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Autore: Napee    19/02/2018    5 recensioni
*Os partecipante al contest InuRan Special February indetto dal gruppo facebook Takahashi fanfiction Italia*
La curiosità, da sempre grande alleata degli scienziati, lo aveva spinto ad aprire il libro e scorrere fra le pagine leggendo di ricette e pozioni improbabili.
Lesse divertito di come gli alchimisti cercassero un oggetto magico chiamato "pietra filosofale" o di come si dannassero anima e corpo cercando di convertire i minerali in oro zecchino.
Quelle misteriose pozioni che promettevano miracoli, altri non erano che ilari barzellette ai suoi occhi.
Ad un tratto, la sua attenzione cadde spontaneamente sull'unico incantesimo scritto in rosso.
"Filtro d'amore" recitava l'intestazione.
Deciso a farsi ancora due risate, lesse avidamente quanto riportato.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bankotsu, Inuyasha, Jakotsu, Mukotsu | Coppie: Bankotsu/Jakotsu
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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InuRan special February
Fandom: Inuyasha/Ranma
Coppie: - 
Stile IC/OOC a scelta
Genere: Romantico/Sentimentale
Trama: A decide di creare un filtro d'amore per far innamorare B, ma per errore la pozione viene bevuta da C. Cosa succederà?

 
 
 



 
Le parole non dette

   


 
 
 
 
La chimica era sempre stata la sua passione, fin da piccolo si era circondato di ampolle e becher riempiti di chissà quali sostanze colorate, divertendosi nel mischiarle e creare nuovi composti. Che fossero nocivi o meno, quello era un altro discorso.
Mukotsu, proverbiale topo di biblioteca, aveva scelto di perseguire la sua passione fin da subito e, fortuna volle, che sfociò precocemente in un fruttuoso lavoro.
Gli anni trascorsi piegato sui libri gli avevano ingobbito la schiena, rendendolo ancora più basso di quel che era davvero. La vista era calata velocemente grazie alle notti insonni passate sui tomi a studiare, con la fioca luce dell' abat jour a tenergli compagnia.
E dopo i trenta, senza aver mai baciato nessun esemplare del gentil sesso, persino i capelli - oltre alla speranza di una vita amorosa - avevano iniziato ad abbandonarlo.
Fu quasi per caso che gli capitò fra le mani un libro di alchimia e stregoneria dell'epoca Sengoku.
La copertina marrone in pelle era ruvida al tatto e puzzava di umidità e pagine muffose. Lo stesso odore tipico delle vecchie biblioteche dove non vengono mai aperte le finestre.
Dei rinforzi metallici ne proteggevano gli angoli ed il dorso, mentre un segnalibro scarlatto spiccava fra le pagine ingiallite scritte a mano con una calligrafia impeccabile.
La curiosità, da sempre grande alleata degli scienziati, lo aveva spinto ad aprire il libro e scorrere fra le pagine leggendo di ricette e pozioni improbabili.
Lesse divertito di come gli alchimisti cercassero un oggetto magico chiamato "pietra filosofale" o di come si dannassero anima e corpo cercando di convertire i minerali in oro zecchino.
Quelle misteriose pozioni che promettevano miracoli, altri non erano che ilari barzellette ai suoi occhi.
Ad un tratto, la sua attenzione cadde spontaneamente sull'unico incantesimo scritto in rosso.
"Filtro d'amore" recitava l'intestazione.
Deciso a farsi ancora due risate, lesse avidamente quanto riportato.
L'alchimista di turno, certo A. Mour, prometteva la completa riuscita del filtro e delle sue capacità, ampiamente testate con successo, in grado di far innamorare perdutamente qualsiasi donzella a prima vista.
Una risata gli forzò le labbra secche e screpolate, mentre gli occhi macinavano parola dopo parola con avidità.
La risata gli morì in gola a circa metà del testo.
Mour, inconsciamente e sicuramente per caso, aveva avuto un colpo di fortuna e a quell'intruglio mucillagginoso che aveva prodotto altro non erano che feromoni purissimi in grado di stordire chiunque ne avesse bevuti anche solo pochi sorsi.
Mukotsu sgranò gli occhi e poggiò il tomo sulla scrivania cercando di riordinare le idee.
Le nozioni riportate nella ricetta erano rudimentali e raffazzonate, tuttavia i composti indicativi erano stati dosati alla perfezione, nelle giuste quantità, e mischiati fra loro in maniera ottimale.
il filtro che ne sarebbe uscito sarebbe stato potente ed incredibilmente - oltre che inaspettatamente - efficace.
Schizzò in piedi, Mukotsu, armato con voglia di fare ed una mezza idea a ronzargli per la testa.
 
Nel laboratorio, circondato da ampolle e becher colorati, Mukotsu seguiva passo per passo la ricetta per il filtro d'amore più potente che l'uomo avesse mai concepito.
Davanti a lui, appesa al muro del suo laboratorio privato, spiccava la fotografia di Sango Hirai, la sua bellissima collega per la quale aveva perso la testa da diversi anni a questa parte, ma che purtroppo aveva occhi solo per tale Miroku Huoshi.
Inforcò gli occhiali al volo e tornò a rileggere la ricetta con minuziosa attenzione e fu in quel momento che si accorse delle note a piè pagina dove spiccavano diversi avvisi ed avvertenze.
incuriosito e pensieroso, lesse anche quelle parole che Mour aveva trascritto con la sua calligrafia pomposamente ridondante e piena di ghirigori.
 
ATTENZIONE
- La donzella da voi bramata subirà l'effetto del filtro in pochissimi secondi e s'innamorerà perdutamente della prima persona a cui rivolgerà il proprio sguardo.
- Se vengono somministrati pochi sorsi, l'effetto del filtro si esaurirà in qualche giorno e la donzella non ricorderà assolutamente niente. Per lei sarà come risvegliarsi dopo una serata alcolica.
- Nell'eventualità in cui venisse somministrato tutto il filtro in un'unica volta, la donzella cadrà vittima dell'effetto dell'infuso vivendo nell'illusione dell'amore fittizio della pozione per tutta la vita.
- L'intensità e l'impeto con cui il sentimento travolge la donzella è soggettivo e può variare a seconda della personalità. Tuttavia, un fattore che accomuna tutti gli esperimenti fatti, è che se la donzella riceve un brusco rifiuto da parte della persona amata, ella ne soffrirà tragicamente fin quasi a commettere gesti estremamente pericolosi.
 
Mukotsu lesse ed apprese le varie problematiche che l'efficacia del filtro portava con sé.
Non sembravano ostacoli così insormontabili e per far cadere ai suoi piedi la bella Sango era disposto a questo e ben altro!
Con un ghigno malefico versò l'ultimo ingrediente della miscela mucillagginosa, più deciso che mai a farglielo bere tutto d'un fiato con l'inganno.
 
