Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: Tisifone1301    23/02/2018    6 recensioni
"Fanfiction scritta per il contest Special February indetto dal gruppo Takahashi fanfiction Italia"
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Il primo istinto, quando ci vengono portati via coloro che amiamo, è quello di vendicarci. Ma, a volte, la vendetta non è l'unico modo per punire coloro che ci hanno fatto del male. La migliore dipartita per un nemico, è l'amore.
Genere: Romantico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Naraku, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Rin/Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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TRACCIA
Coppie: - 
Stile IC/OOC a scelta
Genere: Romantico/Storico/Thriller
Trama: Festa in maschera, periodo del rinascimento. Il duca X organizza un evento mondano per festeggiare le sue ricchezze ottenute durante una battaglia, ma non sa che tra gli invitati vi è Y, figlio dell'uomo che ha ucciso, ben deciso a vendicarsi. Tuttavia i piani di Y cambieranno quando, tra la folla, incontrerà due occhi magnetici, che null'altro appartengono che alla figlia del nemico.




 
GLI OCCHI DEL NEMICO


 
 
 
  
Non c'è vendetta più bella di quella che gli altri infliggono al tuo nemico.
Ha persino il pregio di lasciarti la parte del generoso.
Cesare Pavese
 
 
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Cesare Pavese
 
 
 
 
 
La porta della cappella si aprì di colpo con un tonfo sordo, facendo spiccare il volo a un paio di colombe annidate nei loro nidi. Una sagoma nera risaltava contro luce sulla soglia della porta. Il suo mantello grondante d’acqua per via della pioggia battente, aveva creato intorno ai suoi piedi una piccola pozza. Quando lo sconosciuto avanzò di un passo, oltrepassando la soglia, si sfilò il voluminoso cappuccio e la flebile luce di una candela lì accanto, rivelò la sua identità. Era un giovane di non più di ventisei anni, ventotto al massimo, alto, dalla robusta corporatura, con una folta e corta capigliatura argentea e un paio di occhi fulgidi dello stesso colore dell’oro.
Si avvicinò con passo oscillante al feretro e quando gli fu accanto, si soffermò a guardare la salma imbalsamata che un tempo era appartenuta a un importante e rispettato uomo dell’alta aristocrazia veneziana. Si chinò avvicinando le labbra al suo orecchio e, con tono rammaricato pronunciò:
- Assolvetemi, padre. Perché ho peccato. –
 
 
 
***
 
 
 
Era l’alba di un nuovo giorno. La nebbia aveva avvolto l’imbarcazione con la sua pesante cortina, mentre i flutti dell’acqua salata tuonavano, schiantandosi sullo scafo. Un ragazzo era in piedi sulla prua. Teneva gli occhi chiusi, per assecondare meglio i movimenti della barca, per avvertire il vento che soffiava imperioso scompigliargli i capelli argentei e per udire il rumore del mare che ululava sotto di lui. Un’armonia di suoni, odori e percezioni. Riaprì all’improvviso gli occhi quando un’onda spumosa sembrò esplodere come un geyser sulla prua, facendo inclinare pericolosamente la barca, che emise un rumore sinistro. Il giovane oscillò, perdendo quasi l’equilibrio.
- Signore! Non potete stare lì, è pericoloso! – urlò un uomo dell’equipaggio.
Il ragazzo si voltò sbuffando verso di lui, liquidandolo con un banale “Stia tranquillo.
Se ne era rimasto lì, a osservare lo smisurato e cupo specchio d’acqua, ancor prima che il chiarore dell’alba accarezzasse la superficie del mare. L’insonnia lo incalzava da giorni ormai, più precisamente, dal giorno in cui gli pervenne una lettera da parte di suo fratello, informandolo della morte del loro amato padre. Il solo ricordo del genitore, gli provocava una fitta acuta all’altezza del petto. In cuor suo, sperava di fare ritorno a casa per motivi più gioiosi; ma il destino, beffardo, aveva deciso il contrario.
Il sole era ormai alto e il tempo era perfetto. Il cielo, blu cobalto, era puntellato da qualche nuvola e il mare era finalmente una tavola placida. Della tempesta e della nebbia lattiginosa, non vi era più alcuna traccia. Lo sguardo del giovane passeggero iniziò a scorrere verso l’orizzonte, sui profili dei palazzi cercando di individuare quelli più famosi. Venezia. Finalmente, dopo circa una settimana di navigazione, era giunto a casa.
Quando la nave attraccò al porto, prese in affitto una piccola imbarcazione per arrivare all’isola di Murano. Quando la raggiunse, affidò la barca alle cure di un anziano uomo e si avviò inquieto tra i vecchi vicoli. Dopo un breve tratto, arrivò a ridosso di un piccolo cancello che conduceva alle porte di una vecchia tenuta, l’abitazione dei Barovier, la sua famiglia. Rimase a fissare il portone verde, sbiadito dalla salsedine, per un tempo che gli sembrò eterno.  Quanto era passato dal giorno della sua partenza? Più di sei anni, constatò stupito. Era tornato solo poche volte a far visita a suo padre e suo fratello, si potevano contare sulla punta delle dita. Si era sempre sentito prigioniero su quell’isola. Lui era un avventuriero, voleva conoscere il mondo. Tanto che, a soli diciannove anni, aveva comunicato a suo padre la decisione di imbarcarsi sulla Dyson, che lo avrebbe condotto alla scoperta dell’America. Si ridestò dai suoi ricordi, quando gli si avvicinò un vecchio uomo stempiato, dai grandi occhi a palla e un lungo pizzetto.
- Cercate qualcuno, signore? – domandò gentilmente.
Il giovane si voltò nella sua direzione e un sorriso comparve sul suo viso quando lo riconobbe.
- Non mi riconosci più, vecchio Totosai? – disse beffardo il ragazzo, togliendosi il cappello.
All’anziano per poco non venne un colpo.
- Signorino Inuyasha! Siete davvero voi? – esclamò stupefatto, sgranando ancor di più i suoi grandi occhi a palla.
- In carne e ossa. – rispose dandogli una pacca sulla spalla.
- Venite, vostro fratello sarà contento di rivedervi. -
 
 
 
***
 
 
 
Il duca Sceriman sedeva nel suo studio, deliziandosi tra le ricchezze illegalmente espugnate al suo peggior nemico, il marchese Barovier. Sulla sua scrivania erano adagiati solo alcuni degli innumerevoli gioielli che aveva confiscato al figlio maggiore di Toga, Sesshomaru, esiliato nei confini di Murano. Gli aveva impedito di mettere piede sul suolo veneziano e, se mai avesse deciso di disobbedire ai suoi ordini, la condanna per lui sarebbe stata la morte. Col figlio maggiore ridotto in miseria e il minore di cui ormai non si avevano più notizie da anni, il duca ora aveva il pieno controllo su tutti i loro averi. Non vi era più nessuno a intralciare la sua scalata alla sovranità totale. La laguna era ai suoi piedi, adesso.
Un leggero bussare lo fece ritornare alla realtà.
- Avanti. – pronunciò con tono imperioso.
Due graziose fanciulle varcarono la soglia, palesandosi ai suoi occhi.
- Buongiorno, padre. – esordirono all’unisono.
- Figliole. – rispose amorevole.
- Volevate vederci? – chiese la più grande delle due.
- Sì, ho qui dei doni per voi. – rispose alzandosi.
Prese due pacchetti dalla scrivania e si avvicinò alle figlie.
- Questo è per te, Kagome. –
La ragazza prese dalle mani del genitore una scatolina di velluto bordeaux e quando la aprì, i suoi occhi si sbarrarono per lo stupore. Al suo interno era custodita una spilla a forma di piuma di pavone tempestata da piccole pietre di smeraldo, mentre all’estremità era incastonato uno zaffiro.
- Ma è bellissima. Non so come ringraziarvi. – esclamò euforica.
- Credo di non aver mai visto gioiello più bello. – esordì la più piccola, fissando la spilla ammaliata.
- Cosa aspetti ad aprire il tuo, Rin. – le disse il padre.
La figlia fece come le era stato detto. Aprì un astuccio di velluto blu, che conteneva un meraviglioso girocollo di linea degradante interamente realizzata in oro bianco e decorata da piccoli diamanti. Al centro della collana, spiccava un topazio a forma di goccia dagli angoli smussati. Rin si portò una mano alla bocca per soffocare a malapena un gridolino. I suoi occhi luccicarono quasi quanto i diamanti per lo stupore.
- Grazie. – esclamò, cingendo le braccia al collo del genitore.
- Vostro padre è un uomo magnanimo. –  esordì una voce femminile sull’uscio della porta.
- Kagura. – pronunciò l’uomo, mentre le figlie si voltarono a salutare la donna.
- Dovete perdonarmi… - disse abbozzando un inchino – Non era mia intenzione interrompervi, ma la porta era aperta. –
- Non disturbi mai, sorella. – dichiarò il duca, sorridendole.
- Cosa vi ha regalato mio fratello, per allietarvi? -
- A me ha regalato questa collana. – proferì pacatamente la più piccola delle sorelle, andando incontro alla zia.
Gli occhi scarlatti della nobil donna, si scontrarono con quelli nocciola e innocenti della nipote.
- È davvero molto bella, mia cara. – le rispose accarezzandole una guancia – E il tuo, Kagome? –
La fanciulla le si avvicinò guardinga, mostrandole la spilla. Non era un segreto che la sorella di suo padre non le fosse mai piaciuta, l’aveva sempre trovata una donna lasciva, manipolatrice e doppiogiochista, pronta a calpestare chiunque le si parasse davanti pur di raggiungere i suoi loschi scopi. Da quando era comparsa, i rapporti tra i suoi genitori si erano incrinati, tanto che, le doleva ammetterlo, quella donna aveva avuto il potere di cambiare suo padre, rendendolo avido e ossessionato dal potere. Era riuscita in qualche modo a convincere, l’allora vecchio conte, a innescare una faida contro la famiglia più importante di Murano. E, come se non bastasse, aveva infangato il nome di sua madre. Aveva incuneato il seme del dubbio a suo fratello, dicendogli che la sua adorata moglie, aveva instaurato una relazione clandestina col marchese Barovier, mandandolo su tutte le furie. Nonostante lei avesse sempre smentito quelle false maldicenze, il marito l’aveva ripudiata, allontanandola da Venezia. Il malcontento e il dolore che le aveva procurato, l’aveva portata in seguito a togliersi la vita. E di questo, Kagome, incolpava la sorella di suo padre.
- È davvero molto bella. – ammise Kagura.
- Grazie. – rispose semplicemente la ragazza con tono piatto.
- Ho deciso di indire un ballo per festeggiare la vittoria contro Murano e il mio titolo a duca. -  annunciò l’uomo, estasiato.
- Mi pare una splendida idea, Naraku. – acconsentì la sorella – E visto che ci troviamo nel periodo del carnevale, potremmo organizzare un galà in maschera. –
- Ottima idea. Voi cosa ne pensate? – domandò rivolto alle figlie.
- Sarebbe bello. – proferì Kagome, abbozzando un sorriso. Poi prese la sorella per mano e uscirono dalla stanza.
- Finalmente il tuo perseverare ti ha condotto a ciò che più desideravi. -  pronunciò con tono voluttuoso Kagura, avvicinandosi al fratello e aprendo con uno scatto secco, il ventaglio che stringeva tra le mani.
- Lo devo a te, sorella. – rispose cordiale il duca Sceriman.
Una risatina stridula abbandonò le labbra della donna.
- Ora mi aspetto che mi nomini marchesa. – enunciò, volgendo solo lo sguardo verso di lui.
- Ti ho dato la mia parola e sai bene che la mantengo sempre. -
 
