

- Quante stronzate riescono ad inventarsi le persone- disse con un sorriso amaro e divertito allo stesso tempo.
- Beh… tutto è iniziato quando quel Jason ha detto di avere iniziato a  sognarmi ripetutamente dopo avermi vista al supermercato.
- Ma per piacere. Ti avrà vista chinarti per prendere il latte al banco frigo e sarai diventata la sua fantasia masturbatoria. O meglio, il tuo culo lo è diventato.
- Primo: io detesto il latte. Secondo: Jason è probabilmente il ragazzo più semplice di questo mondo, non sarebbe mai capace di inventarsi una trama complicata come quella della ragazza onnipotente solo per mascherare il fatto che ha gli ormoni in tilt, cosa che tra l’altro non è più un segreto dal giorno del suo quindicesimo compleanno. Terzo: quel giorno avevo un maglione di mio padre che mi arriva alle ginocchia. Niente culo- si strinse nelle spalle, leggermente infastidita dallo scetticismo che leggeva negli occhi del ragazzo.

 

Quello allora sorrise e le si avvicinò ancora di più, con aria complice.

 

- A qualcuno in realtà piace essere considerato onnipotente- cantilenò.

 

Nina sbuffò, lui rise più forte, poi si fermò.

Aveva iniziato a guardarla diritto negli occhi.

Nina tentò di sostenere lo sguardo il più a lungo possibile, ma girò inevitabilmente la testa quando lui iniziò a mordersi il labbro inferiore_ che era incredibilmente rosso e sproporzionato rispetto a quello superiore (ma comunque bellissimo).

 

- Mi chiamo Frederick- interruppe il silenzio il ragazzo.
- Nina- disse lei. Lui spalancò gli occhi.
- Nina?
- Sì, Nina- fece una risatina- Perché?
- Niente. È solo che è un nome così bello e dolce.

 

Nina arrossì.

 

- Frederick non molto- fu tutto quello che riuscì a dire, dopo. Il ragazzo rise e scosse il capo.
- Lo so, purtroppo- sospirò, mordendosi le labbra.

 

Il cuore della ragazza accelerò i battiti ed i suoi occhi iniziarono a correre su tutto il corpo del ragazzo; aveva le guance rosse, un sorriso colpevole sulle labbra torturate dai denti e le sue mani stavano tremando. Nina sapeva che stava per baciarla. In un’altra situazione gli avrebbe tirato uno schiaffo e se ne sarebbe andata irritata, ma quella volta chinò la testa di lato e socchiuse gli occhi, aspettando di assaggiare quelle labbra così belle.

Solo che il bacio non arrivò.

Riaprì gli occhi confusa, e notò che il ragazzo stava guardando il cielo stellato sopra di loro. Per fortuna non aveva assistito al fallimento di Nina, che nel frattempo si era raddrizzata, rossa di vergogna.

 

- La vedi quella costellazione?- Frederick si girò verso la ragazza e le indicò un ammasso di stelle.
- Sì- Nina annuì con un sorriso, già un po’ meno a disagio.
- Ecco, non ho la minima idea di come si chiami- sospirò teatralmente e la ragazza gli scoppiò a ridere in faccia.
- È la spada di Orione- sorrise lei.

 

Frederick non disse nulla, si spostò semplicemente i capelli all’indietro e si morse di nuovo le labbra, cosa che fece innervosire parecchio la ragazza; stava incominciando a rendersi veramente conto di quanto volesse baciarlo.

 

- Vado via ora, ciao- Nina si alzò in tutta fretta.
- Così presto? Dov’è finita la tua onnipotenza?- il ragazzo le sorrise molto dolcemente.

 

Evidentemente non ha effetto su di te”, pensò lei, ma si morse forte la lingua. 

 

- Beh, se vuoi puoi salutarmi. Oddio ceh, io ora me ne vado. E ti ho già salutato quindi, beh, addio- balbettò confusa. Lui scoppiò a ridere e le prese un polso.
- Ma “addio” cosa?! Io ti voglio rivedere, ragazza onnipotente
- Quando?- Nina suonò leggermente più disperata di quello che era in realtà, cosa che fece ridere ancora di più il ragazzo.
- Ti cercherò io, tranquilla- le strizzò l’occhio.
- Ma- Nina fece per staccarsi dalla sua presa, confusa ed infastidita allo stesso tempo.
- I tuoi poteri non funzionano con me- Frederick si alzò dalle scale e la ragazza non poté fare a meno di notare quanto fosse alto. E bello. E affascinante, e carismatico.

 

Lui si avvicinò al suo volto.

Dio, le sue labbra.

Sorrise.

Dio, i suoi denti.

Le mise una mano fra i capelli fini.

Le labbra. Oddio le sue labbra. 

Si avvicinò ancora di più, e Nina chiuse gli occhi, il cuore che le batteva all’impazzata.

Ma, esattamente come prima, il bacio non arrivò.

Lei riaprì gli occhi all’improvviso, per rendersi conto che il ragazzo non le stava baciando le labbra, ma il collo.

Poi, beh, non era un bacio. 

Sentiva quei denti diritti mordicchiarle la pelle, ed una lingua calda e umida tracciare cerchi concentrici intorno alla giugulare.

Ma che cazzo sta facendo? È un vampiro?! A Nina veniva da ridere e basta.

Però poi Frederick si staccò dal suo collo, e lei si sentì come svuotata. Lui la fissò, e lei si passò una mano sulla zona umida.

 

- Cos’hai fatto?- chiese, curiosa.
- Un succhiotto?!- il ragazzo si strinse nelle spalle, a disagio.
- Ah- Nina alzò lo sguardo su di lui- E perché?
- Non lo so- Frederick era sempre più confuso- Non ti è piaciuto?
- Sì che mi è piaciuto. Solo che è strano.
- Oh. Okay.

 

Ci fu di nuovo un silenzio imbarazzante.

 

- Va beh, ora vado veramente. Allora mi chiami?
- Quando voglio io, però- sottolineò il ragazzo.

 

Nina non si degnò neanche di dargli una risposta, non se la merita, pensò.

Fece semplicemente ondeggiare una mano in un modo alquanto infantile ed iniziò a scendere le scale antincendio. Poi sentì che doveva fare qualcosa di stupido all’istante, pertanto si fermò di colpo e si girò verso Frederick, che la stava ancora fissando, e si tirò su la maglia.

Rimase così per qualche secondo, nuda, mentre il ragazzo quasi si strozzò con la propria saliva. Riabbassò la maglia e tornò a scendere le scale come se niente fosse, lasciandosi Frederick ancora scioccato dietro a mormorare qualcosa di indecifrabile nell’oscurità.

 

 

Dovette aspettare una settimana e mezza prima che Frederick la contattasse. Era una domenica pomeriggio e Nina stava appollaiata sull’altalena che suo padre aveva montato tra il balcone e la porta-finestra della sua camera quando lei era ancora piccola. Stava leggendo “Trainspotting”, come sempre senza maglia né reggiseno, tanto era sola in casa e comunque suo padre ormai ci aveva fatto il callo. Si spingeva con il piede sinistro, scalzo e dalle unghie dipinte di nero, e aveva il mento appoggiato al ginocchio della gamba destra; appoggiati a terra stavano il suo cellulare, un pacchetto di sigarette ed una bottiglia di vino rosa. Quando il primo dei tre oggetti incominciò a squillare, la ragazza sobbalzò. Era un numero sconosciuto.

 

- Pronto?
- Sono Frederick.
- Chi?- chiese confusa.
- Ehm... quello della discoteca.

 

Silenzio.

 

- Quello della Spada di Orione, che ti ha vista dalla finestra... coi quattro ragazzi... Mi hai fatto vedere le tette, ti ricordi?

 

A Nina ci volle qualche secondo per ricollegare i punti, poi capì.

 

- Sei quello che dice che non sono onnipotente! Ciao, ciao Frederick dal nome per niente dolce, come stai?
- Sto bene, grazie- rise quello nella cornetta- E tu? Come sta il tuo collo?
- Mi è venuto un livido viola, giallo e verde, sono rimasta scioccata- rise anche lei, poi si interruppe- Non ti sento bene, dove sei?
- Scusa, aspetta un momento- Nina sentì il ragazzo trafficare con qualcosa e di colpo il rumore di sottofondo svanì- Scusa, stavo ascoltando i Doors.
- Dio, i Doors, che angoscia.
- MA COME OSI.
- Daaaaai, tutti a parlare di Jim Morrison, quando ci sono stati cantanti mille volte meglio di lui.
- Oddio, sei una bestia di Satana. Ora verrai anche a dirmi che Bono degli U2 non sa cantare?
- ...
- Nina...- sospirò il ragazzo.
- é che i Depeche Mode sono molto più bravi secondo me...
- Basta. Non voglio più sentire. Vediamoci al più presto, in modo da chiarire di persona. D’accordo?

