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Autore: Water_wolf    04/03/2018    5 recensioni
{ Space!AU | Percy/Annabeth, Luke/Ethan }
È una verità universalmente riconosciuta, che non avere un copilota è meglio che averne uno incapace. Per questo, quando Percy diventa il suo nuovo compagno di volo, Annabeth è tutt'altro che contenta. Costretti a fare squadra, impareranno a fidarsi l'una dell'altro—e a non uccidersi a vicenda.
Nel frattempo, il Primo Pilota Luke è scomparso durante una missione. Tranne Annabeth, tutti lo danno per morto. E quando riceve un inquietante messaggio, non le rimane altro che partire insieme a Percy alla volta dello spazio.
Annabeth lo afferrò per un braccio, lo tirò vicino a sé e guardandolo negli occhi mormorò in tono di minaccia: «Se per colpa tua—perché sarà sicuramente colpa tua—oggi ci schiantiamo, sappi che non smetterò mai di cercare di liberarmi di te.»
Le labbra di Percy Jackson si arcuarono in un grande, sfrontato e deliberatamente provocatorio sorriso sarcastico. «Ricevuto.»

♣♣♣
Copilota. Si erano affibbiati l’un l’altro quella definizione, con sprezzo o affetto a seconda del caso, come una moneta che al posto di testa e croce oscilla tra maledizione e benedizione.
Genere: Azione, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Leo Valdez, Luke Castellan, Percy Jackson, Piper McLean
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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THIS SIDE OF PARADISE
 

Parte Prima: Il Muro di Cristallo

 

uno

 

