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Autore: effe_95    18/02/2018    1 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
62.Pioggia, Questo cortile e Inizio.
 


Giugno

<< Ma tu guarda se doveva mettersi a piovere in questo modo! >>.
Ivan non riusciva davvero a smettere di brontolare mentre osservava la pioggia sciabordare contro la vetrata del negozio. Guardò con aria sconsolata l’enorme libro di letteratura latina aperto sul tavolo davanti a lui; il gelato nella coppetta si era sciolto da tempo.
Il pistacchio si mescolava alla vaniglia creando delle onde di crema piuttosto artistiche.
Faceva un caldo della malora, eppure il cielo sembrava voler piangere tutte le sue lacrime.
Nell’aria si respirava una tale umidità che persino le magliette sembravano volersi incollare addosso permanentemente.
Ivan avrebbe tanto voluto chiedere ad Italia, seduta proprio davanti a lui, come facesse a concentrarsi così intensamente senza fare nemmeno una piega.
Avevano stabilito da giorni di andare a studiare in quella sorta di gelateria-caffè universitario, l’ambiente era sembrato ad entrambi così rilassato e pacifico da sceglierlo senza nemmeno pensarci troppo.
Ma nessuno dei due avrebbe potuto prevedere che avrebbe fatto quel putiferio.
Ivan guardò con aria sconsolata il riassunto sulla vita di Ungaretti che stava meticolosamente trascrivendo, avrebbe dovuto studiarlo quando il professore l’aveva assegnato mesi prima.
<< Il tuo gelato si è sciolto >> Il commento di Italia lo distrasse dai suoi lugubri pensieri.
Aveva finalmente sollevato gli occhi dal proprio quaderno, i lunghi capelli ramati cadevano sciolti sulle spalle scoperte macchiate di lentiggini, gli occhiali erano stati sostituiti da un paio di lenti a contatto e l’intenso color cioccolata del suo sguardo sembrava sciogliere ogni cosa nel raggio di mille chilometri.
Indossava un vestitino bianco tutto ricoperto di fiori dai mille colori, che le aderiva addosso con una tale grazie da sembrare essere stato fatto apposta per lei, le spalline sottili le scivolavano sulla pelle e Ivan non riusciva a distogliere lo sguardo.
<< Anche il tuo >> Si ritrovò a replicare, strizzando gli occhi e dandosi un pizzicotto sulla coscia. Era stanco di studiare per l’esame di maturità, gli sembrava di non aver fatto altro per giorni in quella ultima settimana di scuola.
Italia alzò le sopracciglia sorpresa, quasi si fosse dimenticata di aver ordinato anche lei una coppetta; il suo gelato era completamente intatto, ormai crema nel suo contenitore di carta.
<< Fuori piove così tanto … >> Mormorò la ragazza spostando lo sguardo sul vetro della finestra frustato dall’acqua, Ivan fece fatica a trattenere un sorriso mentre le osservava il profilo. Era tipico di Italia essere così concentrata sullo studio da non accorgersi di altro.
<< Dovremmo andare a casa? >> Domandò lei sovrappensiero.
<< Non abbiamo gli ombrelli >>.
Italia distolse lo sguardo dal vetro bagnato, chiuse il quaderno di italiano, si stiracchiò come un gatto e fece spallucce, fissando Ivan con uno strano interesse e un pizzico d’affetto.
<< Non importa se ci bagniamo un po’ … casa tua è qui vicino, no? >>.
Ivan aggrottò le sopracciglia alla domanda, fissando Italia negli occhi.
Lei sembrava sorprendentemente serena, gli angoli della bocca erano sollevati in un sorriso gentile, lo osservava intensamente con quegli occhi nocciola, la mano posata sotto il mento; da quando erano tornati insieme sembrava che tutta l’ansia, tutta la timidezza che aveva provato precedentemente, fosse magicamente sparita nel nulla.
Come se avessero preso totale confidenza l’uno dell’altra.
Era una sensazione talmente piacevole che Ivan se ne rendeva conto per la prima volta.
<< Si >> Dichiarò, per poi incrociare le braccia al petto e arrossire << Ma i miei non ci sono oggi. Sono andati a trovare nonna per il weekend >>Terminò balbettando leggermente.
Italia sorrise ancora di più, spostò la mano da sotto il mento e prese quella di Ivan.