 
Il piano che aveva escogitato era semplice e con alte probabilità di riuscita.
Sapeva che Sango pranzava tutti i giorni alla mensa della compagnia, seduta al terzo tavolo sulla destra in compagnia di quella Kagome delle risorse umane. A due tavoli di distanza da loro, sulla destra, sedevano sempre Miroku e InuYasha e le ragazze erano talmente distratte dai due bellimbusti che neppure si accorgevano di ciò che gli capitava intorno.
A Mukotsu sarebbe bastato passare di lì per caso, scontrarsi con Sango e rovesciargli il the sul vassoio. A quel punto, si sarebbe offerti di cedergli il suo per scusarsi e, qualora lei avesse portato le labbra alla bevanda, lui si sarebbe dovuto trovare esattamente davanti ai suoi occhi.
Ed era tutto pronto, in verità.
Si era strategicamente appostato dietro una delle porte che conducevano alla mensa, in attesa che Sango passasse di lì per poter aprire l'infisso con irruenza e mettere in atto i suoi loschi propositi.
"Non credo, Kagome... So per certo che si vede regolarmente con Kagura dell'amministrazione." la voce melodica di Sango gli giunse alle orecchie soffice e deliziosa.
Un brivido gli corse lungo la schiena immaginando quella voce pronunciare dolci parole per lui e quella bocca sorridergli innamorata.
E quando il ticchettio dei tacchi della ragazza si fece vicinissimo, fu allora che Mukotsu abbassò la maniglia ed aprì con imponenza la porta.
Lo scontro brutale contro un vassoio fu inevitabile, il cibo che volò imbrattando il pavimento pure, ma quello che Mukotsu non si aspettava furono gli occhi pesantemente truccati di mascara di Jakotsu che lo squadravano in cagnesco.
"Dannato sgorbio! guarda come mi hai conciato!" gridò il ragazzo oltraggiato, mentre Mukotsu guardava Sango passargli davanti senza rivolgergli neppure uno sguardo.
"Mi stai ascoltando almeno, razza d'imbecille?!" la voce acuta ed irata di Jakotsu, oltre ad una mano vigorosa che lo acciuffava per il bavero, lo riportò velocemente al presente infrangendo quel sogno d'amore con il quale si era illuso dolcemente.
"S-scusami J-Jakotsu... Non v-volevo... è stato un errore..." gracchiò a disagio, cercando di calmare il collega infuriato.
"Errore un cavolo! Erano almeno quindici minuti che stavi dietro a quella porta! Mi credi così scemo da non capire che lo hai fatto a posta?!"
"M-ma no! A-assolutamente non l'ho fatto a p-posta... è tutto uno spiacevole malinteso!"
"Dannazione! E proprio davanti a quel figo di Bankotsu..." uggiolò il ragazzo cercando di ripulirsi dal suo pranzo volatogli in faccia e sui vestiti.
Mukotsu si sentì in dovere di porgergli il suo fazzoletto per agevolarlo in quell'impresa disperata e Jakotsu lo accettò di buon grado.
"D-davvero, non volevo darti la porta in faccia..." pigolò Mukotsu colpevole non osando guardare il collega in faccia finché non udì un sospiro accondiscendente.
"Almeno offrimi da bere per scusarti!” E così dicendo gli sottrasse velocemente la boccetta rosata che Mukotsu teneva fra le mani.
“No! Jakotsu, fermo!” Urlò disperato il collega cercando di fermarlo, ma già il giovane aveva portato la bevanda alle labbra.
E ne bevve un lungo sorso.
Mukotsu impallidì all’istante, terrorizzato dal risvolto catastrofico che quella bravata stava prendendo.
Poi accadde tutto molto velocemente.
InuYasha si avvicinò a loro con naturalezza, poggiando una mano sulla spalla a Jakotsu per sincerarsi che stesse bene dopo la porta in faccia.
“Hey amico, tutto ok?” Esordì amichevole sorridendo.
E quando Jakotsu incrociò quei due occhi dorati, squadrando il collega come se fosse stato ricoperto di cioccolato, Mukotsu si sentì morire a poco a poco.
 
 
 
 
 
 
InuYasha varcò la soglia del suo ufficio con il cellulare fra le mani ed un ghigno divertito, mentre apriva l’ennesimo sms di Miroku dove l’amico elogiava caldamente il fondoschiena di qualsivoglia essere femminile che gli capitasse davanti.
Con annessa foto.
E poi si meravigliava se alle risorse umane lo chiamavano così spesso.
“Che scemo…” commentò fra sé InuYasha riponendo il cellulare nella tasca dei pantaloni.
Ultimamente l’amico si era particolarmente soffermato sul fondoschiena della Signorina Hirai, ed InuYasha si ritrovava a cancellare settimanalmente almeno cinquanta foto di lei.
Con la mente altrove, fece per voltarsi e chiudersi la porta alle spalle, ma prima che avesse il tempo di compiere quel gesto, quest’ultima sbatté furiosamente come se fosse stata sbattuta con rabbia.
InuYasha si bloccò allarmato, ma non ebbe il tempo di fare alcunché, Perché una mano sconosciuta gli acciuffò i capelli, tirandoli indietro con forza.
Un verso gutturale di dolore gli abbandonò le labbra, mentre l’altra mano sconosciuta scese velocemente sotto la sua cinta.
InuYasha sobbalzò sorpreso e quando si ritrovò una presenza dura e calda premuta con forza contro le sue natiche, un grido poco virile gli uscì involontariamente dalle labbra.
“Fai piano, amore… altrimenti ci scopriranno subito!” Trillò Jakotsu eccitato da morire all’idea di compiere quella malefatta in un ufficio, alla portata di tutti.
Il ragazzo sgranò gli occhi sconcertato riconoscendo la voce del collega, ed un brivido gli corse lungo la schiena quando si voltò ed incontrò Jakotsu nudo dietro di sé.
Nudo.
Nudo come un verme.
Nudo come mamma lo aveva fatto.
Nudo.
“J-Jakotsu! Che diavolo-…” iniziò InuYasha sorpreso, ma fu costretto a tacere dalle labbra del collega che si scagliarono passionali contro le sue.
InuYasha sgranò gli occhi sconcertato, mentre la lingua del collega gli carezzava languidamente le labbra.
Che diamine stava accadendo?!
Fu in quel momento che InuYasha lo spinse via di malagrazia, facendolo cadere a terra e si allontanò barcollando da lui che lo fissava con sguardo curiosamente sorpreso.
“Amore, ma che ti prende?”
“Che prende a me?!” Alzò la voce InuYasha, passandosi nervosamente le mani fra i capelli ed iniziando a girovagare per l’ufficio come un leone in gabbia.
“Che diavolo prende a te! Che pensavi di fare nudo nel mio ufficio?!”
“Sesso. Mi pare ovvio.” Replicò Jakotsu alzando un sopracciglio con fare eloquente.
InuYasha spalancò la bocca – se possibile – più sconvolto di prima.
“Chiudila o  ci entrerà una mosca… o altro magari. Non mi dispiacerebbe un servizietto da quella splendida boccuccia!” Un sorriso accattivante si dipinse sulle labbra di Jakotsu, mentre InuYasha iniziò seriamente a sperare che tutto quello fosse solo uno scherzo.
Un dannato scherzo. Magari di quel cretino di Miroku.
“M-ma sei fuori?! Guarda che sono etero!” Replicò furiosamente iniziando a sentirsi davvero a disagio in quella situazione.
“Sì, certo… quasi quanto me, giusto?!” Lo derise Jakotsu rialzandosi dal pavimento e massaggiandosi le natiche indolenzite per la caduta.
“Tesoruccio, se non avevi voglia, sarebbe bastato anche un semplice ‘non adesso’ e me ne sarei andato senza problemi.” Sbuffò annoiato acciuffando i suoi indumenti e rinfilandoseli al volo.
“Va bene! Non adesso! E mai più nella vita, grazie!” Sbottò InuYasha nuovamente, spalancando le braccia esasperato.
“Non essere drastico adesso, sto solo dicendo che non occorreva spintonarmi a terra così ru-…” s’interruppe all’istante, come se avesse appena avuto un’illuminazione. In un istante i suoi occhi si fecero sottili ed il suo broncio permaloso si tramutò velocemente in un sorriso malizioso.
No. Decisamente aveva frainteso qualcosa.
“Amore, ma se volevi farlo per terra dovevi dirlo subito!”
Appunto. Aveva frainteso.
InuYasha impallidì repentinamente, tanto che le sue labbra persero colore e quasi scomparvero confondendosi con il pallore mortale del suo incarnato.
“Ammetto di non essere un fan del sesso-da-pavimento, ma se a te piace posso anche fare un’eccezione!” Trillò Jakotsu riniziando a sbottonarsi la camicia, ma InuYasha fu più lesto e con movimenti furenti acciuffò la giacca del collega e gliela lanciò di malagrazia.
“Ti voglio fuori di qui subito!” Tuonò infine esasperato.
Adesso poteva dirsi davvero incazzato. Se fosse stato uno scherzo del cazzo di quel coglione di Miroku, gliele avrebbe suonate di santa ragione!
“Tesoruccio, non arrabbia-…”
“Non chiamarmi così! E ringrazia il cielo che non faccia rapporto alle risorse umane!”
E non appena finì di urlare quella frase, qualcosa negli occhi di Jakotsu già era cambiata.
La luce birichina che aveva animato il suo sguardo fino a quel momento si era affievolita un pochino ed il suo labbro inferiore aveva tremato vistosamente, prima che il ragazzo riprendesse il totale controllo di sé e nascondesse le sue emozioni ferite dietro ad una maschera di menzogna.
“Va bene, InuYasha. Niente nomignoli, ho capito.”
Un sorriso falso distese i suoi lineamenti ed InuYasha non si curò di quel palese bluff, continuando ad ignorarlo oltraggiato ed infuriato per quella pessima sorpresa.
Jakotsu si infilò la giacca ed allacciò le scarpe velocemente. Già sentiva le lacrime pungergli gli occhi e proprio non voleva piangere davanti al suo amato.
Infine, a testa bassa, in modo che la frangetta disordinata gli celasse lo sguardo, uscì dall’ufficio di InuYasha e si diresse in bagno, dove pianse per molto tempo.
 