La coda di cavallo ondeggiava ritmicamente dietro di lei, mentre Annabeth faceva il suo ingresso nella sala dei simulatori. L’aria era carica di elettricità e promesse di guai futuri. Annabeth si disse che era solo un po’ di tensione per l’inizio del secondo semestre, eppure non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Sensazione che si intensificò man mano che si avvicinava al proprio simulatore, trasformandosi in un ronzio nelle orecchie che ottundeva i suoni attorno a lei. Poi lo vide.
Un ragazzo. Un ragazzo in piedi davanti al suo simulatore.
Annabeth si impose di rimanere calma. Non era detto che quel tipo si trovasse lì per quella ragione. Poteva essersi trasferito al Campo Mezzosangue dopo le vacanze invernali ed essersi perso. Oppure era semplicemente mezzo addormentato e si era confuso, dopotutto erano appena le nove. Sì, probabilmente il suo vero compagno lo stava aspettando di fronte a un simulatore vicino domandandosi che fine avesse fatto.
Raddrizzò le spalle e si avvicinò, cercando di mostrarsi affabile. «Ciao. Hai bisogno di una mano? Se ti sei perso, posso aiutarti a ritrovare la tua postazione.»
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei e le rivolse un piccolo sorriso. «Grazie» rispose, e Annabeth provò un’improvvisa ondata di gioia. «Ma non mi sono perso. Sono appena stato assegnato a questa unità. Tu sei Annabeth Chase, giusto?»
La diretta interessata bypassò la domanda. «Assegnato a questa unità?» ripeté, cinquanta sfumature di incredulità rintracciabili nella sua voce.
Lo sconosciuto annuì. Si frugò nella tasca interna della giacca e ne tirò fuori un foglio spiegazzato. Annabeth non aspettò che glielo porgesse per artigliarlo. Lo aprì e lesse freneticamente le poche righe che conteneva. Sbatté le palpebre e lo lesse una seconda volta, e una terza. Capiva, ma la sua mente si rifiutava di processare. Si trattava di uno scherzo. Doveva trattarsi di uno scherzo. Il timbro ufficiale del Campo alla fine della pagina, però, sembrava ridere delle sue ridicole speranze.
«Comunque» proseguì il ragazzo, «mi chiamo Percy Jackson.»
A questo, lo sguardo di Annabeth scattò su di lui. Il nome non le era nuovo. Mentre lo ripeteva tra sé per cercare di capire dove l’avesse sentito, la sua bocca divenne secca e sentì sulla lingua il sapore della cenere. Ora ricordava. Percy Jackson aveva stabilito il nuovo record di schianti, fallendo il settanta percento delle simulazioni cui aveva partecipato. Si era schiantato trentasette volte solo nel primo semestre.
Annabeth tentò inutilmente di deglutire. Non era possibile che il ragazzo davanti a lei—una zazzera indistricabile di capelli neri, occhi verdi e divisa appena uscita dalla lavatrice—fosse quel Percy Jackson. Non stava capitando a lei.
«Sono il tuo nuovo copilota.»
«Questo è ancora da vedere» replicò, sbattendogli il foglio contro il petto e allontanandosi a grandi passi.
La sua voce la raggiunse poco dopo. «Ehi, ma cosa ti ho fatto?» domandò, visibilmente offeso. «Si può sapere dove stai andando?»
Annabeth non lo degnò di uno sguardo, neanche di un’occhiata da sopra le spalle. «Da Chirone» chiarì. «Non ho fatto nessuna richiesta per un copilota e di certo non ne ho bisogno. Io volo da sola.»
E soprattutto non con te, aggiunse tra sé.
Allungò il passo, tentando di lasciarselo dietro, ma Percy Jackson continuava a tallonarla con insistenza. Un gruppetto di studenti diretti alle proprie postazioni lanciò loro un’occhiata stranita. Annabeth immaginò si stessero chiedendo per quale ragione stessero uscendo dalla sala di simulazione, quando la lezione stava per incominciare. Li superò velocemente, lasciandosi scivolare addosso i giudizi e gli sguardi curiosi.
Aveva quasi raggiunto il portellone d’uscita, quando quest’ultimo si aprì davanti a lei, rivelando la figura dell’istruttore capo. Chirone era un centauro, ciò significava che dalla testa fino alla cinta era un uomo normale nei suoi quaranta, mentre dalla vita in giù era uno splendido stallone bianco. Nel primo semestre aveva spiegato che preferiva evitare attacchi di panico tra le matricole come loro, celando la sua forma naturale in una sedia a rotelle. Ma tutti sapevano che proveniva da un distante pianeta nella costellazione del Sagittario e che se c’era un torto da raddrizzare, lui era l’uomo a cui rivolgersi. E quella mattina Annabeth era certa ce ne fosse uno che la riguardasse da vicino.
«Annabeth, Percy» esordì non appena se li trovò di fronte. «Stavo cercando proprio voi.»
«Anch’io avevo bisogno di lei, prof» replicò la ragazza. «Questa mattina ho trovato lui» e indicò l’altro senza voltarsi «davanti al mio simulatore. Dice di essere il mio nuovo copilota, ma non è possibile. Ci dev’esser un errore.»
Percy incrociò le braccia e borbottò: «Non è vero.»
