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Autore: comet91    20/02/2018    20 recensioni
Strawberry Momomiya frequenta l'ultimo anno di liceo e la sua vita scolastica non è delle migliori. Non capisce nulla di fisica e detesta profondamente la sua professoressa. Ma se arrivasse un nuovo professore? Magari biondo e dagli occhi di ghiaccio? E se questo professore le complicasse la vita ancora più del previsto? L'amore non è tutto rose e fiori e la nostra Strawberry lo scoprirà presto, aiutata dalla migliore amica Lory e da un pasticcere sempre pronto a consigliarla. Una commedia scolastica incentrata sulla coppia Strawberry x Ryan :)
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Keiichiro Akasaka/Kyle, Retasu Midorikawa/Lory, Ryo Shirogane/Ryan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 27 – Preparativi




Strawberry corrugò la fronte, perplessa. Esaminò per qualche secondo il foglio da disegno che Katherine le aveva lasciato sul tavolo poco prima di scomparire in cucina. Lo prese in mano e lo sollevò controluce, tirando indietro il capo per poterlo osservare meglio.
No, qualcosa non le quadrava.
Quando aveva proposto alla mamma di Ryan di aiutarla ad organizzare la festa per il compleanno del figlio, si era lasciata prendere dall’entusiasmo, e Katherine più di lei. Ora, però, la piantina del locale con la disposizione dei tavoli e le decorazioni che la donna aveva realizzato le ricordava tanto la sala per il ricevimento di un matrimonio.
Certo, lei non aveva nulla in contrario con i palloncini. Non era sicura, però, che Ryan sarebbe stato della stessa idea.
Saltò giù dalla sedia un po’ troppo alta su cui si era accomodata e raggiunse la cucina. Sorrise, notando che Kyle non riusciva a stare lontano da zucchero e glassa nemmeno nel giorno di chiusura della pasticceria.
“Cosa prepari?” gli domandò.
“Oh, Strawberry. Stavo per venirti a chiamare. State lavorando da ore ai preparativi, non vi va una piccola pausa?” rispose, mostrandole i cupcakes che aveva appena decorato.
Il solito, fantastico Kyle.
Si sedettero tutti e tre ad un tavolo. Avevano passato l’intera domenica mattina a discutere sul da farsi e Strawberry poteva ritenersi soddisfatta di come stavano andando le cose. Più o meno.
Addentò il suo cupcake, gustandosi il dolce sapore della crema di lamponi più buona che avesse mai assaggiato, poi si rivolse a Katherine.
“Kat, a proposito della festa…”
“Dimmi, dear”
Mise il foglio al centro del tavolo, rivolto verso gli altri due. “Non ti sembra tutto un po’… eccessivo? Voglio dire, credi che Ryan apprezzerà tutti questi palloncini?”
Chissà perché, Katherine non le sembrava affatto il tipo di persona che potesse accettare tranquillamente le critiche. Si aspettava una delle solite reazioni plateali a cui la donna l’aveva abituata fin dai loro primi incontri e che sembravano essere il motivo per cui Ryan tendeva sempre a mantenere una certa distanza dalla madre. Oltre che la sua proverbiale invadenza, seppur in buona fede. Invece, si limitò ad assumere un’espressione interrogativa.
“But it’s a party. I palloncini sono d’obbligo!” disse con tranquillità.
Strawberry stava per ribattere, ma Katherine liquidò la questione con un gesto della mano. “Don’t worry, dear!”
Sorrise, alzando gli occhi al cielo. “Va bene, d’accordo. Ma che mi dici della torta?”
“Cos’ha che non va?”
“Kat, è una torta a tre piani!” esclamò la rossa, incredula.
“Oh, that’s only a joke” La mamma di Ryan affinò lo sguardo, sorridendo furba. “For you”
“Ma che…?”
Kyle si lasciò sfuggire un colpo di tosse tutt’altro che involontario, attirando l’attenzione delle altre due. “Qualcuno vuole un altro po’ di tè?” chiese, scoccando un’occhiataccia a Katherine.
Ovviamente, le raccomandazioni che le aveva fatto erano state inutili. Non che si aspettasse il contrario, certo, ma per un attimo ci aveva sperato.
“No, thank you. By the way, io e Strawberry abbiamo un impegno”
Il pasticcere spostò lo sguardo dall’una all’altra, con espressione interrogativa. “Cos’hai in mente, Kat?”
“Ah no, honey. It’s a secret!”


Quando Katherine aveva parlato di impegno, Strawberry non aveva pensato che sarebbe stato effettivamente così impegnativo.
Posò le mani sul vetro trasparente davanti a sé, scrutando gli articoli in esposizione. Li osservò uno per uno, scandagliandoli con attenzione, in cerca di quel particolare che fosse in grado di colpirla, infine sospirò.
Tra i negozi dell’enorme quartiere commerciale di Tokyo si poteva trovare davvero di tutto. Di tutto, tranne un regalo adatto a Ryan evidentemente.
Certo, il suo ragazzo e insegnante non era affatto un tipo facile e, a dirla tutta, le cose che considerava apprezzabili e degne di nota si potevano contare sulla punta delle dita. Insomma, non poteva certo regalargli un libro sulla genetica molecolare.