 

Nina si morse l’interno della guancia, arrossendo. Stava per rispondere, quando ecco che una voce iniziò ad urlarle addosso.

 

- Razza di svergognata! Mettiti una maglietta! Ne ho abbastanza delle tue bravate!
- Oh, per favore Ilde, chiudi quella boccaccia!- urlò la ragazza di rimando.
- Ma chi è?- rise Frederick nella cornetta.
- Quella pazza della mia vicina di casa, Ilde. Una simpatica vecchietta acida e maschilista.
- Vatti a coprire! Ai miei tempi le avresti già prese di santa ragione!
- Anni e anni di lotte per l’emancipazione femminile e ora ci diamo addosso anche tra donne?! Brava Ilde, bell’esempio!- gridava Nina a squarciagola mentre Frederick continuava a ridere come un matto.
- Sei tutta svitata- le disse, mentre si asciugava le lacrime.
- Parli come Ilde- sorrise la ragazza.
- Sarà, ma Ilde non potrà mai competere con me. E comunque ci vediamo, presto. D’accordo?
- D’accordo- riuscì finalmente a dire Nina.

 

Riattaccò, appoggiò il telefono a terra e rimase qualche minuto a guardare il cielo che si era tinto di rosa, blu, ed arancione. Poco dopo la testa di suo padre spuntò dalla porta finestra della sala da pranzo. 

 

- Ho comprato la cena, e preso a noleggio un DVD. Kill Bill- le sorrise, poi si fece serio- Ma ora torna dentro o vai a metterti una felpa, se no ad Ilde verrà un infarto.

 

 

 

Frederick non ci mise nemmeno un’ora a trovare il numero di Nina e il suo indirizzo; gli era bastato entrare in un bar e chiedere un po’ in giro. Tutti, ma proprio tutti conoscevano Nina, anche se nessuno sapeva bene il perché.

Nina infatti non era più bella, più brava o più intelligente di nessuna altra ragazza che Frederick aveva frequentato prima di lei. Eppure lo aveva colpito, subito, al primo sguardo.

Colpito e affondato. 

Solo che a Frederick non piaceva perdere.

Quindi si era autoimposto di aspettare almeno due settimane prima di chiamarla, cosa che non era riuscito a fare. 

E si era ritrovato, due giorni dopo, sotto casa della ragazza con le mani sudate e lo stomaco stretto in un nodo.

 

Entrambi non ricordano quasi nulla della loro prima uscita, perché le cose belle si tende a sottovalutarle, all'inizio.

 

Nina indossava una maglia a fantasia, verde militare e lunga, che le arrivava fino a metà coscia e sopra una camicia della stessa lunghezza, a quadrettoni viola, cachi e blu. In testa aveva un cappellino da baseball giallo, ai piedi portava un paio di Vans nere, rotte e mezze slacciate, dalle quali sbucavano un paio di calzini grigi, e nel guardarla Frederick riusciva solo a pensare che non aveva organizzato niente in particolare per lei e che non sapeva nemmeno se quei jeans nuovi che si era messo gli stessero bene oppure di merda.

 

Lei gli aveva comunque sorriso e gli aveva chiesto da accendere, e lui si era limitato ad annuire, accendendo la sigaretta della ragazza con un accendino con disegnata sopra la caricatura del principe Harry, e a dirle di seguirlo, che sarebbero andati in un posto carino, pensando che dopotutto improvvisare era sempre stata la cosa che gli riusciva meglio.

 

La portò al bowling, una scelta un po' scontata, un po' romantica e un po' patetica, che all'inizio li fece sprofondare nell'imbarazzo, anche se andava bene così.

Frederick si fece cadere la palla sul piede sinistro e Nina invece la lanciò nella corsia accanto, e risero così forte da avere male alla pancia, le lacrime agli occhi e meno disagio nel cuore.

Poi andarono al McDonald's, lui le comprò la scatola da 20 nuggets di pollo e risero ancora, parlando di cose stupide e di cose serie, di animali e gusti musicali.

Conoscendosi.

Alle 21.00 si guardarono negli occhi. Avevano finito di mangiare, ed era troppo presto. Troppo presto per tornare a casa e chiudersi dietro ad una porta a pensare che era stata una bella serata, troppo presto per dirsi "a domani". 

E quindi Frederick la prese per mano, e si incamminarono verso l'acquario. 

Che era, ovviamente, chiuso.

- Vieni- lui la strattonò per un braccio e le ordinò di abbassarsi, mentre passavano sotto una siepe.

- Ma che cazzo- Nina si graffiò le ginocchia scoperte e continuò a gattonare mentre Frederick, davanti a lei, aveva raggiunto una rete metallica. Quando lei gli si avvicinò, lui la aiutò a passarci attraverso, tramite un taglio che qualcuno aveva già fatto nella rete. Forse era stato proprio lui. Forse ci veniva spesso. Camminarono per un po' in un prato con l'erba alta, poi si fermarono. Erano dietro l'edificio. 

Nina guardò il ragazzo negli occhi e lui le sorrise, avvicinandosi ad una vetrata.

- Vieni a vedere- bisbigliò.

Quando lei gli fu accanto, notò che la vetrata dava direttamente sulle grandi vasche dei pesci. Nina appoggiò una mano sul vetro, completamente rapita.

- É bello qui- sussurrò.

- É il mio posto isolato- disse il ragazzo.

Lei lo guardò, curiosa.

- Non mi piace stare in mezzo alle persone, preferisco stare da solo. Ogni tanto trovo questi posti, e ci passo il mio tempo libero. Da solo. Ascolto la musica, scrivo, disegno...- spiegò lui. 

- Ti dispiace che ci sia anche io?- chiese Nina appoggiando alla vetrata anche la tempia- Non ti piacerebbe essere solo, ora?

- É presto per dirlo, lo so, ma essere solo con te é mille volte meglio che essere solo da solo, che é la cosa che in genere preferisco.

E lei arrossì, sentendo tutto d'un tratto di volergli dire qualcosa. Solo che non sapeva cosa.

Perché Nina, nonostante la sua faccia tosta, nonostante i mille ragazzi che le venivano dietro, nonostante l'onnipotenza, la mancanza di reggiseni nel suo armadio e i mazzi di rose anonimi che le arrivavano a San Valentino, non si era mai innamorata.

Mai.

E non aveva mai avuto un ragazzo.

E non aveva mai dato un bacio.

E c'erano troppi "non" in lei, mentre invece sembrava che in Frederick ci fossero troppi "ma".

Infatti lui le si avvicinò, e Nina sapeva che quella volta non si sarebbe limitato a baciarle il collo. Quindi quando le labbra del ragazzo, così rosse, gonfie, e belle furono a qualche millimetro di distanza dalle sue, lei ci soffiò sopra:

- No.

Frederick la guardò confuso.

- É il primo- spiegò allora lei con voce strozzata- Sei il primo. Saresti il primo. Ma ti conosco da praticamente stasera. Non posso. É una cosa troppo importante.

- Il primo?- Frederick la guardava incredulo. Le toccò le labbra, piano, mentre lei annuì. 

- Il primo- continuò a sussurrare lui.

Poi se la strinse contro, facendo scivolare a terra la camicia e la maglia della ragazza, che rimase lì ferma, con indosso solo le sue culottes e le Vans. Non si sentiva a disagio. Stava bene, c'era caldo, il profumo di Frederick aveva invaso l'aria, e la vasca di fronte al vetro era proprio quella delle razze, le sue preferite.

Lui la prese in braccio, appoggiandola al vetro freddo, e le lasciò una scia di baci sulla clavicola, analoga a quella che aveva lasciato sul collo. Poi la guardò con gli occhi liquidi: la pelle chiara e liscia, gli occhi sgranati che si intravedevano appena sotto il solito ciuffo di capelli sottili e chiari, le labbra schiuse.

- Io sono il primo. E tu, sei mia.

 

 

 

Nina quella sera ripensò a lungo a quelle parole, nella penombra della sua stanza. 

Quando Frederick gliele aveva dette, lei si era sentita bene, al sicuro. Ma ora, da sola e al buio, si sentiva quasi offesa.

- Che maschilista- sputò con rabbia- Io non sono proprio di nessuno. 

Eppure controllò il telefono per vedere se le avesse scritto qualcosa. Niente. 

Sbuffò e si alzò in piedi sul letto, esaminando il suo riflesso nello specchio sulla parete. Un segno violaceo si era formato sulla sua clavicola. Provò a sfregarlo con le dita, ma non venne via. Si lasciò ricadere sul materasso, afflitta. Prese un pennarello indelebile nero dal comodino e iniziò a tratteggiare i contorni del livido, cercando di dargli una forma circolare, mentre canticchiava “Ground control to Major Tom”, sottovoce, per non svegliare suo padre che dormiva nella stanza accanto. Poi ci disegnò intorno un semicerchio, ottenendo il disegno di Saturno. Lanciò il pennarello attraverso la stanza, poi si infilò sotto le lenzuola e si addormentò.