Quando Chirone non si mostrò sorpreso, Annabeth avvertì di nuovo la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Aleggiava nell’aria come un presagio nefasto. Il centauro sospirò e abbassò lo sguardo per qualche momento, come faceva sempre quando doveva dare una comunicazione spiacevole. «Mia cara, sono dispiaciuto per te, ma non c’è alcun errore.»
La frase, semplice e concisa, la colpì come una pugnalata alle spalle. Indietreggiò, la bocca semi aperta e gli occhi sgranati fissi sul suo istruttore. «Ma… Ma…» balbettò, tentando di recuperare il proprio equilibrio.
«Camminiamo» suggerì Chirone, portandosi al fianco della ragazza. I tre si diressero lentamente verso il loro simulatore. Attorno a loro, gli altri studenti li osservavano con la coda dell’occhio, cercando di capire la ragione di tutta quella confusione. «Immaginavo che la notizia non sarebbe stata ben accolta, per cui sono qui per spiegarvi tutto.»
«Allora nemmeno lei è d’accordo?» domandò subito Annabeth, sollevata all’idea che il centauro fosse dalla sua parte. «Può far ritirare l’ordine del comando?»
Chirone scosse la stessa. «No.»
Annabeth si pizzicò la pelle del polso, ma la sala davanti ai suoi occhi non si trasformò nella sua stanza e lei non si ritrovò sdraiata nel letto. «Cosa?» mormorò, più a se stessa che agli altri. Non riusciva ancora a credere che ciò che le stava accadendo fosse reale.
Chirone si sentì interpellato, per cui rispose: «Sono stato io ad assegnare Percy Jackson come tuo copilota. Credo sia tempo di farti lavorare di nuovo con qualcuno. Dopo quello che è successo, eri emotivamente provata. Ti ho lasciato libera iniziativa nella ricerca di un compagno per aiutarti. Ma sono passati due mesi e tu non hai ancora deciso con chi fare squadra. Siamo all’inizio del secondo semestre, non posso continuare a chiudere un occhio davanti al tuo caso.»
Annabeth avrebbe voluto mettersi a gridare. Invece, decise di lasciare da parte la frustrazione e usare la logica per rivolgere la situazione a proprio favore. «Capisco quello che vuole dire» replicò. «Non è raro che coppie si separino per trovare qualcuno con cui vadano più d’accordo, in questa parte dell’anno. Mi dia solo un altro paio di giorni e troverò un nuovo copilota. Glielo prometto.»
L’istruttore annuì al suo breve discorso, dopodiché si rivolse a Percy. «Tu cosa ne pensi, figliolo?»
Il volto del ragazzo si illuminò. Sembrava non avesse visto l’ora di poter dire la sua. «Personalmente» esordì, lanciando un’occhiataccia ad Annabeth, «non capisco perché lei non voglia volare con me. Ho il diritto di diventare il suo nuovo copilota tanto quanto qualsiasi altro. Dopotutto, anch’io rientro tra le coppie che hanno deciso di sciogliersi.»
Chirone sorrise sotto i baffi. Spostò lo sguardo sulla sua allieva, invitandola a esprimere la sua opinione. «Annabeth?»
«Non voglio che lui sia il mio partner perché conosco il suo record di schianti. Trentasette, in un solo semestre. Chiaramente non è al mio stesso livello.» Si voltò brevemente verso il ragazzo e aggiunse: «Senza offesa.»
Il moro si ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni e lasciò che un ciuffo di capelli gli ricadesse sugli occhi, nascondendo il suo sguardo omicida. «Lo dici come se lo facessi apposta.»
Il centauro alzò una mano, prevenendo ulteriori commenti da ambo le parti. «Le vostre capacità differenti fanno parte delle ragioni per cui ritengo Percy il candidato perfetto al ruolo di tuo copilota, Annabeth» spiegò, incrociando le dita delle mani e assumendo la sua posa da professore. «Due persone così diverse hanno tanto da imparare l’una dall’altra. Questa è un’opportunità di crescita enorme per entrambi. Sono certo che sarete abbastanza maturi da sfruttarla al massimo.» Sollevò il braccio sinistro e controllò l’orologio. «Mancano meno di cinque minuti all’inizio della lezione. Ho scommesso su di voi, ragazzi. Non deludetemi.»
Detto questo, si voltò e ritornò sui suoi passi. Annabeth fissò la sua schiena finché non scomparve dietro il portellone insieme alle sue speranze.
«Quindi» fece la voce di Percy dietro di lei, soffermandosi in modo eccessivo sulle i. «Suppongo che adesso sia ufficialmente il tuo nuovo copilota.»
Almeno ci hai provato, si disse, ma il pensiero non era per nulla consolante. Con estrema lentezza, si voltò verso il suo compagno e replicò senza energia: «Entra nel simulatore e basta.»
Il ragazzo scrollò le spalle e premette il pulsante per far aprire la porta. Prima che potesse varcare la soglia, però, Annabeth lo afferrò per un braccio, lo tirò vicino a sé e guardandolo negli occhi mormorò in tono di minaccia: «Se per colpa tua—perché sarà sicuramente colpa tua—oggi ci schiantiamo, sappi che non smetterò mai di cercare di liberarmi di te.»
Le labbra di Percy Jackson si arcuarono in un grande, sfrontato e deliberatamente provocatorio sorriso sarcastico. «Ricevuto.»
Dopodiché, entrò nel simulatore e Annabeth fu costretta a seguirlo.
 