Il massimo del romanticismo, Straw.
Sbatté la fronte contro la vetrina, sperando che la botta le facesse venire una qualche idea.
“What are you doing, dear?”
Strawberry spostò lo sguardo e mise a fuoco il viso sorridente di Katherine.
“Aspetto un’illuminazione” borbottò, senza staccarsi dal vetro.
La donna rise, scuotendo il capo. “You’re always so funny. Anyway, non hai trovato proprio niente?”
“No. Tu invece hai fatto acquisti” notò.
“Oh, yes. Non sono riuscita a trattenermi”
Katherine teneva tra le mani diversi sacchetti provenienti da negozi che sicuramente erano fuori dalla portata di una qualunque liceale e non solo.
Giusto.
La famiglia di Ryan era molto ricca, come il biondino aveva tenuto a precisare alla loro prima lezione. Nonostante questo, l’americano non aveva mai ostentato particolarmente la propria posizione sociale ed economica; non che fosse necessario, la sua auto sportiva e la villa in cui viveva da solo erano di per sé già abbastanza esplicative. Bé, se quello era il genere di cose a cui Ryan era abituato, sarebbe stato molto più difficile del previsto accontentarlo.
D’altronde, lo shopping non era mai stato il suo forte.
Quando si trattava di fare acquisti, Strawberry era dell’idea che esistessero due tipologie di persone: quelle che, come Katherine, pur non avendo la più pallida idea di cosa volessero, chissà come, riuscivano sempre ad uscirne con decine di sacchetti tra le mani e un’espressione soddisfatta in volto, e quelle come lei, che giravano all’infinito, uscendo e rientrando sempre negli stessi negozi, nella vana speranza che dal cielo piovesse improvvisamente una qualche idea. Possibilmente geniale.
Senza troppi convenevoli, Katherine la sottrasse ai propri pensieri afferrandola per un braccio. “Come on, I have an idea”.
“Sarebbe questa la tua idea?” commentò poco dopo Strawberry, seduta ad un tavolino del bar all’interno del centro commerciale in cui la madre di Ryan l’aveva trascinata, mentre quest’ultima le porgeva un bicchiere di succo d’arancia.
“Exactly”
“Ma, Kat…”
“No, no, no. Niente ma!” la zittì Katherine. “Fai un bel respiro, bevi il tuo succo and relax”
La rossa sospirò. Di questo passo, non avrebbe mai trovato un regalo decente. Rassegnata, portò il bicchiere alla bocca e bevve un sorso, storcendo il naso per quel sapore aspro a cui non era abituata.
Katherine le sorrise e rimase ad osservarla in silenzio per qualche secondo.
Apprezzava il fatto che Strawberry si fosse avvicinata a suo figlio, anche se quei due testoni si ostinavano a negare l’evidente attrazione che li spingeva l’uno verso l’altra. Come se fosse necessario, poi. Era chiaro come il sole che ormai a legarli fosse tutt’altro che un banale rapporto insegnante-allieva, e ancor meno un’amicizia.
Sbuffò. Inutile rimuginarci su, avrebbe aspettato pazientemente finché non si fossero sentiti pronti ad ammettere la realtà dei fatti. Bè, più o meno pazientemente.
“Ti preoccupi troppo, dear”
Strawberry la guardò da sopra il bicchiere. “Non sono preoccupata. E’ solo che fare regali è complicato e io non sono brava in queste cose”
Katherine portò una mano sotto il mento e le mostrò un sorriso saccente che a Strawberry ricordò tanto il modo di fare del figlio.
“Quindi sei preoccupata” riconfermò.
Vide Strawberry lasciarsi scivolare con la fronte appoggiata al tavolino, in imbarazzo, e non riuscì a trattenere una risata. Quella ragazza le faceva una gran tenerezza.
“Non c’è bisogno di farsi tante paranoie” le disse, sventolando la mano su e giù in un gesto di noncuranza. “Può sembrare banale, ma quello che conta è il pensiero”
Strawberry la guardò poco convinta. “Nel caso di Ryan non ne sono tanto sicura… Non mi sembra proprio il tipo di persona che accetta con un sorriso un regalo che non gli piace”
L’americana rise, ripensando a tutte le volte che si era trovata in quella situazione nel corso degli anni. “Oh no, non lo è affatto” commentò divertita. “Lo conosci piuttosto bene.”
Immediatamente, le guance di Strawberry si tinsero di rosso.
“Però trascuri un piccolo particolare, Strawberry. Le reazioni di mio figlio sono sempre molto calibrate sulla base della persona che ha di fronte. Ryan è un tipo razionale, raramente si lascia guidare dall’istinto e, se lo fa, non si lascia mai andare del tutto. Se capita, significa che tiene davvero molto alla posta in gioco.”
La frecciatina che le era appena giunta sotto le mentite spoglie di un consiglio amorevole – o forse era lei ad essere un po’ paranoica? - la fece arrossire ancor più. Dopotutto era convinta già da un po’ che, nonostante all’apparenza potesse sembrare ingenua e spensierata, Katherine in realtà avesse capito tutto da un bel pezzo.