 
Bankotsu era appena uscito da un’estenuante riunione dove era stato torturato per ben due ore.
I bilanci non tornavano, l’azienda aveva ottimi compratori ed ingenti ordini da soddisfare, ma il tempo era agli sgoccioli ed i capi sentivano il bisogno di sfogare la loro frustrazione sul primo responsabile che capitava loro a tiro.
Bankotsu si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Aveva consegnato quella mattina il bilancio trimestrale del suo reparto e, caso vuole, che uno dei dirigenti passasse per gli uffici dell’amministrazione proprio in quel momento.
Buffo. Aveva pensato Bankotsu.
Solitamente se ne stavano comodi comodi con il culo sul divano, controllando il lavoro da pc o da telefono senza alcuna fatica o impegno. Solo dopo avrebbe compreso la gravità della presenza dei dirigenti a zonzo per l’azienda.
Il caziatone che si era beccato non se lo sarebbe mai dimenticato.
Tre dirigenti incazzati che urlavano sbraitando con i loro faccioni rossi e le vene del collo in rilievo per lo sforzo, lo redarguivano per quell’unico punto in perdita nel suo settore.
Come se gli altri dieci non fossero stati nettamente positivi.
Sbuffò esasperato Bankotsu, entrando nel bagno al settimo piano.
Solitamente non capitava mai da quelle parti. Il settimo piano era composto soprattutto da uffici di ragionieri, gente noiosa secondo lui.
Preferiva di gran lunga scendere dal ventitreesimo piano dove lavorava, fino al diciottesimo dove gli scienziati del settore ricerca e sviluppo erano degli eccentrici pazzi a piede libero.
E per Jakotsu.
Dio, aveva una cotta per quel biologo da anni ormai ed ancora si ostinava a volerlo guardare da lontano sospirando come una liceale innamorata.
Prima si diceva che non poteva dichiararsi così, dallo zero a zero, senza sapere se Jakotsu fosse gay o meno.
Poi, dopo aver scoperto -l’evidente agli occhi di tutti, ma non ai suoi – omosessualità di Jakotsu, aveva indugiato per scoprire se già non ci fosse qualcuno nel suo cuore.
Ed ora, dopo anni che sapeva per certo che non ci fosse nessuno, ancora era lì a sospirare innamorato attendendo pazientemente un suo saluto distratto.
Raggiunse il lavandino, aprì l’acqua fresca e si bagnò la faccia incurante delle gocce che gli bagnavano il colletto della camicia.
Esausto.
Dopo quella cazzo di riunione si sentiva stanco come se avesse lavorato ininterrottamente per tutto il giorno.
Si passò le mani umide fra i lunghi capelli e si squadrò allo specchio.
Sembrava più vecchio di dieci anni almeno.
Poi un sospiro tremolante attirò la sua attenzione. Forse un singulto di pianto. Uno di quei pianti disperati che tolgono il respiro.
Si voltò allarmato ed i suoi occhi incontrano velocemente la figura di Jakotsu seduto per terra nell’angolo più nascosto di quel lercio bagno.
Sgranò gli occhi Bankotsu ed il respiro gli morì in gola a quella scena.
Aveva sempre pensato che il sorriso di Jakotsu fosse bellissimo. Una di quelle splendide cose da custodire gelosamente. E adesso che quelle labbra erano imbronciate in una smorfia triste, gli sembrava così sbagliato, così ingiusto, che la rabbia per la riunione fu sostituita da ben altro.
“J-Jakotsu?” Chiese balbettando, sbattendo le palpebre come se non riuscisse a credere ai suoi occhi.
“Sì, sono io … scusa se ti sto disturbando con il mio pianto.” Pigolò lo scienziato turando su con il naso come un bambino.
Bankotsu non riuscì a trattenersi e fece un passo verso di lui porgendogli della carta.
“T-tutto bene?” Azzardò Bankotsu abbassandosi verso di lui per dargli il fazzoletto.
Si sforzò con tutto sé stesso di ignorare il tremore alla mano ed il suo cuore che galoppava impazzito nel suo petto.
Stava davvero parlando con Jakotsu?!
“A te che sembra?!” Rispose piccato lo scienziato strappandogli la carta dalle mani.
“Sembrerebbe di no…”
“Già! Sono appena stato brutalmente rifiutato e non è stato affatto bello, quindi esci di qui e lasciami solo a piangere, grazie!
Bankotsu storse le labbra sentendo quelle parole ed accigliò le sopracciglia contrariato.
La vocetta permalosa di Jakotsu era davvero insopportabile come dicevano i suoi colleghi, lo sapeva, se ne era accorto e aveva appena avuto l’ennesima conferma.
Tuttavia non riusciva a non trovarla tremendamente adorabile e sbagliata soprattutto. Si sentiva dannatamente in dovere di far sì che quelle lacrime smettessero di deturpare quel bel viso e che quella voce fastidiosamente gracchiante abbandonasse le sue labbra in favore di una più melodiosa.
“Ti va di parlarmene?” La richiesta aveva abbandonato la sua bocca ancor prima che il cervello avesse avuto modo di elaborare correttamente la frase.
“Perché dovrei?! Perché mai dovrebbero interessarti le mie pene d’amore?!” Rispose acido Jakotsu e Bankotsu non poté che annuire davanti a quelle domande retoriche.
In effetti erano poco più che due sconosciuti. Che diritto aveva di imbucarsi così palesemente nella sua vita amorosa?
“Hai ragione. Scusami.”
Nessun diritto. Appunto.
Anche se la voglia di sapere il none di chi aveva osato ridurre in quello stato Jakotsu era davvero irresistibile e l’idea di deturpare i connotati del suddetto gli faceva prudere le mani tantissimo.
Sospirò sconsolato, Bankotsu e si passò nervosamente una mano sulla faccia ancora umida.
“A-allora vado…” gracchiò confuso.
Non voleva andarsene. Voleva parlare ancora, aveva così tanto da dirgli, ma le parole proprio non volevano saperne di uscirgli dal cuore.
Si voltò verso la porta e avanzò determinato ad uscire dal bagno.
Anche se ciò avrebbe significato lasciare nuovamente Jakotsu da solo in quel bagno a piangere.
Ed il suo cuore fu stretto in una morsa dolorosa.
Arrestò la sua avanzata e si voltò determinato, accigliato, deciso.
Jakotsu lo guardò confuso ed alzò lo sguardo appena in tempo per vedere le guance del collega divenire color delle ciliegie mature.
“Chiunque sia, non ti merita! Puoi avere di meglio e magari potresti avercelo anche davanti agli occhi!” Urlò tutto d’un fiato, annaspando alla fine come se avesse appena finito una maratona interminabile.
Infine, fuggì via dal bagno incapace di credere a ciò che aveva appena detto.
 
