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Autore: Morgana_D    12/03/2018    1 recensioni
Per Ryan e Milla la vita fuori la Scacchiera non è stata come credevano.
Sono passati quattro anni da quando si sono lasciati, la loro storia d'amore non è durata.
Milla è quella che ha subito di più la rottura tra i due e ora ha finalmente il coraggio di affrontare i problemi che Ryan e la Scacchiera le hanno causato in questi anni.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Milla, Ryan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'RiEpilogo di un amore'
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Nota autrice: Preferisco disturbarvi all'inizio piuttosto che alla fine: questa è la mia ultima storia su efp, in assoluto, ormai ho un account su Ao3 (che non uso mai), ma questa storia mi sembrava giusto pubblicarla qui. 
Fa parte di una serie dedicata a Milla e Ryan, se leggete le altre due (soprattutto la seconda) sarà abbastanza chiaro quanto tutto questo sia autobiografico e personale. Purtroppo non ho mai pensato che Milla e Ryan sarebbero rimasti insieme a lungo, troppi problemi. Quindi eccomi qui, con una storia triste, che doveva essere pubblicata qui per forza, perché, come dice Milla, è un cerchio che si chiude. 
Vi lascio alla storia, grazie a chiunque leggerà e ancora di più a chi deciderà di farmi sapere cosa ne pensa.

MD.


C’è una ragazza all’aeroporto, sta ferma, fissa il tabellone degli arrivi. I suoi occhi inquieti scrutano lettere e numeri vagando su e giù tra orari e nomi dei vari aerei atterrati. Quello che sta aspettando non è ancora arrivato. È chiaro dal modo in cui si tortura le mani: porta le dita alla bocca e morde convulsamente l’unghia del pollice destro. Forse è nervosa perché sta aspettando qualcuno di speciale, magari che non vede da tempo.
                È una bella ragazza. È già la terza volta che sistema la cintura intorno alla vita, manifestando il disagio che prova dentro quel vestitino a fiori. Arrotola l’indice sinistro intorno ad una boccolo ramato; ci gioca, allunga e lascia andare la ciocca permettendole di riavvolgersi come una molla. I capelli rossicci, che sfiorano le scapole, incorniciano un visino minuto cosparso di lentiggini. Eppure ciò che davvero colpisce sono i suoi due occhioni verdi, che la luce del sole fa sembrare smeraldi. Per un attimo si posano sulle cicatrici che ha sulle mani, dopo tornano a guardare con ansia partenze e arrivi. Mette una mano nella borsa bordeaux, si ferma, sembra quasi che ci ripensi. Prende il telefono, lo sblocca e rilegge il messaggio: “Domani sono a Pisa”.
               Le manca nuovamente il fiato, le mani le iniziano a tremare. Chiude gli occhi e si sforza di fare dei respiri profondi. Va bene, va tutto bene. Sono passati quattro anni dall’ultima volta che lo ha visto, sembrano un’eternità. Forse sono davvero un’eternità a guardare tutte le cose che sono cambiate: tra di loro e non. Ma era arrivato il momento di vederlo, non poteva più rimandare. Il fatto che lui abbia preso l’iniziativa di scriverle la fa sentire più tranquilla a riguardo, anche se, a sentire il suo battito cardiaco, non si direbbe. Quella mattina si era svegliata mezz’ora prima che suonasse la sveglia – che aveva già puntato con largo anticipo – perché era tutta la notte che lo sognava. Aveva provato ad addormentarsi di nuovo ma le era risultato impossibile. Si era preparata con calma, aveva mangiato e scelto i vestiti con cura quasi maniacale, poi si era messa in macchina pronta a farsi quei novanta chilometri che l’avrebbero portata a rivederlo una volta per tutte.
L’aereo è arrivato, la ragazza scatta in piedi e si avvicina al tabellone per controllare che sia proprio quello che aspettava. Sì, è quello. È lui.
            Le arriva un messaggio, le sta dicendo che è arrivato, ma lei lo sa già. Gli risponde che lo aspetta fuori, davanti l’orologio, che dopo potrebbero andare al bar lì vicino o farsi una passeggiata, come preferiva. Rilegge il messaggio: è troppo accondiscendente, dovrebbe smetterla di comportarsi così, il suo psicologo glielo dice sempre. Dall’aeroporto sta uscendo un ragazzo castano, lo fissa attentamente. No, non è lui, non può essere cambiato così tanto in quattro anni.