Un’altra volta, il pensiero di come avrebbe reagito una volta saputo che lei e Ryan erano diventati a tutti gli effetti una coppia la fece rabbrividire. Non sapeva bene cosa aspettarsi, e il fatto che il suo insegnante avesse optato per mantenere temporaneamente il silenzio era, in un certo senso, rincuorante.
“Vado a prendere un altro orange juice” le disse Katherine, alzandosi di scatto. “Dopodiché, ci rimettiamo alla ricerca del regalo, e stai certa che troveremo qualcosa che sia adatto at my beloved son!”
Strawberry sorrise e scosse il capo mentre la guardava allontanarsi canticchiando in direzione del bancone. Se non altro, era quasi riuscita a farle recuperare un po’ dell’entusiasmo che aveva perso nelle ore precedenti.
Si appoggiò allo schienale della sedia, facendo scorrere lo sguardo sulla moltitudine di persone che affollavano i grandi magazzini la domenica pomeriggio, e le venne da ridere pensando che Ryan avrebbe avuto sicuramente da ridire su un modo così frivolo di trascorrere il proprio tempo.
Ad un certo punto, lo sguardo le cadde su un gruppetto di ragazze dall’aria familiare.
Sul momento non ci fece troppo caso, ma quando una si staccò dalle altre per dirigersi a passo spedito nella sua direzione, le bastò incrociare gli occhi dalle ciglia perfettamente ripiegate all’insù di Megumi per sentir sparire – di nuovo – ogni traccia di entusiasmo.
L’antipatia che aveva sempre provato a pelle nei confronti della compagna di classe, e che era senza dubbio ricambiata, era aumentata a dismisura da quando l’oggetto dei loro screzi era diventato un certo biondino di sua conoscenza.
“Ma guarda… cosa ci fai qui, Momomiya?”
“Secondo te cosa dovrei farci in un centro commerciale?” Era più forte di lei, non riusciva a fare l’indifferente quando le si rivolgeva con quel tono di superiorità.
“Tutta sola? Davvero triste…”
Ignorala, si disse, doveva soltanto ignorarla. In fondo era abituata alla sua cattiveria gratuita.
Megumi sbatté le palpebre un paio di volte, fingendo un’espressione innocente che Strawberry sapeva bene non appartenerle.
“Oh, ma che sciocca, ci sarà sicuramente la Midorikawa con te. E dov’è? Vorrei salutarla”
Figuriamoci.
Da quando avevano cominciato il liceo, non aveva rivolto la parola a Lory nemmeno per farsi prestare una penna.
Infatti, un attimo dopo sorrise maligna, come se non aspettasse altro che rivolgerle quelle parole: “Ops, dimenticavo. Ultimamente non sembra che andiate molto d’accordo, vero?”
Strawberry strinse i pugni, intimandosi di stare calma. Non le avrebbe mai dato la soddisfazione di vedere quanto parlare di Lory le facesse male.
“Non sono affari tuoi. E comunque non sono qui da sola” si limitò a ribattere.
“Ah no? E con chi allora?”
Stava per rispondere, indecisa se fare la persona adulta o mandarla a quel paese, e in quei due secondi di esitazione quasi non si rese conto di quello che accadde.
Un attimo prima, Katherine le stava correndo incontro con un gran sorriso e il suo succo di frutta in mano. Lo stesso succo che adesso faceva bella mostra di sé sulla camicetta completamente macchiata di Megumi. La stessa Megumi che, dopo un momento di incredulità, ora la guardava livida di rabbia.
Ma cosa c’entrava lei? No, un attimo. Chi se ne importava! Più tardi avrebbe fatto un monumento a Katherine!
L’americana, che era sbadatamente inciampata nel nulla, si riebbe immediatamente e piombò addosso a Megumi, scusandosi con enfasi.
Fin troppa, pensò Strawberry.
“Oh my god! Sono così distratta, I’m so sorry. Wait, bisogna pulire subito o resterà la macchia!”
Strawberry si mise una mano davanti alla bocca, perché davvero non sapeva come evitare di ridere davanti alla faccia più che allibita di Megumi mentre Katherine le tamponava la camicia con un tovagliolo e continuava a propinarle scuse incomprensibili, parlando in inglese ad una tale velocità che probabilmente nemmeno un americano madrelingua le sarebbe stato dietro.
Megumi le lanciò uno sguardo infuocato, poi allontanò Katherine, infastidita.
“Va tutto bene, lasci stare, lasci stare!”
“Oh, I’m a mess, I’m sorry, I…”
“Non ce n’é bisogno, la smetta!” ripeté Megumi, confusa e visibilmente irritata.
Osservò con disgusto le macchie arancioni che facevano bella mostra di sé sulla sua camicetta di chiffon, poi si rivolse nuovamente a Strawberry.
“Ci vediamo a scuola, Momomiya” le disse a denti stretti, spostandosi con stizza i lunghi capelli dietro le spalle. Dopodiché, diede loro le spalle e si allontanò imprecando.
Normalmente Strawberry si sarebbe preoccupata del suo tono minaccioso, ma in quel momento era talmente soddisfatta che sarebbe saltata in braccio a Katherine per congratularsi.
“Kat, sei stata… fantastica!”
La madre di Ryan la guardò accigliata. “A cosa ti riferisci, dear?”
“Non ho mai visto Megumi così arrabbiata. L’hai fatto apposta, vero?”