 
 
***
 
 
 
La vecchia casa di famiglia era rimasta esattamente come la ricordava; Sesshomaru non aveva cambiato nulla, notò Inuyasha con sollievo. Era seduto nel salotto principale insieme a suo fratello. Il suo viso era provato. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, la morte del loro padre lo aveva scosso nel profondo, come a lui del resto.
Sesshomaru gli aveva raccontano, per tutto il pomeriggio, per filo e per segno, cosa era successo, dal principio. Gli aveva riferito che l’attuale duca Sceriman aveva iniziato una rappresaglia contro la loro famiglia e l’isola di Murano da circa un paio d’anni. Ma negli ultimi tempi le cose erano degenerate, fino a dieci giorni prima, quando un gruppo di uomini armati e incappucciati avevano invaso l’isola in piena notte, saccheggiandola e razziandola. Sesshomaru aveva rammentato che il marchese Barovier e alcune guardie si erano prodigati a difenderla fino all’ultimo. E ci erano riusciti…
- E poi cosa è successo, Sesshomaru? – chiese impaziente Inuyasha, stringendo i pugni.
Gli occhi di suo fratello si velarono di una malinconia mai vista in vita sua.
- Il mattino seguente sono pervenute delle guardie con una lettera del Patriziato… - proseguì il fratello maggiore.
- E… - lo esortò a continuare il più piccolo.
- Accusavano nostro padre di tradimento verso la Repubblica Veneta, dicendo che voleva rovesciarli per istituirsi lui come nuovo Doge e proclamare Murano come nuova Repubblica. – spiegò.
- Ma è assurdo. – si adirò Inuyasha, scattando in piedi – Nostro padre non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Lui aveva giurato fedeltà a Venezia, nonostante governasse Murano. –
- Lo so perfettamente, Inuyasha. – lo freddò il fratello.
Il più giovane si riaccomodò, avvertendo una smisurata collera montargli dentro.
- Che cosa gli hanno fatto, dopo? – chiese a detti stretti.
- Lo hanno prelevato e portato in prigione, in attesa di essere processato. Ma, aimè, il processo non avrà mai inizio, perché nostro padre è stato assassinato e ne ho le prove. – decretò Sesshomaru.
- E come? –
- Ho un testimone che può provarlo, ma è un vigliacco, sarà difficile farlo parlare. Ti ricordi del vecchio Myoga Mirelli? – gli rammentò.
- Sì, l’avvocato. Ricordo che era un caro amico di nostro padre. Era lui che si occupava di alcuni suoi affari.  –
- Esatto. Bankotsu, una guardia di mia passata conoscenza, mi ha riferito che quando il duca è entrato nella cella di nostro padre, Myoga lo attendeva fuori. Diceva che quel vile si guardava intorno impaurito, come se avesse avuto timore che qualcuno lo vedesse lì in quel momento. Un’ora dopo, guarda caso, il nostro vecchio è morto. – proseguì Sesshomaru, che in quel momento si era alzato, dirigendosi verso la finestra.
- C’è dell’altro, Inuyasha. – proferì Sesshomaru, riacquistando l’attenzione del fratello – So per certo che nostro padre è stato avvelenato. Dopo i funerali… ho fatto riesumare la sua salma… -
- Tu cosa? – sbraitò Inuyasha alzandosi e afferrando il fratello per il bavero della giacca.
Sesshomaru gli afferrò i polsi e dopo aver esercitato una leggera pressione, il minore allentò subito la presa. Inuyasha lo fissò con disprezzo. Come aveva potuto suo fratello macchiarsi di un gesto tanto ignobile?
- Smettila di fissarmi in quel modo. – sibilò velenoso Sesshomaru – Non ne vado fiero, se può farti sentire meglio, ma è stato fondamentale per scoprire come è morto nostro padre. –
Inuyasha rilassò i muscoli, guardando di sottecchi il fratello.
- Continua. – lo intimò.
- I dottor Suikotsu Dolfin ha analizzato il contenuto del suo stomaco, che miscelato con tutte quelle sue sostanze chimiche, ha dato il verdetto. Questa è la prova schiacciante che Naraku Sceriman ha avvelenato nostro padre. Ma non possiamo provarlo senza la confessione di Myoga. -
Inuyasha chiuse gli occhi e si passò una mano tra i corti capelli argentei. Sentiva un peso sul cuore e un senso di colpa prese a farsi largo nel suo animo straziato dal dolore. Se solo fosse stato presente… Forse avrebbe potuto fare qualcosa per suo padre… Forse a quest’ora sarebbe stato ancora vivo.
- E tu? Perché non hai fermato le guardie quando sono venuti a prenderlo? – pronunciò con tono accusatorio, serrando denti e pugni.
Sesshomaru voltò solo il capo nella sua direzione e nei suoi occhi, tanto simili quanto diversi dai suoi, Inuyasha vi lesse tutto il suo disprezzo per quella domanda insensata.
- Davvero credi che non ci abbia provato? Secondo te, per quale dannato motivo sono stato esiliato su questa maledetta isola? – gli urlò irato.
Il fratello, rendendosi conto della stupidaggine appena detta, si scusò.
- Allora, tutto questo è stato un complotto ai danni di nostro padre. – era più un’affermazione che una domanda.
- Sì. – rispose secco Sesshomaru.
- Perché? – quell’avverbio interrogativo, uscì quasi come un sussurro dalle labbra del più piccolo.
Il maggiore prese un bel respiro, poi riprese a parlare.
- L’attuale Doge è gravemente malato e suo figlio non ha alcun interesse per la politica. Nostro padre aveva maggiori probabilità di diventare in nuovo Doge della Repubblica Veneziana, nonostante fosse il governatore di Murano. Eliminandolo, il duca Sceriman ha avuto campo libero. Ora governa su tutta la laguna, compresa Murano e i suoi commerci. Ha il pieno controllo, adesso. Ha comprato il silenzio di tutto il Maggior Consiglio. È un uomo senza scrupoli e dietro di lui c’è la sorella, una donna spregiudicata, disposta a scendere a qualsiasi compromesso pur di raggiungere i suoi scopi. –
- Che siano dannati. – gridò Inuyasha, scaraventando contro il muro il bicchiere che stringeva in mano – Lo giuro, sul nome della nostra famiglia… Troverò il modo per vendicare nostro padre. -
Sesshomaru non replicò a quel gesto eccessivo e poco regale del fratello. Non poteva biasimarlo, lui aveva fatto altrettanto quando Totosai era tornato da Venezia per annunciargli la triste notizia del decesso di suo padre. In quel momento si era sentito impotente e lui detestava sentirsi in quello stato. Non aveva mai avuto un rapporto idilliaco col genitore, a differenza di suo fratello, ma aveva sempre nutrito un forte rispetto nei suoi confronti; segretamente, era il suo punto di riferimento. Proprio come Inuyasha in quel momento, anche lui aveva giurato vendetta.
- La pagheranno, te lo posso garantire. – disse posandogli una mano sulla spalla, stringendola appena.
- Voglio vedere quel bastardo implorarmi pietà, quando lo spedirò all’altro mondo. – affermò Inuyasha con gli occhi saettanti d’odio.
In risposta, il fratello maggiore si limitò a fare un segno d’assenso col capo.
 