 
Annabeth si strappò cuffie e microfono e si precipitò fuori dal simulatore come una furia. Aveva assolutamente bisogno di un posto tranquillo dove poter sbollire la rabbia. Odiava essere costretta a fare coppia con qualcuno. Odiava che questo qualcuno fosse Percy Jackson. Ma più di tutto, odiava come la sua sola presenza fosse sufficiente a farle saltare in nervi. Annabeth coltivava il rispetto e la civiltà nei rapporti. Credeva di possedere un ottimo autocontrollo su se stessa e le sue emozioni. Poi aveva incontrato Percy Jackson e questa certezza si era incrinata.
«Annabeth.»
 No, ti prego. Lasciami stare.
«Annabeth, dai… Possiamo parlarne.»
Perché insisti? Perché? si domandò lei. Prese un bel respiro, ricordò i suoi ideali di civiltà e si voltò. «Okay» rispose. «Parliamone.»
Doveva essere apparsa più minacciosa di quello che intendeva, perché Percy fece un mezzo passo indietro e perse momentaneamente la facoltà di parola. «È stato solo il nostro primo volo» riuscì a dire infine. «Non è andata poi così male. Abbiamo giusto bisogno di un po’ di pratica in più.»
Annabeth dominò l’impulso di inarcare entrambe le sopracciglia. «Se con “non è andata poi così male” intendi “almeno non ci siamo schiantati”, ti do perfettamente ragione» replicò. Il ricordo dell’atterraggio di emergenza—molto di emergenza—era ancora troppo vivido nella sua memoria. «E sì, dovremmo fare più pratica. Molta più pratica. Il pilota e il suo co devono entrambi aver ben presente quali sono i loro ruolo all’interno della nave.»
«Woha. Frena» si impuntò il ragazzo, iniziando a gesticolare per enfatizzare le sue parole. «Tu stai dando la colpa a me per il risultato della simulazione?»
«Non sto dando la colpa a te. Ho detto il pilota e il suo co» puntualizzò lei, piccata. «Mi sono assunta la mia parte di responsabilità. È questo che fa una persona matura.»
«Quindi io non sarei una persona matura?»
Annabeth emise un verso di esasperazione. «Smettila di far girare tutto quanto attorno a te.»
«Io non sto facendo girare tutto intorno a me. Sei tu, piuttosto» ribatté Percy.
La ragazza incrociò le braccia sotto il seno e resistette all’impulso di inarcare un sopracciglio. Era fermamente convinta di essere una persona matura, perciò non si sarebbe messa gridare pronomi personali nel mezzo della sala delle simulazioni di volo. Litigare con Percy Jackson non avrebbe portato a nulla. «Spiegati» lo incalzò.
«Hai messo bene in chiaro che non ti piaccio.» Un sorriso sarcastico gli incurvò le labbra nel pronunciare quelle parole. «Va bene, non credo di poterci fare qualcosa, anche se continuo a non capire. Perché di me sai solo come mi chiamo e che, nel primo semestre, mi sono schiantato trentasette volte. Non credo che questo sia abbastanza per conoscere una persona. Magari neanche tu mi piaci. Ma là dentro» indicò il loro simulatore con un dito, «ho cercato di rendermi utile. Non importava che mi avessi appena trattato da schifo, nonostante ne avessi tutto il diritto non ne ho tenuto conto, perché non ti conosco e ho tentato di mettermi nei tuoi panni. Ma tu non hai voluto collaborare, o almeno non per davvero, come se il fatto che mi sia schiantato trentasette volte basti a etichettarmi come un incapace, come qualcuno non degno del tuo tempo. Per cui sbagli quando dici di esserti assunta la tua parte di responsabilità» concluse, «perché fino ad adesso non avevi nemmeno realizzato che i pregiudizi che hai contro di me ti impediscono di trattarmi come un tuo pari.»
Annabeth rimase a fissarlo in silenzio per un intero minuto. Aveva così tanta ragione, ed Annabeth era così tanto in torto. Persino in quel momento, l’idea che Percy Jackson fosse capace di un discorso simile la stupiva, perché aveva assunto che non ne fosse capace, così come aveva assunto non fosse capace di molto altro. C’erano un milione di ragioni per spiegare come avesse fatto a stabilire quel nuovo record di schianti, ma lei aveva semplicemente dato la colpa a lui. La vastità dei suoi pregiudizi andava oltre il ragazzo di fronte a lei e si estendeva a tutti le matricole del Campo, perché pensava che nessuno avrebbe mai potuto prendere permanentemente il posto accanto al suo nel simulatore.
Ma questo probabilmente è vero, cercò di giustificarsi. Dopotutto, non era rimasta senza copilota per tre mesi perché si era dimenticata di cercarne uno. Non era rimasta senza copilota per tre mesi perché non aveva voglia di esaminare diversi candidati. Non era rimasta senza copilota per tre mesi perché preferiva volare da sola. Era rimasta senza copilota per tre mesi perché lei ne aveva già uno e, nonostante fosse scomparso per tutti quanti, non lo era per lei. Nessuno sarebbe stato in grado di prendere il posto di Luke.
Ciò non toglieva che si fosse comportata da stronza e che doveva a Percy Jackson delle scuse. «Mi dispiace» sospirò. «È come hai detto tu. Non ho realizzato di tenere questi pregiudizi contro di te fino ad ora.»
Il ragazzo le rivolse un sorriso che mal celava il gusto che provava nell’aver ottenuto quelle scuse. «Ciò significa che mi darai una seconda possibilità?»
Annabeth annuì. «Io credo in Chirone. Non voglio deluderlo» rispose. «Spero…spero che abbia ragione su di noi. Ti darò una seconda possibilità. Ovviamente se tu vorrai darla a me.»
Gli occhi di Percy sembrarono brillare. «Certo» confermò. «Dubito che quello che ho visto sia il meglio di Annabeth Chase.»
«Okay.»
«Okay. Ci vediamo più tardi a lezione?»
Annabeth alzò il pollice in segno affermativo, dopodiché gli diede le spalle e non si voltò indietro.
 