“Ti assicuro che non so di cosa parli” ribadì Katherine, incamminandosi. “Diciamo solo che non amo che qualcuno si rivolga così a quella che potrebbe essere la futura fidanzata di mio figlio”
Strawberry la raggiunse a passo svelto, con un gran sorriso stampato in volto.
“No reaction? Di solito sei molto suscettibile sull’argomento” le fece notare l’altra, curiosa.
“Sono troppo di buon umore in questo momento, non riesco ad arrabbiarmi”
Katherine rise, prendendola sotto braccio. “Ooh, I really really hope you’ll become my son’s girlfriend”
“Ehm… cosa?”
“Nothing. Vieni, entriamo qui”
Strawberry alzò distrattamente lo sguardo sull’insegna del negozio che le stava indicando.
“Un negozio di intimo? Ma cos…”
“Lascia fare a me, honey” la interruppe Katherine, strizzandole un occhio.
Chissà perché, aveva un brutto presentimento. Sperò ardentemente che Katherine non si aspettasse che avrebbe regalato a Ryan un paio di mutande!
Una commessa dai lunghi capelli neri e la pelle bianchissima diede loro il benvenuto, inclinando leggermente il capo in un breve inchino, quindi chiese loro se avessero bisogno di aiuto.
“Oh, sì” rispose Katherine, affabile.
Strawberry la guardò a bocca aperta. Stava scherzando, vero? No, perché era appena riuscita a guadagnare un sacco di punti con il tiro giocato a Megumi, non poteva rovinare tutto proprio adesso.
“State cercando qualcosa in particolare?”
“Veramente…” Katherine si avvicinò alla commessa, dicendole qualcosa a bassa voce. La ragazza lanciò un’occhiata a Strawberry, poi annuì convinta un paio di volte.
No, doveva essere per forza uno scherzo.
Scosse il capo con decisione, cercando di scacciare l’immagine imbarazzante di Ryan che le dava della maniaca mentre esaminava allibito i boxer che aveva appena scartato. Lo avrebbe preso come una specie di invito a…
Oddio, no, no, no, assolutamente no!
Quando Katherine tornò a rivolgersi a lei, la trovò più rossa che mai.
“Ti senti bene, cara?”
“Non ne sono sicura” borbottò, tra sé e sé.
“Dimmi dear… Che misura porti?”
Strawberry le rivolse un’espressione interrogativa. “Misura?"
“Yes, misura. La tua taglia. Your size”
Ok, adesso cominciava ad essere un po’ confusa. Erano lì per il regalo di Ryan, cosa c’entrava la sua misura? Misura di che poi?
Quando le cadde l’occhio sui completini intimi che facevano bella mostra di sé sui manichini in ogni angolo del negozio, allora capì il riferimento di Katherine e non poté evitare di avvampare.
“Ma-ma-ma… Katherine!” esclamò, indignata.
Non aveva mai avuto un rapporto particolarmente positivo con il suo corpo. Non che mancasse di autostima o cose simili. Più semplicemente, pensare alle proprie forme le creava sempre un certo imbarazzo.
“Via, non essere timida” la incoraggiò la madre di Ryan.
“Non è questione di essere timida!”
Katherine ignorò le sue proteste e si sporse nuovamente verso la commessa per sussurrarle qualcosa che Strawberry non riuscì a cogliere. Colse però perfettamente e con un certo disagio lo sguardo inquisitorio della ragazza che percorreva il suo corpo, soffermandosi più del dovuto sul petto.
“Penso che una terza misura possa andar bene” si pronunciò infine. “Me ne occupo io. Intanto la accompagni pure al camerino.”
“Che cosa? Ma… aspettate un attimo!”
Di nuovo Katherine non le prestò ascolto e la spinse verso il camerino, canticchiando allegramente.
“Ma insomma!”
“Sbaglio o avevi detto che eri troppo contenta per arrabbiarti?”
“Ho cambiato idea!” esclamò Strawberry, mettendo la testa fuori dal camerino. “Si può sapere cos’hai in mente?”
“Ti tiro fuori dai pasticci, dear”
Oh, fantastico. Era proprio questo che la preoccupava.
“Non fare quella faccia, ho appena trovato il regalo perfetto for my son!”
“E sarebbe?”
Chissà perché, il sorriso enigmatico che Katherine le stava rivolgendo non la rassicurava per niente.
E capì che il suo intuito non si sbagliava quando la madre di Ryan aprì un poco la tenda e le mise in mano qualcosa, facendole l’occhiolino.
Strawberry sbatté le palpebre un paio di volte, poi avvampò automaticamente.
“Ma… Katherine!!!”


Quando più tardi si trovò fuori dalla casa del suo insegnante, Strawberry era esausta. Quella mattinata con Katherine l’aveva davvero provata, senza contare la trovata del regalo che, al solo pensarci, la faceva avvampare fino alle orecchie.
Era talmente immersa nei suoi pensieri che quasi non si accorse di essere arrivata alla porta d’ingresso.
“Buongiorno” la salutò Ryan.
Strawberry alzò la testa e sobbalzò, sorpresa di trovarselo a così poca distanza.
“Stai bene?” chiese lui con tono divertito.
“Ciao. Si, sto… sto bene.” Più o meno.