È troppo presa a guardare la persona sbagliata che non si accorge del ragazzo che arriva alle sue spalle. Sente una mano sul braccio, si gira di scatto: è lì, davanti a lei. Dopo quattro lunghissimi anni. Rimane immobile a fissarlo. È così diverso; ora ha la barba, i capelli più corti, ha messo più muscoli sulle braccia; il sorriso è ancora lo stesso, però.
                «Ciao, Ryan.»
                «Ciao, Milla.»
 
I due ragazzi si salutano velocemente con due baci sulla guancia. L’imbarazzo e la tensione sono tangibili. Milla si sistema i capelli dietro l’orecchio guardandosi intorno, cercando di farsi venire in mente qualcosa da dire. Ryan, d’altro canto, tira fuori del tabacco e una cartina.
            «Ti dispiace?» chiede, accennando agli oggetti. «Sono ore che non fumo.»
            «No, vai tranquillo.»
           Milla non credeva che questo giorno sarebbe davvero arrivato, prima o poi. Pensava che sarebbero rimasti due estranei per sempre e, in un modo o nell’altro, le era andato bene così. Non voleva veramente sapere se c’erano state altre ragazze tra le sue braccia, se aveva amato qualcun’altra così come aveva amato lei, se chiamava ancora qualcuno “ranocchia”. Guardandolo ora fumare le sembra uno sconosciuto; non lo aveva mai fatto davanti a lei.
            «Mi fa strano vederti fumare, non sapevo lo facessi» osserva Milla, fissandolo per la prima volta negli occhi.
            Ryan ride. Fa un ultimo tiro, finendo la sigaretta, e la butta via.
            «Probabilmente ci sono un sacco di cose che non sai che faccio» risponde, forzando un sorriso.
            Le inizia a raccontare degli ultimi anni trascorsi senza di lei, mentre passeggiano senza una meta precisa lungo la strada. Le  chiede come stanno le sue amiche di sempre, se la sua migliore amica è ancora la solita. Milla gli parla degli ultimi casini che ha combinato insieme al suo gruppo, delle persone che si è dovuta lasciare dietro, dell’università. Lui le racconta che ha iniziato ad andare in palestra seriamente, per perdere peso, a studiare di più, per entrare al college. Pensa che la sua vita stia finalmente andando per il verso giusto, dice che è riuscito a lasciarsi dietro la Scacchiera, a lasciarsi dietro lei.
            Ha una ragazza.
            E Milla non lo voleva sapere, davvero, non vuole. Non vuole sentirsi l’unica che deve ancora superare tutto. Che a volte, ancora, la notte si sveglia e si trova dentro la Scacchiera: il Ladro Nero dentro la sua testa che le sussurra di ucciderlo, di uccidere il ragazzo che pensava essere l’amore della sua vita. Ma lei è stata più forte di un’entità maligna, l’ha fatta sua: era lei a comandarla, non più il contrario. Allora come è possibile che non riesce a smettere di stare male per lui? Ha combattuto un mostro dentro la sua testa e non riesce a mettere da parte i suoi sentimenti, nemmeno per un attimo.
            «Si chiama Lauren. È adorabile, l’ho conosciuta al college, studia per diventare medico. Mi trovo veramente bene con lei» continua Ryan felice.
            Milla si ferma di scatto, Ryan si volta a guardarla e vede che non riesce a respirare, sembra che stia tremando. La aiuta a sedersi e inizia a inspirare ed espirare profondamente invitandola a fare la stessa cosa. Gli occhi di Milla fissano un cartellone pubblicitario dall’altra parte della strada mentre il petto torna lentamente ad alzarsi e abbassarsi ad una velocità normale. Si accorge di avere una mano tra quelle di Ryan e la ritrae di scatto.
            «Scusa» si morde il labbro perché si accorge che non avrebbe dovuto scusarsi di nulla. «Ma le crisi sono peggiorate …»
            «Da quando me ne sono andato» finisce Ryan senza darle il tempo di completare la frase.
            Milla annuisce, poi riprende a parlare: «In realtà è da un po’ di tempo che sto vedendo uno psicologo. Sto migliorando, ma non riesco a parlargli della Scacchiera. Un po’ perché penso non mi crederebbe, un po’ perché ho paura ad affrontare tutto; ho paura che senza l’ansia e le paranoie e la paura e gli attacchi di panico smetterò di essere io.»
            «Ora è stata colpa mia? Ho detto qualcosa di sbagliato?» si preoccupa Ryan.
            «No» Milla scuote la testa «a dire il vero, sì. Ma non per qualcosa che hai detto, più per l’idea che tu ce l’hai fatta ed io sono bloccata. Che mi sento che non andrò mai avanti, che forse sarò sempre innamorata di te.»
