Libri > The Maze Runner
Ricorda la storia  |      
Autore: sfiorarsi    05/03/2018    5 recensioni
Thomas vorrebbe arrabbiarsi, incazzarsi, prendersi ciò che è suo – Newt – e portarselo letteralmente a letto, perché quegli occhi bramosi e caldi non sembrano fare altro che chiamarlo. Thomas vorrebbe, ma non lo fa. Si limita a trafiggere l’atmosfera con il silenzio, distruttivo.
«Buonanotte, Newt» sono le parole che il biondino sente rivolgersi. Questa notte, dormirà sul divano. «’notte, Tommy» è la sua risposta. Quel marchio sulla sua pelle brucia come un veleno. E l’antidoto, lo sa bene anche lui, è solo una persona: Thomas.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Newt, Thomas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Where were you last night?

Disclaimer: la storia è stata scritta, ideata e pubblicata senza alcun fine di lucro. I personaggi qui descritti non mi appartengono, ma sono proprietà dell’autore James Dashner, o di chiunque ne detenga i diritti. Gli eventuali cambiamenti apportati non vogliono, in alcun modo, giudicare o criticare i personaggi originali, ma solo esserne una copia da utilizzare per questa storia.


A Leinki, dolce parentesi
In una cruda realtà.

«Puzzi di alcool, Newt» è questa la frase con cui Thomas esordisce quando il biondino decide, forse non per sua volontà, di rincasare, sperando di trovare conforto. Che, sfortunatamente, non trova.
Ha i capelli scarmigliati, Newt. Non sporchi, ma disordinati. Se Tommy ci affondasse il naso, probabilmente le sue narici sarebbero percorse da un piacevole odore di shampoo alle nocciole. Ha i capelli scarmigliati, Newt, ma non quanto gli occhi. Gli occhi, quei suoi occhi scuri, bramosi e melliflui durante le loro notti d’amore, che in quel momento sono sconvolti da una rabbia profonda e da una passione che, Thomas lo sa, non è stato lui a provocargli. Si morde istintivamente un labbro per reprimere un conato. L’idea di Newt fra le braccia di un altro gli fa venire il vomito, e le lacrime agli occhi.
«Sono le sei del mattino, Newt. Dove sei stato la scorsa notte?» è quasi un sussurro, spoglio e smilzo e doloroso. Non è un rimprovero, di quelli che gli rivolge quando lo aspetta sveglio, attendendo che rincasi da lavoro – e ora ha passato lui la notte in bianco ad aspettarlo, quale ironia. Non è un rimprovero, quello di Thomas. È una frase buttata lì, con la speranza che Newt neghi quello che il moro teme (che sa essere la verità, in effetti, ma non sa accettarlo), ma l’unico suono nella stanza è il silenzio e, forse, lo sfrigolio degli occhi dei due che si scontrano, gli uni contro gli altri, come mare e battigia, come acqua e scogli. Tutti e due vorrebbero rifugiarsi nelle loro scuse, l’uno per averlo trascurato – è lavoro, Newt, non posso fare altrimenti – e l’altro per essersi lasciato trascurare – sssono ssstato uno ssstupido, Tommy, persino i suoi pensieri sono sibilanti, tanto è l’alcool che ha in corpo –, ma nessuno dei due muove un passo avanti. E gli occhi di Thomas, illuminati dalla luce soffusa della lampada, si concentrano su una zona particolare del collo di Newt, così pallido e fragile che, ogni volta, gli sembra che la pelle possa sbriciolarsi al tocco delle sue dita: su un lato del collo, vistoso, gli spicca un marchio che prima non aveva. Un marchio che, Thomas ne è consapevole, non gli appartiene. Newt sembra accorgersi di quello sguardo insistente, perché si copre quel punto maledetto e dolorante, tentando di nascondere la vergogna. Gli torna alla mente il suono della neve soffice che si disintegra sotto il peso delle sue scarpe.
«Cos’è quello?» la voce di Thomas è un sussurro, un accenno al mondo fuori, così grande e grosso e irriverente che lo spaventa, ora che Newt sembra appartenere a qualcun altro. «N-non è niente!» sibila ancora un poco, disgustato da se stesso, ora che l’alcool gli ha liberato una zona del cervello. Devo fare proprio sschifo, agli occhi di T-tommy, è il suo pensiero, doloroso anch’esso.
