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Autore: Hikari_Sengoku    04/03/2018    1 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avviso pre-lettura: Alcune delle espressioni di Cori di questo capitolo potrebbero contenere forti invettive contro caratteristiche proprie dell’accento toscano. A scanso di equivoci, io non ho nessuna forma di razzismo contro i toscani, anzi, ho conosciuto persone bellissime, fantastiche, spettacolari, stra-fanta-mega-ultra-ecc.ecc. gentili, simpatiche e quant'altro, e sono fiera di averle conosciute, che sono toscane, questo personaggio si ispira semplicemente ad una persona reale, di cui ho voluto prendere anche il dialetto. Io e questa persona non abbiamo alcun genere di rapporto conflittuale, ma spero vivamente, per la scena finale, che non legga mai questa storia, perché sarebbe causa non indifferente di disagi. Quindi Capo Clan, se stai leggendo smetti subito! O almeno, fermati prima, perché vi assicuro che l’ho fatto solo per motivi di trama...
 
Niobis e le c aspirate (per non chiamarlo tragedia di Cori, che va in paranoia)
 
Come era stato pronosticato, pochi giorni dopo la famosa esplosione un gruppo di marine e scienziati fece la sua comparsa sulla scena, rivoltando come un calzino la zona incriminata e interrogando a tutto spiano la popolazione del luogo, il Sensei e Mitsuru compresi. Fortunatamente, Cori non si trovava nelle vicinanze al momento, e quando i marine chiesero di lei tutti furono concordi nel dire che il giorno precedente si trovava in visita al villaggio, e che nessuno l’aveva vista perché era passata in controra, e quindi all’ora X doveva essere ancora sulla via del ritorno, ben lontana dal campo, su cui comunque era stato possibile trovare poco e niente, visto il tempestivo intervento di Mitsuru. Vane furono anche le parole che i militari usarono per convincere il maestro a consegnare l’allieva per un controllo, in quanto la giovane si trovava a far ricerche su un fiore rarissimo, che l’aveva portata dall’altra parte dell’isola, e che purtroppamente l’avrebbe tenuta impegnata a lungo in una foresta terribilmente intricata e difficile da esplorare, e che in fondo loro cosa se ne facevano di un povero sgorbio deforme? Chiaramente non poteva essere lei ad aver causato il fattaccio! Insomma, la diplomazia la fece da padrone, o almeno si immagina fosse diplomazia, dato che quando all’Ispettore chiesero cosa gli fosse successo all’occhio, lui rispose ‘niente…’ mentre tremava, sicuramente dal freddo, sai quanti danni provoca l’ipotermia…
Comunque, in un modo o nell’altro, in un paio di mesi la cosa sarebbe passata in cavalleria, soprattutto grazie ai grandi eventi che scuotevano la Rotta Maggiore, quindi l’unica cosa che Cori avesse da fare era attendere ed allenarsi. Spostata la location, il succo del discorso non cambiava poi tanto, no? E invece no, perché il Sensei pensò bene, memore delle nuove scoperte, di inaugurare un nuovo tipo di allenamento, che comprendeva lei, Mitsuru e diversi traumi cranici, che davano un tocco di colore ad un’esistenza altrimenti nera, insomma, notte in tenda, niente fuoco, luci o quant’altro, niente canti, suoni, risate… un po’ una noia, no? Quindi aggiungiamo un altro po’ di rosso, che il rosso non deve mancare mai in ogni storia che si rispetti. Cominciò tutto col Sensei che un bel mattino bussò alla sua tenda con un: “Avanti, sorgi e brilla bella addormentata, avanti hop hop hop!”, con un tono che più che ricordarle Mushu le ricordava il gran calcio che aveva dato all’ultima persona che aveva osato svegliarla in modo così brioso, o peggio, con una canzone! Quando riemerse dalle sacre coltri del suo sacco a pelo e spinse la testa fuori dall’entrata della sua bellissima tenda (quant’era bella, tutta bianca, splendente, pulita! Non doveva nemmeno lavarla, o montarla, o stenderla per non farla ammuffire, che delizia!) , la scena che le si presentò davanti era un po’ diversa dal solito: Innanzitutto era l’alba, e da quando si era trasferita il Sensei non era mai arrivato prima delle sette. Poi c’era Mitsuru, che la accoglieva con la sua