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Autore: TaliaAckerman    19/02/2018    3 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Un uomo, in lontananza, avanzava verso le mura con passi incerti. Ogni due metri barcollava pericolosamente a destra o a sinistra, rischiando di rovinare sul terreno spelato e duro che si estendeva da ogni lato attorno alla città.
Quando fu abbastanza vicino da distinguerne i particolari, Tárden aguzzò lo sguardo: indossava una veste lunga fino al suolo all'apparenza logora e appartenente a uno straccione, ma se si osservava con attenzione se ne poteva indovinare l'originario color verde brillante e la fitta rete di decorazioni tessute in filamenti dorati.
Perplessa, la sentinella si chiese che cosa avesse ridotto in quello stato un uomo di probabili origini nobili o comunque agiate e, soprattutto, cosa lo avesse portato ad aggirarsi per quelle terre risaputamente sotto l'appellativo di zona di guerra.
Forse si è perso, pensò l'uomo avvicinandosi alla piccola caburna adibita a riparo per le sentinelle di ronda sulle mura nelle giornate piovose. Dopotutto, i capelli rosso scuro del viandante suggerivano che non fosse di quelle parti ma che, anzi, provenisse da parecchio lontano; sicuramente da oltre i confini dell'Ariador. Il consueto disordine lo accolse nell'ambiente ristretto all'interno, che avrebbe sicuramente necessitato di un'urgente spolverata. Una piccola finestrella permetteva di tenere d'occhio quanto accadesse davanti alla porta Nord della città mentre sulla destra alcune file di scaffali sembravano essere sul punto di staccarsi dalla parete sotto il peso dei mille volumi che ospitavano: codici, vecchi registri e cartine erano ammonticchiati secondo un ordine di cui, col passare degli anni, si era dimenticata la logica.
Appesa al soffitto, sopra la sedia su cui tante volte le sentinelle si addormentate durante i turni di notte, c'era una piccola campana d'ottone.
Essere stato dislocato sul lato settentrionale delle mura cittadine continuava a pervaderlo di disagio, nonostante quella fosse la sua mansione da diversi giorni ormai, ossia da quando Qorren era tornata nelle loro mani. Ogni volta che gettava lo sguardo verso le distese gelate oltre le quali, lo sapeva, si celava il confine con le Terre del Nord, un brivido si dipanava lungo la sua colonna vertebrale.
Tárden gettò ancora un'occhiata all'esterno attraverso la lastra di vetro incrostata di sporcizia agli angoli per controllare i movimenti dello straniero, poi strinse una mano sul battaglio e diede inizio alla serie di rintocchi che avrebbe avvisato i soldati all'interno. Si schiarì la voce.
- Uomo alla porta!


                                                                                ***


Dubhne si aggirava per le vie di Qorren in preda a un tormento incontrollabile. Alla vista di una simile anima in pena, gli abitanti della città - sfiniti e destabilizzati da mesi di continui assedi e contrattacchi - si scansavano per sparire nelle rispettive abitazioni, oppure affrettavano il passo senza guardarla.
Aveva pianto. Tenendo il cadavere di Alesha fra le braccia aveva pianto, urlato, aveva invocato il suo nome come sperando che la ragazza potesse ridestarsi e rispondere alle sue preghiere. Alla fine c'erano volute quattro persone per riuscire a separarla dal suo corpo esanime e, a quel punto, Dubhne non ci aveva visto più; da quello che Layanne le aveva raccontato in seguito, la sua crisi di rabbia doveva aver procurato diversi occhi neri e spezzato un paio di setti nasali.
La giovane era stata trasporta di peso fino alla costruzione dove gli Ariadoriani tenevano i prigionieri Nordici e chiusa a chiave in una stanza solitaria e vuota. A quel punto Dubhne aveva perso anche l'ultimo barlume di umanità che ancora le era rimasto e aveva preso a battere i pugni sulla porta e sulle pareti, sul pavimento, ne aveva graffiato la superficie urlando e imprecando.
E poi era finito tutto, ed era stato peggio.
Una forma di consapevolezza che fino a quel momento non aveva ancora assaggiato l'aveva assalita, la consapevolezza che davvero non avrebbe mai più visto Alesha. Non era come il momento in cui la sua amica aveva lasciato la sartoria di Célia per trasferirsi nell'Ariador. Non era andata a vivere in un'altra nazione. Non era stata separata da lei. Era morta.