 

 

Se c'erano due cose che Nina amava alla follia, quelle erano i film e l'andare in bicicletta. Nina era una patita di cinema, guardava circa quattro film ogni settimana, se non aveva troppo da studiare. Anche gli horror, perché tanto non si spaventava: le dava fastidio solo quando sbucavano fuori persone o cose dal nulla. E gli spari. 

Non si impressionava per sangue e smembramenti, anzi, non ci faceva nemmeno caso. Per lei nessun film era violento, e pertanto era pessima nel consigliare cosa vedere alle sue amiche, che al contrario di lei erano piuttosto impressionabili. Un solo film era in grado di farla piangere: "Bianco Rosso e Verdone", una commedia italiana. Rideva per tutta la sua durata, ma alla fine del film gli occhi iniziavano a pizzicarle e le lacrime scorrevano copiose sulle sue guance. Non poteva farci niente.

Invece andava in bicicletta ogni giorno, dall'inizio di maggio fino ad ottobre, quando iniziava a fare brutto tempo. Pedalava velocissimo, con le cuffie nelle orecchie. Ogni tanto provava ad andare senza mani, ma i risultati non erano dei migliori. 

Nei film, spesso il protagonista lancia la bicicletta in mezzo al cortile, quando torna a casa; apre il cancello, percorre il vialetto e poi scende dalla bici, con una mano prende il sedile, con l'altra la canna, e la scaraventa nel bel mezzo del giardino. Era un classico.

Solo che purtroppo Nina non abitava in una bella villetta, ma in un condominio, e non aveva un cortile interno, ma un garage. Ma nonostante questi limiti, non si rassegnava: infatti si limitava a sbattere la sua bicicletta in mezzo al garage, e rinchiudere la porta. 

Suo padre le aveva detto più volte di non farlo, perché in garage c'era anche la sua vecchia Lambretta, ora ristrutturata e sempre tirata a lucido, e Nina minacciava di rovinarla in questo modo. E quindi quando quel sabato trovò la bicicletta di sua figlia lanciata come sempre in mezzo al garage, perse la pazienza ed iniziò a sbraitarle contro, cosa che non fece che aumentare il malessere di Nina: quella sera infatti Frederick sarebbe venuto a casa sua per la prima volta, e lei riusciva solo a pensare che era troppo presto. 

Si cambiò cinque volte, in preda al panico, e quando il campanello suonò era COMPLETAMENTE impreparata. Andò ad aprire, sovrappensiero: era scalza, le unghie del piede sinistro erano dipinte di bordeaux e quelle del destro di giallo senape. Indossava una maglia oversize degli Smiths infilata dentro un paio di jeans un po' larghi tutti sdruciti, con la scritta "mess" in grande su un buco sopra al ginocchio. 

Frederick stava sulla porta, in imbarazzo, con una camicia azzurra a fiori ed un paio di jeans neri. 

Rimasero per un po' lì a sbirciarsi, poi Nina si fece da parte e lui entrò.

La casa della ragazza era abbastanza piccola. Non vide molto delle varie stanze, anche perché lei lo tirò per un braccio fino alla porta della sua camera.

Frederick si sentì subito a suo agio.

La stanza era grande, sembrava addirittura più grande del salotto che aveva visto di sfuggita, ed era stranamente ordinata. Le pareti erano semi-coperte da vari poster: sulla prima c'erano cinque foto in fila, quadrate ed incorniciate, che raffiguravano David Bowie, Patti Smith, Iggy Pop, le Runaways e Lou Reed; sulla seconda, quella contro la quale stava il letto, varie locandine di film_ Léon, Arancia Meccanica, Il Favoloso Mondo Di Amelie, Donnie Darko e Pulp Fiction; sulla terza e sulla quarta, rispettivamente coperte per metà dall'armadio e da una libreria stracolma di dvd e volumi colorati, c'erano invece istantanee che ritraevano la ragazza e le sue amiche, post-it con segnate sopra frasi di canzoni e di film, stampe di opere d'arte e altre locandine e foto di cantanti. 

Accanto al letto stava un comodino con sopra un giradischi, uno di quelli vecchi, e un soprammobile alquanto particolare, ovvero una statuetta in porcellana rappresentante quattro Gesù Cristo nell'atto di ballare abbracciati, con la corona di spine in testa e le mani sanguinanti. Nella parte più alta delle due pareti opposte al letto c'erano due insegne al neon, una giallo limone e l'altra bianca; quella sulla parete di sinistra recava la scritta "Orpheus", mentre quella sulla parete di destra la scritta "Eurydice".

Frederick non sapeva che dire, se non che quella camera era la perfetta rappresentazione di Nina: un miscuglio confuso di cose senza un filo logico, ma che alla fine in un modo o nell'altro stavano bene insieme.

 

 

 

 

- Cosa vuoi fare?- chiese la ragazza spingendo velocemente con il piede un calzino sotto al letto, sperando che Frederick non se ne accorgesse. Lui sorrise e si sedette sul bordo del materasso.

- Guardiamo un film?- propose. 

- Va bene, prendo il computer.

 

Guardarono “Il Giardino delle Vergini Suicide”, una scelta che determinava già come sarebbe stato il loro rapporto: fuori dagli schemi.

Nina scoprì che guardare i film con Frederick era bellissimo, perché stava in silenzio e non la disturbava, e Frederick trovò la situazione altrettanto bella perché Nina cambiò spesso posizione e sembrava non trovare pace, finché lui non le fece spazio fra le sue gambe e lei non gli si abbandonò contro, seppur riluttante, schiena contro petto. I suoi capelli profumavano di camomilla e la maglia degli Smiths di colori acrilici, e Frederick iniziò ad accarezzarle le braccia, lasciando una scia di brividi su ogni centimetro quadrato di quella pelle chiara. Cenarono con dei tramezzini al miele  preparati dalla ragazza e con un pompelmo, poi alle 22.30 la testa del papà di Nina sbucò dalla porta, annunciando ai ragazzi che sarebbe andato a dormire, di fare piano e augurandogli una buonanotte.

Quando uscì, Frederick guardò la ragazza negli occhi: il sole era tramontato e la stanza era illuminata solo dalla luce del computer, dove Trip e Lux stavano facendo l’amore sul campo da football, e dalle insegne al neon. 

 

- Se ora faccio una cosa tu non ti arrabbi, vero?- bisbigliò con la voce roca. 

Nina scosse la testa mentre un brivido freddo le attraversava la nuca.

Lui allora passò una mano sotto le ginocchia della ragazza, disincastrandola dal loro abbraccio complesso, e le si accucciò davanti. Slacciò la cintura e le sbottonò i pantaloni. Nina indossava un paio di mutandine di pizzo nero, così belle che a Frederick quasi dispiaceva togliergliele, ma poi non ci pensò più e le buttò a terra, insieme ai jeans.

Le lasciò un bacio nell’interno coscia e le aprì piano le gambe, mentre lei riusciva solo a pensare “Perché Perché Perché Perché”; non capiva. Non sapeva cosa stesse succedendo.

Quando iniziò a toccarla, la ragazza si mise a guardare il soffitto.

 

- Ti piace?- Frederick la guardò perplesso.
- Sì- Nina non sapeva cos’altro dire. Non sentiva nulla.
- è come quando lo fai da sola?

 

Nina sollevò la testa di scatto ed il ragazzo ritirò la mano.

 

- Cosa?
- Tu non...
- No.
- Mai?- Frederick spalancò la bocca.
- No...- Nina chiuse le gambe di scatto, imbarazzata.
- Quindi io...
- Dio, mi dispiace un sacco- La ragazza si chinò a cercare le mutande, ma Frederick la fermò.
- Non c’è niente di cui devi dispiacerti, non vergognarti e non aver paura. Va tutto bene- le accarezzò i capelli- Lasciami fare.

 

Ricominciò, cercando di fare il più piano possibile. Nina stava guardando la scritta “Orpheus”,  quando sentì qualcosa. Si girò verso il ragazzo, rossa in volto.

 

- Cos’è?- chiese con la voce rotta, ma le dita di Frederick furono più astute e bloccarono le nuove domande sul nascere. Nina gettò la testa all’indietro e contrasse i muscoli della pancia. Cercò di avvicinarsi al volto del ragazzo, voleva baciarlo, voleva sentire la sua lingua, voleva mordergli le labbra. Le venne in mente un frammento del poeta Archiloco che aveva studiato l’anno precedente, “E caderle sulla pelle inebriante, e imprimere ventre a ventre, cosce su cosce”; e con quelle parole stampate in testa accostò il suo volto a quello di Frederick, che però la respinse.
- Voglio baciarti.
- Anche io lo voglio, ma hai detto tu stessa che era troppo importante.
- Ho anche detto che era troppo presto, ma tu ora sei qui con una mano fra le mie gambe, come la mettiamo?- Ansimò Nina arrabbiata.
- Ti fidi di me?- sbuffò lui spazientito ed imbarazzato, mentre guardava da un’altra parte perché Nina arrabbiata era la cosa più bella del mondo.