Ormai i tatuaggi erano talmente aumentati che avevano raggiunto anche il dorso della mano e le nocche. Osservando le loro dita intrecciate Italia si ritrovò a pensare a quanto avesse dato di matto quando aveva notato che Ivan si era fatto tatuare la parola “FUCK” in maiuscolo, una lettera per ogni falange.
Gli aveva tenuto il broncio per ore.
In quel momento invece quelle mani tutte colorate le piacevano, perché erano le mani di Ivan, ed erano talmente familiare, talmente sue, che non le avrebbe volute diverse.
<< Lo so che i tuoi non ci sono >>.
Italia vide la comprensione farsi strada nei suoi occhi, lo vide arrossire, abbassare lo sguardo, impappinarsi con le parole e lo amò ancora più di quanto già non facesse.
Ivan era sempre stato come un fiore bellissimo per lei, dall’aspetto bizzarro, poteva incutere un po’ di timore per i suoi colori scuri, poteva sembrare velenoso; ma alla luce della luna, al buio, nel silenzio, apriva i suoi petali e diventava dorato, come un tesoro bellissimo.
Con quei capelli legati a samurai, la canottiera bianca troppo larga che mostrava tutta la pelle colorata, le dita piene di anelli e l’orecchio sinistro costellato di orecchini, doveva fare davvero una pessima impressione agli altri, ma per Italia era il segreto più bello del mondo.
Quello che vedevano gli altri era solamente un guscio, lei vedeva l’essenza.
<< Sei … sei sicura? >> Domandò Ivan, le sopracciglia ancora aggrottate, le mani strette.
Italia annuì solennemente, sorridendo, gli lasciò la mano di colpo e cominciò a riordinare tutto nella cartella con una certa compostezza, incitandolo contemporaneamente a fare lo stesso. Lui la fissò per qualche altro secondo, imbambolato, poi la imitò.
Quando misero piede fuori dal locale, dopo aver pagato il conto, cominciarono a bagnarsi immediatamente, perché la pioggia era sospinta da un vento inferocito e precipitava senza una direzione precisa, frustando la faccia, le gambe, le braccia.
<< Dannazione! >> Sbottò Ivan aggiustandosi la cartella a tracolla.
Si era già bagnato tutti i capelli, e la canotta bianca gli si era appiccicata sul petto rendendosi completamente trasparente, rivelando in quel modo la forma dei pettorali scolpiti.
Italia distolse frettolosamente lo sguardo, un po’ rossa in faccia, con il cuore a mille, e lasciò che Ivan le afferrasse una mano con una certa confidenza, stringendola lievemente.
Si buttarono sotto la pioggia senza alcuna esitazione, correndo e ridendo come due bambini.
I capelli zuppi sferzati dal vento, i vestiti incollati addosso, le numerose scivolate.
Raggiunsero casa di Ivan con il sorriso sulle labbra e le gote arrossate dall’affanno.
Erano zuppi ed umidi, ma faceva un caldo tremendo nel piccolo appartamento buio.
Aprendo la porta di casa Ivan afferrò Italia per entrambe le mani e la invitò ad entrare, camminando di schiena come un gambero, senza mai distogliere lo sguardo da lei.
Le cartelle abbandonate per terra, le scarpe bagnate nel pianerottolo e i piedi nudi sul pavimento freddo, con le loro impronte distinguibili solamente controluce.
<< Hai freddo? >> Le domandò Ivan, entrando nel piccolo bagno di casa.
Italia fece spallucce senza rispondere, in realtà, si sentiva soffocare dal caldo.
Il moro afferrò un paio di asciugamani, compreso un telo bianco da doccia che aprì avvolgendo Italia teneramente, mentre le frizionava i capelli.
Lei lo lasciò fare per un po’, osservando il suo cipiglio particolarmente concentrato, i capelli sfuggiti al codino che ricadevano sulla fronte in tante ciocche disordinate e ondulate, le gocce d’acqua che precipitavano seguendo il profilo della sua mascella squadrata, quel giorno accarezzata da uno strato di barba tagliata male …
Afferrò anche lei un telo bianco, che Ivan aveva lasciato sulla lavatrice, e prese ad asciugargli a sua volta i capelli, cosicché le loro braccia si intrecciavano senza posa, toccandosi e scontrandosi inevitabilmente.
Risero, guardandosi negli occhi lucidi, il respiro affannato e l’espressione eccitata.
Il bagno era davvero piccolo, faceva sempre più caldo e Italia sentiva i capelli più sottili agli angoli delle tempie arricciarsi a causa dell’umidità.