 
 
Il mattino seguente, una scatola di biscotti al cioccolato con un bigliettino rosa spiccavano sulla scrivania di Bankotsu.
Il suo cuore fece una capriola nel momento esatto in cui riconobbe l’elegante grafia di Jakotsu.
 
 
Grazie per ieri. Non eri tenuto a consolarmi, soprattutto considerando il modo odioso con cui ti ho trattato.
Sei una brava persona e spero che diventeremo buoni amici.
 
 
Amici.
Amici.
Bankotsu si abbandonò pigramente contro la sedia osservando il soffitto attonito.
Credeva di essersi dichiarato. Credeva che Jakotsu avesse compreso i suoi sentimenti.
Evidentemente non era così.
Ed una lacrima solitaria gli solcò la guancia, accompagnata da un sordo dolore al petto che sapeva troppo di delusione.
 
 
InuYasha esitava davanti alla porta del suo ufficio ormai da dieci minuti buoni.
L’idea di ritrovarsi nella stessa situazione del giorno prima lo terrorizzava quasi quanto il ricordo di quel paletto che gli premeva sui pantaloni proprio fra le chiappe.
Scosse la testa cercando di accantonare quello spiacevole equivoco.
Miroku gli aveva assicurato che non fosse uno dei suoi scherzi di cattivo gusto e, dopo avergliele anticipatamente suonate, poteva anche credergli. In fondo non aveva motivo di mentire.
Ma allora perché Jakotsu aveva acquisito tutta quella sicurezza?
Cosa lo aveva fatto essere così tranquillo che, con quella comparsata, sarebbero finiti a letto insieme?
E – ancora – cosa gli aveva fatto credere che lui fosse gay?
Ormai quasi la totalità dell’azienda lo sbeffeggiava per la sua perenne cotta per la nuova arrivata, la Signorina Higurashi.
Aveva anche rischiato il licenziamento quando aveva visto quel lupastro di Koga che ci provava spudoratamente e poi lo aveva atteso nel parcheggio per rimetterlo al suo posto.
Tutta l’azienda sapeva. Tranne lei.
E probabilmente neppure Jakotsu.
Sospirò stancamente. La giornata non era ancora iniziata e già sperava che finisse al più presto.
Infilò la chiave nella serratura e si maledisse in cento e più lingue sconosciute quando appurò che fosse già aperta.
Aprì uno spiraglio e sbirciò all’interno: una figura di spalle stava nella penombra dell’angolo dove troneggiava la sua scrivania.
In teoria poteva essere chiunque, ma in pratica…
“Buongiorno tesoruccio mio!”
Appunto.
“Jakotsu, dannato, ti ho già detto di non chiamarmi così!” Sbottò  InuYasha, richiudendosi la porta dietro alle spalle. Sia mai che qualche altro collega fraintenda il suo vero orientamento sessuale.
“Preferisci ‘amore mio’?” Chiese allora lo scienziato con fare innocente, prima di alzarsi e mettere sotto al naso del collega un succulento vassoio pieno zeppo di pasticcini profumati.
“Cos-…? No! E cosa sono questi?”
“Il mio modo per scusarmi!” Rispose Jakotsu sorridendo gentile. Uno di quei sorrisi sospetti che ti ingannano per la loro genuina semplicità, ma alla fine arriva sempre la brutta sorpresa.
“Davvero?” Chiese InuYasha sospettoso. Qualcosa non riusciva davvero a convincerlo.
“Davvero.” Rispose convinto lo scienziato.
“Ho capito dove ho sbagliato e mi scuso tanto, non dovevo comportarmi così.”
InuYasha sgranò gli occhi piacevolmente sorpreso. Non credeva che uno ostinato come Jakotsu abbandonasse il suo obbiettivo così facilmente.
“Ho capito che vuoi essere corteggiato ed è così che farò!”
“No! Non hai capito un ca-…”
“Non essere scurrile tesoruccio, non mi piacciono le parolacce!” Lo redarguì lo scienziato sventolandogli con aria fintamente minacciosa, un indice cotto al naso.
InuYasha aprì bocca per replicare, pronto a dare il via ad una serie di parole ben poco caste degne di uno scaricatore di porto.
“Dannato, ti ho già detto che-…” ma non riuscì a terminare che Jakotsu già gli aveva messo fra le labbra un succulento pasticcino alla crema.
Il sapore dolce di quella zuccherosa delizia fu come un canto di angeli per il suo palato ed InuYasha non riuscì a trattenere un mugolio estasiato.
“Fono feliziofi!” Biascicò a bocca piena gustando il pasticcino con voracità e raccattando con le dita la crema che gli era colata giù dalle labbra.
Forse, col senno di poi, avrebbe dovuto comprendere quale fosse l’errore in quel gesto apparentemente innocente.
Jakotsu seguì la via delle sue dita con gli occhi, sgranando le pupille non appena InuYasha di leccò avidamente le dita sozze di crema.
Inconsciamente, lo scienziato si leccò le labbra a sua volta, sentendo chiaramente un certo risveglio fra le sue gambe.
“Quanto vorrei essere io quel pasticcino…” mormorò suadente compiendo un passo in avanti.
Corteggiamento un corno!
Con prepotenza, gli afferrò le spalle e lo sbatté contro la porta, sporgendosi con il collo per poter assaggiare nuovamente il sapore di quelle labbra, ma InuYasha fu più lesto e, in un attimo, se lo era già scrollato di dosso sfuggendogli dal basso.
“Dannazione, Jakotsu! Lo vuoi capire che non ti voglio!” Sbraitò irato InuYasha con astio e, ancora una volta, vide quella luce negli occhi dello scienziato spegnersi ancora un pochino.
“S-sì… ho capito. Scusami.” Pigolò velocemente fuggendo via dall’ufficio del suo amato, diretto in quel bagno che avrebbe accolto silenziosamente le sue lacrime disperate.
 