 
«Mia cara, dolcissima amica, non sai quanto io sia fiera di te.»
Piper, seduta di fronte a lei, la fissava con una luce strana negli occhi e senza smettere di sorridere. La sua voce si era levata chiara sopra il brusio onnipresente della mensa, che purtroppo non era riuscito a soffocarne il tono zuccheroso. Il racconto di cos’era successo quella mattina l’aveva coinvolta talmente tanto che si era scordata di continuare a mangiare e il suo piatto era ormai freddo. Giocherellò con le posate finché Annabeth non le intimò di mangiare quei dannati pisellini e finirla di guardarla così.
«Non è stato poi questo granché» si schermì. «Ammetto che non sia stato facile scusarmi, ma ho solo fatto quello che chiunque dotato di cervello avrebbe fatto nei miei panni. Anzi» si corresse, puntando la forchetta in un gesto d’accusa contro l’amica, «ho pensato soprattutto a te e quello che mi dici sempre riguardo all’essere meno scontrosa.»
Gli angoli della bocca di Piper schizzarono immediatamente verso l’alto. Si sporse in avanti e strinse la mano di Annabeth sul tavolo. «Vedi? Mi rendi fiera di te.»
Annabeth scosse la testa, ma stava ghignando. «Lasciamo perdere.»
Piper si sedette meglio e si riportò indietro i capelli. Dal momento che non stava studiando per diventare pilota, non era obbligata alla rigidità di acconciature ritenute “adatte al ruolo” e poteva permettersi di portarli come più le piaceva. Quel giorno aveva intrecciato le ciocche castane e le aveva fissate dietro la nuca insieme a delle piume, riprendendo lo stile dei Nativi Americani.
«Il problema» proseguì Annabeth, «è che Percy è ancora molto indietro rispetto a me. Ed è una verità universalmente riconosciuta che non avere un copilota è meglio che averne uno incapace.»
«Be’, vorrà dire che gli spiegherai tu» ribatté l’amica. «Sei un’ottima insegnante. Se avessi un po’ di pazienza in più, saresti addirittura perfetta.» Si ficcò una forchettata di quinoa in bocca prima di proseguire. «Hai mai pensato che Chirone abbia tenuto conto di questo nell’accoppiarvi?»
Annabeth era riluttante a risponderle di sì, sebbene fosse un’ipotesi ben più che probabile. Dalla prospettiva del centauro, comprendeva chiaramente le ragioni della sua scelta. Lei e Percy si trovavano agli antipodi e appunto per questo riuscivano—o meglio, in un futuro lontano sarebbero riusciti—a completarsi a vicenda.
«Parlando seriamente, invece, posso darti un consiglio?»
L’attenzione di Annabeth si spostò immediatamente su Piper. Mentre rifletteva, non si era accorta di stare fissando il vuoto. «Certo» rispose.
I consigli di Piper erano dei salvavita. Avrebbe potuto riempirci centinaia di bigliettini da mettere insieme a dei cioccolatini o biscotti della fortuna e aprire un business. Solo che, a differenza dei biscotti della fortuna, le sue frasi avrebbero davvero aiutato le persone.
«Dagli la seconda possibilità che gli hai promesso» iniziò la mora, «e dagliela per davvero. Percy Jackson ha una brutta reputazione e non è sicuramente il primo della classe, però ti ha anche chiesto di parlare. Questo significa che ci tiene. Con un po’ di costanza, sana determinazione e un buon insegnante si può arrivare ovunque. Dopotutto, nemmeno tu sei diventata il pilota che sei adesso da sola. Luke è stato il tuo mentore. Nessuno prenderà mai il suo posto, soprattutto non Percy Jackson. Anche se si siederà alla sua postazione ogni giorno, volerà con te ogni giorno e frequenterà i tuoi corsi ogni giorno, non sarà mai Luke. Non avere paura di questo. Se smetti di focalizzarti sul ruolo che deve ricoprire e ti concentri sulla persona che è, te ne renderai conto anche tu. Il problema non è che sia il tuo copilota, il problema è che non è Luke. Ed è legittimo pensare che non sarà la stessa cosa, che non sarà altrettanto perfetto ma ehi, questo non significa che sarà orribile. Anzi, probabilmente sarà okay. Più che okay.»
Annabeth lasciò che le parole andassero a fondo, toccando tutti i suoi punti deboli. Distrattamente, pensò che il suo discorso era troppo lungo per dei biscotti della fortuna. Piper aveva un talento con le parole e con la verità e, anche se quello che diceva poteva colpirti in zone scoperte e farti un po’ male, ti costringeva a fare un passo avanti e andare incontro ai problemi di petto. Era la sua migliore amica e, come tutte le migliori amiche, a volte sembrava conoscerti meglio di te stessa. L’ondata di affetto per lei colpì Annabeth in pieno e le fece venire voglia di scavalcare il tavolo e precipitarsi ad abbracciarla.
«Ti adoro» disse invece. «Lo sai, vero?»
Piper si atteggiò come un pavone che mostra le sue piume. «Come non potresti?» ribatté, sbattendo le lunghe ciglia prima di mettersi a ridere. Ma nello sguardo che le aveva rivolto Annabeth aveva scorto altro oltre al divertimento, segno che l’intenzione nelle sue parole aveva colpito il punto giusto.
La bionda si schiarì la gola e riportò un ciuffo ribelle dietro l’orecchio. «Va bene, però adesso finisci quella povera quinoa e parliamo d’altro. Percy Jackson non riuscirà a monopolizzare anche le mie conversazioni.»
Piper le sorrise e annuì solennemente, facendo oscillare le piume tra i suoi capelli. «Sono perfettamente d’accordo con te, amica.»
 