Smise di asciugare inutilmente le braccia di Ivan, lasciò cadere a terra l’asciugamano ormai bagnato, e mentre lui le tamponava le gambe con il grosso telo bianco che le aveva avvolto addosso, si sfilò prima una bretella, poi l’altra e lasciò cadere il vestito, che si bloccò a metà percorso posandosi dolcemente sulle braccia colorate del ragazzo.
Ivan rimase come paralizzato per un istante, lo sguardo fisso sulle gambe scoperte della ragazza, poi abbassò le braccia e lasciò che il vestito di lei terminasse il percorso cadendo sul pavimento. Italia lo calciò via con un piccolo colpetto, e rimase ferma mentre sollevando lo sguardo Ivan la studiò come meravigliato.
Aveva i piedi piccoli Italia, sottili, sembrava di poter contare tutte le ossa una ad una, erano curati, le unghie smaltate di un rosa pallido; aveva le caviglie sottili, i fianchi morbidi e la vita stretta, piatta, con un piccolo neo accanto l’ombelico leggermente all’infuori.
Indossava un intimo bianco tutto merlettato e aveva il seno gonfio, morbido.
Non stava arrossendo quando la guardò negli occhi, sembrava tremendamente sicura di se.
Ivan sospirò pesantemente e capì che era arrivato il suo turno, e non aveva pura, non aveva vergogna, non aveva alcun tipo di timore.
Gettò a terra la canottiera bagnata, restando a torso nudo, e scalciò via i jeans pesanti.
Il pavimento del bagno era ingombro dei loro vestiti, degli asciugamani, era così piccolo che sembrava straripare dei loro indumenti e dei loro respiri silenziosi, misurati.
Italia sollevò delicatamente le mani, muovendo le dita con la grazia di un pianista che si apprestava ad accarezzare i tasti, e seguì il profilo delle clavicole del ragazzo.
Ivan rabbrividì.
Spogliarsi del resto fu un procedimento quasi naturale.
E non ci fu vergogna, non ci fu esitazione, né pentimento, né dolore.
Italia ed Ivan sapevano di doversi amare in quel momento, l’avevano saputo dal primo momento in cui si erano sfioranti, l’avevano saputo da sempre.
Fu come riscoprirsi di nuovo, fu come conoscersi da zero di nuovo.
E mentre fuori la pioggia sciabordava insistentemente, battendo contro la finestra, quei due ragazzi si amavano senza sosta su un letto troppo piccolo.
Senza coperte o lenzuola o veli, a coprirli.
 
Il primo giorno di scuola, quando era cominciato l’anno, Romeo non avrebbe mai pensato di poter provare l’assurda nostalgia che lo stava divorando in quel preciso istante.
L’ultimo giorno di scuola della sua vita era arrivato davvero in maniera inaspettata.
Quando si era seduto dietro il banco, accanto ad Italia e Catena come ogni mattina, aveva percepito una sorta di fastidiosa stretta alla bocca della stomaco, era stata l’assoluta consapevolezza che da quel giorno in poi tutto sarebbe cambiato.
Se avesse potuto tornare indietro nel tempo, Romeo l’avrebbe fatto.
Se avesse potuto tornare indietro nel tempo e prestare più attenzione ai momenti che gli erano stati regalati in quelle mura, dare più peso alle parole che aveva usato, dare più sacralità ad ogni istante, Romeo, senza alcun dubbio, l’avrebbe fatto.
Era l’ultima ora dell’ultimo giorno di scuola, il professor Riva li aveva portati fuori.
Il sole sembrava voler spaccare anche le pietre, colorando tutto vivacemente.
Romeo riusciva a tenere aperto a stento l’occhio destro mentre se ne stava seduto comodamente sul solito muretto, le gambe penzoloni nel vuoto, le braccia distese dietro di se e la luce del sole a colpirgli il viso senza cura, a tradimento.
Aveva legato il ciuffo decolorato in un elaborato codino a samurai, e l’effetto sarebbe risultato piuttosto virile se non fosse stato per l’elastico rosa con i cuoricini bianchi che aveva preso in prestito da Zoe pochi minuti prima.
Gli occhi gli lacrimavano per la luce forte, erano sempre stati di un verde troppo chiaro.
<< Hai una faccia orribile! >> Commentò allegramente Zosimo, seduto accanto a lui.