Thomas vorrebbe arrabbiarsi, incazzarsi, prendersi ciò che è suo – Newt – e portarselo letteralmente a letto, perché quegli occhi bramosi e caldi non sembrano fare altro che chiamarlo. Thomas vorrebbe, ma non lo fa. Si limita a trafiggere l’atmosfera con il silenzio, distruttivo.
«Buonanotte, Newt» sono le parole che il biondino sente rivolgersi. Questa notte, dormirà sul divano. «’notte, Tommy» è la sua risposta. Quel marchio sulla sua pelle brucia come un veleno. E l’antidoto, lo sa bene anche lui, è solo una persona: Thomas.
Quella notte, i sogni di entrambi non sono altro che incubi, un susseguirsi di immagini dolorose impossibili da scacciare, mosche noiose e corroboranti che rendono Thomas inquieto, Newt colpevole. C’è un sottile confine, fra mancanza e nostalgia, ma appare così remoto e trasparente da essere quasi impercettibile. È come quando la prospettiva che una persona cara si allontani ti piomba addosso, stancandoti ancor prima che tu te ne renda conto. Così si sente Newt. La notte trascorsa fra le braccia di un altro uomo – di cui non si ricorda nemmeno il viso, solo quel profumo di bagnoschiuma alla cannella – nell’attesa che Thomas si accorgesse di lui non è stata altro che una pausa dal quotidiano, per entrare in un mondo di mancanze. Thomas gli manca, anche se lui si trova fra braccia non sue. Che, tra l’altro, non hanno nemmeno lontanamente la delicatezza del suo moretto. Quando Tommy e Newt si addormentano è ormai giorno, continua a nevicare, i rimasugli di neve sugli scarponcini del biondo si sono sciolti e il mondo prosegue nel suo perenne, instancabile movimento. Il cuore di entrambi, però, è rimasto incastrato in quello sguardo di dolore che hanno condiviso. Il cuore di entrambi, per qualche ora, si è fermato.




Newt si sveglia a causa del suono metallico di stoviglie e padelle, stropicciandosi gli occhi pesti dal sonno, e stiracchiandosi le membra intorpidite. Dalla luce che fa capolino dagli spiragli della persiana, si direbbe l’ora di pranzo, ma Newt non ne è certo. Ci mette ancora qualche minuto per alzarsi dal letto, che abbandona con tristezza. La testa gli sta esplodendo: sembra che centinaia di piccoli, sottili aghi gli stiano trapassando la cute, al puro scopo di infastidirlo. Che sapore ha la sconfitta? chiede alla sua coscienza – ammesso che io ne abbia una – che, senza esitazioni, sembra rispondergli bagnoschiuma alla cannella. Newt stringe gli occhi, li assottiglia fino a farli diventare simili a due fessure, scosso dai rimorsi e dai sensi di colpa. Soltanto il rumore di una padella caduta a terra lo riscuote dai suoi pensieri. Ha bisogno di una doccia. Fredda.
Il suono dell’acqua sembra tranquillizzarlo, e la sua temperatura artica gli risveglia i sensi, lavando via ogni traccia d’alcool che gli annebbia la mente e i pensieri. Si pulisce con dolcezza, come un animale ferito, accarezzandosi la pelle con quel suo bagnoschiuma, e massaggiandosi i capelli con lo shampoo alla nocciola – che Tommy ama tanto.La solitudine non gli pesa, in quel piccolo ambiente. Gli lascia il tempo e lo spazio per pensare. Pensa così a fondo, Newt, che non si accorge minimamente della presenza di Thomas. Lo sta fissando, gli fissa quel corpo che tanto ha bramato e posseduto, e che ora brama e vorrebbe possedere, esattamente lì, fra quelle minute mura, in quella scatola di vetro che è già stata testimone silenziosa del loro amore fatto di gemiti e grida. Non distrarti, Thomas. Ti ha tradito, è questo il suo pensiero, ciò che la mente gli comanda, ma il suo cuore – e il suo membro, anche, a dirla tutta – gli suggerisce tutt’altro. Deve aver emesso un qualche tipo di verso, perché Newt si volta di scatto verso di lui, come una preda si accorge del suo predatore.
«Cosa ci fai qui?» chiede, innocentemente, sgranando quei suoi occhi scuri e liquidi.
«È anche casa mia, fino a prova contraria» risponde Thomas, schioccando la lingua in un moto di stizza, e gonfiando il petto per sottolineare il suo fastidio.