 
 
 
 
 
 
La giornata era infine giunta al termine e gli impiegati si affrettavano a finire le loro scartoffie per uscire dal lavoro e godersi il loro meritato riposo.
Bankotsu invece se ne stava pensieroso nel suo ufficio, con un lapis da far girare fra le dita e lo sguardo perso nel vuoto.
Il suo animo era cupo da quella mattina, dopo che aveva letto la lettera di Jakotsu, ed il suo lavoro ne aveva inevitabilmente risentito, proseguendo al rilento per tutto il giorno.
Persino la pausa pranzo gli era sembrata incredibilmente lunga.
Aveva raggiunto la mensa al piano degli scienziati del reparto ricerca e sviluppo, aveva salutato distrattamente i colleghi e con lo sguardo aveva cercato quello di Jakotsu.
Non lo aveva trovato.
Aveva atteso tutta la pausa, osservando i volti familiari dei colleghi ed elargendo casualmente qualche sorriso di cortesia.
Mentre il suo cuore agognava l’idea di riempirsi gli occhi con il sorriso felice di Jakotsu, quel sorriso splendido che aveva sempre riservato agli altri e non  a lui, quello che aveva da sempre spiato scaltramente seduto al tavolo più lontano da lui.
Chissà se quel sorriso lo avrebbe mai rivolto a lui…
Un sospiro stanco abbandonò le sue labbra, mentre gli occhi iniziarono inevitabilmente a pizzicare.
Amici.
Certo, come se si potesse essere amici della persona che si ama. Come se si potesse vivere per sempre vicino alla felicità ma senza mai raggiungerla del tutto.
Amici era un termine che non aveva mai apprezzato.
Amici è riduttivo e tende a classificare gli affetti. Come se si potesse assegnare un numero alle persone che si hanno care.
E Jakotsu non rientrava fra quelli che avrebbe classificato con quel termine. Sapere che invece per lui era il contrario, era un colpo al cuore bello e buono.
Un vero attentato alla sua salute cardiaca.
Poggiò la matita sulla scrivania colma di scartoffie e si alzò dalla poltrona fattasi inspiegabilmente scomoda.
Arrivò alla finestra e l’aprì.
Aveva bisogno d’aria fresca, di distrarsi o quei pensieri sulle sue pene d’amore lo avrebbero tormentato in eterno.
Poggiò la schiena contro lo stipite ed osservò il cielo tingersi di scuro, mentre sotto di lui milioni di persone si affrettavano a tornare a casa, muovendosi freneticamente come piccole formichine.
Quante volte aveva sognato di stare così, affacciato al balcone di casa sua, con Jakotsu fra le braccia a  guardare il tramonto.
Un sorriso di scherno gli forzò le labbra.
Non sarebbe mai capitato perché loro erano amici e quei biscotti che giacevano intonsi sulla scrivania ne erano la prova.
Il biglietto lo aveva buttato subito invece.
Si passò una mano fra i capelli scuri della frangetta disordinata con esasperazione.
Quasi per caso abbassò lo sguardo verso l’angolo che faceva l’edificio, qualche piano sotto di lui, dove aveva una visuale perfetta dei laboratori di chimica.
Aggrottò le sopracciglia.
Qualcuno stava ancora lavorando, armeggiando fra ampolle e becher colorati.
Non riusciva a vedere il volto con chiarezza, non da quella lontananza almeno.
Ma chi poteva essersi trattenuto così a lungo a lavoro?
Incuriosito, scrutò meglio, sporgendosi dalla finestra e seguendo quello scienziato mentre andava in giro per Il laboratorio.
Si muoveva frenetico, come se dovesse spicciarsi a finire il suo lavoro.
Bankotsu rimase ad osservarlo incuriosito e, non appena lo scienziato si avvicinò alla finestra per caso, poté infine scorgere il volto del suo amato con un’espressione triste e contrita stampata sul volto.
Perché era triste?
Quell’idiota lo aveva rifiutato ancora?
Perché si era trattenuto fino a tardi?
Senza neppure metabolizzare il pensiero, Bankotsu si fiondò fuori dal suo ufficio.
Una strana angoscia gli stringeva il petto e sudare freddo le mani.
Qualcosa non gli tornava.
Gli scienziati non si trattenevano mai oltre l’orario. Non era ammesso dall’azienda per le norme di sicurezza.
Perché era sempre lì?
Perché era da solo se non era consentito?
Jakotsu non era una persona che rischiava il licenziamento tanto facilmente.
Dunque, perché?
Arrivò all’ascensore con il fiato corto, premette nervosamente il pulsante affinché arrivasse al suo piano ed attese.
Attese.
Attese ancora schiacciando di nuovo il pulsante.
Perché diavolo ci stava mettendo così tanto?
Quel senso di inquietudine non pareva volergli dare tregua e l’idea che Jakotsu stesse per commettere una stupidaggine si faceva strada sempre più facilmente nella sua testa.
“Fanculo!” Imprecò a denti stretti e si lanciò per le scale, determinato a scendere i piani a due scalini alla volta.
Non aveva idea di cosa gli avrebbe detto una volta piombato lì, nei laboratori, senza un motivo valido, ma sentiva che qualcosa non andava.
Raggiunse il diciottesimo piano in pochi minuti e si lanciò per i corridoi allo sbaraglio.
La cravatta iniziava a stargli fin troppo stretta, la camicia gli si era appiccicata addosso come una seconda pelle e la giacca gli stringeva sulle spalle mentre correva annaspando.
Il laboratorio non doveva essere lontano e mentre macinava metri lasciando dietro di sé solo corridoi deserti, quel pensiero trovava sempre più riscontro nella sua mente.
Jakotsu non stava bene.
Jakotsu stava per fare una cazzata.
Doveva assicurarsi che non la commettesse.
Girò a destra ed entrò nella stanza dove gli scienziati lasciavano i loro effetti personali.
Avrebbe dovuto indossare le protezioni adeguate per addentrarsi nel laboratorio, ma non se ne curò minimamente mentre il martellare frenetico del suo cuore gli sfondava la cassa toracica.
Si fiondò all’interno e seguendo il rumore del vetro che tintinna, lo trovò facilmente, ma quello che vide gli tolse il fiato.
Un liquido verdastro che ribolliva fumando un un becher giaceva fra le mani di un Jakotsu distrutto con il viso molle di lacrime.
Un foglio ed una penna davanti a lui, mentre si portava quell’intruglio alle labbra.
Stava per avvelenarsi.
Per quell’amore non corrisposto.
Stava per avvelenarsi.
Sarebbe morto.
Il respiro gli si fermò in gola.
I piedi si mossero da soli e una mano strattonò il braccio di Jakotsu facendogli cadere il becher proprio addosso a Bankotsu.
Lo scienziato impallidì all’istante, sgranando gli occhi sconvolto.
Bankotsu percepì un forte bruciore al petto e sullo stomaco.
L’aria era divenuta inspiegabilmente irrespirabile e quasi gli faceva male al naso.
Un capogiro lo colse all’improvviso e l’ultima cosa che udì prima di svenire, fu la voce di Jakotsu preoccupato che parlava con qualcuno animatamente.
 