 
 
***
 
 
 
- Stai bene, Kagome? Non hai proferito parola per quasi tutto il giorno. – chiese preoccupata Rin, osservando la sorella seduta sul davanzale della finestra della loro camera, intenta a guardare le prime luci della laguna accendersi.
- Mia dolce Rin. Tu ti preoccupi sempre troppo per me. – le rispose amorevole la ragazza, sorridendole e tendendole un braccio.
- E non dovrei? Sei la sola cosa più importante della mia vita. – le disse sedendole di fronte.
Kagome le prese una mano e la strinse tra la sua. Rin era l’unica ragione per cui lei era ancora a Venezia. Innumerevoli volte aveva provato l’impulso di chiedere a sua sorella di fuggire lontano, ma sapeva che era una richiesta troppo dura per la sua piccola Rin. Lei era molto legata al loro padre, non che lei non lo fosse, lo amava, ma rimpiangeva il lontano conte Sceriman, che aveva come unico interesse, l’amore per la sua famiglia. Adesso, invece, pareva ai suoi occhi quasi un estraneo.
- Sto bene, dico davvero. – cercò di tranquillizzarla.
Rin la guardò poco convinta.
- So qual è la causa del tuo malcontento. – proferì alla fine la ragazza.
- E cosa, sentiamo? – la rimbeccò ironicamente la sorella.
- Nostro padre. – rispose con una punta di amarezza nella voce.
Kagome sussultò appena, ma non rispose, si limitò a girare la testa e guardare nuovamente fuori dalla finestra.
- Non è più quello di una volta. Sembra un’altra persona, oramai. – ribatté serafica.
La più piccola non poté replicare. La sorella non aveva tutti i torti. L’uomo che si palesava ogni giorno d’avanti ai loro occhi, altri non era che l’immagine sempre più sbiadita di colui che le aveva cresciute. Il padre amorevole e premuroso di un tempo, era ormai scomparso del tutto. Ora venivano prima e quasi esclusivamente gli affari, e per placare la sua assenza nelle loro vite, riempiva le figlie di doni.
- Sono stanca Rin, stanca di dover recitare la parte della figlia felice ogni volta che ci fa un regalo… Rivoglio indietro l’uomo che un tempo sapeva sorprendermi con il banale trucco della monetina tirata fuori da dietro il mio orecchio. Rivoglio indietro la mamma, per poter tornare a essere la famiglia felice che eravamo un tempo, prima che sopraggiungesse quella dannata donna che siamo costrette a chiamare zia. – si sfogò.
La minore strinse ancor di più la mano della sorella. Gli occhi le divennero subito lucidi non appena Kagome aveva pronunciato la parola “mamma”.  Mancava da morire anche a lei. Ripensò a tutte le volte che le aveva rimboccato le coperte la sera, a quante volte l’aveva consolata nei momenti di sconforto, alle risate. Ripensò alla sua dolce voce affettuosa. A quanti spaventi le avevano fatto prendere lei e Kagome. Avrebbe dato tutto l’oro del mondo per poterla riavere, anche solo per una giornata.
- E questo stupido ballo che vuole organizzare per festeggiare i suoi successi. È una cosa inaudita. Serve solo per aumentare il suo ego sproporzionato. – proseguì irata.
- Concordo con te, su tutto… Però… - Rin esitò qualche istante prima di continuare – Non riesco a odiarlo, Kagome… Non ci riesco. –
La sorella le si fece più vicina, le portò due dita sotto il mento e la costrinse a guardarla.
- Non potrai mai farlo, perché il tuo animo è troppo puro e gentile per potersi sporcare di un sentimento tanto orribile. In quel caso perderesti te stessa e io non voglio… Ma sappi una cosa, io non lo odio. –
- Oh, Kagome! – esclamò Rin, abbracciandola.
 
 
 
***
 
 
 
I raggi solari filtrarono dalla finestra prepotenti. Inuyasha si rigirò dal lato opposto del letto tirando su le coperte per mascherarsi dalla luce. All’improvviso, sentì qualcuno bussare con insistenza alla porta di ingresso al piano di sotto e una voce fanciullesca chiamare il nome di suo fratello. Sbuffando, si alzò dal letto, infilò i calzoni e scese di sotto.
Quando arrivò nel salotto, una scena alquanto insolita gli si presentò dinanzi. C’era suo fratello seduto sulla poltrona e, di fronte a lui, un ragazzino dai folti capelli rossi. Indossava una logora camicia che un tempo era stata bianca, un paio di pantaloni un po’ troppo corti (tanto da lasciargli le caviglie scoperte) tenuti su da delle vecchie bretelle e un paio di scarpe malandate; tra le mani stringeva convulsamente un piccolo basco di colore verde. La sua vocetta squillante gli rimbombava come una campana nelle orecchie, tanto da fargli comparire una smorfia di fastidio sul viso.
- Finalmente ti sei svegliato. Sono le undici passate. – lo schernì il fratello.
- Quando farai un viaggio di più di una settimana in una cuccetta su una brandina a dir poco scomoda, ne riparleremo. – lo rimbeccò l’altro.
- Vieniti a sedere, Shippo mi stava aggiornando sulle ultime novità. –
- Shippo? – chiese divertito Inuyasha – Ma che razza di nome è? –
Il piccoletto gli si avvicinò con un’espressione arrabbiata e offesa. Gli si parò davanti con le mani poggiate sui fianchi e due grandi occhi verdi che lo fissavano con sfida.
- Shippo è un bellissimo nome. Piuttosto, che razza di nome è, Inuyasha? –
Il giovane scoppiò in una fragorosa risata. Quel ragazzino a stento gli arrivava alle ginocchia, ma aveva un gran bel temperamento.
- Mi sei simpatico, piccoletto. – esclamò Inuyasha, scompigliandogli i capelli e oltrepassandolo.
- Se avete finito di punzecchiarvi voi due… - esordì Sesshomaru, annoiato.
- Sì. – affermò subito il ragazzino – Come vi stavo annunciando, il duca Sceriman ha deciso di organizzare un ballo in maschera per festeggiare la sua conquista di Murano, i beni che vi ha ingiustamente tolto e la sua nomina a duca. – li informò Shippo.
Inuyasha si voltò verso il fratello e lo vide serrare la mascella e corrugare la fronte. Immaginava benissimo cosa si celava nella sua mente e, come se lo avesse richiamato telepaticamente, Sesshomaru si voltò a guardarlo.
- Stai pensando quello che penso io? – gli domandò il minore.
Sesshomaru fece un segno d’assenso col capo.
- È un’ottima occasione per imbucarci. – proferì.
Inuyasha gli sorrise trionfate.
- Ma signore, come farete voi a uscire? Se vi scoprissero, non esiteranno un solo istante a uccidervi. – proferì all’improvviso Shippo.
- Il ragazzino ha ragione, padrone. – enunciò la voce affannata del vecchio custode.
- Sta tranquillo, Totosai. Mi maschererò in modo che nessuno mi riconosca. – reiterò Sesshomaru.
Totosai replicò con un mugugno poco convinto.
- Shippo. –
-Sì, signor Sesshomaru. –
- Dove e quando si terrà questo fantomatico ballo? –
- Fra tre giorni, nella tenuta sull’isola di San Lazzaro. – rispose prontamente il giovanotto.
- Bene… - emise Sesshomaru alzandosi dalla poltrona – È stabilito, il duca Sceriman avrà due ospiti indesiderati alla sua festa. – disse rivolto al fratello, poi si girò verso il ragazzino – Tienimi informato se ci dovessero essere delle novità. –
- Sì, signore. –
- Puoi andare. – gli disse, dopo avergli dato una moneta d’oro.
- Cercate di far ragionare vostro fratello, padron Inuyasha. – mormorò Totosai, dando le spalle al fratello maggiore – Se dovessero scoprirlo, perderete anche l’unico membro rimasto della vostra famiglia. – detto ciò, uscì dalla stanza, lasciando soli i due fratelli.
 