espressività da premio Oscar, tutta imbacuccata nel suo kimono più pesante, un aggeggio di panno rigorosamente viola ed il già noto Fiocco Falcidiante rosso, praticamente uguale alla prima volta che l’aveva vista, con quel paio di treccine fatte con un nastro rosso ai lati del viso, i capelli castani rigorosamente pettinati e lo sguardo che illuminava più di mille soli solo a tenere gli occhi chiusi. Il Sensei, come al solito, ghignava, giá pronto ad una delle sue malefatte. Avrebbe finito per inciderselo nella coscienza, quel ghigno malefico. Si ritirò nella sua tenda, afferrò i primi vestiti a tiro che non somigliassero ad un imbarazzante pigiama con i gattini color puffo con la nausea, e si ripresentò fuori con gli occhi a saracinesca e l’alito di un camionista alcolizzato. Perché il Sensei sembrava così felice, a quell’ora infame? “Ah, ecco la mia bella ragazza, sei più brutta del solito, stamattina”
“Perde un po’ di significato, se lo dici tutti i giorni” biascicò assonnata in risposta, stirandosi tutti i muscoli con perizia ed estrema lentezza. Il Sensei, ovviamente la ignorò. “Vieni, vieni bella ragazza, oggi combatterai con Mitsuru, non sei contenta?” chiese retorico invitandola a confrontarsi con la giovane.
“E in che modo questo dovrebbe aiutare a controllarmi?”
“Vedrai, vedrai che ti sarà utile, ti sbatterà per bene come, hai presente, le bistecche? Quelle vanno sbattute per farle diventare moorbide morbide. Poi scommetto che ci riuscirai”
“Perché ho come l’impressione che andrà a finire peggio del solito?”
Perché sarebbe proprio finita peggio del solito. Mitsuru era fondamentalmente imbattibile, almeno per lei. Innanzitutto Cori, con tutto l’allenamento che aveva fatto, aveva ancora qualche problema a gestire le distanze, tanto che spesso e volentieri abbatteva gli alberi con una testata, o magari si dimenticava in toto della loro esistenza, finendo per farci un delizioso ballo a due. Per fortuna aveva quella specie di corazza! Che comunque non le aveva evitato di finire ko innumerevoli volte. Ormai, i loro scontri stavano diventando uno sketch comico. Lei che si buttava a capofitto tipo razzo su Mitsuru, che nel migliore dei casi brillava sussurrando un ‘rallenta’ bloccando il suo slancio, nel peggiore deviava semplicemente il suo colpo facendola andare a sbattere più o meno ovunque. Per gli spettatori la scena appariva più o meno così: La baia con il mare cristallino, gli alberi a far da contorno, la sabbia bianchissima e Mitsuru immobile al centro di questo scenario idilliaco, con lo sguardo perso nel vuoto, completamente atono. Ogni tanto, nella visuale appariva una macchia nera dalla forma vagamente umana, che poi scompariva un istante dopo per ritrovarsi di fronte a Mitsuru, che impassibile la cacciava via con una misera parolina. Altre volte, quella stessa macchia finiva per schiantarsi un po’ ovunque, creando crateri intorno all’altra ragazza, che rimaneva invece totalmente impassibile, illuminandosi appena di quel giallo senape, che era l’unica cosa che le splendeva negli occhi. Se era in vena di scherzi, le lanciava addosso gli oggetti, noci di cocco, interi alberi, anche la sua stessa tenda (cosa per cui Cori aveva protestato a lungo). Tendeva la mano e per lei il gioco era fatto, e per Cori l’unica cosa che cambiava era che con l’Haki intuiva le sue mosse poco prima che le facesse. Vedeva la sua sagoma spenta compattarsi e brillare, come un’esplosivo, mentre l’odore di metallo incandescente permeava l’aria, tanto che quando in un modo o nell’altro Cori riusciva finalmente a spegnersi (i casi erano due, o sveniva o si addormentava, e il Sensei aveva una spiccata predilezione per il primo), si aspettava sempre di ritrovarsi su di un lago di vetro, speranza prontamente spenta dalla cruda realtà dei fatti. Ovviamente, la speranza di schivare i colpi era ancora inferiore. Era un po’ come giocare a palle di neve: Lei immobile che faceva da bersaglio. In questo caso, non era immobile ma il risultato era lo stesso, le sembrava di giocare a palla avvelenata, tanto che lei i proiettili li vedeva solo come contorni luminescenti.