 
 
 
 Una luce fastidiosa gli carezzò le palpebre chiuse, destandolo dal suo sonno.
La testa gli doleva tremendamente e tutta quella luce nella stanza non agevolava affatto. L’addome gli bruciava ancora, ma l’aria era pulita e respirabile stavolta.
Aprì gli occhi mugolando qualche maledizione verso sé stesso per non aver chiuso le tende la sera prima. Poi i suoi occhi incontrarono le pareti bianche lattee di una stanza d’ospedale.
Che diamine gli era successo?
Iniziò ad agitarsi, guardandosi intorno preoccupato.
Una flebo era attaccata al suo braccio sinistro, dei fili gli collegavano il petto ad un monitor controllando il suo battito cardiaco e una cannulina al naso gli insufflava aria pulita nei polmoni aiutandolo a respirare.
Si scostò il pigiama di carta per osservarsi l’addome e lo trovò completamente bendato con garze macchiate qui e lì di sangue.
Che cavolo gli era successo?!
Il rumore della serratura che scattava, attirò la sua attenzione e Bankotsu si ritrovò a scrutare apprensivo la figura di Jakotsu con il viso stravolto dalla tristezza.
Che cazzo era successo?!
Quando gli occhi scuri dello scienziato si posarono su di lui, la sua espressione mutò velocemente e da triste si trasformò in stupita, sorpresa ed infine uno splendido sorriso gli increspò le labbra mentre gli occhi si riempirono di commozione.
“Bankotsu! Grazie al cielo!” Uggiolò macinando quella poca distanza che li separava e gettandoglisi letteralmente al collo.
Bankotsu si sforzò di trattenere un gemito di dolore non appena Jakotsu lo strinse a sé, provocandogli qualche fitta all’addome ingiuriato.
Ma il solo averlo tra le braccia, mentre lo stringeva dolcemente, mentre il suo profumo gli carezzava il naso, mentre i suoi capelli gli solleticavano il mento, ripagava ogni dolore provato.
Si sarebbe fatto anche accoltellare pur di ricevere un altro abbraccio così!
Jakotsu si separò da lui leggermente, carezzandogli una guancia e sorridendo tristemente.
“Come ti senti?” Chiese lo scienziato, facendo vagare lo sguardo da lui al monitor accanto al letto.
“B-bene, credo… C-che diamine è successo?”
“Non lo so… non me lo ricordo…” bisbigliò colpevole Jakotsu allontanandosi da lui e sedendosi sulla poltrona di fianco al monitor.
Si passò una mano fra i capelli spettinati e si accomodò meglio sulla poltrona con aria nervosa.
Solo in quel momento Bankotsu notò le condizioni trasandate in cui versava il collega.
Le pesche di stanchezza che gli incorniciavano gli occhi, gridavano a squarcia gola un gran numero di notti insonni. I capelli arruffati e la tuta scolorita sotto al pesante cappotto non erano proprio da lui invece.
Jakotsu era sempre vestito bene.
Jakotsu era sempre elegante anche quando non occorreva particolarmente.
Cos’era accaduto?
Doveva essere successo qualcosa di drasticamente drammatico per sconvolgerlo talmente tanto da fargli passare persino la voglia di agghindarsi.
Che fosse ancora a causa di quel cretino che continuava a respingerlo?
“Va tutto bene?” Chiese infine, accomodandosi meglio sui cuscini alle sue spalle.
Un sorriso tristemente derisorio gli adornò le labbra.
“Sei tu quello ricoverato in ospedale. Non credi che dovrei chiedertelo io?”
“Sto bene, non ho bisogno di tutta questa roba!” Rispose Bankotsu ammiccando con la testa verso il monitor.
“Direi il contrario invece, dato che pare che ti sia rovesciato addosso dell’acido.”
Bankotsu sgranò gli occhi guardando il collega sorpreso.
“Cosa?”
“Non lo so di preciso… non ricordo. Però pare che io abbia chiamato un’ambulanza dicendo che eri sbucato dal niente in laboratorio, che mi sei corso incontro, che mi hai strappato di mano quell’acido e che te lo sei rovesciato addosso per sbaglio.” Spiegò lo scienziato alzando infine lo sguardo verso di lui e scrutandolo con sospetto.
“Ricordi qualcosa?” Chiese infine piegandosi e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
“Perché io non ricordo assolutamente niente di quello che è successo l’altra settimana.”
“Altra settimana?!” Gracchiò allarmato Bankotsu guardandosi intorno nervosamente alla ricerca di un calendario, un cellulare o un qualunque cazzo di oggetto che gli dicesse la data di oggi.
“Sì. I medici ti hanno tenuto addormentato per quattro giorni...” confessò Jakotsu sentendo già le lacrime pizzicargli gli occhi.
“… e temo che sia stata tutta colpa mia.” Confessò infine affondando il viso fra le mani e piangendo sommessamente.
A Bankotsu si strinse il cuore nel vederlo così distrutto e sconvolto.
“Io non ricordo niente! Non so perché, ma ho completamente cancellato gli avvenimenti della scorsa settimana!” Uggiolò fra un singhiozzo e l’altro.
“Non preoccuparti, sono convinto che non è stata colpa tua…” tentò di consolarlo Bankotsu, allungando una mano per carezzargli i capelli spettinati.
Ma avrebbe accettato quel contatto?
Lo avrebbe respinto?
Esitò qualche secondo con la mano a mezz’aria ed infine la riapoggiò sul materasso.
“Come puoi esserne certo?! Ricordi qualcosa?”
“Onestamente no…” preferì mentire. Forse da egoista, ma preferì non ricordare a Jakotsu quei giorni di pene d’amore.
Se aveva dimenticato colui per cui aveva una cotta, perché ricordargli il dolore di quel rifiuto che lo aveva spinto quasi a suicidarsi?
Deglutì nervosamente, Bankotsu, ingoiando il peso di sapere qualcosa di scomodo.
Sì, era stata in parte colpa di Jakotsu se lui era in ospedale, ma non sarebbe mai riuscito a confessaglielo.
“Ma so che sei una bella persona e non faresti mai niente di simile.” Aggiunse infine, sorridendogli sereno.
Se solo avesse avuto il coraggio per confessargli i suoi sentimenti…
Jakotsu ricambiò debolmente quel gesto con il cuore e l’animo un po’ più leggeri.
“Oh! Perdonami, quasi mi stavo dimenticando!” Trillò infine lo scienziato iniziando a rufolare nel suo borsone.
“Cosa?” Chiese Bankotsu curioso cercando di sporgersi in avanti per sbirciare.
Jakotsu estrasse infine un foglio a righe spiegazzato. Sembrava una pagina strappata da un quaderno.
Teneva lo sguardo basso, lo scienziato, e le sue guance si tinsero di porpora non appena allungò la mano verso il collega.
“Questa è per te.” Confessò infine con un sospiro, come se avesse appena compiuto un passo estremamente pericoloso.
“Che cos’è?” Chiese Bankotsu accettando quel foglio spiegazzato e rigirandoselo fra le mani incuriosito.
“Una mia lettera. L’ho trovata fra gli appunti del lavoro anche se non ricordavo di averla scritta.”
“E come fai a sapere che è per me?”
Jakotsu, se possibile, arrossì ancora di più incassando la testa nelle spalle.
“Lo so e basta, diciamo così…”. Farfugliò frettolosamente in risposta prima di afferrare i suoi effetti personali ed alzarsi.
Bankotsu lo seguì con lo sguardo iniziando a preoccuparsi che quella breve visita fosse già terminata.
“A-aspetta!” Gracchiò agitato.
Non voleva che andasse via. Non ancora per lo meno!
“Dimmi. Hai bisogno di qualcosa? Senti dolore da qualche parte? Faccio venire subito un’infermiera se vuoi!”
“N-no… è solo che… a-ancora non mi hai detto perché sei qui!” Raffazzonò la prima cosa che gli venne in mente, ma un secondo dopo se ne pentì subito.
E se avesse risposto “perché siamo amici”?
Il sul cuore avrebbe retto un’altra friendzone?
Jakotsu sorrise ancora, stavolta un’espressione gioiosa e serena gli distese i lineamenti del viso.
“Capirai non appena leggerai la lettera, ma non voglio essere qui quando accadrà.” Confessò infine avvicinandosi alla porta ed afferrando la maniglia.
“Perché?” Chiese ancora Bankotsu, ormai rassegnato al fatto che quella visita si sarebbe conclusa a breve, ma determinato a farla durare più a lungo.
“Capirai.” E con un altro sorriso enigmatico e sereno, Jakotsu uscì dalla sua stanza d’ospedale lasciandolo solo.
 