Doveva assolutamente smettere di pensare alle allusioni di Katherine o sarebbe impazzita. Ma insomma, come le era venuta un’idea del genere? Lei e Ryan non erano ancora a quel punto.
La sua voce la riportò alla realtà. “Allora? Pensi di entrare?”
“S-sì”
Scosse il capo per scrollarsi di dosso quei pensieri ed entrò, passandogli davanti. Si fermò in salotto e, quando Ryan la raggiunse, sussultò. Per la prima volta da quando avevano stabilito di incontrarsi per le ripetizioni di inglese che lui le aveva promesso, Strawberry realizzò che in quella casa sarebbero stati da soli e si scoprì terribilmente nervosa. Era già capitato che si trovasse da sola a casa di Ryan, ma prima che succedesse tutto quello che era successo tra loro. Adesso era la ragazza di Ryan – per quanto ancora le facesse effetto pensarsi così – e questo rendeva la situazione completamente diversa, facendo affiorare pensieri che non erano esattamente in linea con il motivo per cui si trovava lì.
No, io e Ryan non siamo ancora a quel punto, si ripeté cercando di suonare convinta.
D’un tratto si accorse che la stava fissando in modo strano.
“C-che c’è?” domandò, arrossendo.
Il biondo inarcò un sopracciglio. “Sei strana. Sicura di star bene?”
“Sicurissima!”
“D’accordo” rispose, poco convinto.
Ryan era sempre fin troppo bravo a leggere i suoi comportamenti e giusto qualche giorno prima avevano concordato di essere sinceri l’uno con l’altra, ma non poteva certo dirgli da cosa nasceva il suo nervosismo. Sarebbe stato imbarazzante e soprattutto non voleva apparire per l’ennesima volta come una bambina agli occhi di Ryan.
Si accomodarono al grande tavolo del salotto e Strawberry preparò il libro di inglese, intenzionata a non farsi distrarre da certe questioni.
Era lì per studiare, punto e basta. E se solo Ryan avesse smesso di fissarla con quei suoi maledetti occhi del colore del cielo sarebbe stato molto più semplice convincersene.
Finalmente il suo insegnante abbassò lo sguardo sul libro che Strawberry aveva portato e allora lei si concesse di lanciargli un’occhiata furtiva. Indossava una maglietta bianca a maniche corte e un paio di pantaloni della tuta grigi. I ciuffi biondi gli ricadevano spettinati sulla fronte, come al solito. Doveva aver appena fatto la doccia, perché riusciva a sentire l’odore piacevole del bagnoschiuma.
Si accorse che Ryan era tornato a guardarla ed arrossì.
“Ehm… come mai hai voluto che ci incontrassimo qui e non al locale?” domandò per uscire dal momento di imbarazzo.
“Qui staremo più tranquilli” replicò lui, semplicemente.
“Oh… Certo.”
Ryan dovette accorgersi del suo tono incerto e ovviamente non si risparmiò di provocarla.
“Non farti strane idee, Momomiya”
Strawberry avvampò. “N-Non mi sono fatta nessuna idea!”
Certo, come no. Si stava solo tormentando dal momento in cui aveva messo piede in casa.
“Se lo dici tu…” commentò Ryan, con un sorriso sornione.
“E’ così” confermò.
“Bene”
La rossa distolse lo sguardo, incrociando le braccia al petto.
“Pensi davvero che al locale mia madre e Kyle ci avrebbero lasciato in pace?”
“Perché non avrebbero dovu…” iniziò a dire, poi si bloccò ripensando alla mattina che aveva passato. “Ok, no. Hai ragione. Katherine non ci avrebbe dato tregua. Sarebbe stata capace di spiare tutto il tempo dal buco della serratura!”
Ryan rise. “Appunto. Vedo che inizi a capire come è fatta mia madre.”
“Ti infastidisce così tanto?” gli chiese.
“Relativamente. A te no?”
Strawberry ci pensò un attimo. Avrebbe voluto dire molte cose dopo lo scherzetto che le aveva giocato con la storia del regalo, ma si morse la lingua.
“E’ solo un po’ strana” disse infine.
“O matta. Punti di vista” replicò Ryan, facendola ridere.
“Sei davvero un figlio ingrato” scherzò.
“Almeno io non mi faccio strane idee”
Strawberry sbatté le palpebre un paio di volte, perché come sempre Ryan saltava avanti e indietro nel discorso e lei faceva fatica a stargli dietro, poi realizzò il riferimento.
“Ti ho detto che non mi sono fatta nessuna idea!” esclamò, arrossendo nuovamente.
“Fingerò di crederti”
Strawberry lo guardò di traverso. Era il solito insopportabile.
“Uffa, avevi promesso di aiutarmi, invece ti stai solo divertendo alle mie spalle” sbuffò, lasciandosi scivolare con una guancia sul tavolo.
Ryan la guardò fintamente serio. “Dubiti delle mie intenzioni?"
“Non dovrei?”
“Momomiya, non si risponde a una domanda con un’altra domanda”
Strawberry alzò gli occhi al cielo. “Antipatico”, lo apostrofò.
Senza preavviso, Ryan si sporse verso di lei, fermandosi a pochi centimetri dal suo viso e facendole balzare il cuore nel petto. Le prese una mano e se la portò all’altezza del viso.