E la ragazza aveva avuto tutto il tempo per rendersi conto che quella orribile sensazione di vuoto che si era fatta strada nel suo cuore avrebbe impiegato anni per andarsene e, probabilmente, non sarebbe mai sparita del tutto.
Non sapeva esattamente dove si stesse dirigendo in quel momento, anzi, a dire il vero non ne aveva idea. Avrebbe potuto recarsi da Jack, o Thaisa, o Layanne, e trovare un pretesta per sfogare su di loro il proprio sconquasso interiore; ma qualcosa dentro di lei glielo impediva. Evidentemente aveva sufficiente esperienza in dolore per aver compreso quanto fosse meschino addossarlo su persone completamente prive di responsabilità a riguardo.
Qualcosa che di certo non si poteva dire di qualcun altro.
Le due guaritrici che aveva conosciuto come amiche di Alesha avevano sempre tentato di allontanarla da lui, quando ne avevano avuto l'occasione. Era anche per questo motivo che Dubhne aveva avuto l'impressione che, a turno, Layanne e Thaisa avessero spesso insistito per accompagnarla ovunque andasse.
Ma era impossibile che le tre si trovassero insieme ventiquattr'ore su ventiquattro, e ora lei si ritrovava lì da sola, a girovagare per la città da poco riconquistata - e mai vi era stata vittoria più nefasta.
Fu così che, quando lo vide, una rabbia animale si fece strada in lei premendo per uscire alla luce e, prima che se ne rendesse conto, la donna si ritrovò ad avanzare verso di lui con ampie falcate. Gli si parò davanti e lo afferrò per il bavero.
- Sei contento adesso, bastardo? - abbaiò, e senza attendere una risposta lo spintonò in avanti più forte che poté.
- Che cosa vuoi Dubhne? - fece Neor in tono malfermo, ma anche piuttosto risentito, dopo aver recuperato l'equilibrio.
- Secondo te?
- Lasciami in pace - l'uomo scosse la testa come ad allontanare anche solo il pensiero di affrontare con lei l'argomento. - Non credi che sia già tutto abbastanza?
Se avesse potuto, la Combattente lo avrebbe incenerito con lo sguardo. - Non per te, no - disse a denti stretti. - Dal momento che è colpa tua se è morta.
Neor, che già aveva fatto per voltarle le spalle e allontanarsi prima che lei facesse qualche danno, si immobilizzò all'istante.
- Che cosa hai detto? - ogni traccia di indecisione era sparita dalla sua voce, ora, lasciando che una rabbia contenuta a stento vi si facesse strada.
Ma era quello che Dubhne voleva. Era l'unico modo con cui avrebbe potuto, forse, espiare almeno in parte il dolore che le attraversava membra e cuore in ogni momento da quando Alesha aveva perso la vita.
- Non fare il finto tonto, Neor - pronunciò il suo nome con disprezzo. - Sai perfettamente che se Alesha non fosse rimasta qui così a lungo a quest'ora sarebbe ancora viva e vegeta. E sai anche perché ha continuato a seguirci per tutto questo tempo.
Le lacrime si raccolsero agli angoli dei suoi occhi. - Non... non ti azzardare neanche a pronunciare il suo nome.
Quell'avvertimento accese in lei un furore quasi animale. - Conoscevo Alesha da quando avevo sette anni - nel pronunciare quelle parole la ragazza estrasse la scimitarra. - Tu non puoi neanche immaginare quello che siamo state l'una per l'altra!
- Forse no, e non mi interessa. Ma non hai alcun diritto di incolparmi per la sua morte. Sono responsabile quanto te - rispose Neor. Il suo volto era una maschera di rabbia e dolore, ma la sua spada pendeva ancora inerte a suo fianco, protetta dal fodero.
- Ma se vuoi fare a botte... - aggiunse l'ex Combattente. - Non mi tirerò certo indietro.
Con mano sicura si slacciò la pesante cintura e l'affibbiò ad uno dei commilitoni che si erano radunati intorno a loro per seguire la discussione.
- Non intendo rischiare essere giustiziato per aver fatto fuori una mia compagna d'armi. Per cui niente lame.
- Bene - ringhiò Dubhne gettando a terra la propria. - In questo momento sento che potrei ucciderti anche a mani nude.
Anche se aveva perso la mano sinistra, Neor rimaneva spesso praticamente il doppio di lei, e decisamente più alto. E nonostante questo il fisico atletico e scattante gli aveva sempre garantito un'agilità fuori dal comune.
Dubhne gli si gettò contro a testa bassa ma l'uomo la bloccò e la spinse all'indietro; cadendo, lei ne approfittò per menargli un calcio in mezzo alle gambe.