 
 
***
 
 
 
Il fatidico giorno era infine arrivato. Tutte le famiglie più in vista della nobiltà veneziana erano state invitate a partecipare al sontuoso ballo in maschera.
Kagome e Rin si trovavano nella loro camera accerchiate da un numero sproporzionato di domestiche che le stavano aiutando nel prepararsi.
- Ho sentito che al ballo ci saranno anche i Barozzi. – enunciò sarcastica Rin, che scoppiò a ridere non appena vide l’espressione disgustata della sorella – Non dirmi che non sei felice di rivedere Hojo? –
- Vi prego, rendetemi irriconoscibile. – disse rivolta alle donne, alzando gli occhi al cielo.
- Confesso che mi fa un po’ pena. Sono anni che ti fa la corte e, nonostante tu gli abbia ripetuto fino alla nausea che non è contraccambiato, non demorde. –
- È un tipo insopportabile. – borbottò la maggiore infastidita.
- Ho finito signorina Kagome. – le annunciò una domestica.
- Sei bellissima. – esclamò Rin, divincolandosi dalla presa di una delle donne e avvicinandosi alla sorella.
Kagome vestiva un lungo abito color vinaccia che le lasciava scoperte le spalle e il decolleté, abbellito da delle rose del medesimo colore e tessuto sparse sulla gonna e sulle spalline. Indossava lunghi guanti bianchi, mentre i capelli corvini erano raccolti in una morbida pettinatura, arricchita da un delicato diadema.
- Grazie. Anche tu sei molto bella. – le rispose dandole un bacio sulla guancia.
Quando anche la più piccola fu pronta, entrambe scesero nella grande sala.
Il salone era brulicante di gente. Le due ragazze videro il padre e sua sorella intenti a conversare e ridere con un gruppo di uomini, che non perdevano occasione di lanciare furtivi sguardi sulle morbide curve dei suoi seni, messi in bella mostra dalla profonda scollatura del vestito. Kagome fece una smorfia, disgustata. Si avvicinò, seguita a ruota dalla sorella, salutando tutti tramite inchino appena accennato.
- Le vostre figlie diventano ogni giorno più affascinanti. La loro bellezza è palese anche celata da quelle maschere. – affermò un uomo, baciando la mano di entrambe le fanciulle, indugiando su quella della figlia più piccola del duca.
Rin avvertì l’impulso di ritirare la mano e si pentì di non aver indossato anche lei i guanti. Notando il disagio della sorella, con una scusa, Kagome le cinse un braccio e si allontanarono.
- È un covo di avvoltoi, questa sala. – affermò disgustata Rin.
- Devi imparare a tenere testa agli uomini, Rin, soprattutto a tipi viscidi che badano solo ai loro interessi. Se ti mostri debole e impaurita gli servirai la vittoria su un piatto d’argento. Se non gradisci la corte di qualcuno, non esitare a respingerlo. Sii determinata e non lasciargli margine di dubbio. Sono stata chiara? –
- Sì. – mormorò la minore.
- Ora divertiamoci. – le disse l’altra afferrandola e trascinandola al centro della sala.
 
 
 
***
 
 
 
- Totosai! –
- Sì, padron Sesshoamru. – accorse subito il custode nell’udire la voce irata del padrone di casa.
- Dov’è Inuyasha? In camera sua non c’è. –
In povero vecchietto si fece piccolo piccolo. Inghiottì un paio di bocconi a vuoto, asciugandosi la fronte, nonostante fosse asciutta, con uno straccio che aveva in mano.
- Beh!... Ecco… Vedete… - farfugliò.
Sesshomaru assottigliò i suoi già affilati occhi ambrati e un lampo gli attraversò la mente.
- È andato al ballo da solo… Non è così? –
- Sì, signore. – ammise Totosai chinando il capo – Mi ha chiesto di non dirvi nulla. Ha temuto per la vostra incolumità. E mi ha ordinato di consegnarvi questa. –
- Che stupido. – disse il giovane, stringendo una lettera nella mano destra.
 
 
 
***
 
 
 