“This is… your hand” disse a voce bassa, e Strawberry rabbrividì perché, come già era capitato, sentirlo parlare in inglese le faceva venire la pelle d’oca. E non certo per il freddo.
Ryan fece scendere lentamente la mano lungo tutto il braccio e risalì piano fino a sfiorarle il collo in punta di dita. “Your arm… Your neck…”
Arrivò alla guancia.
“Your cheek…”
Strawberry deglutì a fatica, fremendo mentre Ryan la sfiorava con delicatezza. Improvvisamente, le parve che in quella casa ci fossero almeno cinquanta gradi, perché non riusciva a spiegarsi diversamente l’effetto che Ryan le faceva ogni volta che si avvicinava, trovandola immancabilmente impreparata alle sensazioni che si impadronivano di lei.
“C-che stai facendo?” riuscì a mormorare.
Per tutta risposta, Ryan le prese nuovamente la mano facendola alzare in piedi.
“I’m teaching you” replicò, posandole un bacio sul dorso della mano.
Strawberry arrossì perché, anche se non era certa di aver capito quello che Ryan le aveva appena detto, capiva invece fin troppo bene quello che le stava facendo.
Si scoprì ipnotizzata dai suoi occhi, nei quali sarebbe benissimo potuta annegare mentre lui riprendeva lo stesso percorso di poco prima per arrivare fino alla bocca, tracciandone i contorni con le dita.
“Your mouth…”
Con il pollice si soffermò ad accarezzarle il labbro inferiore, e Strawberry avrebbe voluto schiudere le labbra e lasciargli un bacio ma la verità era che in quel momento non sarebbe riuscita a fare neppure un movimento. Ryan la fissava dritta negli occhi, facendole mancare completamente il respiro.
“Your lips…”
Per un attimo Strawberry pensò e desiderò ardentemente che Ryan la baciasse. Invece lui abbandonò le sue labbra e fece scivolare le dita tra i suoi capelli, giocherellando con una ciocca rossa.
“Your hair…”
Strawberry chiuse gli occhi perché era certa che se avesse continuato a sostenere lo sguardo di Ryan si sarebbe persa nell’oceano dei suoi occhi e quella sarebbe stata una strada senza ritorno. Sentì le gambe molli e temette di non riuscire a reggersi in piedi, ma lui dovette accorgersene perché la attirò a sé, premendo una mano sulla sua schiena.
“Your beck…”
Quel contatto così ravvicinato le mandò il cuore in gola, soprattutto quando Ryan prese a sfiorarle la schiena seguendo la linea della spina dorsale, lentamente.
Dopo averla percorsa interamente, per quelli che furono pochi secondi ma che a Strawberry sembrò un tempo infinito, Ryan si scostò quel tanto che bastava per poterla guardare nuovamente negli occhi e posò l’altra mano sul suo fianco.
Piano, prese ad accarezzarla sopra al tessuto della maglia, e improvvisamente Strawberry ricordò com’era andata a finire quando l’aveva accarezzata allo stesso modo quella notte al campo estivo, quando nessuno dei due era riuscito a sottrarsi alle sensazioni che stavano nascendo.
Senza smettere di fissarla, Ryan iniziò a salire lentamente con la mano lungo il suo fianco. Strawberry trattenne il respiro, totalmente preda del suo strano modo di insegnare, e fu solo quando la mano di Ryan raggiunse con lentezza esasperante il limite di ciò che era consentito, mostrando un breve attimo di esitazione, che lei riacquistò un barlume di lucidità.
“M-ma… a scuola non stiamo studiando le parti del corpo” riuscì a formulare, e si stupì che le fosse uscita una frase di senso compiuto visto lo stato mentale ed emotivo in cui si trovava.
Ryan la guardò serio per un attimo.
“Peccato”, disse infine, lasciandola andare di colpo.
Strawberry aveva le guance in fiamme.
Si appoggiò con la mano allo schienale della sedia. Da un lato si sentiva sollevata perché era riuscita a riprendere il controllo di sé prima che la situazione prendesse una piega alla quale non era affatto preparata. Dall’altro… bé, dall’altro era sempre stata attratta da Ryan e ormai aveva smesso di negarlo a se stessa, ma non di esserne terrorizzata. Soprattutto dopo le parole di Katherine.
“Bé?” le disse Ryan, col suo solito modo di fare. “Vogliamo metterci a studiare miss ho-tanta-voglia-di-imparare?”
Normalmente Strawberry avrebbe ceduto alla sua provocazione e soprattutto gli avrebbe detto che era un grande incoerente: prima le diceva di non farsi strane idee e poi la destabilizzava in quel modo! Ma quando ebbe il coraggio di alzare gli occhi per guardarlo notò un leggero rossore sulle guance del biondo che la lasciò un attimo interdetta. L’imperturbabile Ryan Shirogane era forse imbarazzato?
Ok, no. Aveva bisogno di una pausa perché vederlo in quello stato la stava mandando letteralmente in tilt.
“Senti… I-io vado un attimo al bagno prima di iniziare a studiare… posso?”
“Certo” rispose lui, senza alzare lo sguardo.
La guardò salire le scale di corsa. Quando fu scomparsa al piano di sopra, Ryan si sedette e si passò una mano tra i capelli, tormentato.