Il giorno in cui riuscì a riassorbire il proprio potere era cominciato come un giorno qualsiasi, gli uccellini cinguettavano, il sole brillava, il Sensei berciava, e Cori era tanto felice di starsi facendo ammazzare, invece di trovarsi ad un comodo (si fa per dire, quella roba è un attentato alla colonna vertebrale) sgabello universitario. Era la ventordicesima (si, ventordicesima, se avete problemi con il ventordici sono fatti vostri) volta che si lanciava a scheggia sull’obiettivo, quella scialba ragazzina. Fu a quel punto che successe una cosa imprevedibile: Il Sensei chiamò Mitsuru, distraendola. Cori sentì che qualcosa non quadrava, il suo Haki non percepiva nessun attacco, nessuna mutazione, si stava lanciando a corpo perso contro una persona indifesa, porca, porca porca miseria, non sarebbe mai riuscita a deviare ad una velocitá simile, l’impatto sarebbe stato fatale! Doveva fermarsi, diminuire la velocitá… Fu a quel punto che sentì le parole del Sensei: Usiamo quella Tecnica. E Cori la usò. Per un solo, misero istante il mondo smise di girare, quando Cori si trovava a pochi metri da lei, immobile, protesa con il braccio nella sua direzione, immaginò che quella forza che la tirava fosse in realtà un vento, che la spogliava di quella sostanza…
E capitombolò a terra come una pera cotta, ad una velocitá fuori dal normale che quasi le spezzò il collo. Grazie Maestro! Pensò Cori rotolando come una trottola impazzita. Finché finalmente non giacque, in stile stella marina, e dopo un momento di surreale silenzio, scoppiò a ridere. Ce l’aveva fatta! Ce l’aveva fatta…
 
 
 
 Il giorno in cui Niobis arrivò era una fredda, assolata giornata invernale. Costui era un giovane maestro, poco più che ventenne. Aveva una folta chioma castana, e due grandi e penetranti occhi dello stesso colore, barba e baffi corti e curati. Sopra due sopracciglia dritte e folte c’era una fronte alta e spesso corrugata, sotto invece vi era un naso importante, un po’ a patata, e due labbra carnose. Vestiva semplicemente, con un kimono di bassa fattura di un simpatico color verde ramarro, e ai piedi portava i tabi. Si incamminò ciabattando nei suoi legnosi calzari dalla piccola cala in cui era approdato, a largo dal porto del nuovo villaggio dal quale aveva fatto attenzione a non farsi avvistare, e risalì il monte, fino ad arrivare alla Svolta a Sinistra. Niobis la prese, e gli apparve un paesaggio bucolico: La casa immersa nel silenzio della valle addormentata e l’odore della terra rivoltata e morbida. Nel campo vi era un’unica figura con indosso un ampio mantello, stava arando un campo vicino alla serra. La figura incappucciata non era altri che Cori, ma Niobis non poteva saperlo. La figura, sentendolo avvicinarsi a bordo campo sollevò la testa, spogliandola del cappuccio, e si appoggiò alla zappa. Al giovane apparve una pallida testa calva, con uno sfregio magenta intorno all’orecchio. Lo affascinò la nobiltà di quei lineamenti, che non erano belli: L’assenza dei capelli marcava un profilo severo per la piega di occhi e bocca, ma dolce nelle morbide forme del naso simile al suo, della forma del viso e della curva delle labbra. Un viso controverso, interessante, ma avrebbe lasciato a dopo i suoi studi di fisiognomica. “Ehi, tu! Mi sai dire dove posso trovare Sensei Tenshi?” gli urlò.
“Mi segua” gli rispose quello, dirigendosi a passi lunghi ed energici verso il granaio sul retro, con lo svolazzante mantello al seguito. Mentre andavano, gli chiese: “Chi siete?”
“Ma home, non mi rihonosci? Ma qui mi honoscono tutti! Io sono Niobis, il migliore allievo del tuo maestro” si presentò, seguendola senza sforzo. Era un bel ragazzo. Modesto, sicuramente, pensò guardando quel volto sorridente. Non che un bel ragazzo non potesse essere anche bugiardo, ovviamente. Anzi.