 

E Nina voleva dirgli che no, non si fidava di lui proprio per un cazzo, ma in quel momento le mancò persino quel poco fiato che le era rimasto, la vista le si appannò e un gemito rauco le uscì molto grottescamente dal fondo della gola. Frederick le si sdraiò accanto, mentre lei ansimava e si passava una mano tra i capelli umidi; poi recuperò le mutande da sotto il letto e spense il computer. La vide sfilarsi la maglia nella penombra e poi appoggiare la testa al cuscino.

 

- Io dovrei andare via- mormorò il ragazzo.
- è tardi ormai- rispose Nina.
- Ma c’è tuo padre di là.
- Non se ne accorgerà.

 

Gli diede le spalle, poi prese le mani di Frederick e, facendole passare sotto le sue braccia, se le portò sui seni, a stringerla più forte. 

Lui non si addormentò, non subito: riusciva solo a pensare al fatto che se fosse stata un’altra ragazza l’avrebbe scopata come si deve, scopata e basta. Invece ora se ne stava lì, con due gocce di sudore sulla tempia ed i suoi seni fra le mani, a pensare che ormai era fatta, c’era cascato. Frederick era come un’aspirapolvere, e tutto ciò respirava era la polvere di Nina.

Cercando di affermarsi.

Cercando di farsi valere.

 

- Frederick?
- Sì?
- Sei mio?

 

“Cercando”, appunto. Perché Nina era onnipotente.

 

- Sì.

 

 

Frederick lasciò che Nina lo baciasse solo la prima volta che fecero l’amore. Lei non era molto di sicura di volerlo fare, stava rifacendo il letto con delle vecchie lenzuola delle Winx, in modo da poterle buttare via subito, e si fermò a pensare. Era l‘01.00 pm e faceva caldo, la maglia dei Talking Heads le si era appiccicata alla schiena; in un angolo della stanza stavano una bottiglia di vino rosso e una scatola di mcnuggets avanzati dalla sera prima. Ne mangiò uno, nonostante lo stomaco fosse stretto in un nodo e lo mandò giù con due lunghi sorsi di vino. Fumò una sigaretta, guardò fuori dalla finestra e si appollaiò sull’altalena.

Era l’8 giugno.

Quando vide la testa di Frederick spuntare sotto alla ringhiera del balcone si alzò ed andò ad aprirgli.

Lui sorrise, le aveva portato un DVD, “Shrek”: la ragazza gli aveva detto infatti che era uno dei suoi film preferiti, ma che non lo riusciva a trovare più da nessuna parte. Lei ricambiò il sorriso e gli spostò dietro l’orecchio un ricciolo ribelle.

 

- Va bene- disse infine.
- Cosa va bene?- chiese lui
- Va bene tu che sorridi, tu che mi porti Shrek, tu che hai i capelli spettinati. Va bene. Vado bene io che inizierò a fidarmi di te, nonostante sia troppo presto, come sempre.

 

 

 

 

Fra le coperte attorcigliate faceva troppo caldo.

Frederick aveva sorriso nel vedere le lenzuola delle Winx, poi aveva visto le mutande di raso di Nina ed il sorriso gli era morto in gola. E da quella gola ora uscivano solo versi strozzati, misti ad imprecazioni che nemmeno l’album degli Arctic Monkeys che la ragazza aveva messo su per smorzare la tensione riusciva a coprire. Nina aveva le fossette sulla schiena, qualche centimetro sopra al sedere, e Frederick ci aveva affondato dentro i pollici.  E Nina allora aveva messo i suoi nelle fossette di Frederick, belle e profonde, sulle guance calde e sbarbate, sicura che dopo le sue dita avrebbero saputo di dopobarba per qualche giorno. 

Aveva alzato la testa, sempre tenendosi arpionata alle guance del ragazzo, e lo aveva guardato negli occhi: erano verdi e arrossati, c’era incastrata dentro una macchia color caffellatte, le loro dita erano incastrate nelle rispettive fossette, e Frederick si era incastrato nel suo cuore.

Lo baciò.

Fu bello, e strano, e bagnato. Sentì la sua lingua calda e gli morse il labbro inferiore, finalmente, e sorrise. I loro denti si scontrarono. 

Sorrisero di nuovo e chiusero gli occhi.

 

Frederick crollò esausto al fianco di Nina, che lo baciò ancora una volta prima di chinarsi a raccogliere un coltellino strano e un pompelmo.

 

- Ne vuoi un po’?- gli chiese.

 

Lui scosse la testa e rimase a guardarla mentre sbucciava il pompelmo, con gli Arctic Monkeys ancora sparati in sottofondo. Le prese la mano che impugnava il coltello e se l’appoggiò sul petto nudo, sopra al cuore.

 

- Sii crudele con me, perché sono pazzo di te.

 

 

 

 

 

Nina non era molto brava a dare i baci con la lingua: le sembrava sempre di sbagliare qualcosa e quando apriva gli occhi e vedeva che Frederick invece era concentrato un sorriso le increspava le labbra e lui si ritrovava a baciarle i denti. 

Lui si fingeva spazientito, ma in realtà amava i baci di Nina, anche se erano un po’ confusi e le lingue non sempre si centravano in pieno. 

Il loro posto preferito era il muro di mattoni sotto casa della ragazza: erano coperti dal balcone, e quindi il padre di Nina non li avrebbe visti nemmeno sporgendosi dalla finestra. Frederick la prendeva in braccio, stringendole forte le natiche, e si appoggiava con la schiena al muro, lasciando apposta che le ginocchia sempre scoperte della ragazza sbattessero contro di esso in modo tale da poterla stare a guardare quando, il giorno successivo, avrebbe disegnato gli anelli di Saturno intorno ai lividi e alle sbucciature.

A volte Frederick la guardava a lungo, mentre lei beveva il caffè, o dipingeva, o guardava i documentari sul riscaldamento globale con le lacrime agli occhi e non riusciva a finire la cena, o mentre si spalmava la lozione alla ciliegia sulle gambe chiare e quel profumo dolce si spandeva per tutta la stanza.

Nina era il più bel spettacolo del mondo, e non si pagava nemmeno il biglietto.

Lei invece Frederick non lo fissava mai. Solo ogni tanto, quando dormiva: gli si accucciava accanto e gli accarezzava il viso con le dita, lasciando correre i polpastrelli sulla mascella, sulle palpebre chiuse, sulle labbra e sugli zigomi sporgenti.

Nina si limitava a sbirciarlo.

Di nascosto, quando lo caricava sul portapacchi della sua bici, e mentre si girava con la scusa di controllare la strada lo sbirciava da sopra la spalla, da sopra il suo zainetto di pelle nera che si portava sempre dietro. 

Per Nina i contatti visivi erano molto difficili, perché aveva gli occhi enormi e se qualcuno ci guardava dentro per troppo tempo riusciva a leggerci tutto, paure, sogni, pensieri e desideri. Per questo lei ci lasciava cadere sopra quel ciuffo sbilenco, perché preferiva che certe cose rimanessero solo sue, che non fossero lette da nessuno, nemmeno da Frederick.

 

- Ma chissà poi perché le persone si baciano proprio sulle labbra- disse lei un giorno.

Erano sdraiati sul suo letto: Frederick le stava accarezzando un braccio mentre la mano sinistra della ragazza era incastrata nei capelli lunghi di lui.

Fissavano il poster di David Bowie attaccato al soffitto, mentre ascoltavano “Bigmouth Strikes Again” dei The Smiths sul lettore mp3, una cuffietta ciascuno.

Il ragazzo le prese la mano e la baciò.

- Com'è stato?- chiese.

- Bello.

Allora lui le baciò le labbra.

- E ora?

- Sempre bello.

- Sì, ma di più o di meno?

- Va bene, di più. Ma perché proprio le labbra?

- Boh, sarà una zona particolarmente erogena.

- Come le orecchie?

- Le orecchie sono erogene?!

- Sì. Guarda- E si sporse verso il ragazzo per poi leccargli un orecchio. Risero insieme.

- Ti é piaciuto?

- No, fa schifo.

Risero ancora.

- Dobbiamo proprio andare?

- Sì- Frederick sbuffò- Glielo avevo promesso.

Dovevano andare alla festa di compleanno di una certa Carol, un'amica del ragazzo: una bionda tinta con l'abbronzatura finta e le tasche piene di soldi.

- Vai solo tu- Nina si stirò.

- No. So che lasciarti da sola non é facile come cosa.

- Nel senso che io non ti lascerei andare oppure perché ti sentiresti in colpa ad andare senza di me?- disse la ragazza afferrandosi le caviglie con le mani e nascondendo un sorriso nell'incavo della spalla.