            E nell’istante in cui lo dice si rende conto che non è vero. Non è vero che è ancora innamorata di lui. Era solo la giustificazione che si portava dietro da anni per non andare avanti. Eppure la verità gliel’ha appena confessata. Perché con lui è sempre stato così facile aprirsi? Perché solo lui aveva visto l’inferno, insieme a lei e dentro di lei, ed era tornato vivo.
            Scuote la testa.
            «Scusa, ho detto una cavolata, mi sono appena resa conto che non è più vero da tanto tempo» si ferma, rendendosi conto che si è scusata di nuovo. «Cazzo, devo smetterla.» Infila una mano tra i capelli, arrotolando le dita intorno ai ricci, arrivando quasi a strapparli con forza. «Devo smetterla di scusarmi per ogni cosa che faccio.»
            Ryan annuisce. Vorrebbe abbracciarla come faceva un tempo, per farle dimenticare, almeno per un po’, il dolore, per farle sentire il suo calore, la sua comprensione. Il fatto che lei non lo voglia nemmeno toccare fa stare male lui: lo catapulta indietro nel tempo, a quando erano ancora dentro la Scacchiera e anche solo sfiorarsi li avrebbe uccisi. Non vuole tornare a quel tempo: tutto era troppo difficile, la vita faceva schifo e faceva schifo anche non poter baciare la ragazza di cui si era innamorato, faceva schifo anche solo non poterla prendere per mano o abbracciarla quando era triste. Faceva schifo farle credere che era morto, faceva schifo vederla piangere e non poterla salvare da quello che c’era nella sua testa. Faceva schifo essere usciti dalla Scacchiera e rendersi conto che le cose non erano cambiate. Perché non potevano cambiare.
            «Milla…» comincia Ryan. Milla si volta a guardarlo, apre la bocca per chiedergli di non dire nulla, ma lui la interrompe prima che possa articolare una frase. «No, lasciami parlare. Mi dispiace che tu stia ancora male per tutte queste cose, ma devi capire una cosa e non so se sarà il tuo psicologo a dirtelo chiaro e tondo: non è colpa tua. Ci siamo lasciati non per colpa tua, non andava bene, non funzionavamo. Devi smetterla di incolparti di questo e della Scacchiera e di ciò che ha fatto il Ladro Nero perché niente di tutto questo è colpa tua. Milla, ci siamo lasciati perché avevamo diciassette anni e una relazione a distanza tra l’Italia e l’America, perché io stavo male a non poterti vedere, a non poterti aiutare quando soffrivi. Ci siamo lasciati perché era difficile e non era giusto che, dopo tutto quello che avevamo passato, avremmo dovuto continuare a complicarci la vita. Tu meriti di essere felice, di avere un ragazzo vicino casa tua che ti porti a ballare tutte le sere cacciando dalla tua mente tutti i fantasmi che l’affollano. Devi smettere di pensare che tutto quello che sia successo sia stata colpa tua.»
            «Ma come faccio?» sbotta Milla, gli occhi lucidi accusatori puntati nei suoi, guardando subito dopo verso l’alto cercando di ricacciare indietro le lacrime. «Come faccio? Non credo di potercela fare.» Inspira profondamente mentre chiude gli occhi, per riordinare le idee e scegliere cosa dire. «Sono ossessionata dall’idea che mi hai lasciato perché ero diventata ingestibile e troppo gelosa e ti davo fastidio. Non sopportavi rispondere ai miei messaggi o stare al telefono con me. Non volevi più stare con me. Ho cercato di dirmi per anni che fosse colpa tua, che eri tu a non amarmi abbastanza perché, se fosse stato per me, staremmo ancora insieme. No, no, no.» Inizia a singhiozzare. «È ovvio che sono stata io a rovinare tutto, no? Chi altri avrebbe potuto farlo? Chi altro è stato a rovinare tutti i vostri piani sulla Scacchiera? Chi vi stava conducendo dritto dritto nelle mani dell’Ingannatore? Io. Sempre io.»
            Ryan l’abbraccia, prendendola alla sprovvista. Immediatamente i muscoli della schiena di Milla si irrigidiscono, per quel contatto improvviso e inaspettato, ma il dolore al cuore è più forte e l’unica cosa che il corpo le grida di fare è piangere, piangere, piangere, lasciarsi andare. Perché con Ryan piangere era sempre stato troppo facile.
            Anche senza di lui.