«Pensavo di aver diritto ad un minimo di privacy» dice Newt, alzando gli occhi al cielo ma continuando a massaggiarsi la cute. Il profumo dello shampoo alla nocciola si diffonde rapidamente nel minuto bagno.
«Non mi sembra ti sia servita la privacy quando hai deciso che dovevi cambiare l’amico» le parole di Thomas sono taglienti, mirate a far male, almeno metà dello stesso male che sta provando egli stesso. Lo sa anche Thomas, che chi ama non ferisce. Appunto. Nel dire quelle parole, soffre anche lui, come se una qualche lama gli stia premendo sulla gola nuda ed esposta. Com’era nuda ed esposta la gola di Newt.
«Tommy…» la sua voce si limita ad essere un sussurro. Flebile, debole, mentre lo fissa dal suo box doccia, che mai gli è parso tanto piccolo e soffocante, mentre gli viene buttata addosso dell’acqua gelida. Fissa i suoi occhi in quelli del moro, buttandoci dentro ogni minima sensazione, sentimento, senso di colpa. E Thomas, se all’inizio ha uno sguardo confuso, l’attimo dopo sembra comprendere. Appoggiandosi allo stipite della porta, accenna un sorriso con un angolo della bocca.
«Ma almeno l’hai messo o l’hai preso?» gli chiede, e più che addolorato, è incuriosito. «Nessuno dei due» è la risposta. Sincera, perché quando Newt mente ha un fastidioso tic agli occhi che, adesso, sono immobili, se si esclude il battere naturale delle palpebre.
«Come sarebbe a dire nessuno dei due?» crede di non aver capito bene. Un «hai capito benissimo» lenisce la sua confusione. Ma ancora non ha tutte le risposte.
«Sono uscito presto, ieri. Prima che tu rientrassi da lavoro. Avevo intenzione di fare un po’ di spesa – c’è il frigo vuoto, tra parentesi, che ne dici di comprare qualcosa? – e prendere una boccata d’aria perché, sai, il mio lavoro da casa non mi permette grandi uscite, se non durante le feste» inizia a spiegare, tutto d’un fiato, mentre chiude la valvola della doccia, limitandosi ad indossare un asciugamano che gli copra i gioielli. “Nemmeno si asciuga, questo stronzo” è il pensiero di Thomas, che si morde un labbro alla vista di quel corpo leggermente scolpito, snello, coperto da centinaia di goccioline d’acqua che scendono, scendono giù, fino a scomparire oltre il bordo dell’asciugamano.
«Dicevo, sono uscito presto, pensando di rientrare poco dopo. Ho incontrato questo ragazzone, di cui mi ricordo solo il profumo di bagnoschiuma – cannella –, e ci siamo persi in qualche chiacchiera. Si stava facendo tardi, ma il tempo passava e io non me ne accorgevo. Passo così poco tempo fuori» l’ultima frase è così genuina, così pura che, Thomas comprende, non è stata detta per farlo sentire in colpa. Come se non c’entrasse nulla.
«Mi ha fatto ubriacare, Tommy. Non sto dicendo che a me non sia piaciuto, ma non sono uscito con lo scopo di… sì, insomma, di farmi coccolare da un altro» è doloroso sentirselo dire, ma Thomas è sollevato dal fatto che Newt non si sia dato mai completamente a nessun altro, se non a lui. E il pensiero lo fa sorridere. E mentre sorride, a Newt cade l’asciugamano, che gli scivola sui fianchi con un movimento leggero, naturale, lasciandolo spoglio. Fa per raccoglierlo, ma Thomas lo blocca sul nascere «stai così» sussurra, ammirandolo in tutta la sua bellezza e nudità. «Sto così» è la risposta. E Thomas, Tommy, sa che non potrà rimanere arrabbiato per molto.
«Scusami» pronuncia, infatti, mentre la voce sembra scivolargli via lungo le pareti della gola. Non è mai stato bravo a chiedere scusa, lui. Quello che è in grado di fare passi indietro è Newt. Ma questa volta – che, Thomas lo sa, è diversa dalle altre – si sforza di provarci.
«Di cosa, Tommy?» chiede Newt, incuriosito dal sui comportamento ambiguo.
«Di averti trascurato, di aver messo il lavoro prima di te» proferisce Thomas, con uno sguardo sincero ma non supplichevole. Fissava il marchio, quel segno violaceo che solcava i lembi della pelle pallida di Newt, così incline ad assimilare tutto ciò che mirasse a modificarla, danneggiandola il più delle volte.