- Tutte e due le cose.

 

Nina allora si alzò, svogliatamente. Dopo aver lanciato un po' di vestiti fuori dall'armadio e aver sbuffato almeno quindici volte, si mise un paio di pantaloncini a vita alta tartan, un top di velluto nero e le sue irriducibili Vans. Questa volta fu Frederick a nascondere un sorriso che gli bruciava sulle labbra al pensiero di come Carol e quelle altre smorfiose delle sue amiche avrebbero reagito alla vista della ragazza.

 

La festa si teneva in una villa enorme.

Nina, dopo aver fatto gli auguri a Carol (alla quale non doveva stare molto simpatica, dato l'espressione di disappunto sulla faccia della bionda), si mise a girovagare un po' per la casa, finché non fu chiamata a vedere il filmato in onore della festeggiata: ben 20 minuti di video che documentava dettagliatamente la vita di Carol, dalla nascita, alla prima pipì nel vasino, al primo giorno di scuola e così via.

Dopo 5 minuti Nina era già esausta.

Si guardò un po' intorno, poi finalmente distinse la sagoma di Frederick sul balcone della sala. Lo raggiunse in fretta.

- Ehi come va?

- Bene, avevo bisogno di un po' d'aria. Di là com'è?

- Ehm... Molto bello. Stanno trasmettendo un filmato sulla vita di Carol- Nina si strinse nelle spalle.

- Vuoi saperlo un segreto?- Frederick sorrise malizioso.

- Dimmi- Nina avvicinò l'orecchio alla bocca del ragazzo e ne approfittò per mettere un dito nella sua fossetta.

- Io non la sopporto Carol.

La ragazza spalancò gli occhi.

- Cosa?! Quindi neanche a te va di stare qui?

- No. Eccezion fatta per te, non mi piace nessuno là, nel salone- il ragazzo si mise a ridere e Nina lo imitò. 

- Allora andiamo via- la ragazza lo prese per mano.

- Ma... Ci ha portati qui Michael... Non possiamo andare via... Poi dobbiamo andare in giardino per il brindisi... E salutare i ragazzi...

- Certo certo- questa volta fu Nina a ridere- Dobbiamo andare in tanti posti, e vedere tante persone...- Iniziò a tirarlo per un braccio- Ma penso che potremmo metterli tutti quanti in attesa, e so che sei d'accordo con me.

Non ci volle altro per convincere Frederick.

Corsero fuori attraverso il salone, senza nemmeno salutare Carol. Prima di uscire, Nina vide la custodia di una chitarra in un angolo.

- Sai di chi é?- chiese a Frederick.

- Dovrebbe essere di Jack- rispose lui.

La ragazza non ci pensò due volte e se la caricò in spalla.

- Cosa? Non puoi...

- Ce lo meritiamo- si giustificò lei, e lo baciò sulle labbra.

Arrivati in giardino si misero a cercare un mezzo di trasporto.

L'unica cosa che trovarono fu una bicicletta scassata.

- Ma come facciamo ad andare, non posso caricarti dietro, ho la chitarra...- disse Nina.

- Fammi provare una cosa, sali- ordinò il ragazzo, poi si sedette sul manubrio.

- Ma no deficiente, così non funziona! Non ci vedo nulla...

- Non fare storie e pedala.

Caddero solo due volte, fra bestemmie e risate, ma quando arrivarono ai campi da tennis nonostante le loro ginocchia fossero irrimediabilmente sbucciate, la chitarra era ancora integra.

Nina buttò la bicicletta in un angolo, poi si tolse le scarpe.


- Cantami qualcosa- le chiese Frederick mentre apriva la custodia della chitarra.
Cosa?- Nina arrossì.
- La prima cosa che ti viene in mente.
We can go back to New York , loving you was really hard, we can go back 'til it's dark, where they don't know who we are...- Si mise a cantare (molto male), mentre Frederick cercava di trattenere le risate.
- Sei brava...- disse, mordendosi le labbra.
Ma vai a cagare, vah- Nina gli fece il dito medio e gli diede le spalle.
Gngngngngng- il ragazzo le fece il verso- Stupida.

Lei non rispose. Sapeva che Frederick stava solo scherzando, ma le dava fastidio comunque quando si comportava così. Lui se ne accorse, a malincuore.

 

- Oggi ti pensavo.

 

La ragazza roteò gli occhi, ma nascose comunque un sorriso contro la sua spalla nuda. Poi gli si avvicinò e gli prese la chitarra dalle braccia.

 

- Non suono dal ’97- sbuffò.
- Ma se non eri neanche nata...

 

Nina lo interruppe schiarendosi la voce. Poi iniziò a saltellare.

 

- Out here the nights are long, the days are lonely, I think of you and I’m working on a dream, I’M WORKING ON A DREEEEAAAAM- si fermò solo per guardare la reazione del ragazzo, che sapeva odiare Bruce Springsteen, trattenendo una risata.
- Ti piace Springsteen? Ok. Non c’è problema.
- Lo odio anche io, tranquillo- Nina gli mollò di nuovo la chitarra in mano e poi gli si accoccolò accanto- Volevo solo farti arrabbiare.

 

Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo, prima di tirare Nina sopra di lui e di toglierle il top di velluto nero, sul quale aveva avuto fantasie sconce per tutta la serata.

 

- Allora adesso vedi di farti perdonare.

 

 

- A che cosa pensavi di preciso?- Nina baciò il gomito di Frederick. Erano sdraiati sul campo da tennis nudi e stavano guardando le stelle.
- Quando?- il ragazzo si girò a guardarla, e lei si spostò il ciuffo sugli occhi.
- Prima hai detto che oggi mi pensavi.  A che cosa pensavi di preciso?

 

Lui chiuse gli occhi un attimo, poi sorrise.

 

- Pensavo alle tue braccia.
- Perché?- anche Nina sorrise.
- Mi piacciono. Sono chiare e lisce e le accarezzo sempre mentre facciamo l’amore- le baciò una guancia, poi continuò- Pensavo anche ai tuoi capelli, e ai tuoi denti. Alla voglia di caffelatte a forma di mezzaluna che hai sulla coscia. è tutto bello. Tu sei bella, Nina. Sei così speciale.
- Ti amo.

 

Lo disse senza pensarci. Frederick si girò di scatto a guardarla, stupito, e le spostò il ciuffo dagli occhi: aveva le guance rosse, e le si vedevano meglio le lentiggini. Lui si morse l’interno della guancia.

 

- Anche io ti amo.

 

E Nina riuscì solo a pensare al fatto che il ragazzo non aveva risposto né “Idem”, o “grazie” , o “sticazzi”, e neppure “ti amo anch’io”_ che fa veramente schifo_ ma aveva invece detto “anche io” prima di “ti amo”, per rendere il tutto meno scontato e riduttivo.

Si baciarono sorridendo e come sempre i loro denti si scontrarono.

Fecero l’amore ancora due volte e poi Nina ballò per Frederick, nuda e senza vergogna, e lui restò a guardarla sdraiato per terra, cercando di contarle tutte le vertebre che sotto la luce della luna erano bianche come le perle di un rosario, fino a che non si addormentò.

 

 

A Frederick davvero non piaceva nessuno al di fuori di Nina. E non solo nel salone di Carol quella sera, ma nell'intero universo. Questa cosa un po' gli dava la nausea ed il mal di pancia, perché a volte lei gli faceva vedere le cose sotto un'altra prospettiva e spesso capitava che lui arrivasse quasi ad amare ciò che prima detestava. Altre volte invece non la capiva proprio, Nina, che si metteva un sacco di mascara sulle ciglia e nel momento in cui lo scovolino le finiva per sbaglio nell'occhio starnutiva, e subito dopo il sangue iniziava a scenderle copioso dal naso perché soffriva di epistassi, Nina che gli prendeva la chitarra di nascosto e poi si metteva a suonare "The Boxer" dei Simon and Garfunkel, che a Frederick aveva sempre fatto venire da piangere però se la cantava lei no, senza il plettro, con le dita che sanguinavano perché si mangiava le unghie e le corde della chitarra erano troppo dure per lei, saltando sul letto fino a perdere il fiato. Nina che, nonostante Frederick fosse davvero pazzo di lei, non ci riusciva proprio ad essere crudele, ma era invece dolce come i suoi tramezzini al miele, come il modo in cui cantava le canzoni di Lana Del Rey, anche se era un po' stonata, stando in piedi sul letto con gli occhi chiusi e dondolando piano i fianchi, ballando solo per Frederick, come quella sera ai campi da tennis. A volte lui la faceva arrabbiare e lei gli urlava contro "ti spacco quella faccia del cazzo" e poi lo colpiva veramente, senza però dimenticarsi mai di baciarsi le nocche prima di tirargli un pugno. E poi quel pugno glielo dava anche pianissimo, lo sfiorava appena, perché nonostante tutto lei la amava quella faccia del cazzo, e dopo aver fatto la pace con il sesso, le sigarette o i pancakes freschi, lo baciava piano e glielo diceva, un po' a malincuore, "Tu hai questa faccia che dice proprio "Amore, sono stato creato per spezzarti il cuore"". Frederick sbuffava e le diceva di smettere di fare la poetessa complessata del cazzo che tanto non ci credeva nessuno e lei si arrabbiava di nuovo, si baciava le nocche e lo colpiva sullo zigomo, forte questa volta, lui imprecava e Nina si scusava e si metteva a piangere, mentre il sangue iniziava a scenderle dal naso, e tutto ricominciava da capo. Ed era esattamente questo che lei voleva. Lo aveva detto subito a Frederick. "Io voglio la passione. Anche se é più difficile e fa più male".