Quando Inuyasha raggiunse l’isola di San Lazzaro, una scarica di adrenalina gli attraversò tutto il corpo. Per prima cosa doveva scovare il duca e non era certo una cosa facile, dato che erano tutti mascherati. Il suo unico obiettivo era quello di piantargli un pugnale, che aveva riposto all’interno della giacca, dritto nel cuore. Non gli importava delle conseguenze, non gli importava se lo avessero imprigionato o peggio, ucciso. Il suo solo desiderio in quel momento era vendicare suo padre. Pregustava già il momento in cui la lama si sarebbe intrisa del sangue del suo nemico e non vedeva l’ora di leggere nei suoi occhi lo stupore per quello che gli stava accadendo e l’agonia nel vederlo morire.
Ancorò la barca al piccolo porticciolo, formicolante di ogni tipo di imbarcazioni. Attraversò il lungo viale alberato a passo svelto e prima di varcare la soglia del palazzo, prese un bel respiro. Una volta dentro, lo sfarzo più sfrenato lo investì. Grandi lampadari pomposi pendevano dal soffitto, mentre la musica dell’orchestra risuonava allegra per tutta la sala. Ma, man mano che si addentrava tra la folla, a lasciarlo basito, era la frivolezza di quella gente, soprattutto delle donne. Dietro quelle maschere si credevano tutti invincibili, ma senza? Valevano qualcosa? Si trovò a domandarsi il ragazzo.
Rimase per un po’ in disparte in un angolo, appoggiato a una colonna, studiando attentamente il terreno di guerra. Dopo un lungo attendere, dove coppie di nobili come lui si alternavano nella sua visuale, danzando allegramente al centro della sala, finalmente individuò il famoso Naraku Sceriman. Lo tenne sotto d’occhio per quasi tutto il tempo, aspettando il momento più opportuno per sferrare il suo attacco. Decise quindi di mischiarsi alla gente che ballava, per non attirare troppo l’attenzione su di sé e creare qualche sospetto.
Prese a danzare con una deliziosa fanciulla dai capelli rossi e due occhi verdi come foglie, leggermente celati da una maschera di tulle nero. Improvvisamente la musica cambiò e Inuyasha si ritrovò a dover cambiare dama e, proprio in quel preciso istante, il suo cuore perse un battito. I suoi occhi si scontrarono con una figura eterea. La più bella creatura che lui avesse mai visto in vita sua. Una ragazza con un abito color vinaccia, intrecciò le proprie mani alle sue. Il suo sorriso radioso, inebriava tutto ciò che la circondava. Sotto una delicata e ricamata mascherina, spiccavano un paio di occhi grigi come le nubi d’autunno. Erano ipnotici, magnetici. Il giovane la fissava rapito. Era la prima volta che gli succedeva una cosa simile.
Dall’altra parte, la ragazza, si sentiva frastornata. Lo sguardo d’oro fuso di quell’ospite, le era entrato così dentro, così in profondità nella sua anima, che si sentì quasi nuda al suo cospetto. Non era lo sguardo di qualcuno che fissa semplicemente un’estranea, no, era lo sguardo di uno che studia l’orizzonte. Solo che, quell’orizzonte, era lei. Avvertiva il cuore batterle impazzito nel petto, così forte, che temette di ritrovarselo tra le mani da un momento all’altro. Era mai possibile che si sentisse attratta da un perfetto sconosciuto? Che cosa le stava succedendo? All’apparenza, sembrava un giovane distinto. La maschera che indossava, gli lasciava per metà il viso scoperto, rivelando dei lineamenti perfetti e decisamente virili.
Per tutta la durata del ballo, entrambi continuarono a studiarsi e a comunicare solo con gli occhi. Nessuno dei due proferì una sola parola per timore di spezzare quell’atmosfera magica che si era creata intorno a loro. In quel frangente, il resto delle persone in quella sala, erano scomparsi. Quando la musica cessò, Inuyasha ebbe solo il tempo di chiederle il nome, prima che un altro cavaliere la “strappasse” dalle sue braccia per condurla in una nuova danza.
- Kagome. – ripeté tra i denti il ragazzo.
Inuyasha uscì fuori in giardino per prendere una boccata d’aria. Si sentiva spaesato. L’incontro con quella ragazza lo aveva destabilizzato. Era andato a quella festa con uno scopo ben preciso, non si aspettava minimamente di incontrare una fanciulla in grado di fargli un simile effetto. Alzò il viso al cielo nero della notte, costellato da miliardi e miliardi di puntini luminosi. Prese un bel respiro profondo, cercando, invano, di espugnare l’immagine di Kagome dalla mente in modo da concentrarsi esclusivamente sul suo piano.
- Siete qui! Vi ho trovato, finalmente. – una dolce voce gli arrivò alle spalle, facendolo voltare.
- Voi! – pronunciò entusiasta lui, andandole incontro.
- Dopo il nostro ballo siete corso via. – disse leggermente imbarazzata lei – Non vi avrò mica spaventato? – lo schernì.
Il ragazzo rise divertito e lei rimase ancor più ammaliata da quel sorriso.
- Assolutamente no… Al contrario… -
- Venite, sediamoci su quella panchina. – affermò Kagome, incamminandosi.
Si accomodarono ammirando il panorama della laguna dinanzi a loro.
- Dovete perdonarmi, vi sarò sembrata inopportuna invitandovi a sedervi qui con me, ma… - esordì Kagome, ma lui la bloccò subito.
- Oh, no. Non pensatelo nemmeno. Non penso che voi siate quel genere di donna. – la tranquillizzò Inuyasha.
Lei gli sorrise grata e il ragazzo ricambiò.
-  E che quando vi ho visto, non so spiegarvelo, mi avete come dire, destabilizzata… ecco. – farfugliò la fanciulla, fissando la punta delle sue scarpette.
Inuyasha sgranò leggermente gli occhi, sorpreso. Anche lei, quindi, aveva avvertito i suoi stessi tumulti?
- Lo stesso è stato per me. – confessò lui.
Kagome si voltò di scatto a guardarlo. Sentì il suo cuore esplodere di gioia. Lentamente si sfilò la maschera, mostrando al giovane il suo intero viso.
- Mi pare giusto parlare senza celarci. –
- Quella maschera copriva solo una piccolissima parte della vostra bellezza. – esclamò Inuyasha, affascinato.
- Non dite stoltezze, non è vero. – ribatte lei, chinando il capo imbarazzata.
- Oh, sì che è vero. Guardatevi, siete arrossita. – disse divertito lui, godendosi la visione di quelle gote imporporate.
- Smettetela. –
- Ora vi sembrerò io, inopportuno, ma mi avete stregato. I vostri occhi, devono possedere qualcosa di speciale, o di magico se mi hanno incantato così. Mi lasciano col fiato sospeso ogni volta che li incrocio, anche solo per sbaglio. Sono grandi, espressivi e raccontano molte cose su di voi.  –
- Ah, sì? E cosa, per l’esattezza? – chiese divertita.
Un sorrisetto sghembo arcuò il lato destro delle labbra del giovane.
- Dicono che siete timida. Che la vostra audacia è solo una parvenza. Per quanto belli e affascinanti, sono tristi e rivelano che avete sofferto molto nella vostra vita. A quanta fatica fate a dover sorridere ogni volta e sembrare davvero felice. E forse questo vi ha portato a fidarvi poco, se non per niente, delle persone. -
Nell’udire quelle parole, Kagome trattenne il fiato. Avvertì una morsa all’altezza dello stomaco e un nodo alla gola che le bloccava il respiro. Lei lo aveva sempre sognato un uomo così. Non che fosse una di quelle donne romantiche che aspettano il principe azzurro. No. Lei aspettava un uomo che la scuotesse dentro come un tuono. Un uomo che arriva in punta di piedi e che è in grado di farti parlare, di sorridere. E lui, in qualche modo, ci era riuscito.
Si erano guardati negli occhi un minuto in più del dovuto. Ma loro non sapevano che non si dovrebbe giocare con gli sguardi, perché è pericoloso. In sessanta secondi, un semplice sguardo, può farti innamorare.
- Chi siete voi? – mormorò lei con tono malfermo.
Allungò la mano verso il suo volto, con l’intento di togliergli la maschera, ma si arrestò quando lui indietreggiò e le afferrò il polso.
- Vi prego, mostratemi il vostro volto… Nessuno mi ha mai capita così a fondo come voi, con un solo sguardo. – quasi lo supplicò.
Dopo un momento di esitazione, Inuyasha la lasciò fare. Con mano tremante, finalmente Kagome gliela sfilò, rivelando ai suoi occhi la sua bellezza.
- Ora ci conosciamo un po’ di più. – sussurrò lei.
- Sì. – rispose il ragazzo, sfiorandole delicatamente il labbro inferiore col pollice.
Un lungo brivido attraversò la schiena della giovane.
- Avete delle labbra così morbide e belle, né troppo grandi, né troppo piccole. Sono perfette… Proprio come voi. – sussurrò con voce roca.
- Vi state trattenendo dal desiderio di baciarmi? – bisbigliò Kagome, avvicinandosi pericolosamente a lui.
- Non immaginate quanto. – le mormorò a fior di labbra.
Avvicinandosi, si piegò su di lei, sfiorandole le labbra con le proprie. Fu un tocco leggerissimo, ma Kagome lo sentì su ogni centimetro della sua pelle, in ogni terminazione nervosa. Il cuore di lei pulsava così forte, da esplodere, tanto che Inuyasha la strinse forte tra le sue braccia, finché non la sentì rilassarsi e i battiti del suo cuore rallentare. Il ragazzo pensò di impazzire sentendo la leggera pressione dei suoi seni sul proprio petto. Inuyasha poteva avvertire il suo sangue pulsargli nelle vene all’impazzata. Si domandò se quegli occhi non lo avessero davvero stregato. Ma quel pensiero fuggì via non appena tornò a baciarla. Le loro labbra si muovevano ancora una volta gentili, ma con un’insistenza che aumentava via via che i secondi si trasformavano in minuti.
Kagome sentì la lingua del ragazzo saggiarle la bocca mentre, al contempo, le sue dita le scostavano i capelli dalla fronte, scendendo a tracciarle i contorni del viso e la curva della gola. Quando alla fine Inuyasha alzò il capo, il viso di Kagome era in fiamme.
- Spero di non avervi turbata. – proferì il ragazzo.
- N…no. – rispose lei, imbarazzata.
- Kagome! – urlò una voce familiare in lontananza.
La giovane sussultò per lo spavento. Pochi secondi prima e sua sorella l’avrebbe vista in atteggiamenti poco casti con uno sconosciuto.
- Rin, cosa c’è? – chiese la maggiore andandole incontro di pochi passi.
La più piccola lanciò un’occhiata prima a sua sorella e poi al giovane aitante alle sue spalle e, un sorrisetto malizioso comparve sulle sue labbra.
- Nostro padre desidera vederti. – le riferì – Quando torniamo a casa, voglio che mi racconti di quel bel ragazzo. – le bisbigliò all’orecchio prima di correre via.
- Ci sono problemi? – domandò Inuyasha.
- No, nulla di grave. Mio padre desidera vedermi. Venite, così ve lo presento. – esclamò, prendendogli la mano.
Inuyasha indossò nuovamente la maschera, imitato a sua volta dalla ragazza.
Una volta all’interno, seguì Kagome tra la folla, diretta verso due uomini che chiacchieravano in un angolo della sala. Rimase sorpreso e scioccato quando riconobbe uno dei due come il duca Sceriman. L’impulso di afferrare il pugnale e colpirlo a sangue freddo lo pervase, ma dovette astenersi, non voleva farlo davanti a Kagome.
- Padre, volevate vedermi? – esordì la fanciulla.
- Sì. –
Il cuore del giovane Barovier perse un battito, il sangue gli si gelò nelle vene e un pallore quasi spettrale gli dipinse il volto. No, non poteva essere. Era uno scherzo macabro del destino. Kagome non poteva essere la figlia di Naraku Sceriman.
- Padre, solo un minuto. Lasciate che vi presenti… - si fermò di colpo. Era stata con quel ragazzo per svariato tempo, ci aveva ballato, parlato, lo aveva baciato, ma come una stupida, non gli aveva chiesto il nome.
- Non vi ho chiesto il vostro nome. – farfugliò.
Il duca Sceriman aggrottò la fronte, non riuscendo a comprendere lo strano comportamento di sua figlia.
Inuyasha corse subito in soccorso della ragazza.
- Il mio nome è Isoshi Sanudo, signore. – si presentò, chinando il capo.
- Molto lieto. Dovete aver fatto una buona impressione su mia figlia, se è arrivata al punto di presentavi a me. – scherzò il duca.
In risposta il giovane fece un ghigno forzato.
Il duca si soffermò a guardare il ragazzo, a cui la figlia stava stringendo la mano. Una strana sensazione lo costrinse ad allarmare i suoi sensi. Continuava a fissare il lato del viso lasciato scoperto dalla maschera. Aveva un che di familiare. Dove lo aveva già visto? Occhi dorati come una pietra di ambra, chioma nivea come la neve. Nella sua mente arguta, quella porzione di volto, si sovrapponeva ad un’altra faccia dalle stesse medesime caratteristiche e quando mise a fuoco chi fosse, i suoi inquietanti occhi rossi si spalancarono all’inverosimile.
- Non può essere… - mormorò – l’altro suo figlio era dato per morto… -
Inuyasha lasciò la mano di Kagome, continuando a fissare negli occhi il suo nemico. Indietreggiò di un passo e quel gesto fu la conferma per il duca.
- GUARDIE! – urlò con voce deformata – Arrestate quest’uomo! –
Il giovane Barovier, essendo stato ormai scoperto, batté in ritirata, ma non prima di aver tirato fuori dalla giacca il pugnale e di aver sferrato un colpo a Sceriman, sfregiandogli una guancia. Kagome urlò terrorizzata, incredula per ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi.
Inuyasha si dibatté tra la folla urlante, per farsi strada. Una volta fuori, dovette correre come non mai in vita sua per cercare di seminare le guardie del duca che si accingevano a sparargli contro e non essere quindi colpito dal fuoco nemico. Giunto fuori dai cancelli della tenuta, di sentì afferrare per il collo della giacca e scaraventare su una piccola imbarcazione a motore. Il giovane fece per alzarsi, ma uno strattone lo riportò nuovamente disteso.
- Sta giù e non ti muovere. –
Quella voce l’avrebbe riconosciuta ovunque.
- Sesshomaru! – mormorò sorpreso.
 