 Bussarono. “Sensei, qui c'è qualcuno che la cerca. Dice di chiamarsi Niobis” gli disse attraverso la porta. Il fienile era più alto della casa, quasi immerso nella selva, ed era più simile ad un magazzino che ad altro.
“Ah, Niobis! Vieni, bel ragazzo!” sentirono attraverso la porta. Il giovane entrò, la ragazza stava già per andarsene quando il Sensei la chiamò: “Entra, Cori, e chiudi la porta”. Lei obbedì, entrando nella stanza centrale, satura di profumi di erbe messe a seccare. C’erano alti fasci di lavanda che le facevano montare la nausea. Il Sensei era al centro, il giovane si posizionò di fronte a lui e Cori in mezzo, vicino il più possibile alla porta.
“Allora bel ragazzo, dimmi: Come vanno gli affari giù all’isola di Kaiyou Ushi? Scommetto che lì non hai mai visto una bella ragazza come questa!” gli chiese, strizzando la guancia di Cori tra due dita e ammiccandogli divertito davanti allo sguardo omicida di lei.
“Quale bella ragazza? Voglio honoscerla, assolutamente! Dov’è?...” chiese subito acceso Niobis, girandosi tutto per guardare in giro, per poi accorgersi di lei. “Ah. No, scherzavo, so che tu sei una ragazza!” Ah-ah. E lei ci doveva credere.
Il Sensei rise, appoggiato ad un fascio di erbe. “E come mai sei venuto?” chiese, con un sorriso accennato sulle labbra. Sembrava veramente contento, un’espressione che raramente aveva visto sul volto del Sensei.
“Sono venuto a vedere home te la passavi, vecchio. Era da tanto che non prendevi un allievo, vedo che hai fatto begli acquisti!” rispose, scoccando un’allegra occhiata di scuse a Cori, che non ricambiò, aggrottando la fronte. Pensava forse che il Sensei l’avesse comprata in un negozio di souvenir?
“È vero. Quanto resterai?” chiese diretto l’uomo, incrociando le grosse braccia pelose. Sembrava sperare davvero che Occhi di Volpe restasse a lungo, doveva tenerci molto a quel ragazzo.
“Mah, pensavo tipo un paio di giorni, se non è un problema, ovviamente!” ridacchiò l’altro.
“Bene, mi aiuterai con questo lombrico allora” sogghignò il Sensei tirandole una fortissima pacca sulle spalle.
“Certo, hosa deve fare?” disse, rivolgendole uno sguardo limpido.
“Abbiamo un problema, ti faccio vedere. Trasformati, Cori” ordinò il Sensei, spostando con un braccio Niobis lontano dai pilastri e dalle cataste di erbe.
Cori si concentrò: stirò le braccia, chiuse gli occhi, la pelle cominciò a fumare, e immediatamente si ricoprì della ribollente sostanza nera.
“Che troio!” esclamò stupito il maestro. “Cioè, è forte!” si corresse correndole davanti. Allungò la mano per provare a toccarla, ma lei arretrò con un passo rigido. Sembrava un’enorme statua in ombra, nonostante la luce entrasse luminosa e radente da un finestrone. La luce non riverberava ne si rifletteva su quella strana superficie compatta. Il maestro si fermò, in piedi di fronte a lei, osservandola attentamente.
Il Sensei fece un cenno, e Cori si lanciò all’attacco, e sfruttando il proprio potere sui varchi dimensionali lo travolse. Il maestro non se l’aspettava, ma appena fu a terra contrattaccò, o almeno ci provò, perché afferrò il suo avambraccio con la destra e si ritrovò subito nel buio. Lasciò di scatto il braccio e tutto tornò normale. Il giovane la guardò confuso mentre lo sovrastava, bloccandolo steso a terra con una grande mano artigliata premuta sull’addome coperto dal kimono. Era inquietante: Muta, nera ed enorme, un incubo, un demone seduto sul suo petto. “Va bene, ora puoi lasciarmi” ma la ragazza non obbedì, ne diede segno di averlo sentito. “Ehi, mi senti? Ho detto che puoi lasciarmi andare!” le urlò. Provò anche a spintonarla col braccio, ma lei sembrava non farci minimamente caso. Il Sensei fece un cenno e Cori lo lasciò andare, rimettendosi in piedi. Era rigida e immobile.