Le lezioni di Meccanica I erano le peggiori, Annabeth ne era certa. Si trattava di un corso base ed era pensato per piloti in situazioni di emergenza, non doveva formare né ingegneri né meccanici di professione. Il suo scopo principale era, oltre a fornire le nozioni essenziali su come funzionava questo o quel pezzo e come ripararlo, evitare una catena infinita di autostop galattici. Ma nessuno sembrava averlo detto al professore, Efesto. Annabeth aveva sempre pensato che fosse un tipo bizzarro, con i vestiti sempre macchiati di olio per motori e i capelli ritti in testa. Aveva un po’ dell’inventore o dello scienziato pazzo. Alcuni insinuavano che sangue alieno scorresse nelle sue vene, perché era dal tempo di Stephen Hawking che l’universo non era stato messo di fronte a un’intelligenza del suo calibro.
La ragazza era d’accoro che, se riuscivi a seguire il filo del discorso, era impossibile negare la genialità racchiusa nella mente di quell’uomo. Se. Parlava a una velocità media pari al miglior rap di Eminem, rendendo impossibile prendere appunti. In più, i suoi discorsi erano contorti e spesso restavano senza una conclusione, perché Efesto si perdeva nell’approfondire un particolare spunto di riflessione e poi si dimenticava dell’argomento da cui era partito. Trovare le sue spiegazioni sul libro di testo era pressoché inutile. Per questa ragione, metà classe sudava per riportare tutto quanto diceva, mentre l’altra aveva rinunciato da tempo.
Annabeth aveva un crampo alla mano a furia di scrivere così in fretta e i ricci biondi le finivano davanti agli occhi continuamente, ma non poteva sprecare tempo per sistemarli. Efesto stava spiegando come classificare i danni subiti da un motore e come ripararli—in teoria fino all’arrivo dei soccorsi, in pratica trasformandolo da un modello standard a uno adatto a un’astronave da corsa. Fu per questo che, quando una tendina si aprì sullo schermo del tablet di cui ogni studente era dotato, non se ne accorse subito, troppo presa nel prendere appunti. Intuendo da chi proveniva, si rifiutò di aprire la chat per principio. Dargli una chance era una cosa, non seguire le lezioni per lui era un’altra. Non si sarebbe messa a parlare con lui nel mezzo della lezione, soprattutto quella lezione. Ma la vista della finestrella lampeggiante, proprio davanti ai suoi occhi, non le permetteva di concentrarsi. Le faceva venire in mente Percy Jackson e la sua sfrontatezza e il fatto che fosse seduto dietro di lei e che si aspettava una risposta. L’irritazione corrose irrimediabilmente la sua attenzione.
Con uno sbuffo di frustrazione, cliccò sulla tendina e smise di farla illuminare a intermittenza.