Il biondo gli si avvicina, con quel passo elegante e soffice, piegandosi di fronte a lui e fissandolo dritto negli occhi. La situazione è questa: Thomas, non si sa come, ha finito per sedersi a terra, mentre Newt ha piegato tanto le ginocchia da trovarsi sguardo contro sguardo insieme al moro. Si osservano con intensità, come preda e predatore, come gazzella e leone, l’una che aspetta che l’altro la azzanni, l’uno che attende che l’altra cominci a correre. Ma nessuno dei due accenna a muoversi. Thomas deglutisce, il pomo d’Adamo che gli rimbalza contro le pareti della gola, e Newt sorride. È un sorriso minimo, un poco accennato, ma è un sorriso.
«Sono io che devo scusarmi con te. Ma posso giurarti, qui e adesso che, nonostante fossi ubriaco, so perfettamente di non essermi donato a nessun altro uomo. Solo a te» proferisce Newt tutto d’un fiato. Ed è quello che Tommy non aspettava altro che sentirselo dire. L’impatto fra le loro bocche è vorace, affamato e bramoso, le loro labbra si schiudono in fretta e le loro lingue si accarezzano incuriosite, come se si trattasse di una sensazione nuova. Thomas, dalle mani robuste ma al contempo delicate, accarezza con tocchi leggeri la pelle di Newt, tracciando linee immaginarie da un neo all’altro. Alzandosi entrambi, avvicinano i loro corpi già eccitati, l’uno vestito e l’altro nudo, con il solo scopo di recarsi a letto.
Thomas brama con la fame di un leone quel corpo asciutto: lo vuole sotto di sé, scosso dal piacere, mentre si muove con lui. Morde un labbro del biondino, camminando a tentoni, raggiungendo la camera da letto. Basta un attimo, ed entrambi sono accoccolati fra le lenzuola. «Tommy…» è un sussurro flebile, quello di Newt, come se si fosse pentito di aver proferito parola subito dopo averla pronunciata. Thomas risponde con un sguardo interrogativo. «Se non vuoi, Newt–» è la sua preoccupazione, che viene inghiottita dalle labbra del biondo che si scontrano con le sue, inglobandole, mordendole, succhiandole.
«Volevo chiederti di non fermarti, oggi. Vai fino in fondo» dice Newt fra un bacio e l’altro. Thomas, istantaneamente, sorride. Erano soliti a fermarsi poco prima dell’orgasmo, in modo che il moretto venisse fuori. Nessuno dei due era al corrente del perché lo facessero, era semplicemente un’abitudine. Ma ora Newt gli ha espresso palesemente il suo desiderio di andare oltre, di proseguire fino alla fine, di non fermarsi. Il sesso lucido e indurito di Thomas ha un sussulto, ed è così in tensione che gli fa quasi male. Spera che Newt se ne prenda cura presto.
Così la pasta si brucia, fuori smette di nevicare, il mondo gira e Newt e Thomas, l’uno l’ossimoro dell’altro, si ritrovano a metà strada, dove si sono lasciati per qualche ora, per poi riprendersi e stringersi l’uno all’anima dell’altro. E quando entrambi sono al culmine del piacere, e allo stremo delle loro forze, fissando sguardo nello sguardo, stringendosi le mani, si sussurrano ti amo.




Note d’autrice: ciao! Un paio di piccoli chiarimenti, per chi è arrivato – con mio sommo piacere – alla conclusione di questa one-shot. È una breve AU!story, in cui Newt e Thomas non sono altro che due giovani uomini innamorati, che vivono in un mondo comune privo di Labirinti e qualsiasi altro materiale malsano presente all’interno della storia originale. Mi rendo conto di quanto ogni parola mi sia uscita di getto ma spero, in ogni caso, che vi abbia fatto provare qualcosa.
Si tratta semplicemente di sottolineare l’importanza della forza del perdono, e dell’assunzione delle proprie colpe. Per concludere, come già sottolineato, questa storia è dedicata a Leinki, mia dolce Bree, a cui voglio tanto bene! Ogni parola è stata scritta per te! Con affetto, in attesa di una vostra recensione – negativa o positiva che sia,
sfiorarsi

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > The Maze Runner / Vai alla pagina dell'autore: sfiorarsi