“Ma mi vede?” chiese confuso il giovane, passando una mano davanti alla testa di lei. Cori afferrò al volo la manica del kimono, che per come la vedeva lei apparteneva ad un’aura frizzante color ruggine, con un odore di… assomigliava un sacco all’odore di alcuni detersivi profumati per il bucato, un’odore molto, come dire, maschile, anche se indubbiamente buono.
“Non ti può vedere ne sentire, ma ti Percepisce. Non ti può obbedire, non ti sente!” precisò il Sensei, liberando la manica dell’ex-allievo dalla stretta di Cori, il cui braccio tornò immobile lungo il fianco. Il petto della creatura si alzava e si abbassava velocemente, affannato.
“E allora home hai fatto ad ordinarle di staccarsi?” chiese lui, fissandola sospettoso.
“Ahhh, ma allora non mi ascolti quando parlo! Te l’ho detto: Percepisce le nostre aure!” rispose finto scocciato l’altro.
“E allora qual è il problema? Non riesce a tornare normale?”
“No. C’abbiamo messo parecchio, ma alla fine qualcosa di buono questo lombrico lo sa fare. Il problema è che in questa forma non può sapere cosa succede intorno. Voglio che riesca a controllarlo, che si trasformi solo in parte” disse l’uomo, passandosi una mano fra i capelli a spazzola.
“Hapisco. Beh, possiamo sempre provare! Dille di tornare normale!”
“Ah, certo. Prendila!” ordinò al giovane. Il Sensei fece segno di fermarsi, e Cori lasciò le nuove sembianze per ondeggiare e successivamente cadere febbricitante fra le braccia di un esterrefatto Niobis, che la sorresse prontamente, tenendola con un braccio dietro la schiena e facendole posare la testa sulla spalla. Il respiro bollente di lei finiva nell’incavo della clavicola. “Ha la febbre altissima!” constatò premendo le labbra sulla fronte della ragazza. “Bisogna portarla subito a letto!”
 “Non farci caso, finisce sempre così quando si trasforma per poco tempo. Dalle qualche minuto e tornerà a posto” proferì quasi con nonchalance il Sensei mentre usciva dal fienile. Niobis lo guardò, nuovamente esterrefatto. Si sedette piano piano a terra, portando con se la ragazza che tremava tutta, aveva gli occhi lucidi e assenti, ma si tirò su il cappuccio e si strinse nel mantello, facendo leva sul suo petto per rimettersi in piedi barcollando. Niobis non voleva che si sforzasse, la prese per le spalle fermandola. “Ehi, tu! Fermati un attimo, non ti senti bene!”. Lei le scosse debolmente e mormorò: “Tranquillo, va tutto bene. Ora passa”, poi si girò e continuò a seguire il Sensei fuori. Il ragazzo la seguì, non sapendo bene che fare.
Il Sensei e Cori si fermarono in mezzo alla spianata. Lei si sedette a gambe incrociate a riprendere fiato, mentre l’altro chiamava Niobis: “Dai, sali! Che c'è, c’hai paura?”
“Eh, no!” Il ragazzo corse, per mettersi di fronte a Cori e posando un ginocchio a terra, porgerle la mano. “Sihura che non ti serva una mano?”
Ma Cori alzò lo sguardo, ora più limpido, e gli sorrise: “No, grazie, faccio da me!” gli dice, scoprendosi la testa e rialzandosi in piedi. La sua pelle era tornata normale, e anche se aveva un po' di mal di testa, sembrava aver avuto una ripresa formidabile.