Un paio di bestemmie divertite si levarono dai pochi soldati già svegli che, attirati dal rumore e dalla gustosa disputa, si erano trattenuti a guardarli mentre Neor arretrava premendosi le mani sul cavallo.
- Maledetta puttana - biasciò l'ex Combattente avanzando verso di lei, e senza che Dubhne potesse fare niente per impedirlo le assestò un calcio in faccia.
Un milione di scintille esplosero nella visuale della ragazza mentre un dolore folle e bruciante la investiva; sentì qualcosa di orribile smuoversi nella sua bocca, al che pensò che probabilmente il colpo doveva averle spezzato un dente; ne ebbe la conferma quando si ritrovò a sputare un molare sull'erba.
Era evidente che non si sarebbe trattato solo di una scaramuccia fra amici: Neor era animato dallo stesso furore che accecava lei.
Con la mano destra Neor la afferrò per i capelli e la trascinò sull'erba prima di sbatterla con la faccia sul terreno freddo e duro. Dubhne provò rabbiosamente a divincolarsi, ma l'uomo la teneva inchiodata al suolo e, quando cominciò a menarle pugni nel costato, la ragazza urlò di dolore.
Al di fuori dell'Arena non era mai stata picchiata da nessuno in quel modo. Non che potesse biasimare la rabbia con cui Neor si stava accanendo su di lei, perché era alla stregua della stessa che animava lei in quel momento. Avrebbe risposto con altrettanta ferocia e non vedeva l'ora di farlo.
Prima però doveva riuscire a rialzarsi.
Ansimando, Neor smise per un attimo di percuoterla per riprendere fiato. Forse pensava che Dubhne fosse troppo dolorante per reagire, ma evidentemente ancora non aveva capito di che pasta fosse fatta. Fu così che, ignorando le lancinanti fitte fra le costole, la ex Combattente diede un colpo di reni per girarsi e con entrambi i piedi colpì duramente le gambe dell'avversario.
Neor barcollò e, indietreggiando di diversi passi, riuscì a evitare di cadere per un soffio. Dubhne si era rialzata ora e gli andò incontro mostrando le mani strette a pugno. Il viso di Alesha era nella sua mente, più vivido che mai. Le risate di quando erano bambine, i suoi occhi azzurri attraverso la finestra della cantina della sartoria del signor Tomson, e infine quegli stessi occhi riversi all'indietro e privi di vita.
No, no, BASTA!
Caricò un pugno che Neor riuscì ad intercettare deviandolo con un braccio, così ne assestò un altro, un altro e un altro ancora. Riuscì a colpirlo sulle costole con un sinistro ma fu costretta a incassare il colpo al volto con cui l'uomo aveva risposto. Senza fermarsi a pensarci, la giovane continuò a colpire - o a tentare di colpire - come se il suo corpo procedesse in automatico, senza percepire stanchezza e fatica. Ogni volta che Neor riusciva a sua volta a raggiungerle il viso o il petto fitte lancinanti di dolore la investivano, ma si spegnevano in fretta, soffocate dalla massiccia dose di adrenalina che la stava tenendo in piedi in quello scontro. Dopo una serie di tentativi andati a vuoto, riuscì a travolgere l'avversario con una combinazione feroce: destro, destro, sinistro al volto, poi un gancio assestato con tutta la forza di cui disponeva.
Fu allora che avvertì due paia di mani afferrarla saldamente per le braccia e trascinarla all'indietro.
- Cosa, cosa...? - farfugliò. Li stavano separando. - Lasciatemi andare, brutti stron...
- Calmati, ragazza, calmati! - uno dei due le premette una mano sulla bocca, gesto che ottenne l'unico risultato di farla infuriare ancora di più; cercò di divincolarsi, di liberarsi, ma l'uomo che aveva parlato ora le stringeva anche la vita con un braccio, e dalla forza e fermezza della sua stretta Dubhne dedusse che dovesse essere decisamente troppo spesso per lei.
Chiamando a sé tutto l'autocontrollo - e forse anche di più - di cui disponeva, cessò di agitarsi, non oppose più resistenza e non tentò nemmeno di levare quella mano sulle sue labbra. Un'intuizione giusta, stranamente, visto che dopo alcuni lunghi secondi che alla ragazza parvero un'eternità, questa venne levata e la presa ferrea intorno alla sua vita e al braccio destro si allentò un poco.
Neor le si avvicinò.
- Ti sei data una calmata adesso, stronza? - le ringhiò in faccia.
