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Autore: Oniro    19/02/2018    1 recensioni
Così la marcia putrescente e mortuaria si mette in moto, spinta da un solo desiderio.
Essere ricordati.
Nessuno, tuttavia, potrà ricordare gli uomini e le donne senza nome che un tempo furono seppelliti per essere dimenticati
Genere: Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Violenza
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A ogni alba scura, quando il sole si spegne come una candela, quando il cielo si dipinge di rosso per poi morire e cadere nel mare lontano. Qualcosa accade.

In un cimitero distante, delle lapidi senza nome dimorano come alberi tetri, unici testimoni di chi riposa. Lì, tra file di pietre lisce e levigate, piantate nel terreno con perizia, al crepuscolo, le porte si aprono.

Casse di legno si squassano con crudeli suoni.

Dita atrofizzate, diafane, maciullate dal tempo e dal fuoco, si alzano come oscuri rampicati che invocano il cielo nero.

Gli arti deformi e disossati si tendono senza muscoli, elevando gli scarni volti di antichi fantasmi dalle orbite vuote al di sopra del loro sonno senza sogni né pace.

Così la marcia putrescente e mortuaria si mette in moto, spinta da un solo desiderio.

Essere ricordati.

Nessuno, tuttavia, potrà ricordare gli uomini e le donne senza nome che un tempo furono seppelliti per essere dimenticati.

Triste è la storia di coloro che non possono essere ricordati.

Perduta ormai negli antri del tempo.

Eccoli, elevano il loro grido.

Urlo dissennato di malinconici e muti ricordi che si perdono in un vento inesistente.

Vi era una volta, un villaggio formato da coloro che venivano chiamati streghe e stregoni.

Puttane e carnefici.

Essi vivevano liberi da quel mondo che li aveva ripudiati. Deliberatamente gettati nelle fiamme indegne dell’idiozia.

Si sostentavano di agricoltura e bestiame, ossequiavano i riti degli antenati e, al centro del piccolo villaggio avevano piantato la più grande quercia che esistesse, rigogliosa e forte si estendeva insinuandosi in ogni anfratto e casa. Come una madre silente, proteggeva il proprio popolo esule.

Tre generazioni dopo avevano dimenticato le atrocità commesse dai loro simili. Erano nati uomini e donne di grande intelletto, e col passare del tempo, quell’intelletto si espande a tutti, costruendo una società ben più evoluta di quella che l’aveva cacciati.

Osservavano ancora ciò che gli antenati gli avevano trasmesso. Avevano imparato da loro e per nulla al mondo li avrebbero dimenticati, né si sarebbero separati da quella terra che come una madre li aveva cullati tra i suoi venti caldi e freddi, scandendo il tempo che passava incessante.

Un giorno, tuttavia, il mondo che li aveva ripudiati ricomparve, grondando sangue e cenere il mondo oscurò l’idillio del villaggio.

Bruciò l’antica quercia.

Bruciò i cuori e le membra.

Di ciò che vi era, restarono solo tombe senza nome.

Ora la quercia era cenere. Quella stessa cenere che bruciava negli individui inesistenti che marciavano recitando al vento la loro storia.

  
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