 
 
***
 
 
 
- Come è potuto succedere? – urlò il duca incollerito, mentre un medico gli ricuciva il taglio sulla guancia.
- Non muovetevi signore, o vi farò male. – lo riprese il dottore.
Naraku lo allontanò da sé con uno strattone.
- Voglio sapere perché non ne sapevo niente del suo ritorno. – proferì, afferrando malamente il suo uomo di fiducia per il colletto.
- Calmatevi, fratello mio. – disse Kagura, poggiandogli una mano sull’avambraccio.
- N… Non ne sapevamo nulla nemmeno noi, signore. Deve essere arrivato con un’imbarcazione clandestina, perché tutte le navi che approdano al porto vengono controllate e i passeggeri schedati. Oppure avrà dato un nome falso, come ha fatto poc’anzi. – ipotizzò l’altro.
- Sicuramente. Sono più che certo che suo fratello lo ha avvisato in qualche modo… MALEDETTI! Se pensavano di prendermi alla sprovvista, si sono sbagliati di grosso. – reiterò Sceriman – Renkotsu! –
- Sì, mio signore. –
- Trovali e portali qui da me. Avranno ciò che si meritano. – ordinò.
- Consideratelo già fatto. –
E mentre il duca, ordiva la sua vendetta, in un’altra stanza, Rin cercava di consolare una devastata Kagome.
 
 
 
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- Assolvetemi, padre. Perché ho peccato. –
Inuyasha era inginocchiato dinanzi al feretro di suo padre. Dopo essere rientrato a casa con suo fratello, non si sentiva più lo stesso. Aveva atteso che Sesshomaru andasse a dormire, poi, senza fare il minimo rumore, era sgattaiolato fuori, diretto alla cappella di famiglia.
- Perché proprio lei, padre? Perché il fato ha voluto che fosse proprio la figlia di colui che vi ha tolto la vita, a rubarmi il cuore? – disse stringendo i pugni e serrando gli occhi per impedire alle lacrime di sgorgare – Cosa devo fare, padre? Perché io proprio non lo so. Il mio animo è combattuto dato che una parte vuole vendicarvi, ma l’altra sa che se uccidessi il duca Sceriman, perderei per sempre Kagome. –
Il silenzio tombale che regnava nella cappella, era disturbato solo dal picchiare della pioggia sul tetto e sui vetri. Inuyasha pensò che anche il cielo stesse piangendo per la sua condizione.
- Forse Sesshomaru ha ragione, devo dimenticarla. – mormorò rammaricato e a quel punto una lacrima sfuggì al suo controllo.
 
 
 
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Era trascorsa una settimana dal ballo in maschera e dall’attentato al duca. Dopo aver messo a soqquadro l’intera isola di Murano e l’intera laguna, finalmente Renkotsu era riuscito a stanare i due fratelli. Si erano rintanati in un vecchio casale abbandonato sull’isola di Burano. Era riuscito a catturarli grazie a un ragazzino di dodici anni dai lunghi capelli bianchi, che al corrente della taglia che pendeva sui due Barovier, lo aveva  prontamente avvisato.
Il duca, felice di quell’arresto, li aveva fatti rinchiudere nella prigione di Piombi; era andato a far loro visita, pavoneggiandosi di essere riuscito a contrastare il loro stupido piano ardito ai suoi danni e per comunicare che l’indomani sarebbero stati entrambi giustiziati.
La porta della cella di Inuyasha si aprì con un cigolio sordo e fastidioso. Il ragazzo era legato con delle spesse catene ai polsi. Sul dorso scoperto, erano presenti i segni di evidenti torture. Non si prese nemmeno la briga di sollevare il capo per vedere chi fosse, convinto che si trattasse ancora del suo aguzzino.
- Inuyasha. – bisbigliò una voce dolce e familiare.
Il giovane sollevò di scatto la testa, stupito.
- Ka… Kagome. – pronunciò con voce strozzata.
- È il vostro vero nome… non è così? – chiese lei sorridendogli.
Lui fece solo un segno d’assenso col capo, troppo meravigliato per parlare. Lei gli si avvicinò e con una mano gli sfiorò a malapena una ferita sul petto.
- Cosa vi hanno fatto? – disse con voce incrinata.
- Perché siete qui? Se vostro padre lo scoprisse… –
- Dovevo vedervi. – lo bloccò lei.
In quel momento in cuore del ragazzo perse un battito.
- Mia sorella mi ha raccontato tutto. Ora è nella cella di vostro fratello. – gli rivelò.
- Co… Cosa? – bofonchiò lui.
- Mi dispiace per il male che vi ha procurato mio padre. Vi giuro che non ne sapevo nulla. –
Inuyasha lesse nei suoi occhi tanto dolore e amarezza. Erano tristi, velati di lacrime.
- Voi non avete colpe. – disse lui sorridendole tristemente – L’unico colpevole in questa storia è vostro padre che si è macchiato le mani del sangue del mio. –
Kagome trattenne a stento uno sussulto. Poi scoppiò a piangere.
- No, vi prego, non piangete. Non posso sopportarlo. – disse lui facendo un passo verso di lei, ma le catene lo bloccarono sul posto.
La giovane si asciugò le stille col dorso della mano e fece “sì” con la testa.
- Posso farvi una domanda? – chiese timidamente.
- Certo. –
- Quella sera al ballo, eravate sincero? –
- Avvicinatevi. – le disse e lei fece come gli aveva chiesto.
- Guardatemi negli occhi e ascoltatemi bene, perché non credo che avrò un’altra occasione. –
Kagome si sentì morire quando fissò quelle iridi ricoperte d'oro.
- Sì, ero sincero. Ogni singola parola che vi ho detto, era vera. Ve lo giuro su mio padre, non vi avevo mai vista prima di allora e non sapevo che eravate la figlia di Sceriman. Ma anche se lo avessi saputo, non sarebbe cambiato nulla, mi sarei comunque innamorato di voi. –
- Inuyasha! – esclamò lei abbracciandolo – Anche io vi amo e non voglio che moriate, non potrei sopportare un dolore così grande. –
- Kagome. – bisbigliò lui, affondando il viso nell’incavo del collo di lei per intensificare il loro contatto – Sopravvivrete, siete una ragazza forte… -
- No, non è vero. – urlò lei battendo i pugni sul suo petto e bagnandoglielo di lacrime.
- Quando la morte arriverà a prendermi, so che me ne andrò col sorriso, per il semplice fatto che avrà le vostre labbra e i vostri occhi. Sarete il mio unico e solo pensiero, Kagome. – le mormorò all’orecchio con voce serena.
La ragazza si staccò da lui, lo fissò per un lungo istante negli occhi prima di baciarlo per l’ultima volta, per correre poi via da quella lugubre cella.
 