thepercyjaxon: non dirmi che stai capendo veramente questa roba

Scrisse velocemente una risposta prima di chiudere la chat e ritornare al file che stava riempiendo con i suoi appunti.

ann_chase: Se la smetti di distrarmi, forse ci riesco anche.

Si sistemò meglio sulla sedia e riportò la sua attenzione su Efesto. Per fortuna stava ancora parlando dei vantaggi di un motore a cristalli, per cui non fu troppo difficile raccapezzarsi. Poi un’altra notifica comparve sullo schermo e lacerò gli ultimi brandelli di attenzione rimasti. Chiuse gli occhi e prese un lungo respiro. Dopodiché, lesse la risposta di Percy.

thepercyjaxon: allora sei umana. se mi avessi risposto di sì avrei iniziato a preoccuparmi

ann_chase: Sono felice? replicò. Però così le sembrava di dargliela vinta, per cui aggiunse: Comunque inizia a preoccuparti lo stesso, perché non ho intenzione di fare un altro atterraggio di emergenza.

La risposta di Percy fu ancora più veloce. Ormai continuare a seguire la spiegazione era inutile.

thepercyjaxon: ti ripeto che non lo faccio di proposito. neanche per me è stato divertente
thepercyjaxon: ho quasi sbattuto il naso contro la cloche
ann_chase: Te lo saresti meritato.
thepercyjaxon: aia

Annabeth ghignò nel leggere il commento.
La voce di Efesto era diventata un sottofondo continuo e monocorde, le parole si fondevano insieme e smettevano di avere senso. Cercare di ritrovarsi e non perdere gli ultimi, densi minuti di lezione si rivelò un’impresa più ardua del previsto, soprattutto perché ogni volta che si accingeva a scrivere altri appunti, spuntava la notifica di un nuovo messaggio. Annabeth corrugò la fronte e si mordicchiò le labbra. Sapeva che sarebbe andata a finire così, eppure aveva avuto la bella idea di rispondere lo stesso. Fortuna che era una persona matura.
Il rumore di sedie che si spostano e piedi che strusciano sul pavimento anticipò di un paio di secondi il suono della campanella. Annabeth recuperò con calma il proprio tablet, mentre gli studenti sciamavano intorno a lei per uscire dalla classe il più in fretta possibile. Non sentiva il bisogno di scappare da nessuna parte, visto che, metaforicamente, l’aveva già fatto. Il suo corpo era rimasto seduto sulla sedia per tutto il tempo, ma la sua mente si trovava in un altrove in cui inviava messaggi a Percy Jackson e subito dopo si pentiva di averlo fatto, senza che questo le impedisse di scrivergli ancora. Era senza speranze.
Il richiamo del professore la colse totalmente di sorpresa.
«Chase, gradirei scambiare due parole con te. Anche tu Jackson, non ci lasciare.»
Annabeth deglutì, ma non riuscì a eliminare la sensazione di disagio. Si avvicinò lentamente alla cattedra, cercando di nascondere dal suo viso ogni traccia di colpevolezza per apparire come sempre: sicura, attenta e rispettosa. Al suo fianco, Percy non era così abile nel celare le sue emozioni. Ne suoi occhi si aggiravano il sospetto e la grande, grandissima voglia di esclamare merda. Erano fregati.
Efesto si sedette, prendendosi il suo tempo per riporre il portatile e documenti stampati nella propria borsa. «E così» iniziò, tamburellando le dita sulla cattedra, «so che oggi è il vostro primo giorno come squadra. Come vi state trovando?»
Annabeth sentì l’esigenza di grattarsi il collo, lì dove una goccia di sudore era appena scesa, ma preferì rimanere immobile. Un gesto del genere non avrebbe fatto altro che rivelare il disagio che provava.
«Oh» stava dicendo intanto Percy. «Annabeth è… Annabeth è forte.»
«Anche Percy non è male» aggiunse lei. «Abbiamo solo bisogno di tempo, poi sono certa che diventeremo una coppia affiatata.»
Il professore annuì più volte. «Naturale, è così. Ciò che non lo è, invece» riprese, «è che rubiate quel tempo alle mie lezioni.»
Il ragazzo aprì la bocca per replicare, ma venne zittito.
«Di solito, non sono il tipo a cui importa se viene amato o meno dai suoi studenti, l’importante è che i suddetti studenti trovino un modo per passare i miei esami e, magari, riuscire a cogliere le meraviglie di questa materia. Ma Chirone ha chiesto a me e ad altri professori di tenervi d’occhio, dunque…» Sospirò. «Devo agire di conseguenza, mi spiace. Credo che vi assegnerò tre giorni di pulizie insieme alle arpie, al termine delle lezioni.»
Gli occhi di Annabeth volarono da Efesto a Percy e da Percy a Efesto come dischi volanti impazziti. «Tre… giorni?» balbettò, incredula.
«Hai ragione» rispose l’insegnante. «Tre giorni sembravano pochi anche a me. Meglio il doppio.»
Percy aveva l’aria di chi vuole strapparsi le orecchie e rimettersele a posto per vedere se funzionassero bene. «Cosa?» esclamò. «Non può parlare sul serio. Sa anche lei che metà della classe non stava prestando attenzione, eppure solo noi veniamo puniti. È un’ingiustizia.»
Esatto!, pensò Annabeth. Che cosa è successo al “non sono il tipo a cui importa se viene amato o meno dai suoi studenti”? Ma fu abbastanza saggia da tenersi quel commento per sé.
Efesto ripose il portatile e gli ultimi documenti nella cartella. «Vedi, Jackson» iniziò, sospirando lievemente. «L’intero universo è un’ingiustizia. Non c’è bisogno di andare troppo lontano. La fame nel mondo, il buco nell’ozono, i bambini soldato in Afghanistan sono delle grosse ingiustizie, ma prova a pensare a questo: professore rinomato costretto a tenere lezioni a una banda di diciottenni con difficoltà a collegare le sinapsi, mentre sua moglie—» Si interruppe. Sollevò la borsa dalla cattedra e si avviò zoppicando verso la porta. «L’ingiustizia è terribile, eppure c’è un solo fatto che la rende sopportabile.» Il suo volto si aprì in pallido paragone di un sorriso, prima di concludere: «Poterne essere l’autore.»
Era già oltre la soglia, quando le sue ultime parole raggiunsero le orecchie di Annabeth. Godetevi i sei giorni di pulizia straordinari, mi raccomando!