“Ok. Ora Cori innescherà la trasformazione e vedremo quanto tempo impiegherà a cadere come una pera cotta”
Cori si allontanò dai due, e stavolta sfiorò appena, occludendolo, il sesto foro sulla sua testa. Immediatamente, il suo corpo cominciò a fumare e riscaldarsi, assumendo un’insana colorazione rossastra e ricoprendosi di un velo di sudore che andava via via evaporando. Proprio come tanti mesi prima, resistette all’impulso di liberare ciò che spingeva per fuoriuscire dalle sue membra, senza riuscire a soffocarlo. Sentiva un forte peso gravare direttamente sulle sue ossa, mentre un velo nero cominciava ad offuscarle la vista. Provò a resistere, spalancò gli occhi, fissando lo sguardo sui due uomini davanti a lei, ma la vista si stava facendo confusa, non riusciva a controllare lo sguardo su niente…
 
 
Il Sensei osservò per l’ennesima volta la sua allieva tentare di resistere al forte impulso che ogni volta riusciva a sopraffarla, la vide piegare la schiena, mentre i suoi occhi si spalancavano in un’espressione quasi spaventata, attonita, almeno finché non vide un velo nero oscurare i suoi occhi, coprendone lentamente la visuale, e con essa tutte le mucose, lingua, bocca, naso, tutto, molto lentamente, controllato a fatica dalla ragazza che ansimava sempre più nel tentativo di resistere in quella che sembrava un’impresa improba.
Fu a quel punto che Niobis scattò. Il Sensei sapeva che l’avrebbe fatto, era noto per questi suoi slanci, ma non immaginava nemmeno quello che stava per fare. Se solo l’avesse saputo, l’avrebbe fermato, perché non poteva proprio venirne niente di buono. Eppure doveva saperlo, che gli sarebbe venuto in mente, era stato proprio lui a insegnarglielo! Sapeva che in realtà era l’unica cosa giusta da fare per velocizzare il processo, ma per la sanità mentale sua e di Mitsuru mai avrebbe messo in atto un piano simile.
Niobis corse, quasi fosse inseguito da un migliaio di creditori richiedenti la sua testa su un vassoio d’argento, allungò le braccia e con una forza inaudita…
Baciò Cori! Si, la baciò sulle labbra, spingendoci contro le sue con forza, stringendo nelle mani le braccia della ragazza come se volesse strappargliele, guardandola con gli occhi spalancati. Ovviamente Cori non si fece scrupoli, e dopo un primo momento di stupore, invece di respingerlo normalmente, approfittò del suo stesso slancio per afferrargli la spalla con il braccio sinistro e catapultarlo lontano con un Tomoe-nage* in piena regola, assicurandosi che il piede non stesse sugli addominali ma ben più giù. Il Sensei non poté far altro che ridere. Cori si rialzò subito in piedi, pulendosi le labbra col braccio destro, fissando con profondo astio il ragazzo di già in piedi anche lui, che invece rideva. “Non farlo mai più!” Solo allora si accorse di vederci benissimo, e che il braccio sinistro, quello che aveva usato per catapultare Niobis, era molto più pesante dell’altro, e ricoperto di quell’orribile sostanza che lei aveva visto solo un’altra  volta addosso a suo nonno. Era tre, quattro volte l’altro, gonfio e insensibile, tanto che oltre il gomito lei lo percepiva come un arto fantasma. Le dita erano artigliate, si accorse flettendole con un po’ di fatica. Percepiva solo molto bruciore all’attaccatura col braccio, e odore di carne cotta, non molto piacevole, ma non dolore. La luce non sfiorava nemmeno la cosa, lasciandolo di un nero uniforme e compatto, senza nessuna increspatura o particolare forma che non appartenesse alla sagoma del braccio all’interno.
“Ce l’ho fatta!” rise Niobis, osservando il suo braccio. “C’è voluto poco, visto?” si vantò avvicinandosi a lunghi passi.
 “Non ti avvicinare!” ringhiò la ragazza spostando di nuovo lo sguardo su di lui. Era una cosa che la mandava in bestia. Era il suo primo bacio, porca miseria! E poi, come aveva osato, senza alcun permesso? Si strofinò furiosamente la manica sulla bocca. Bleah! Sapeva di comportarsi in maniera infantile ma che schifo!
“Ma dai, non dirmi che non ti è piaciuto!” la prese in giro il ragazzo, al che Cori lo fulminò, decidendo alla fine di ritirare il proprio potere e allontanarsi dalla scena a passo di marcia, con tutta l’aria di una che avrebbe potuto spaccarti il muso da un momento all’altro, seguita dal suo svolazzante mantello e una bella nube temporalesca sulla testa calva. I due uomini rimasero con aria stoica in cima alla spianata, fissandola andare via.
“Non ha gradito” commentò il Sensei incrociando le braccia al petto villoso.
“No, direi proprio di no” rispose a sua volta Niobis, grattandosi con fare nervoso la testa e assumendo un’espressione fra il divertito ed il perplesso.