Sesshomaru era saltato in piedi quando aveva sentito la serratura della porta scattare. Tutti si sarebbe aspettato di vedere, men che lei.
- Rin. –
- Seshhomaru. – gridò lei correndogli contro e fasciandogli i fianchi con le braccia.
Il ragazzo avrebbe voluto contraccambiare, ma non poté per colpa delle catene.
- Perché site qui, non sareste dovuta venire. – la rimproverò.
- Lo so bene, ma… Kagome voleva vedere vostro fratello e io non potevo perdere l’occasione di rivedervi ancora una volta. – confessò.
- Rin. – ripeté di nuovo lui.
Il destino aveva davvero giocato un brutto, bruttissimo scherzo a lui e suo fratello. Aveva rimproverato Inuyasha per essersi infatuato della figlia maggiore del duca, e lui, che cosa aveva fatto? Si era macchiato della stessa colpa, innamorandosi della figlia più piccola di Sceriman. Tutta colpa di Inuyasha che lo aveva convinto ad andare in piazza a vedere quel maledetto Carnevale, “Per distrarci” aveva detto.
- Sono qui per dirvi che forse ho trovato un modo per liberarvi. – gli rivelò speranzosa.
Sesshomaru arcuò un sopracciglio, invitandola a continuare.
- Bankotsu mi ha rivelato che c’è un modo per farvi uscire di qui e rendere giustizia a vostro padre, anche se… andrà a discapito del mio. – disse chinando il capo.
- A quanto pare, abbiamo un amico in comune. – la schernì.
- Così sembrerebbe. –
- Allora fate quello che vi dice, è un uomo fidato. –
- Va bene. Vi giuro che vi tirerò fuori di qui, fosse l’ultima cosa che faccio. – disse risoluta.
Lui abbozzò un sorriso. Quella ragazzina era una furia, la sua determinazione era ammirevole. Ma non volle farsi illusioni. Qualsiasi cosa le avesse raccontato Bankotsu, erano solo parole, i fatti erano ben altri. Le accarezzò una guancia con le nocche delle dita, proseguendo sempre più giù, fino a raggiungere e prendere tra le dita, una pietra turchina incastonata nella collana della ragazza.
- Non è un gioiello qualunque, quello che portate al collo. – esclamò suadente.
- È il regalo di un nobiluomo. – rispose lei annullando totalmente la distanza che li divideva.
- Che strano, rammentavo che fosse un regalo di vostro padre. – esclamò lui, fingendosi dubbioso.
- Rammentate male. – gli fece eco lei.
Rin gli sorrise e lui non resistette. Abbandonò la presa sul gioiello, portando repentino la mano dietro la nuca della ragazza e l’attirò bruscamente a sé, baciandola. Non c’erano più giusto e sbagliato, c’erano solo lei e quel momento. Non poteva più rimandarlo quel bacio, poteva solo abbandonarsi alle sensazioni che aveva represso e che erano andate costruendosi sin dal loro primo incontro.
Per un momento, presa contropiede, la fanciulla sgranò gli occhi. Ma successivamente si abbandonò a quel contatto, schiudendo le labbra e dando il via libera al giovane di esplorare la sua bocca.
Le labbra di Rin erano dolci e calde, lei gli passò le mani tra i capelli e lo attirò ancor di più a sé, e il bacio divenne più infuocato e audace. Sesshomaru cercò di riprendere il controllo della propria mente. Si staccò di pochi centimetri e la guardò, per l’ultima volta, in un modo così intenso che Rin si sentì devastare dal dolore.
- Andate via e dimenticatemi. – disse lui allontanandola da sé e voltandosi, dandole le spalle.
Il doversi separare da lei, era una sofferenza immensa. Ma era giusto così, non aveva alcun diritto su di lei. Rin aveva ancora tutta la vita davanti a sé ed era inutile recarle ulteriore dolore per la loro separazione.
- Non mi arrenderò, Sesshomaru. – disse la ragazza prima di uscire.
 
 
 
***
 
 
 
- Ma chi sarà mai a quest’ora della notte?! – borbottò il custode della famiglia Gritti.
Quando aprì la porta, rimase sorpreso nel trovarsi di fronte una fanciulla e due uomini, un giovane e un grassoccio anziano e stempiato.
- Chi siete? E cosa volete? – chiese seccato.
- Perdonate l’ora indegna, buon uomo, ma abbiamo urgenza di parlare col Doge… È una questione di vita o di morte. – disse la ragazza.
Il custode la guardò scioccato.
- Stolti! Come osate presentarvi così e chiedere del mio signore. Andate via. – gli urlò, chiudendo la porta, ma il più giovane degli uomini fu più scaltro, bloccandola con un piede.
- La mia signora le ha detto che è una questione urgente. – disse con tono minaccioso.
- Che cosa sta succedendo qui? Cosa sono questi schiamazzi nel cuore della notte? – enunciò un giovane moro sopraggiunto sul posto.
- Oh, signorino Miroku. – disse il custode inchinandosi – Questi individui vorrebbero parlare con vostro padre, ma io li stavo giusto mandando via. – gli spiegò.
Approfittando del momento di distrazione del custode, la ragazza sospinse la porta ed entrò, prostrandosi ai piedi del figlio del Doge.
- La supplico signore, non sarei qui a disturbarla se non fosse una questione di vitale importanza. –
- Si alzi, signorina. – le disse gentilmente prendendole una mano – Purtroppo mio padre è molto malato e non può ricevere visite, specialmente a quest’ora della notte. –
- Avremmo fatto molto prima, se questo vecchio balordo si fosse convinto in tempo. – esclamò il giovane.
- Come osate, stupido ragazzino. – replicò offeso, ma non appena vide la sua espressione minacciosa, fece un passo indietro con la coda tra le gambe.
- Qual è il vostro nome? – chiese Miroku.
- Oh! – esclamò lei portandosi una mano sulla bocca – Perdonate la mia scostumatezza. Sono la figlia del duca Sceriman, Kagome. –
Nell’udire quel nome, il giovane Gritti ebbe un sussulto.
- E perché mai, la figlia del duca, desidera vedere mio padre? – chiese sospettoso.
- Si tratta dei figli del marchese Barovier. Mio padre ha deciso di condannarli a morte domani a mezzogiorno, con esecuzione in piazza. Il Doge è l’unico che può graziarli e poi… - si interruppe sfregandosi le mani.
- E poi… - la esortò a continuare il giovane.
- Abbiamo informazioni attendibili sulla morte del marchese Barovier. – dichiarò con un fil di voce.
Due vite, in cambio di altre due vite. La vita di suo padre e sua zia, per quelle di Inuyasha e Sesshomaru. Non avrebbe mai voluto giungere a un compromesso del genere, ma giustizia andava fatta. Suo padre si era macchiato di un crimine ignobile, spinto dalla sua sete di potere, incoraggiato da sua sorella.
- Seguitemi. – ordinò Miroku, sorprendendo tutti.
Attraversarono un lungo corridoio e dopo svariati svincoli, giunsero dinanzi a una porta.
- Aspettatemi qui. –
Il giovane Gritti varcò la soglia, per poi fare ritorno dopo pochi minuti.
- Entrate – disse rimanendo sull’uscio e mantenendo la porta aperta – Solo voi due. – enunciò rivolto a Kagome e il vecchio.
- State tranquillo, Bankotsu, andrà tutto bene. –
Il ragazzo fece un cenno di assenso con la testa.
- Aspetterò qui fuori. Mi basterà un vostro accenno per irrompere all’interno. –
La stanza era buia, illuminata solo dalla luce di una flebile candela appoggiata sul comodino vicino il grande letto a baldacchino. Miroku intimò ai due di avvicinarsi, in modo che suo padre potesse vederli.
- Avvocato Mirelli. Signorina Sceriman. A cosa devo la vostra visita a quest’ora? – enunciò il Doge tra un colpo di tosse e l’altro.
- Il qui presente, ha delle importanti informazioni sulla morte del marchese Barovier. E dopo aver ascoltato l’avvocato Mirelli, vi chiedo umilmente di annullare l’ingiusta esecuzione che mio padre ha richiesto per i figli del marchese. –
Il Doge si portò, con un po’ di fatica, in posizione seduta. Il figlio si precipitò ad aiutarlo, ma lui lo bloccò con un cenno della mano.
- Ce la faccio da solo. – disse – Cosa ha da rivelarmi, Myoga. –
- Mi… Mio signore. Prima di cominciare, voglio che mi assicuriate che la mia vita sarà al sicuro. Il duca Sceriman è un uomo senza scrupoli ed è capace di qualsiasi azione. – volle rassicurarsi l’avvocato.
- Avete la mia parola. –
- Vi ringrazio. Allora, da dove inizio… -
- Da dove vuole, basta che cominciate a parlare. –
- Sì. – Mirelli si schiarì la voce e attaccò a parlare – L’allora conte Sceriman, mi ingaggiò per esaminare certi documenti che riguardavano alcuni commerci da lui intrapresi con una compagnia dell’Asia. Analizzando quelle carte, ne ho trovato certe che riguardavano alcune terre del marchese Barovier. Ho pensato che ci fosse un errore, per cui l’ho fatto presente. Ma stranamente, la sorella del duca, mi ha ordinato di non immischiarmi nei loro affari. Nei giorni seguenti, ho trovato altri documenti di tesori e terreni dei Barovier, che il duca gli aveva confiscato e successivamente messi a suo nome. –
- Perché non lo ha denunciato? – lo interruppe bruscamente il Doge.
- Lo avevo pensato, signore. Ma il duca aveva minacciato di rendere noti alcuni miei vizi, che avrebbero compromesso la mia carriera. – rivelò imbarazzato.
- Mi racconti del giorno della morte del marchese. Lei cosa c’entra? –
- Quel giorno mi trovavo in prigione, proprio dal marchese Barovier. Buon uomo, eravamo amici. In cuor mio, non mi andava di vederlo in quello stato e, soprattutto, volevo preservare qualche bene per i suoi figli. Per cui ero andato lì per consigliarlo. Non sono andato col duca, come sostengono altri. – disse rivolto a Kagome – Quando sono uscito dalla cella ho sentito la voce del duca avvicinarsi, così mi sono nascosto. L’ho visto entrare e l’ho sentito borbottare qualcosa contro il marchese. A quel punto mi sono avvicinato e ho sbirciato dalla piccola fessura sbarrata, e ho scorto il duca Sceriman costringere Toga a bere una fialetta. A quel punto sono corso via. Per il resto, sapete come è andata. – concluse l’avvocato, rammaricato.
- C’è qualcuno che può confermare le vostre parole? – chiese il padrone di casa.
- Sì, signore. – si intromise Kagome – Il soldato fuori la porta e anche il dottor Suikotsu Dolfin. –
- Molto bene, allora… Miroku! – lo chiamò il Doge. –
- Sì, padre. –
- Manda una lettera al direttore del carcere, dicendogli di scarcerare con effetto immediato i figli di Barovier. E poi, voglio parlare con questo medico. Trovalo e conducilo qui. – gli ordinò imperativo.
- Sarà la prima cosa che farò domattina. Ora corro a spedire la lettera. – disse prima di sparire.
- Signorina Sceriman. – esordì il vecchio Gritti.
- Sì. –
- Vi rendete conto che con la testimonianza dell’avvocato Mirelli, vostro padre verrà condannato? – le espose.
Kagome deglutì a vuoto.
- Lo so, signore. – rispose con voce tremante – Ma si è sporcato di un crimine riprovevole. Adesso dovrà pagare il prezzo delle sue scelte e dei cattivi consigli che gli sono stati dati. Non  trovo giusto che a subire le conseguenze delle sue colpe, siano i figli del marchese. –
Il Doge annuì con la testa, ammirando il coraggio di quella giovane ragazza.
- Potete andare. – annunciò – Mi avete fornito tutti i dettagli per condannare il duca e sua sorella. –
Una volta fuori dal palazzo, l’avvocato si congedò all’istante, lasciando soli Kagome e Bankotsu.
- Secondo voi, ho fatto la cosa giusta? – chiese all’improvviso la giovane.
- Vi siete forse pentita della vostra scelta? – ribatté il soldato aggrottando la fronte.
- Mio padre sarà sicuramente condannato a morte. – bisbigliò con voce incrinata – Come… Come faremo senza di lui. – confidò, prima di scoppiare in un pianto disperato.
 