In risposta Dubhne lo colpì in viso con una testata, gesto che costrinse i due che la stavano tenendo ad allontanarla ulteriormente da lui.
Tenendosi la mano premute sul naso sanguinante, Neor le rivolse un'occhiata carica di risentimento ma poi, imprecando a bassa voce, le voltò le spalle.
- Vattene finché puoi - gli urlò dietro lei, liberandosi con uno strattone irritato dalla presa allentata degli altri due guerrieri. - E stammi lontano, o finisce che ti ammazzo!
- Dubhne! Adesso basta! - la richiamò Caley con voce perentoria mentre si faceva largo tra il capannello di curiosi che avevano assistito alla rissa. La giovane donna si sentì ribollire ulteriormente dalla rabbia. Possibile che ogni volta che faceva qualcosa di avventato lui o Jack dovessero trovarsi nelle vicinanze?
- Non ti immischiare, Caley, è una faccenda tra me e quel pezzo di merda laggiù. - Sputò per terra. - E in ogni caso abbiamo finito.
Il secondo di Jack si piazzò davanti a lei con le mani sui fianchi. Un ciuffo di sudici capelli biondo scuro gli ricadeva sulla fronte facendolo sembrare più giovane di quanto non fosse in realtà.
- Direi che non spetta a te deciderlo - commentò aspramente squadrando da capo a piedi il suo aspetto malconcio. - Anche se mi sembra che, più che darle, tu le abbia prese...
Dubhne digrignò i denti e li sentì scricchiolare.
- Ti consiglio di non provocarmi adesso.
Senza scomporsi minimamente Caley rispose: - Non sono qui per questo. Ma Jack sta radunando gli uomini del battaglione e mi ha chiesto di trovare te per prima.
Dai presenti si levò un coro canzonatorio ma Dubhne lo ignorò.
- Che cosa vuole?
- Te lo dirà lui stesso, non sono certo il suo corvo - la sbeffeggiò lui. - Dai, muoviti, prima avrà finito con te e prima parlerà con il battaglione.
Era evidente che la maggior parte degli uomini che li attorniavano morisse dalla voglia di fare qualche battuta su di lei e Jack, ma mentre la ragazza seguiva Caley verso la tenda del capitano nessuno proferì parola. Dubhne avvertì un leggero guizzo d'orgoglio nel constatare che, probabilmente, dopo averla vista tenere testa in quel modo a Neor nessuno avrebbe osato provocarla ancora, non con lei così soggetta a devastanti attacchi di rabbia.
Mentre i gerarchi dell'Esercito delle Cinque Terre e i supremi Lord dell'Ariador impegnati al fronte alloggiavano all'interno del sontuoso palazzo comunale della città, i comandanti di battaglione come Jack erano stati sistemati in dimore sì eleganti, ma decisamente meno appariscenti. Fu così che Caley la condusse fino ad una costruzione in pietra poco fuori dal centro della città, con le pareti esterne tappezzate con gli stendardi dell'Ariador e, più specificamente, di Rocca Tarth.
All'interno li accolse un andirivieni di piccoli funzionari e sottotenenti, ennesima dimostrazione di quanto, nonostante il suo ruolo fosse tutto meno che centrale, le responsabilità di Jack fossero aumentate rispetto a quando lui e Dubhne si erano conosciuti.
Attraversarono un primo salone senza dare troppe spiegazioni, poi Caley girò a destra conducendola ad un piccolo pianerottolo. Fecero due rampe di scale in silenzio poi, arrivati di fronte a uno stretto corridoio immerso nella penombra, l'uomo fece per congedarsi.
- Jack è nel suo studio, ultima porta a sinistra - Afferrò delicatamente per un polso la ragazza che, pensando avesse finito, aveva già mosso un paio di passi in avanti. Solo allora lei si rese conto di quanto il secondo di Jack sembrasse provato; gli attriti fra loro erano più che frequenti, eppure doveva riconoscere che Caley fosse uno degli uomini a svolgere i lavori più sporchi e oscuri lì dentro.
- Per favore - disse piano con un tono che ricordava vagamente quello di scusa. - Cerca di fare in modo che il vostro colloquio non duri troppo. Jack ha una faccenda da sistemare con alcune famiglie rimaste senza casa da diversi giorni. Ho bisogno di lui al piano terra il prima possibile, d'accordo?
Provando verso di lui un inaspettato moto di empatia, la Combattente annuì.
- Ah, e... Dubhne. Datti una pulita al viso - Caley le passò un fazzoletto.