Angolino dell'autrice
Salve, popolo di EFP.
(Se ancora di popolo si può parlare, guardando ai numeri sempre decrescenti di utenti di questo sito.)
Tu, lettore. Se sei giunto fino a qui, ti ringrazio per il tempo che mi stai dando. Giuro che te ne rubo solo un altro po' con questo angolino, ma è importante.

È un po' che non pubblico nulla e le ragioni sono diverse, ma visto che non devo dilungarmi non starò qui ad elencarle. Questo è un progetto a cui tengo abbastanza e mi preme che venga alla luce. Volevo trovarmi più avanti nella stesura prima di pubblicare, per essere più organizzata e regolare, ma mi sono accorta che non funziona. Ho bisogno di prendermi un impegno per far funzionare le cose. Ho bisogno che qualcuno mi stia col fiato sul collo per continuare a scrivere e non fermarmi. Non posso promettere aggiornamenti regolari, ma posso promettere il mio impegno a portare a termine questa storia. Se hai pazienza, lettore, scoprirai che ne sarà valsa la pena.
Mi sono liberamente ispirata a Voltron: The Legendary Defender, Star Wars e Guardiani della Galassia. Se almeno uno di questi film/serie ti piace, c'è una probabilità abbastanza alta che ti piaccia pure questa fic.
Spero che la mia rappresentazione dei personaggi di Zio Rick sia il più fedele possibile, ma mi scuso se così non dovesse essere. Sono sempre pronta ad aggiungere OOC alla lista di avvertimenti.
Il titolo è tratto da una canzone di Hayley Kiyoko, che ho ascoltato parecchio nella genesi della prima idea per questa storia.
La romance tra Percy e Annabeth sarà molto lenta, di quelle che ti fanno sclerare per quantoci mettono a svilupparsi, ma è tutto per il meglio. Niente di buono è frutto della fretta.
Per le ragioni là sopra, ti sarei molto grata se lasciassi una recensione, non importa il colore della bandierina. Mi impegnerò a ricambiare.
Un bacione,

Water_wolf

 
  
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