 

- Che bella mostra del cazzo- Nina sbuffò e si spostò i capelli dagli occhi.
- Mi dispiace per te, ma io ancora non capisco perché non ti sia piaciuta- Frederick la raggiunse e la prese per mano, prima di rivolgerle un sorriso un po' colpevole.
- Qui sul volantino diceva "tutti i quadri più famosi di Frida Kahlo", ma a me non risulta affatto che ci fossero.
- Abbiamo visto tanti bei quadri, fa lo stesso... - provò a dire il ragazzo, sedendosi su una panchina.
- Non abbiamo visto "qualche piccolo colpo di pugnale", né "Il cervo ferito", né "la colonna rotta"- ribatté lei sedendosi accanto a lui.
- Ti dispiace molto?- chiese Frederick spostando la ragazza sulle sue ginocchia e baciandole una scapola.
- Un po'- Nina si strinse nelle spalle.
- Allora disegnali sul mio braccio- le sorrise il ragazzo- Ti sembrerà di averli visti alla mostra e sarai più felice.

E rimase lì, pazientemente seduto sulla panchina, mentre Nina disegnava i quadri stilizzati e intanto gli raccontava la vita di Frida Kahlo, emozionata, e della storia d’amore con Diego Rivera, che era un po’ come la loro: tossica, romantica, inevitabile. Dopo una pausa di qualche minuto prese un respiro profondo e gli parlò anche di sua madre, che si era risposata ed ora viveva in Florida con l'attuale marito e che si sentivano al telefono solo per Natale e per il suo compleanno, e nel frattempo i quadri di Frida si erano trasformati in scritte in francese, disegni di animali e di fiori, lampade di Philippe Starck, sedie di Castiglioni ed altri pezzi di design. Quando ebbe finito e Frederick si girò verso di lei, gli permise di guardarla per un po' negli occhi, di leggerle dentro. Fu una cosa che durò solo per una manciata di minuti, poi con un gesto secco si lasciò ricadere il ciuffo sugli occhi e si alzò dalla panchina. Alla fine dispiacque molto di più a Frederick di non aver visto tutti i quadri di Frida Kahlo, quel giorno alla mostra.

 

Nina era sicura di amare Frederick alla follia.

Anche se si dimenticava sempre il barattolo dei biscotti aperto.

Anche se ogni volta che mangiava le ciliegie si sbrodolava addosso e macchiava le lenzuola bianche del letto di Nina, e “Il succo di ciliegia non si smacchia, Frederick, porca puttana”.

Anche se non gli piacevano i Depeche Mode, anche se adorava Jim Morrison.

Anche se premeva sempre il tubetto di dentifricio dal centro, anche se Nina si incazzava a morte ogni volta, anche se tanto lui avrebbe continuato a premerlo dal centro lo stesso.

Nina guardava le dita di Frederick intrecciate alle sue e pensava che non si sarebbero mai separati.

Quando lo aveva incontrato, lei era vergine, in tutti i sensi. Lui l’aveva cambiata- era stato il suo primo tutto.

Il suo primo bacio.

Il suo primo ragazzo.

Il primo con cui avesse mai fatto l’amore.

Frederick sarebbe sempre stato nel suo cuore, diceva Nina. Per sempre.

E rideva, e andavano da Blockbuster, e lei lo trascinava nella sezione dedicata ai film erotici, e ne sceglievano uno, e se lo guardavano a casa analizzando ogni particolare, e poi provavano ad imitare le posizioni nella doccia, magari a Nina veniva un crampo alla gamba e Frederick scivolava strappando per sbaglio la tendina impermeabile e ridevano ancora, e ridevano per sempre.

Quando era estate e andavano in vacanza con le proprie famiglie lei lo chiamava al telefono, ogni sera, magari non gli diceva niente di importante ma si limitava a cantargli una canzone e gli diceva di guardare il Grande Carro, (perché la stella polare Frederick non riusciva proprio a trovarla), che lo stava guardando anche lei, così sarebbe stato come essere insieme per davvero. 

Poi si rivedevano a settembre, lui passava a prenderla e quando Nina lo sentiva arrivare fischiettando “Twisted Nerve” sollevava le tende della finestra del salotto e si affacciava di sotto per salutarlo, senza maglia apposta per dare fastidio a Ilde, e con un sorriso enorme. E andavano a mangiare il gelato, e quello di Nina le si scioglieva sempre in mano perché lei era troppo lenta, Frederick la prendeva in giro e lei si arrabbiava, allora lui per farsi perdonare la portava al mare, a metà strada si fermavano per fare la pipì e mentre Nina stava per rimontare in macchina Frederick provava a spaventarla mettendosi un cono segnaletico in testa, lei rideva come una matta e ne prendeva uno a sua volta, facendo iniziare una battaglia di testate e magari alla fine al mare non ci arrivavano neanche.

Nina non guidava perché aveva paura degli incidenti, però si accucciava tranquilla sul sedile del passeggero (“I am the passenger, and I ride and I ride” cantava a tempo con Iggy Pop mentre lasciava penzolare una mano fuori dal finestrino) accanto a Frederick ed osservava i suoi movimenti. A volte gli chiedeva se poteva usare lei il cambio e lui la lasciava fare. Quando passava dalla terza alla seconda chiedeva a Frederick “Così va bene?”, lui annuiva e, proprio mentre lei stava per passare dalla seconda alla prima, appoggiava la sua mano su quella di lei_ “Ecco, così”_ e la guidava attraverso il passaggio dalla prima al folle, senza lasciarle mai la mano. Nina si irrigidiva perché quel tipo di contatto non le era mai piaciuto e lui, accorgendosene, si innervosiva, e non poco.

In quei momenti, e solo in quei momenti, Frederick notava quanto fosse all’insù il naso di Nina e a punta le sue labbra, quanto fossero sproporzionati i suoi occhi in confronto alla faccia, la sua voce stridula, le sue gambe storte e magre e la sua pelle troppo chiara. In quei momenti Frederick sentiva Nina troppo distante da lui, come se non si conoscessero.

- Ma come fai a dire che vorresti sentirmi dentro, Frederick, sei pazzo?- rispondeva Nina quando il ragazzo provava a parlargliene- Uno dentro si sente i pugni, è questo che vuoi?

 

Lui non ribatteva neanche, tanto Nina non avrebbe capito.

 

Frederick voleva solo che lei si lasciasse un po’ leggere da lui, che non si tenesse sempre tutto dentro; che gli parlasse più spesso di sua madre, che gli raccontasse come si era fatta quella lunga cicatrice che le girava tutto intorno all’anulare, che lui potesse liberamente guardarla nuda, sia fuori che dentro.

E invece Nina si limitava a cantargli “Terrence Loves You”, oppure “Teen Idle”, a dipingere senza maglia, a fumare una sigaretta appollaiata sull’altalena e a magiare l’insalata, il tutto con quegli occhioni da cerbiatto che si ritrovava, sempre coperti dal ciuffo sbilenco che si era tagliata da sola una mattina, senza neanche guardarsi allo specchio.

E la sera, mentre si davano il bacio della buonanotte contro il muro di mattoni sotto casa della ragazza, Frederick sospirava affranto e prima di andare via le diceva, a malincuore:

- Sembra che tu non abbia mai niente da dirmi, e a volte penso che sia così perché sei una persona normale, che fa delle cose normali e conduce una vita normale. Equilibrata. Ma in realtà tu sei una pazza, e questo lo sanno tutti. Sei emotivamente disturbata. E poi hai questi enormi occhi, e la cosa certe volte mi distrugge.

 

 

 

Frederick non era più sicuro di amare Nina.