Il folletto se n’era stato in silenzio per tutto il tempo, mollemente abbandonato sul muretto come se stesse prendendo il sole, le gambe spalancate penzolanti una a destra ed una a sinistra. Le braccia erano piegate dietro la testa per fare da cuscinetto, le dita intrecciate nella matassa di ricci ribelli; indossava una salopette da muratore, slacciata sulla spalla destra, sopra una maglietta rossa a mezze maniche, con le gambe tirate gli si vedevano le caviglie ossute, i calzini verdi che spuntavano a tradimento dalle converse blu.
Guardandolo di traverso, Romeo si chiese perché gli fosse venuto in mente di guardarlo proprio in quel momento, quando se n’era stato fino a quel momento con le Ray-Ban sugli occhi e la musica a volume estremo nelle orecchie.
<< È la sua faccia, non è che possa farci molto. No? >>.
Il commento giunse dalla panchina affiancata al muretto, quella dove se ne stavano blandamente seduti Gabriele ed Enea, entrambi stravaccati come se non ci fosse un domani.
Romeo aveva creduto che il primo stesse dormendo fino a pochi secondi prima.
<< Se uno nasce brutto, nasce brutto! >> Biascicò Enea, sollevando pesantemente una palpebra, mentre guardava con aria infastidita Aleksej, che si era appena seduto sul bracciolo della panchina schiacciandogli il braccio senza troppi complimenti.
<< Esistono i chirurghi plastici >> Dichiarò Igor con voce tranquilla, era seduto proprio ai piedi di Romeo, sotto il muretto, e leggeva diligentemente un libro dall’aria pesante.
Enea, Gabriele, Telemaco, Zosimo e Oscar scoppiarono a ridere contemporaneamente, complimentandosi con Igor per la battuta divertente, sebbene quest’ultimo non avesse mostrato il minimo accenno di sorriso o interesse alla loro euforia.
Romeo, invece, provò il fortissimo desiderio di mollargli un calcio dritto dietro la nuca.
Era proprio a portata di tiro.
<< Ah! Come mi mancherà questo cortile! >>.
L’esclamazione di Ivan, accompagnata dal suo arrivo rumoroso e ingombrante, attirò l’attenzione di tutti i presenti. Il moro si era appena seduto nel poco spazio libero rimasto sul muretto, proprio tra Romeo e le ginocchia di Zosimo, costringendo il primo a spostare le braccia che aveva tenuto stese comodamente fino a solamente pochi istanti prima.
<< Sei l’unico idiota a cui mancherà >> Replicò Giasone, che nel frattempo stava punzecchiando Zosimo nel fianco in un blando tentativo di convincerlo a tirarsi su.
<< A dire la verità, lo rivedremo ancora per gli esami. No? >>.
<< Lis, ho sempre apprezzato i tuoi silenzi, ma questa volta l’hai detta grossa! >>.
Biascicò Telemaco, mangiandosi leggermente le parole a causa dei residui di uno sbadiglio.
Lisandro, appoggiato contro il muro pieno di scritte, leggermente in disparte, fece spallucce.
<< Già, chi è che parla di esame l’ultimo giorno di scuola, eh? >> Strepitò Zosimo tirandosi finalmente su con un colpo di reni, per la gioia di Giasone che aveva finalmente un po’ di spazio libero per se sul muretto << Porta iella! >> E si tolse gli occhiali, sorridendo.
Lisandro alzò gli occhi al cielo e non replicò, si era tagliato i capelli recentemente, talmente corti che il pallido cuoio capelluto si intravedeva contro la luce del sole.
<< Sei ridicolo >> La voce di Cristiano, spuntato dietro di loro proprio in quel momento, sorprese un po’ tutti. Il ragazzo si trovava proprio dietro Zosimo, aveva la solita espressione annoiata, i capelli talmente scombinati che sembrava non pettinarli da anni, e le mani infilate mollemente nelle tasche dei jeans, la schiena curva.
<< Ehi Cris! >> Gli rispose Zosimo di rimando, con una tale gioia nella voce da non sembrare minimamente colpito dal commento poco carino del suo migliore amico, quasi non l’avesse nemmeno sentito. Si girò su se stesso come una trottola e si trovò faccia a faccia con Cristiano, il sorriso a trentadue denti, le orecchie a sventola per colpa degli occhiali.
<< Ad ogni modo, siete tutti degli ipocriti! >>.
La voce di Enea risultò talmente squillante e forte, che gli altri imprecarono.