- Grazie.
Strofinandosi distrattamente il viso con quel logoro pezzo di stoffa la ragazza si diresse con passo in certo verso lo studio di Jack, mentre di sottofondo le arrivava alle orecchie l'eco dei passi di Caley che scendeva le scale per tornare al piano di sotto.
Si arrestò davanti alla porta socchiusa, da cui filtrava una striscia di luce di quel pallido sole che aveva accompagnato così tante giornate lì nel Nord. Dubhne si diede un paio di schiaffetti sulle guance per tenersi ben sveglia, a discapito del pulsante torpore che l'aveva avvolta poco dopo la fine della sua zuffa con Neor. Poi spinse la porta in avanti ed entrò.
Jack Cox distolse lo sguardo dal documento che stava studiando e si alzò dal piano della propria scrivania, sul quale era stato appoggiato fino a quel momento.
- Ho qualcosa di interessante da dirti Dubhne, ma non...
Il comandante si immobilizzò nel vedere in che stato fosse ridotta la ragazza. E davanti ai suoi occhi sbarrati per la sorpresa e per la pietà, Dubhne si sentì davvero come un pulcino bagnato.
- Ti prego Jack, non dire niente - balbettò, avvertendo il labbro inferiore quasi cederle per la voglia che aveva di piangere. - Lo so che non avrei dovuto, ma...
- No - l'uomo fece un passo verso di lei scuotendo la testa. Sembrava completamente dimentico di quanto stava dicendo un attimo prima e del motivo per cui l'aveva mandata a chiamare. - Non devi dare spiegazioni a nessuno, meno che mai a me.
Dubhne affondò il viso fra le braccia di Jack e lasciò che le lacrime sgorgassero dai suoi occhi rigandole le guance. All'inizio l'uomo sembrò distaccato nei suoi confronti, limitandosi ad avvolgerle le spalle con le braccia ma poi, dolcemente, prese ad accarezzarle la schiena con i palmi delle mani. Il silenzio in cui la tenda era sprofondata era spezzato solo dai frammentari singhiozzi della ragazza.
- Sarei dovuta morire io - disse in una specie di mugolio senza riuscire a rialzare la testa. Non ebbe bisogno di specificare a chi si riferisse. Si stringeva a Jack come a un'ancora di salvezza, ed era la seconda volta in poche settimane che le accadeva di farlo. Anche il giorno in cui la Strega Rossa aveva spezzato l'assedio di Hiexil era stato lui a tenerla legata a quel mondo salvandola dalla morte o, peggio, dalla totale oscurità che si cela nell'abisso della follia.
- Sarei dovuta morire io - ripeté cercando di controllare il respiro. - Io, non lei! Avevo promesso che l'avrei protetta. E ora... ora lei e morta mentre io sono ancora qui!
- Calmati, adesso calmati - mormorò Jack con fermezza, dopo averle premuto le labbra sul capo. - Non è colpa tua. Non puoi fare più niente.
La ragazza scosse con forza la testa ma lui la fermò prendendole il viso fra le mani. - Dubhne, conoscevo Alesha. Era con noi da quasi un anno, da quando è iniziata questa guerra... - quell'inedito ruolo rassicurante sembrava stargli alquanto stretto, ma lei si aggrappava alle sue parole come sperando che il capitano potesse serbare un antidoto alla sua disperazione. - Ha messo in pericolo la sua vita per salvare quella dei nostri soldati, sapeva quali erano i rischi.
- Non sapeva che alla fine questa cosa l'avrebbe uccisa.
- No, ma è morta facendo quello che doveva e voleva.
Dubhne singhiozzò più forte. Tutte le sue remore a mostrarsi debole, tutte le regole con cui aveva creato la propria maschera di invulnerabilità, per la seconda volta erano crollate sotto i colpi di quella guerra.
- Lei ti voleva bene - quelle parole infierirono ulteriormente sul suo cuore spezzato. Non c'era certo bisogno che Jack le ricordasse quanto era stato profondo il suo rapporto con Alesha, il legame più stretto che avesse stabilito in diciott'anni di vita. Un'amicizia che era sopravvissuta alla loro separazione, durata per un periodo che a Dubhne era parso un'eternità, nel quale aveva vissuto mille vite diverse. Eppure alla fine, quando si erano ritrovate subito dopo il disastro di Hiexil, aveva capito che nulla era cambiato, che tutto fra loro si era mantenuto esattamente come dieci anni prima.
Ora Al non c'era più. Andata, perduta per sempre.