Accidenti. Dov’era finito tutto il suo autocontrollo?

Quando Strawberry tornò al piano di sotto, Ryan aveva ripreso il controllo di sé e, con esso, la sua aria di indifferenza.
Strawberry doveva essersi sciacquata il viso, ma aveva ancora le guance un po’ arrossate. Lui le fece una battuta per stemperare la tensione che si era creata poco prima, poi si misero finalmente al lavoro.
La rossa aveva già avuto prova che Ryan che fosse un ottimo insegnante e anche in questo caso non si mostrò essere da meno. Le spiegò diverse regole grammaticali che non aveva capito e cercò di aiutarla a ad aggiustare la sua pronuncia, mentre Strawberry ogni tanto si perdeva ad ascoltarlo parlare in inglese e lui fingeva di non accorgersene.
“I lived in America …. many years.”
Meny” la corresse Ryan. “E’ scritto con la a, ma si legge come e”
“L’inglese è davvero una lingua strana” commentò Strawberry, appuntandosi la pronuncia della parola.
Ryan ridacchiò. “Un po’. Allora, come completeresti questa frase?”
“For? I lived in America for many years”
“Molto bene, Strawberry. E con questa abbiamo finito”
Strawberry si stiracchiò, poi gli sorrise. “Incredibile, per la prima volta mi sembra di conoscere un po’ di inglese!”
“Non esageriamo” la prese in giro Ryan, beccandosi una linguaccia in risposta.
“Sei proprio…”
“Sto scherzando” la interruppe, alzando gli occhi al cielo divertito. “Sei stata brava.”
Le scompigliò la frangetta e Strawberry lo lasciò fare, chiudendo gli occhi e godendosi quel contatto innocente. Ryan si sorprese di come stesse accettando il suo gesto vista la situazione che si era creata un paio d’ore prima, ma non disse nulla. Si limitò a soffermarsi un pochino di più, guardandola sorridere.
Il cellulare di Strawberry squillò, ponendo fine a quel momento. Lei lo estrasse dalla borsa ed aprì la mail che era appena arrivata.
“E’ mia mamma. Vuole sapere che fine ho fatto” lo informò, ridendo. Poi diede un’occhiata all’ora indicata sul display. “In effetti è quasi ora di cena”
Ryan si alzò in piedi. “Dai andiamo. Ti accompagno a casa”
Strawberry raccolse le sue cose e lo seguì alla porta. Avrebbe potuto dirgli che poteva tranquillamente andare a casa da sola, ma in realtà aveva voglia di stare ancora un po’ con lui, così non disse niente.
Salirono in auto e Strawberry si lasciò sprofondare nel sedile in pelle mentre Ryan metteva in moto. Per la prima volta, non avvertì la necessità di riempire ad ogni costo il silenzio e si limitò a lasciarsi cullare dalla guida di Ryan, lanciandogli ogni tanto un’occhiata furtiva. I suoi occhi azzurri si vedevano chiaramente anche nel buio della sera.
“Dormi?” le chiese a un certo punto Ryan.
“No, ero solo rilassata. Sei bravo a guidare”
Il biondo rise.
“Che c’è da ridere?” domandò lei, piccata.
“Nulla, Strawberry. Mi piace il tuo modo di fare” le disse, continuando a guardare la strada davanti a sé.
Strawberry rimase un attimo in silenzio.
“Bé? Non dici niente?”
“Veramente aspettavo che dicessi che mi stavi prendendo in giro” replicò.
Ryan ridacchiò di nuovo e Strawberry lo interpretò come una conferma alla sua affermazione.
“Visto?”
“Veramente ero serio” la contraddisse, facendole spalancare gli occhi. “Non ti stavo affatto prendendo in giro”
Strawberry ringraziò il buio che avrebbe impedito a Ryan di notare il rossore sul suo viso. Abbassò lo sguardo sulla mano che teneva sul cambio dell’auto. La guardò per qualche secondo, riflettendo, poi allungò la mano a sfiorare la sua.
Ryan la lasciò fare, senza mostrare apparentemente alcuna reazione. Fortunatamente, era buio anche per lui.
Quando arrivarono a destinazione, svoltò in una vietta laterale e fermò l’auto. Spense il motore e si voltò verso Strawberry.
La rossa si morse il labbro, indecisa su come comportarsi. Doveva ringraziarlo e scendere? O forse doveva…? Le cadde lo sguardo sulle labbra di Ryan e lo distolse subito imbarazzata.
Ryan trattenne un sorriso nel vederla così combattuta, immaginandone senza fatica il motivo. Decise però di lasciarla libera di comportarsi come meglio credeva.
Gli sembrò che stesse per dire qualcosa, per poi cambiare idea e distogliere nuovamente lo sguardo.
“Strawberry?” la chiamò.
Finalmente, lei si decise a parlare. “G-grazie per avermi aiutata oggi. E per avermi accompagnata”.
“Prego” replicò Ryan guardandola dritta negli occhi.
Strawberry abbozzò un sorriso. “Allora… Io vado.”
“D’accordo”
“Sì” riconfermò. Guardò Ryan mostrando ancora un momento di indecisione, poi aprì la portiera e scese dalla macchina. Lo salutò con la mano e si voltò per andarsene.