Gabriele, seduto accanto a lui fino ad un istante prima, gli rivolse un’occhiataccia da premio oscar; aveva la testa appoggiata sulla sua spalla, e prima che Enea decidesse di saltare in piedi come un grillo e stiracchiarsi come un gatto aggraziato, stava anche sonnecchiando.
<< Hai rotto il cazzo Enea! >> Sbottò Giasone, mostrandogli un bel dito medio.
<< Per una volta che dice qualcosa di sensato … >> Mormorò sommessamente Aleksej, passandosi distrattamente una mano tra i capelli; aveva occupato il posto di Enea sulla panchina e Gabriele si era accoccolato su di lui poggiandogli addirittura le testa sulle gambe.
<< Ecco un altro stronzo >> Borbottò nuovamente Giasone, imbronciato.
<< Stai dicendo troppe parolacce >> Commentò tranquillamente Igor, girando una pagina del libro con la calma estrema di chi invece era abilissimo a far perdere quella altrui.
Se Giasone non fosse stato troppo stanco per sopportare una scena da tragedia greca, avrebbe tirato ad Igor lo stesso calcio ponderoso che aveva tentato anche Romeo.
<< Aleksej ha ragione! >> Parlò Oscar per la prima volta, smettendo di guardare il cellulare, si staccò dal muro e spalancò le braccia, prendendosi le occhiatacce di molti dei suoi compagni perché con quel gesto aveva appena oscurato il sole << Questo cortile mancherà a tutti. Non è cominciato tutto qui? >>.
E per la prima volta, sotto il sole cocente di Giugno, la stessa nostalgia che aveva provato Romeo accarezzò i cuori di tutti.
Lo fece in modo diverso per ognuno di loro, con ognuno di loro.
Non parlarono, rimasero in silenzio, assaporando il calore del sole, tornando a fare quello che stavano facendo, fingendosi contenti di non doversene stare dietro i banchi.
Quei banchi che avevano detestato così tanto
Nessuno di loro parlò dei ricordi: delle ore passate accanto al cancello aspettando l’amico del cuore, degli scivoloni sui gradini dell’ingresso nei giorni di pioggia, delle scritte sui muri quando i sorveglianti non guardavano, degli annunci sulla bacheca troppo vecchia, delle partire a pallone rubate di nascosto, delle ore passate a prendersi in giro, del tempo speso nel parcheggio dei motorini o delle corse sfrenate a chi arrivava prima alla fermata del bus.
Erano memorie talmente belle, erano memorie così vive.
Talmente vive che sarebbe bastato chiudere gli occhi e ritrovarle dietro le palpebre come dei vecchi amici a cui si era appena detto addio.
Caldi, confortanti, preziosi.
 
<< Non c’è nulla da fare, più li guardo, più mi sembrano dei trogloditi >>.
C’era un pizzico di esasperazione rassegnata nella voce di Beatrice mentre si stringeva le braccia attorno alle ginocchia, seduta sui caldi gradini di marmo dell’ingresso.
Era piacevole lasciare che il sole le riscaldasse le gambe, fin dove riusciva ad arrivare.
Seduta alla sua sinistra, Italia sollevò distrattamente la testa che aveva posato sulla spalla ossuta della compagna di classe, e rivolse un’occhiata divertita ai ragazzi.
Avevano occupato tutta la zona del muretto, quella che dava sul parcheggio delle moto.
Facevano chiasso, si prendevano in giro, ridevano, si picchiavano …
<< In effetti, non fanno niente che possa aiutarmi a trovare qualche pregio >>.
Mormorò l’ormai ex rappresentante di classe, sospirando sommessamente.
<< Sarebbe come cercare di trovare un pregio in una pietra >>.
Fu il lapidario commento di Sonia, in piedi sotto il portico, una sigaretta tra le mani e i lunghi e ricciuti capelli neri raccolti alla bell’e meglio sulla nuca con una matita.
Aveva gli occhi struccati per una volta, taglienti e verdi sotto il sole cocente.
Le labbra piene e rosee erano tirate nella solita espressione scocciata, quel genere di espressione che restava sulle labbra in maniera permanente e che, si ritrovò a pensare Beatrice, probabilmente si sarebbe portata dietro per il resto della sua vita.
<< Non sono così male … >> Mormorò Catena giocherellando con la sua treccia.
L’espressione completamente rapita dai movimenti di Oscar, carica di serenità sopita.
Era seduta alla destra di Beatrice, anche lei con le gambe distese in avanti alla volta del sole.