 
 
Pochi minuti dopo, un’infermiera giunse a controllarlo, raccomandandogli riposo assoluto.
Lo aggiornò sulle sue condizioni fisiche facendolo rabbrividire.
L’acido gli aveva corroso l’addome ed i fumi che aveva respirato lo avevano intossicato facendogli perdere i sensi all’istante.
Aveva subito un’operazione d’innesto cutaneo quasi subito dopo essere stato portato in ospedale e, a causa dell’intossicazione, i medici lo avevano bombardato con forti medicinali che lo avevano fatto sprofondare in un sonno lungo quattro giorni.
“Se vuole maggiori informazioni posso chiamarle il medico. Adesso è in sala operatoria, ma appena sarà libero lo manderò da lei.” Offrì la donna sorridendole cordiale e Bankotsu annuì distrattamente.
“Il suo fidanzato non le ha riferito niente?” Chiese lei stupita.
Bankotsu aggrottò le sopracciglia confuso da quella domanda.
Fidanzato?
Quale fidanzato?
“Il ragazzo che viene qui tutti i giorni… non è il suo compagno?”
“No, sono single… aspetti, ma chi viene tutti i giorni?” Chiese lui curioso di scoprire di più.
Il suo cuore iniziò a palpitare nel petto colmo di aspettative.
“Il ragazzo con i capelli lunghi… cielo, non ricordo il nome preciso, ma era molto simile al suo.”
Non era possibile.
Che stava accadendo?
Che fosse lui?
“Jakotsu?” Chiese in un sussurro trattenendo il respiro.
“Sì!” Gioì la donna sorridendo entusiasta.
“Se non è il suo ragazzo, allora deve essere davvero molto affezionato a lei.” Aggiunse infine incamminandosi verso l’uscita.
“Perché? Cosa glielo fa pensare?” Chiese ancora, sempre più curioso di scoprire la verità, mentre il suo cuore continuava a palpitare impazzito.
“È stato qui per tre giorni di fila senza mai staccarsi dal suo capezzale. Sono riuscita soltanto stamattina a convincerlo ad andare a casa a riposare, ma dopo un paio d’ore era di nuovo qui.” Spiegò la donna semplicemente, prima di congedarsi con un sorriso e lasciarlo avvolto da mille pensieri e dubbi.
Perché stava al suo capezzale?
Quella stanchezza che gli deturpava il viso era perché non aveva mai dormito per colpa sua?
Che fosse per il solo senso di colpa?
Che lo stesse facendo perché erano amici?
Un nodo alla gola gli impedì di respirare regolarmente.
Voltò il capo verso il comodino dove spiccava quel pezzo di carta tutto spiegazzato.
Si accomodò meglio fra i cuscini grugnendo per il fastidio delle bende nuove e pulite che gli fasciavano il torace.
Allungò la mano e prese la lettera di Jakotsu, rigirandosela fra le mani indeciso.
Leggere o non leggere?
Cosa avrebbe trovato al suo interno?
L’elegante grafia di Jakotsu gli avrebbe annunciato l’ennesima relegazione alla zona di amico?
Scosse la testa scacciando quei pensieri.
Prese coraggio, l’aprì e lesse.
 
Non c’è momento in cui il mio pensiero non voli a te. Non c’è battito del mio cuore che non ti sia dedicato.
 
Poche righe interrompevano il bianco della pagina. Poche parole scritte frettolosamente, sbavate in alcuni punti da lacrime amare e la carta corrosa ed ingiallite dove qualche goccia d’acido era caduta.
Quella era la lettera che Jakotsu aveva scritto prima di tentare di suicidarsi.
Alzò gli occhi al soffitto e trattenne quelle lacrime che gli punsero gli occhi nell’istante in cui una scomoda e dolorosa consapevolezza si fece largo nella sua mente.
Quelle parole non erano per lui.
Non sapeva perché Jakotsu avesse pensato di averle scritte per lui, ma si sbagliava.
Loro erano amici. Li aveva definiti lui in quel modo.
Accartocciò la lettera e la scaraventò lontano insieme al suo cuore che – ne era certo – aveva smesso di battere.
 
 
 
 
 