“Complimenti, anche se non vorrei essere al tuo posto! È stata una grande idea” l’uomo si complimentò con lui, assestandogli una forte pacca sulla spalla.
 
Cori arrivò all’acquaio dietro la casa con un diavolo per capello (si fa per dire), la fronte contratta dall’ira, le mani strette a pugno e una scia di orme calcate dietro di lei per quanto aveva pestato i piedi. Si scoprì il braccio incriminato, immergendolo poi di botto nell’acqua gelida, sospirò di sollievo: Il braccio era gonfio e ustionato, di un bel rosso acceso, con una scia sanguinolenta e piena di vesciche lungo la linea di stacco. Al diavolo l’allenamento! Al diavolo tutti! Col cavolo che sarebbe tornata lissù finché ci fosse stato quel bellimbusto, era fortemente tentata di prendere le sue cose e dormire all’addiaccio quella notte.
L’acqua, increspata dall’immersione del braccio si distese, permettendole di vedere il proprio riflesso, che Cori studiò con animosità, nell’ansia di vederci una diversità, nel capirci finalmente qualcosa. Non si soffermò affatto sulle labbra, quei due pallidi pezzi di carne che morse fino a farli sparire dentro la bocca, sentiva ancora la pressione di quelle dello sporco traditore, e non voleva pensarci ancora o sarebbe tornata su a pestarlo male male malissimo. Ricordava com’era pochi mesi prima, il viso tondo e roseo, la capigliatura riccissima, e ancora stentava a riconoscersi. Ogni tanto si passava le dita sulla testa distrattamente, aspettandosi di incontrare la morbida resistenza dei capelli e non trovando nulla se non lo spessore delle cicatrici. Il volto si era affilato, senza tuttavia diventare aguzzo. Sembrava solo più maturo e aveva perso ogni traccia di rossori puerili, diventando di un pallido bianco uniforme, anemico. La mascella si era definita, dando quasi un’impressione quadrata al viso che comunque rimaneva largo. Il naso a patata dava un’importante mostra di se al centro di un viso che bello non era mai stato ritenuto, sotto ad un paio d’occhi nocciola perennemente seri o annoiati con le palpebre spesso a mezz’asta, che però non le conferivano per fortuna un aspetto languido, grazie probabilmente alle folte sopracciglia scure sotto cui si trovavano, che le davano un’aria decisa e spesso contrariata. Si passò la destra sul viso, schiacciandosi l’occhio nell’orbita, sfatta, mentre muoveva il braccio sinistro nell’acqua per muoverla e raffreddarsi ulteriormente il braccio. Perché?! Ok che ci era riuscita, ma insomma! Provò a calmarsi, facendo lunghi respiri e gettando la testa all’indietro. Qualcuno avrebbe dovuto donare il pensiero razionale a quell’uomo. E probabilmente anche a lei stessa, dato che in mente le stavano passando una dozzina di scherzi puerili e prettamente stupidi con cui rendergli la vita impossibile, ora che con quel gesto cretino aveva minato mesi di allenamento sulla propria autostima. Senza alcun motivo, poi. Aveva voglia di prenderlo a schiaffi a due a due finché non diventavano dispari, e niente fortunatamente, o sfortunatamente, dipendeva dai punti di vista, le impediva di farlo.
“Stai. Lontano” impose, quando dei passi si avvicinarono alla sua postazione, senza nemmeno girarsi.
“Ma dai, Cori – Cori, giusto?-  lo sai che l’ho fatto solo per l’allenamento!” si lamentò il giovane sciabattando vicino alla sua postazione. Quale masochistico motivo l’aveva spinto a cercare la morte direttamente nella tana del leone?
“E ‘sti gran cazzi non ce lo aggiungi? Sparisci” diventava volgare quando era profondamente irritata. Aggrottò le sopracciglia, dandogli solo una fugace occhiata astiosa, mentre rigirava il braccio nell’acqua fredda, ignorandolo quanto più possibile. Non aveva la minima voglia di affrontare una conversazione civile con quell’individuo, che sembrava comunque immune alle sue male parole. Poteva avere tutte le ragioni del mondo, lei non l’avrebbe ascoltato, quel fatto la irritava ad un livello più profondo della normale razionalità, per la quale avrebbe dovuto semplicemente gioire di essere riuscita nell’intento.