<< Sembrano sereni >> Fiorenza pronunciò quelle parole con fare calibrato, quasi stesse analizzando attentamente una scena che avrebbe potuto subire un’evoluzione improvvisa.
Lei e Zoe erano appena tornate dai bagni, puzzavano di fumo come chiunque mettesse piede in quei luoghi infernali, avevano gli occhi rossi e lucidi da un pianto recente.
<< Certo che sono sereni, sono maschi! >> Sbottò Miki con una veemenza tale da dare l’idea che, marcando prepotentemente quella singola parola, la questione fosse già chiusa e finita.
<< Maschi … >> Mormorò Beatrice giocherellando distrattamente con un braccialetto al polso sinistro << Si cuciono le ferite di nascosto. Lontano da occhi indiscreti >>.
Sotto il portico dell’ingresso cadde un silenzio dignitoso, un silenzio fatto di riflessioni.
Riflessioni di ragazze che non sapevano nascondere bene i propri sentimenti, riflessioni fatti di abbracci e lacrime, di quella sensibilità che dava l’assoluta percezione della fine.
La fine di qualcosa di bellissimo, la fine di un’età.
Una fine che non era davvero la fine di tutto.
<< … come il miele sul sale … >> Sussurrò Catena sorridendo tristemente.
<< Non credo che mi mancherà questo posto >>.
Sonia aveva appena finito di fumare, la cicca della sigaretta giaceva schiacciata sotto la sua ballerina di velluto nero, come la triste metafora di quei ricordi che stava gettando via.
Quei ricordi che si stava gettando malamente dietro le spalle.
Senza riserve.
<< A me mancherà moltissimo, invece >>.
Le fece eco Miki, tirandosi in piedi per stiracchiarsi un po’, la forza di chi quei ricordi li aveva appena afferrati buttandosi nel vuoto impressa nella voce.
Raccolti a fatica tra le braccia, sembravano gridare di lasciarli sospesi ancora per un po’.
<< La fine di una bellissima esperienza >>.
Commentò Zoe stiracchiandosi beatamente, il sole caldo sul viso sottile e pallido.
Anche loro smisero di parlare quando la campanella suonò, ma non si mossero.
Sembrava quasi che come una eco silenziosa ma potente, la replica alle parole di Zoe fosse arrivata prepotentemente senza chiedere il permesso a nessuno, in quella calda e asfissiante giornata di inizio Giugno.
Alla fine di qualcosa di importante.
L’inizio di qualcosa di grandioso.




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Effe_95 

Buonasera a tutti 
Sono finalmente qui dopo tre mesi, e mi sembra davvero un miracolo.
Sinceramente non so quanti di voi avranno ancora voglia di continuare a leggere dopo un ritardo così pesante ...
Ma ad ogni modo, metterò la parola "fine" a questa storia, dovessero volerci altri tre anni u_u
Vengo da un periodo difficile fatto di dolore, problemi di salute e delusioni continue che non starò a raccontarvi.
Ma eccomi qui di nuovo alla fine, ancora una volta.
Vi chiedo immensamente scusa per questo capitolo tremendo.
Torno dopo così tanto tempo con una roba simile?
Vi chiedo davvero perdono, ma non sono riuscita proprio a fare di meglio, per me è stato un po' come imparare nuovamente a scrivere in questo periodo. Come se avessi dovuto riprendere un po' di confidenza con tutti loro di nuovo.
Il capitolo è corto, lo so, ma dal prossimo prometto che si tornerà agli antichi splendori xD
Riprenderò sicuramente il ritmo che ho perso.
Ho pensato che fosse doverso che l'ultimo giorno di scuola venisse celebrato da tutti, con un pizzico di amarezza, ma anche di desiderio per quello che il futuro riserva a tutti loro nell'avvenire.
Che è un'avvenire bellissimo u_u
Spero che, nonostante l'orrore di quello che ho scritto, tutto questo sia riuscito a venir fuori ugualmente.
Conto di riprendere gli aggiornamenti in maniera più regolare ora che la situazione si è un po' tranquillizzata.
E ne approfitto per comunicarvi che siamo ormai a meno quattro capitoli dalla fine *sigh*.
Ma vi prometto che sarà un finale spettacolare!
Grazie mille a chi ha continuato a recensire, a leggere nonostante sia mancata per così tanto tempo.
Le vostre parole sono PREZIOSISSIME per me, più di quanto creadiate ;)
Alla prossima :)



 
  
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