Si stava già maledicendo in tutte le lingue per la propria stupidità, quando sentì dietro di sé il rumore della portiera che si apriva.
“Aaah, possibile che debba fare tutto io?”
Si voltò e vide che Ryan stava scendendo dall’auto.
“Come?” mormorò.
Ryan si avvicinò, fermandosi di fronte a lei. “Se vuoi un bacio… Non hai che da chiederlo” le sussurrò a un centimetro dal suo viso.
Strawberry stava per ribattere, ma Ryan non aveva alcuna intenzione di ascoltare le sue scuse. La baciò come avrebbe voluto fare per tutto il pomeriggio e, da come si stava lasciando andare, seppe che anche per lei valeva la stessa cosa.
Quando si scostò, la vide senza fiato. Le sorrise e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Allora ci vediamo a scuola”
Fece per tornare alla macchina, ma si sentì trattenere per la maglia. Sorpreso, si voltò verso Strawberry.
“Cosa c’è?” le chiese.
Lei era esattamente dello stesso colore dei suoi capelli.
“Ne… Ne voglio un altro” mormorò, evidentemente imbarazzata.
Ryan ridacchiò.
“Sei proprio una ragazzina viziata”, le disse. E l’accontentò.


La mattina dopo Strawberry si svegliò di buon umore. Incredibilmente, non era nemmeno in ritardo. Indossò l’uniforme e uscì presto per passare in pasticceria prima di andare a scuola.
Arrivò al locale che a quell’ora del mattino era ancora semi-deserto e si accomodò al suo solito posto.
Kyle la accolse con un gran sorriso, posandole davanti un tortino ai mirtilli. Sul bancone aveva lasciato due libri di pasticceria aperti e Strawberry lesse distrattamente il sommario di uno dei due, mentre addentava il suo dolce.
Dolci alla crema. Dolci al cioccolato. Dolci al caffè.
“Allora, come procedono i preparativi?” chiese tornando a guardare Kyle.
“Katherine ha comprato talmente tanti addobbi che ne avremo per almeno una decina di feste”
Strawberry rise. Dovevano essere anni che non festeggiava un compleanno con Ryan, o forse non ne avevano mai festeggiato uno. Ryan non sembrava propriamente un tipo da feste ed era certa che anche da bambino non fosse stato molto diverso.
“Hi, dear!” la salutò Katherine, spuntando dalla cucina. “Look at this!”
Le posò davanti il foglio a cui avevano lavorato il giorno prima per l’organizzazione della festa e prese a mostrarle le varie modifiche che aveva fatto.
“Che ne pensi?” le chiese, entusiasta.
Stava per rispondere quando sentirono lo scacciapensieri appeso sopra la porta tintinnare. Si voltarono e videro Ryan entrare nel locale.
Immediatamente, Katherine prese il foglio, lo arrotolò e lo nascose dietro la schiena.
“Cosa combinate?” disse il biondo, avvicinandosi al bancone.
“Niente, honey!”
“Parlavamo di dolci!” esclamò Strawberry, mostrandogli i libri di pasticceria che Kyle aveva lasciato lì.
Ryan le guardò sospettoso. Era chiaro che stessero combinando qualcosa, Strawberry e sua madre erano delle pessime bugiarde, ma decise di lasciar perdere e si rivolse all’amico.
“Kyle, mi fai un caffè?”
Caffè?
Strawberry lanciò un’occhiata al libro che aveva davanti, poi spostò lo sguardo su Kyle che preparava il caffè e restò a guardare Ryan mentre beveva.
“Che c’è?” le chiese lui, osservandola da sopra la tazzina.
“Assolutamente niente” sorrise di rimando.
Ryan inarcò un sopracciglio. “Va bé. Ci vediamo dopo a scuola, Momomiya. Non fare tardi”. Poi, sporgendosi verso di lei in modo che fosse la sola a sentire, aggiunse: “O dovrò metterti in punizione”.
Strawberry aspettò che uscisse dal locale, poi postò nuovamente lo sguardo dalla tazzina di caffè al libro di Kyle e sorrise.
Finalmente le era venuta un’idea.








Ebbene, sì. Sono viva!
Ci ho messo giusto un po' di tempo, ma alla fine sono tornata. Molti di voi si saranno dimenticati di questi storia. Altri aspettavano questo aggiornamento da anni e forse staranno pensando di avere un'allucinazione. State tranquilli, è tutto vero!
Non vi porterò via molto tempo. Voglio solo dire grazie a tutte le persone che hanno avuto la pazienza di aspettare, a chi mi ha scritto una o più volte in questi anni per complimentarsi, farmi domande o chiedermi dove fossi finita. E' proprio leggendo alcuni messaggi che ho trovato la spinta per riprendere a scrivere questa storia e spero davvero di essere stata all'altezza delle vostre aspettative e di ripagare almeno un pochino la lunga attesa che vi ho fatto patire.
Chiedo anche scusa a tutte le persone che hanno recensito in questi ultimi anni di mia assenza e che non hanno ancora ricevuto una risposta. Pian piano cercherò di dare una dovuta risposta a tutti!
Vi ringrazio di cuore.

Comet
  
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