 

 

 

Era una tiepida domenica pomeriggio di aprile e Frederick e Nina avevano appena finito di fare l'amore. Un disco vecchio e rigato dei Joy Division suonava piano, perché il padre della ragazza era di là in sala e rischiava di sentire i loro respiri fin troppo affannati. Frederick stava aspettando che Nina si rivestisse e intanto giocherellava con le ciliegie di un bicchiere di vino bianco che lei gli aveva offerto. La ragazza aveva sempre almeno una bottiglia di vino in camera, e lui non poteva fare a meno di esserne un po' invidioso; sua mamma si arrabbiava anche solo se ad una cena di famiglia si versava un po' di spumante. Nina rientrò in camera, con una maglia grigio scuro dei Nirvana infilata in un paio di shorts chiari e un cappellino nero con la visiera girato al contrario in testa, e si accoccolò sul letto con lui, che era ancora nudo e coperto solo dal piumino bianco. 

Gli rubò una ciliegia dal bicchiere.

- Ti piacciono?- gli chiese.

- Un sacco. Tu fai sempre queste cose super chic, sembri uscita da un film degli anni '50- rise lui.

- Mi ami per questo.

- No.

- Come no?

- Pensi davvero che ti ami per questo motivo?

- Sì.

- Gngn- rise- Che scema che sei.

- Vaffanculo.

- Va bene, ti amo.

- No, adesso non lo penso più.

- Ma io ti amo lo stesso.

- Attaccati.

Lui rise più forte e la baciò. Le sue labbra gonfie e rosse erano macchiate di succo di ciliegia.

- Scherzavo, anche io ti amo- e gli baciò una fossetta- Per favore ora, passami la bottiglia di vino e il libro di letteratura. Devo preparare un esame.

- É meglio se mi limito a darti solo il libro, allora- rise lui chinandosi verso la scrivania. Alzò lo sguardo verso la parete e vide una foto che non aveva mai notato: era in bianco e nero e ritraeva un uomo coi capelli lisci che arrivavano fino alle spalle e un paio di lunghi baffi curati, nell'atto di suonare la chitarra.

- Chi é quel tizio?- le chiese, mentre le allungava il libro- Tuo nonno da giovane?

- Uh?- Nina alzò lo sguardo un secondo per poi riposarlo subito sul libro- No, é Norman Greenbaum.

Frederick inarcò un sopracciglio.

- Chi?!

- Norman Greenbaum, il mio cantante preferito. Un tipo molto spirituale- rispose tranquilla lei, senza distogliere nemmeno lo sguardo dal libro.

- Nina- il ragazzo prese un respiro profondo- Ma il tuo cantante preferito non é David Bowie?

- Beh, sì, Bowie mi piace. Ma quella di Norman é tutta un'altra storia. 

- Non ci posso credere- bisbigliò lui- Stiamo insieme da quattro anni, e per  quattro anni non ho mai saputo veramente chi fosse il tuo cantante preferito.

- Ehi Frederick- Nina lasciò finalmente il libro da parte e gli toccò una spalla, guardandolo- Perché ne stai facendo un dramma? Si tratta solo di musica.

Ma lui non la stava ascoltando.

Si era alzato dal letto e si era diretto verso la libreria, facendo oscillare il bicchiere di vino dalla mano destra. Iniziò a frugare tra i volumi sotto lo sguardo perplesso della ragazza. Si fermò solo dopo qualche minuto. Nina vide che stringeva tra le mani il suo vecchio diario. 

- Frederick, no, cazzo- si alzò anche lei dal letto e lo raggiunse, cercando di strapparglielo via. Se lo contesero per un po', col risultato che alla fine il diario cadde per terra, aperto. Il ragazzo rimase a fissarlo, con gli occhi spalancati. E quando anche Nina, confusa, abbassò lo sguardo su di esso, si rese conto era aperto su una pagina che portava la grande scritta "DIARIO SEGRETO: PROPRIETÀ DI NINA ROSE NESBITT".

Rimasero entrambi in silenzio per qualche secondo. Poi Frederick, molto lentamente, chiese:

- Hai un secondo nome?

- Non é una cosa molto seria, nessuno mi chiama mai col mio nome completo, neanche i professori- provò a giustificarsi.

- Tu hai un secondo nome, "Rose", ed io non lo avrei mai saputo se non avessi preso questo stupido diario?

- Non é una cosa importante- ripeté lei.

- É importante PER ME. Stiamo insieme da QUATTRO CAZZUTISSIMI ANNI, NINA, E SCOPRO SOLO ORA CHE HAI UN SECONDO NOME?!

La ragazza si limitò a raccogliere il diario da terra e rimetterlo a posto. 

- Ma tu chi sei veramente?- le chiese infine Frederick, con un filo di voce.

Nina restò in silenzio.

- Basta così- il ragazzo appoggiò il bicchiere vuoto su una mensola e raccolse i suoi vestiti.

- Cosa basta?- domandò lei, ancora ferma vicino alla libreria.

- Non ce la faccio, Nina. Sono stato per quattro anni con una persona della quale non so nulla. É ora di darci un taglio- rispose lui.

- Quindi...

- QUINDI É FINITA, CAPISCI? É FINITA. SEI UN'ESTRANEA PER ME, OKAY? COMPRENDE?!- urlò Frederick.

Nina annuì e si sedette sul letto. 

Il naso iniziò a sanguinarle.

E, come da copione, per aggiungere la beffa al danno, le prime note di "Love Will Tear Us Apart" si levarono dal disco malmesso. 

- Merda- bisbigliò Frederick notando il sangue.

- Non fa niente- Nina si pulì col dorso della mano- Sto bene. Vai pure, Fred- e, senza pensarci, si alzò in punta di piedi per lasciargli un bacio sulle labbra. Solo quando il ragazzo si spostò all'indietro lei si rese veramente conto di ciò che era appena successo.

Tentò di salvare la situazione buttandosi di lato all'ultimo secondo esclamando "OOOPS". Frederick fece finta di nulla, e si limitò a ricambiare goffamente l'abbraccio di Nina. 

- Ciao.

- Ciao Nina.

Uscì dalla camera. 

Sul colletto della maglia bianca, dove Nina aveva stretto più forte, campeggiava una macchia di sangue.

 

 

 

 

Frederick si risveglia improvvisamente dal suo saggio di danza con la fantasia.

Erano anni che non pensava a Nina.

Otto anni, ad essere precisi.

Sbuffa ed esce da Starbucks, ficcandosi le mani strette a pugno nelle tasche del completo. 

Otto anni che non pensava a lei ed é bastato un caffelatte alle spezie per riportargli alla mente la loro passata storia d'amore. Perché é proprio questo che era.

Passata.

Sospira drammaticamente e si avvia verso Central Park, con la speranza di fare progressi nella lettura del suo amato libro di Stephen King. 

Si siede su una panchina e tira fuori il romanzo. I suoi occhi hanno appena iniziato a scrutare la pagina aperta alla ricerca del segno quando, improvvisamente, una figura familiare accompagnata da un dolce profumo di camomilla gli passa accanto. Per un attimo rimane a fissare la pagina del libro come immobilizzato, con un'espressione incredula stampata sul volto. Poi, molto lentamente, solleva la testa e scopre di non essersi sbagliato. A qualche metro di distanza da lui Nina si sta sedendo su una panchina. 

Non é cambiata per niente, agli occhi di Frederick é sempre la descrizione di un attimo: i capelli lunghi fino a metà schiena, liscissimi e più chiari di come se li ricordava, gli occhi enormi e le lentiggini appena accennate sulla pelle chiara.

Indossa una maglia bianca e bordeaux di una serie tv di dieci anni fa, un paio di jeans neri con legata in vita una camicia a quadri, e da una spalla penzola uno zainetto di velluto rosa salmone. Si é seduta sopra lo schienale della panca e sta facendo dondolare i piedi coperti da un paio di malandate converse rosso cupo sul sedile, mentre mangiucchia una pesca noce.

Come sempre sembra che un pittore debba spuntare fuori da un momento all'altro per farle un ritratto.

Come sempre il succo della pesca le ha macchiato le labbra chiare facendole sembrare più grandi.

Come sempre é bellissima.

Frederick si morde il labbro di sotto e ripone con riluttanza il libro nella valigetta, per poi alzarsi dalla panchina e dirigersi verso la donna. Quando é ad appena qualche passo da Nina, lei si gira verso di lui. 

Il tempo sembra fermarsi.

Frederick sente un nodo stringersi intorno alla gola, ancora più stretto di quello della cravatta che porta, e per un secondo teme, guardando gli occhi spalancati di Nina, che lei lo ignori, o lo mandi a fanculo, o che si alzi e se ne vada. 

Invece si sposta i capelli dietro alle orecchie e gli sorride.

- Frederick, ciao! Da quanto tempo, vieni!

L'uomo, ancora un po' scosso, tira le labbra in un sorriso timido e le si avvicina.

Nina scende dalla panchina e lo abbraccia senza paura, stringendosi forte al suo collo, esattamente come se fossero ancora i due ragazzini innamorati di otto anni fa. Lui inala il suo profumo con nostalgia, quel buon profumo di camomilla, ciliegia, marsiglia e acrilici, e fa scorrere le grandi mani sulla sue schiena ossuta. Le era mancata Nina.