“Ma perché fai così?” lo sentì pestare i piedi dietro di lei. “Ti ho fatto un favore!” si lagnò. Non poteva dargli torto. Ciò non toglieva che lo volesse fuori dai piedi prima di subito, nell’immediato proprio. “Mi da fastidio, ok? Lasciami rodere in pace per conto mio, per favore” Lo avvisò, regalandogli anche un bel sorriso tirato come gentile invito a togliersi dalle scatole, tendendo gli angoli della bocca il più possibile sui denti scoperti, che sembrava volesse azzannarlo, prima di tornare a guardare il proprio braccio con ostinazione. Ora era di un rosso uniforme, color aragosta, e le dita e il gomito cominciavano a far fatica a piegarsi, mentre il bracciale di vesciche che aveva poco più su del gomito sanguinava e si gonfiava, spaccandosi e vuotandosi del pus in esse contenuto, una visione abbastanza raccapricciante e piuttosto dolorosa.
“Non dirmi che era il tuo primo bacio” proferì la voce di Niobis con tono saputo. Poteva giá immaginarlo incrociare le braccia sul petto. Sì, era il mio primo bacio, problemi? Fatti i cavoli tuoi, spocchioso arrogante babbeo, nessuno ti ha chiesto niente, tanto meno un discorso terapico per conciliare ipotetiche divergenze, vai a fare i tuoi test psicologici con qualcun altro! Tanto lo so che mi stai testando, si vede lontano un miglio, e no, mio caro, io non sono così stoica da accettare un bacio per amore della scienza! Quindi fammi il piacere e torna ad aspirare le tue dannatissime c lontano da me! “Anche se fosse non sono affaracci tuoi” protestò la ragazza scuotendo la testa enfaticamente, dandogli ancora le spalle.
“Beh, direi che sono eccome affaracci miei, dato che te l’ho dato io” rispose con un tono quasi orgoglioso il giovane, che Cori avrebbe solo voluto avere la sua testa per usarla come punching ball.  “Vuoi una medaglia? Mi sembra chiaro che non sono felice di vederti, quindi potresti fare un favore al mondo e al tuo orgoglio e andartene prima che ti spacchi il muso?” ringhiò Cori stringendo il pugno libero.
“Sei manesca” commentò Niobis con tono improvvisamente calmo, anche se evidentemente divertito. Mai detto il contrario, anzi, sempre ammesso. Cori era manesca, era un dato di fatto, e non si faceva premura a nasconderlo. “Sai che novità. Credo che le tue parti basse ricordino benissimo l’ultima volta che sono stata manesca” Anche con troppa veemenza.
Il ragazzo rise come se avesse fatto una gran battuta. “Haha, dai! Che ti ho fatto di male per meritarmi questo?” Uno sguardo bruciante lo perforò da parte a parte, mentre un demone furioso prese il posto di Cori, che agli occhi del giovane si trasformò in un mostro di tre metri d’altezza, dagli occhi fiammeggianti e la voce cupa come un tuono: “Non vuoi saperlo. Ora sparisci, prima che con le tue ossa ci faccia stuzzicadenti!” lo minacciò, alzando su di lui il braccio libero. “Va bene, va bene, alzo le mani, ma non finisce qui!” si arrese finalmente, alzando sul serio le mani e arretrando senza mostrarle mai le spalle, come si fa con le bestie feroci.
“Grazie!” gli urlò dietro, prima di testare di nuovo la mobilità del proprio braccio. Pulsava, faceva male e le impediva la metá dei movimenti. Geniale, un’altra cosa su cui lavorare. Che noia… Di una cosa era certa, non si sarebbe fatta baciare ancora, cascasse il mondo lei quell’individuo non voleva vederlo nemmeno in cartolina.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Buonasera, signori e signore, graditissimi ospiti e quant'altro, questo capitolo era programmato da un’eternità, per questo lo pubblico velocemente. Spero non appaia frettoloso, è solo l’inizio dell’approfondimento che farò su Mitsuru, su Cori e la sua evoluzione, e ahimè anche su quel pazzoide di Niobis, che fortunatamente ci importunerà per poco con la sua molesta presenza. Alla prossima,
Hikari_Sengoku
 


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