Non riuscì a carpire il significato di tutte le parole di conforto che l'uomo a cui si stringeva le stava rivolgendo. L'importante era non staccarsi da lui, perché se l'avesse fatto sarebbe di nuovo precipitata nella voragine di oscurità che ancora la reclamava e che, ora ne aveva la certezza, non avrebbe mai smesso di farlo.
A poco a poco il suo respiro ricominciò a modularsi senza nemmeno che se ne accorgesse e, trascorsi pochi minuti, la ragazza si ritrovò nuovamente calma.
Solamente frammentari singhiozzi testimoniavano ancora la sua crisi di poco prima.
- Te la senti di parlare adesso?
- Non lo so.
- È sufficiente - Jack le lanciò un'occhiata obliqua. - Siediti, non voglio rischiare di vederti collassare un'altra volta.
Alla ragazza sfuggì una risatina stridula, ma obbedì; non si era mai sentita così docile in vita sua, così disposta ad ascoltare. Ma il capitano si era guadagnato tutta la sua riconoscenza per il modo discreto eppure propizio con cui era riuscito - in parte e con effetto di dubbia durata - a consolarla.
Stringendosi le ginocchia con le braccia, Dubhne si accinse ad affrontare un altro - ne era sicura - discorso pesante e a proposito di qualcosa di vitale importanza.
Non venne delusa.
- È in arrivo qualcosa di grosso Dubhne - esordì infatti Jack passando a un tono più diplomatico. - Qualcosa che, in un modo o nell'altro, segnerà la fine di questo conflitto.
- Non sono in vena di indovinelli Jack - gracchiò lei con gli occhi bassi. - Avanti, dimmi che succede.
Il comandante teneva le mani sui fianchi, il volto contratto in un'espressione che poteva suggerire molte cose: preoccupazione, attesa, ma anche una sorta di risoluta aspettativa. Dubhne non poté fare a meno di notarlo e la cosa riaccese almeno in parte un minimo di curiosità in lei.
- Sembra che il Gran Consiglio abbia finalmente deciso come sferrare l'attacco decisivo contro i Ribelli, o almeno questo sostengono. Saranno qui tempo una settimana.
Non era una notizia pessima come si sarebbe aspettata, anzi, sembrava che dopo la conquista di Qorren qualcosa si fosse messo in moto senza più possibilità di essere fermato. Quale che fosse l'esito finale, tutto suggeriva che quella guerra si stesse avviando verso la conclusione.
- Quattro giorni fa un uomo è arrivato sotto le nostre porte; era in viaggio da giorni e sembrava più morto che vivo. L'abbiamo portato nell'infermeria e medicato.
Quando l'abbiamo ripulito dal fango e le tracce di sangue uno dei generali l'ha riconosciuto come Gerd Raenys.
Quel nome non le diceva nulla.
Jack dovette accorgersi della sua espressione interrogativa, perché spiegò brevemente: - Raenys è il maestro della nazione di Tharia, il che significa che presiede nel Gran Consiglio di Grimal. Era stato inviato ad Amaria come ambasciatore per incontrare Theor e discutere a proposito di eventuali trattati di pace. Ma, evidentemente, la cosa non è andata a buon fine.
- Direi di no - commentò la ragazza assorta. Alzò gli occhi sull'uomo di fronte a lei. - Quindi è per questo che il Consiglio verrà qui. Perché venga sferrato l'attacco decisivo.
- Non sono ancora state fornite dichiarazioni ufficiali, ma non vedo altri motivi possibili - asserì Jack. - Anche se - e qui il suo volto si adombrò - Temo che gli esiti siano tutt'altro che scontati. Cerca di riprenderti Dubhne, perché avrai bisogno di tutte le tue forze per affrontare quello che sta arrivando. Tutti noi ne avremo bisogno.








Note dell'autrice: è sempre una soddisfazione riuscire ad essere puntuali ^-^
Spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto, ci avviciniamo sempre di più alla resa dei conti, anche se in realtà la strada è ancora lunga e tortuosa - e sapete che in questa parte della storia sta emergendo la mia parte un po' super-sadica xD
Proprio perché la saga si avvia ormai verso la sua conclusione è più importante che mai per me che vi fermiate a recensire, ma non solo le fedelissime Florence e Easter_huit (a cui mando un bacio), anche tutti quei lettori che seguono la mia storia da mesi, per non dire anni, ma non si sono mai sbilanciati con una recensione.
Chiudo qui. Al prossimo capitolo :)
  
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