- Hai tagliato i capelli, finalmente- la donna ride e da’ un buffetto alla guancia di Frederick, che arrossisce e ride a sua volta- Stai bene. Ti vedo bene- aggiunge subito dopo, dando l'ultimo morso alla pesca e lanciando il nocciolo nel prato. 

- Sì. Anche tu- sorride lui- E poi sei qui a New York, è incredibile.

Vorrebbe dirle qualcos'altro, ma ogni argomento sembra così banale e scontato dopo tutto quello che c'é stato tra di loro. 

Nina si morde le labbra mentre annuisce energicamente. Poi si sbatte una mano sulla fronte.

- Ah Frederick, quasi dimenticavo: lui é Luke- dice tranquillamente, come se niente fosse, pronunciando la "u" come se fosse una doppia "o"_"LOOK"_ spingendolo così a spostare lo sguardo sul giovane uomo seduto accanto a lei, che non aveva nemmeno notato.

Frederick storce il naso di lato, osservandolo: ha i capelli neri, é magro e abbronzato. Gli porge la mano, svogliatamente.

 - Luke, lui é Frederick, il mio ex ragazzo; Fred, lui é Luke, il mio fidanzato. Ci sposiamo a maggio. 

- Anche io mi sono sposato. Due anni fa. Mia moglie si chiama Michelle, abbiamo un figlio, Ross, di un anno- dice Frederick tutto d'un fiato, come per scacciare dalla mente le parole che la donna ha appena pronunciato. Spera di vedere qualcosa accendersi negli occhi di Nina. Qualcosa che dica, tristemente, "non sono più sua".

E invece il sorriso già presente sul viso di Nina si allarga.

- Congratulazioni! Beh, forse é un po' tardi per dirlo ormai- e ride, di nuovo. C'è qualcosa di diverso nel suo volto, ma non riesce a capire cosa sia. Sa solo che deve andarsene presto, perché altrimenti il profumo di Nina gli rimarrà impigliato addosso, e lui continuerà a pensare a lei fino a quando non farà il bucato.

- Ora devo proprio andare- dice grattandosi la nuca- Ma ehi, che ne dici di vederci per un caffè?- butta lì, stando ben attento a non guardare nella direzione di Luke mente parla.

- Certo, mi piacerebbe molto. Ciao Frederick, a presto.

Gli lascia un bacio sulla guancia, leggero come uno sbuffo di vento.

E mentre Frederick si allontana capisce cosa c’è di diverso nel viso di Nina: il suo ciuffo ribelle é tenuto indietro da un paio di occhiali, in modo tale da permettere a Luke di specchiarsi in quegli occhi enormi. Sente una fitta di acutissima gelosia al petto.

Nina non era più sua.

Ma lui voleva ancora essere suo.

 

 

Quando Frederick arriva al bar nel quale si erano dati appuntamento, Nina é già lì, seduta: indossa una felpa di un intenso color pesca con ricamata sopra la scritta "psycho" in nero, i suoi soliti blue jeans a vita alta, un po' larghi, e un paio di Dr. Martens basse. Un porta-sigarette di metallo é aperto sul tavolino, accanto ad uno zainetto giallo. Sta rimestando distrattamente il suo cappuccino, mentre legge "Lolita" con un'espressione annoiata, il mento appoggiato al ginocchio della gamba destra. Frederick la raggiunge, con un sorriso appena accennato sul viso.

- Ciao.

- Ciao, scusa, siediti pure- deposita a terra lo zainetto e prende in mano il porta-sigarette. Il sorriso dell'uomo si allarga: nella prima metà della scatoletta le sigarette sono tutte rivolte verso l'alto, nella seconda, invece, verso il basso.

- Mi dicevi sempre che non ti consideravi una fumatrice perché non compravi quasi mai un pacchetto tutto per te. Deduco che ora tu abbia cambiato idea.

- Oh no, invece é ancora così. Queste infatti le ho tutte scroccate in giro.

E ride, Nina, mentre scioglie una zolletta di zucchero nel cappuccino e butta malamente "Lolita" nello zainetto.

Parlano del più e del meno, del lavoro, del passato e di tutto quello che avrebbero voluto dirsi negli ultimi anni; parlano un po' di Michelle e anche di Luke, Nina dice che lo ama perché é intelligente e simpatico, ha degli ottimi gusti musicali, letterari e cinematografici, e quando guardano i film non parla mai e le accarezza le gambe e la schiena.

- Anche io non parlo durante i film- Frederick si morde l'interno della guancia.

- Lo so. É la qualità che apprezzo di più in te.

- Solo questa?

- Sì.

- Che stronza che sei.

- Succede- ride.

- Va bene allora me ne vado.

- Dai, sai che scherzo.

- No, non voglio più ascoltarti- le fossette gli bucano le guance sbarbate.

- Va bene, ti dirò la verità.

- Okay.

- Mi piacciono anche le tue labbra. Mi sono sempre piaciute, tanto- e cerca con la mano il ciuffo da spostarsi sulla fronte.

Frederick la blocca.

- Non coprirti gli occhi, sei più bella così.

Nina arrossisce per un secondo, poi torna a concentrarsi sul suo cappuccino.

Dalla radio del bar inizia a suonare "Frederick" di Patti Smith.

L'uomo sorride.

- Me la cantavi sempre al telefono, ti ricordi?

- Sì, ero così stonata- ride lei, mettendosi le mani sulla faccia- E invece ti ricordi quella sera ai campi da tennis? Era la prima volta che cantavo per te, volevo morire dalla vergogna.

- E pensare che invece dopo non hai più smesso di cantare, con grande disappunto da parte delle mie orecchie.

Ridono insieme, poi si guardano.

La canzone sta continuando a suonare.

- Nina, perché é finita tra di noi?

- Non lo so- per la prima volta Frederick vede la donna davvero in difficoltà- Eravamo troppo giovani. Non mi amavi abbastanza.

É come se lo avessero colpito in piena faccia.

- Non é vero.

- Ma sì invece. Non mi amavi veramente, forse- dice lei, come se niente fosse.

- No, eri tu. Non mi parlavi mai... Io non sapevo niente di te, tu...- balbetta Frederick.

- Se tu mi avessi amata veramente avresti trovato il modo per farmi leggere da te.

Uno schiaffo dopo l'altro.

Frederick sente gli occhi pizzicare ed un immenso bisogno di tirare su col naso.

- Ma io ti amavo...- bisbiglia piano.

 

E vorrebbe prendersi a schiaffi, perché lui Nina non é che l'amava, lui la ama ancora, al tempo presente. E vorrebbe dirglielo, e vorrebbe baciarla, e vorrebbe scusarsi per non averci provato abbastanza. 

Ma non ci riesce.

Le parole gli muoiono in gola, "Frederick" risuona ancora piano in sottofondo ma a lui sembra solo di sentire Nina che gli dice "sei mio", quella sera, dopo che lui l'aveva toccata per la prima volta.

- Cazzo, é tardissimo- la donna guarda di sfuggita l'orologio e spalanca gli occhi.

(seimioseimioseimioseimio)

- Io ti amavo...- ripete Frederick, così piano che non riesce a sentirsi nemmeno lui.

- Devo correre via, però mi raccomando fatti sentire che ci dobbiamo assolutamente vedere di nuovo- si alza e lo stringe forte a sé, come quella volta, delle ciliegie col vino e di Norman Greenbaum.

(seimioseimioseimioseimio)

 

Il viso di Frederick ormai é completamente inondato dalle lacrime.

Nina non se ne accorge o forse fa finta di niente, prende una sigaretta ed esce di corsa dal bar. Lui la guarda dalla finestra, la osserva mentre ride fumando e parla al telefono, forse con Luke, Luke che la rende così felice (seimio), si vede, camminando velocemente in mezzo al traffico di New York, l’anello di fidanzamento infilato nell’anulare che sembra catturare tutta la luce (seimioseimio) e brilla, brilla da morire. Quando sparisce dietro un angolo, Frederick si passa una mano sulla faccia e sospira un'ultima volta.

- Ma io ti amavo.

 

 

(seimioseimioseimioseimio)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

OHEI ciao people!

Ho iniziato a scrivere questa cosa l’estate del 2016, praticamente una vita fa, e l’ho finita quest’estate. Poi oggi, dopo averla riletta e ricontrollata per la centesima volta, mi sono detta “Ma perché lasciarla qui nel mio computer a fare le ragnatele?” e quindi SBAM here we are. é un sacco smielata come storia, lo so, mi vergogno un po’ di me stessa, ma alla fin fine piace così com’è, diabete e tutto.

Cos’altro dire? Spero che vi sia piaciuta e grazie della pazienza, soprattutto se siete arrivati fin qui a leggere eheheheh.

Un abbraccio

_Nina1989_

PS. non ci sono le foto perché non so come metterle CAVOLETTI

  
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