 
 
***
 
 
 
Il mattino seguente, alle prime luci dell’alba, Inuyasha e Sesshomaru lasciarono il carcere da uomini liberi. Fuori dal portone trovarono Kagome e Rin ferme ad attenderli.
- Vi avevo detto che vi avrei tirato fuori di lì. – pronunciò felice Rin, nel riabbracciare il suo Sesshomaru.
- Siete una sorpresa continua. – le rispose sorridendole.
- Il merito è di mia sorella. È grazie a lei se siete stati graziati. – ammise.
- Dovete spiegarmi come avete fatto a convincere quel codardo di Mirelli a parlare. – esclamò Inuyasha, avvicinandosi a Kagome e prendendole una mano.
- Io ce l’ho messa tutta, ma diciamo che Bankotsu ci ha messo del suo. – rivelò arrossendo.
- Non mi importa chi è stato, la cosa che più conta è che adesso sono libero e sono con le persone che amo. – proferì Inuyasha, stringendo Kagome fra le sue braccia – Venite, torniamo a casa. – disse staccandosi da lei, ma senza lasciarle la mano, incamminandosi.
Avvertendo una certa resistenza da parte della ragazza, il giovane Barovier si girò a guardarla. Notò che Kagome si stava scambiando degli sguardi imbarazzati con sua sorella, che aveva chinato il capo e aveva lasciato la mano di suo fratello. Girò la testa verso Sesshomaru, come a volergli chiedere spiegazioni.
- Cosa c’è? – chiese infine Inuyasha, dopo la scrollata di spalle del maggiore.
Kagome si strinse nelle spalle, guardando il ragazzo di sottecchi.
- Noi… - esitò qualche istante, ma non riuscì a continuare.
- Noi non abbiamo più un posto dove andare. – mormorò Rin, spalleggiando sua sorella.
I due fratelli si scambiarono un’occhiata, leggermente sorpresi. Poi entrambi si pararono dinanzi alle due fanciulle.
- Ma certo che lo avete. – esclamò Sesshomaru, portando due dita sotto il mento di Rin, e alzandole delicatamente la testa – Verrete a stare da noi. –
Le ragazze si voltarono di scatto a guardarsi e un sorriso misto tra imbarazzo e felicità, abbellì i loro visi.
- Sì. – esordì Kagome, stringendo maggiormente la mano del suo amato Inuyasha.
Una volta giunti a villa Barovier, i quattro trovarono il vecchio custode Totosai e il piccolo Shippo sull’uscio della porta ad attenderli,  gioiosi per il ritorno dei due giovani fratelli, sani e salvi.
- Sono così felice di rivedervi. – confessò Totosai, asciugandosi le lacrime con la manica della camicia.
- Anche noi siamo contenti di rivederti, vecchio mio. – dichiarò Sesshomaru, poggiando una mano sulla sua spalla e stringendola appena.
- Venite, vi ho preparato un buon caffè nero fumante e il piccolo Shippo ha portato qualche pasticcino per la colazione. – li informò il custode, mantenendo la porta aperta e lasciandoli entrare.
Prima di varcare la soglia, Inuyasha si fermò a ringraziare il ragazzino, che lo sorprese abbracciandolo alle gambe. Il giovane gli posò amorevolmente una mano sulla testa.
- Cosa ti turba, Shippo? –
- Nulla signore. – disse – Sono felice che stiate bene. – confidò con tono incrinato.
Inuyasha lo prese in braccio.
- Non piangere, non ce n’è motivo, ormai. –
- Sono lacrime di gioia, signore. –
Kagome li fissò intenerita, avvicinandosi al ragazzino e accarezzandogli una guancia.
- Tutto si è concluso per il meglio. – disse, ma sapeva in cuor suo di mentire a se stessa per quell’affermazione.
- Forza, andiamo dentro. Ho una gran fame. – enunciò Inuyasha, scatenando l’ilarità degli altri.
 
 
 
***
 
 
 
Quando il duca Seriman era venuto a conoscenza di ciò che avevano fatto le sue figlie, le maledì. Raccolse tutti i suoi averi e li rinchiuse in un vecchio baule appartenuto un tempo alla sua defunta moglie.
Si era imbarcato insieme a sua sorella su un vecchio battello malandato, per non attirare l’attenzione, con l’intento di lasciare per sempre, o per un periodo, Venezia. Ma i suoi propositi di fuga, erano stati bloccati alle prime luci dell’alba dalle guardie della Repubblica Veneziana. Li avevano intercettati grazie a una spia che si era prodigata ad aiutare Sceriman, dopo la soffiata della figlia. Li avevano bloccati a largo delle coste e, con grande soddisfazione di Bankotsu, fu proprio lui a condurli al cospetto del Doge.
Quest’ultimo, aveva accusato i fratelli Sceriman, di alto tradimento e cospirazione verso la sua persona e la Repubblica Veneziana. Li fece imprigionare nelle segrete del Palazzo Ducale e, senza indire alcun processo, il Doge condannò il duca Sceriman a morte, per slealtà e in più per l’omicidio del marchese Barovier. Sua sorella fu condannata per gli stessi reati, tranne che per l’omicidio non avendo prove sufficienti e fu esiliata su un’isola sperduta nel Mediterraneo, fino alla fine dei suoi giorni. 
Infine, il Doge restituì tutte le terre e i tesori defraudati ai Barovier, i legittimi proprietari. Dopo qualche tempo, le due famiglie si unirono in matrimonio eliminando tutti i dissapori.






ANGOLO AUTRICE

Salve a tutti. Spero che la storia sia stato di vostro gradimento. Confesso che mi sono divertita molto a scrivere questa os (o papiro, se preferite XD) e per questo, ringrazio la meravigliosa Miyu87 per la splendida traccia che ha proposto.
È la prima volta che mi cimento in questo genere di storie. Spero di essermela cavata almeno un pochino. Per quanto ami i thriller, non mi reputo all'altezza di scriverne uno ^^'
E poi, un grazie speciale va alla mia splendida Stardust87 che mi supporta/sopporta sempre.
In più, vi do un'anteprima. Ci sarà uno spin-off su Rin e Sesshomaru. I miei amorini non sono stati inseriti così a caso, era tutto calcolato.

Vi lascio alcune delucidazioni. 
- Primo: i cognomi dei vari personaggi, sono realmente dei cognomi di alcune famiglie veneziane.
- Secondo: Il Patriziato veneziano costituiva uno dei tre corpi sociali in cui era suddivisa la società della Repubblica Veneta, assieme ai cittadini e ai foresti (forestieri). Patrizio era il titolo nobiliare spettante ai membri dell'aristocrazia al governo della città di Venezia e della Serenissima
- Terzo: i Doge, era la suprema magistratura della Repubblica di Venezia.
- Quarto: i Piombi sono un'antica prigione situata nel sottotetto del Palazzo Ducale di Venezia, nel sestiere di San Marco. Il nome deriva dal materiale col quale era costruito il loro tetto. 


Grazie a tutti per aver letto, a presto! <3


  
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