 
Jakotsu esitava già da dieci minuti davanti alla porta della camera di Bankotsu.
Le infermiere già lo squadravano infastidite e con sospetto per quello strano comportamento.
Entrare o non entrare?
Aveva letto la lettera?
Cosa gli avrebbe risposto?
Sarebbe stato ricambiato o lo avrebbe rifiutato a male parole?
Si passò nervosamente una mano fra i capelli umidi e spettinati.
A casa era riuscito soltanto a farsi una doccia veloce, poi l’ansia e la preoccupazione che le condizioni di Bankotsu fossero peggiorate mentre lui era lì, avevano preso velocemente possesso del suo cuore.
Si era vestito alla rinfusa, acciuffando i primi indumenti che aveva trovato nell’armadio. Aveva legato i capelli gocciolanti con uno chignon raffazzonato ed era uscito di casa.
Ormai erano giorni che non mangiava e non dormiva, struggendosi per le condizioni del suo innamorato.
Orami erano anni che sbavava letteralmente dietro al bel tenebroso Bankotsu, ma non era mai riuscito a scambiarci più di un saluto distratto.
Bankotsu era così, solitario ed inarrivabile, un vero e proprio scapolo ambito da tutte.
Con uno stuolo di donzelle pronte a spalancargli le porte del paradiso, figurarsi se avesse mai calcolato lui: un pazzoide appassionato di biochimica che trascorreva buona parte del suo tempo ad ammazzare microrganismi.
Praticamente non aveva speranza.
Così aveva rinunciato all’idea di confessargli i suoi sentimenti, accantonando quel sogno d’amore in un cassetto e gettando via la chiave.
Quando i dirigenti lo avevano chiamato qualche giorno prima per chiedergli le dinamiche dell’incidente, Jakotsu era sbiancato all’istante e il terrore di aver ferito mortalmente Bankotsu si era fatto strada velocemente nel suo cuore.
Non ricordava assolutamente niente della scorsa settimana o dell’incidente e quasi era rimasto sconvolto quando gli avevano fatto sentire la registrazione della sua chiamata al centralino dell’ospedale.
Temendo che si trattasse di un caso di violenza, l’azienda aveva contattato velocemente le forze dell’ordine e si era presto ritrovato a piangere davanti ad uno psicologo senza ricordare niente.
Il responso finale fu “amnesia post traumatica”. L’incidente lo aveva sconvolto a tal punto da fargli dimenticare ogni cosa.
E appena venne rilasciato, si fiondò subito in ospedale al capezzale di Bankotsu deciso a non abbandonarlo per nulla al mondo.
Adesso, agitato come non mai, afferrare la maniglia ed entrare gli sembrava un gesto autolesionistico.
Con il timore di perderlo, aveva deciso di confessargli i suoi sentimenti con quella lettera trovata per caso fra le sue scartoffie del lavoro.
Ma era stata una buona idea?
Sospirò stancamente poggiando la fronte contro l’infisso freddo di metallo.
Prese aria dalla bocca, raccolse qualche briciola di coraggio ed aprì la porta.
Non osò alzare lo sguardo dal pavimento e quando i suoi occhi riconobbero accartocciata a terra la sua lettera, un pesante macigno gli si materializzò sul petto.
Bankotsu non voleva saperne di lui.
Bankotsu non voleva saperne dei suoi sentimenti.
“Dobbiamo parlare.” La voce tenebrosa del collega gli arrivò cupa alle orecchie e Jakotsu rabbrividì all’istante.
“Non credo… penso che averla scaraventata a terra sia una risposta più che eloquente.” Rispose sorridendo amaramente, mentre già le lacrime spingevano per fuoriuscirgli dagli occhi.
“Jakotsu, siediti. Non hai capi-...”
“No. Ho capito benissimo.” Rispose lo scienziato interrompendolo bruscamente.
Non aveva assolutamente voglia di ascoltare anche un rifiuto a parole.
Bankotsu aveva scaraventato i suoi sentimenti a terra, ma Jakotsu non aveva intenzione di farglieli anche calpestare.
“Stai fraintendendo.” Sospirò stancamente Bankotsu issandosi seduto sul letto con qualche difficoltà.
“E come potrei fraintendere un gesto così eloquente?!” Chiese retoricamente alzando la voce irritato.
Poteva essere rifiutato, certo, ma anche preso in giro in quel modo no, proprio non lo accettava.
Bankotsu ingoiò quel peso che gli premeva sul petto.
“Hai sbagliato destinatario, quella lettera non è per me.” Spiegò con una smorfia di rabbia a deturpargli il viso.
Dopo anni di amore a senso unico, era così che il destino lo ripagava? Con la crudele ironia di una lettera a tormentargli il cuore illudendolo?
Jakotsu alzò lo sguardo su di lui, squadrandolo con derisione dopo aver udito tali parole.
“So benissimo di chi sono innamorato.” Rispose tagliente alzando il mento fiero.
“Evidentemente no! Non so chi sia quello che ti ha rifiutato, ma quella lettera è per lui, non per me!”
“Ma che vai farneticando?”
“L’altro giorno mi hai parlato di un brusco rifiuto che ti ha sconvolto completamente! La lettera è per forza per questo tizio!”
“Cosa?! È impossibile, io non-…”
“Certo che lo è, sei tu che non te lo ricordi!” Lo interruppe bruscamente alzando la voce spazientito.
Era bene mettere tutte le carte in tavola o non sarebbero mai usciti da quel ginepraio.
“Non è possibile, non esiste nessun altro che mi interessi che non sia tu!”
“Come puoi esserne sicuro? Come puoi sapere che non sia per lui?”
“Perché è per te, brutto idiota!” Sbottò infine Jakotsu, alzando le braccia al cielo esasperato.
“Ti amo da anni, sono innamorato di te dalla prima volta che ti ho visto e tu nemmeno vuoi credermi?!” Gridò irato, ansimando con la bocca per riprendere fiato.
Finalmente trovava il coraggio fi dichiararsi e Bankotsu osava non credere alle sue parole?!
“Non so chi sia questo tizio di cui parli, ma posso garantirti che non esiste e non è mai esistito perché è te che voglio, dannazione!”
Bankotsu ammutolì. Non aveva mai sentito Jakotsu imprecare.
Pallido come un lenzuolo, sbatté le palpebre incredulo dopo aver udito quelle parole.
Sgranò gli occhi osservando il suo interlocutore e trovandolo irrimediabilmente serio. Le sopracciglia arcuate e una smorfia alla bocca denotavano un certo fastidio, mentre quegli occhioni lucidi gridavano a gran voce quanto fosse rimasto ferito dalle sue parole.
Quindi era vero?
La lettera era per lui?
Era innamorato davvero come diceva con così tanta fermezza e convinzione?
“Oh…” fu l’unica cosa che riuscì a dire Bankotsu, troppo scosso ed emozionato per crederci davvero.
“Non dirmi che sei rimasto senza parole?!” Lo derise Jakotsu, passandosi una mano fra i capelli a scacciare quelle ciocche ribelli che gli ricadevano sul viso.
“In realtà… lo sono davvero.” Confessò sincero, accennando un sorriso debole mentre mille e più domande gli tormentavano la mente.
Ma dunque quelle lacrime e quel rifiuto, erano una balla?
Quell’amore non ricambiato era un modo per attaccare bottone con lui?
Se lo era sognato?
“… S-spero in senso buono.” Azzardò Jakotsu osando avvicinarsi di un passo al letto del collega.
Bankotsu scrutò il suo interlocutore con dolcezza, trovando tenerissimo il modo con cui Jakotsu si avvicinava titubante, tergiversando, prendendo tempo e facendo oscillare il peso da una gamba all’altra nervosamente.
In fondo, non era importante sapere se fosse stato lui o meno il destinatario. Quello che importava era Jakotsu, davanti a lui, che gli confessava sincero i suoi sentimenti con il cuore in mano.
“Solo in senso buono.” Rispose infine con un sorriso sereno ad adornargli le labbra.
Ma… stava accadendo davvero?
Un giorno era stato friendzonato e quello dopo si stavano dichiarando?
Jakotsu tirò un sospiro di sollievo ed osò avvicinarsi ancora, arrivando a lambire il fondo del letto di Bankotsu con le proprie dita della mano.
Il cuore stava letteralmente per esplodergli nel petto e quel sorriso meraviglioso sulle labbra del collega non faceva che stregarlo incentivandolo ad avvicinarsi ancora.
Ancora.
Sempre più vicino.
Ed erano così belle… così perfette, anche mentre si muovevano pronunciando parole.
Parole che sembravano importanti.
Parole che Jakotsu avrebbe fatto meglio ad ascoltare.
“Anche io sono innamorato di te da diverso tempo”
Il cuore gli si fermò all’istante.
 
Sono innamorato di te
 
Il respiro si fece flebile e incostante.
 
Sono innamorato di te
 
Le lacrime gli uscirono dagli occhi ancor prima che potesse accorgersene.
Portò le mani al viso, coprendosi ed asciugandosi le guance umide. Non gli sembrava vero.
Che fosse un sogno?
Allora avrebbe preferito dormire e restare in quell’illusione per sempre.
Bankotsu rise divertito della sua reazione esagerata e, con la mano, gli fece gesto di avvicinarsi maggiormente a lui.
Le gambe di Jakotsu neppure attesero il consenso del loro proprietario.
In men che non si dica, si era ritrovato accanto a lui, in piedi, con le mani tremolanti fra quelle bronzee del collega.
E sperava soltanto che il suo cuore reggesse e non gli procurasse un infarto per quanto batteva impazzito.
 
“Jakotsu, ti amo da anni ormai e non riesco più a tenere per me questi sentimenti.”
Lacrime, lacrime ed ancora lacrime gli rigarono il volto, ma le dita di Bankotsu le raccolsero tutte con una tenera carezza.
“Vorresti uscire con me appena esco da questo ospedale?”
“Sì, certo…” rispose singhiozzando, Jakotsu, mentre presto una risata di isterica gioia non gli distese le labbra.
Senza pensarci due volte, si lanciò addosso a Bankotsu abbracciandolo forte e solo quando quest’ultimo gemette dolorante, si ricordò delle bende e delle ferite ancora fresche.
“Cielo! Scusa! Scusa! Scusa!” Pigolò disperato separandosi immediatamente.
“Tranquillo, non mi hai fatto così male…” mentì.
“Non importa, non dovevo fartene proprio!”
“Va bene così…” sussurrò Bankotsu prendendo nuovamente le mani di Jakotsu fra le sue e carezzandogli le nocche screpolate dal freddo.
Alzò lo sguardo sul viso dello scienziato, cercando nei suoi occhi il consenso che già sapeva di avere.
“Sto bene ora…” bisbigliò piano, avvicinandosi alle sue labbra per unirle in quel dolce bacio tanto desiderato da entrambi.
  
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