 
Ci sono due ragazzi fuori l’aeroporto, seduti su una panchina. Stanno parlando, stanno ridendo. Sembrano felici, da lontano, sembrano intimi. Lei ride per qualcosa che ha detto lui, si mette una mano davanti la bocca e si gira dall’altra parte per non far vedere che è diventata tutta rossa. Lui le dà un bacio sulla guancia, lei fa un sorriso dolcissimo. Si guardano negli occhi per un po’, mani nelle mani, finché lui non ce la fa più: le prende il viso per le mani e la bacia come se non potesse vivere un altro secondo senza poggiare le labbra su quelle di lei.
            Milla li osserva dalla parte opposta della strada. Si sente presa in causa.
            «Sembriamo noi due quando andava tutto bene» mormora. Ma era mai andato tutto bene?
            «È vero» risponde Ryan «spero che saranno felici, insieme.»
            Milla annuisce.
            «Vuoi che ti accompagno alla stazione? Hai detto che devi raggiungere i tuoi amici a Firenze» gli chiede Milla dopo aver smesso di osservare i due ragazzi che continuavano a baciarsi sulla panchina. Si trova a sperare davvero che sarebbero stati più felici di loro due. «Tanto ci si mettono cinque minuti.»
            Ryan ringrazia e risponde che gli farebbe molto piacere.
            Si avviano verso la macchina: Ryan si trascina dietro la valigia e un borsone, lei giocherella con le chiavi della macchina voltandosi a controllare, di tanto in tanto, che sia ancora lì e la stia seguendo. Arrivati davanti la macchina, una Opel corsa blu, Milla apre il portabagagli per permettergli di poggiare le borse.
            «Mio dio, ora hai la patente, è vero» esclama Ryan.
            «Già.»
            La stazione è vicina, a cinque minuti dall’aeroporto. Milla lascia la radio accesa senza nemmeno abbassare il volume. Ryan guarda fuori dal finestrino il paesaggio italiano, così diverso dal grigio della sua città. Gli piace davvero l’Italia – almeno quel poco che aveva visto insieme a Milla – e si sente emozionatissimo all’idea di visitare per bene le principali città della Toscana. Quando stavano insieme non erano andati più di tanto in giro perché non volevano perdersi un secondo l’uno dell’altro. Ora lo fa un po’ rosicare. Gli sarebbe piaciuto fare più cose con lei, avere più ricordi di cose fatte insieme. Guarda apertamente Milla e pensa che è una bellissima ragazza, che ora sembra più serena, più rilassata; che invece quando stavano insieme era sempre triste, scontrosa e aveva allontanato tutti i suoi amici.
            «Ti trovo bene» fa una pausa, aspettando una risposta, ma la ragazza continua impassibile a fissare la strada davanti a lei. «In ogni caso, sono felice che hai accettato il mio invito ad incontrarci, non stavo bene sapendo che non avresti voluto parlarmi mai più. Abbiamo passato troppo insieme e non si può far finta di niente. Sei una persona a cui voglio bene.»
            Milla si gira a guardarlo, distogliendo solo per un attimo gli occhi verdi dalla strada, ritorna a fissare la strada, poi sussurra: «Sei anche tu una persona a cui voglio bene.»
            Arrivano in stazione, Milla aspetta che lui riprenda la valigia prima di chiudere la macchina. Decide poi di accompagnarlo al binario, mancano dieci minuti alla partenza del primo treno verso Firenze. Sta cercando di abituarsi all’idea che ora sono amici, che tra di loro è tutto risolto e non deve più cercare di odiarlo o dargli la colpa per averla lasciata.
            «È strano» comincia Milla.
            «Cosa?»
            «La prima volta che ci siamo visti è stato proprio dentro una stazione, ricordi? Io mi guardavo intorno ansiosamente ma non riuscivo a vederti, poi sei arrivato tu, che mi hai preso tra le braccia e mi hai baciata. È stato il momento più felice della mia vita» continua malinconica la ragazza, osservando le persone che si trascinano dietro le loro valigie o quelle che sono in ritardo e saltano sul treno all’ultimo momento. «Mi fa strano sapere che probabilmente oggi sarà l’ultima volta che ci vedremo, e sarà in una stazione. Un cerchio che si chiude.»
            «Puoi sempre venirmi a trovare, lo sai. Anche se non c’è molto da vedere da me. Oppure potrei tornare in Italia, magari la prossima volta a Venezia o a Roma» risponde Ryan.
            «Già. Potrei.»
            Si guardano per un po’. Il treno sta per arrivare, ma sembra che nessuno dei due sia pronto a dirsi addio. Non avevano avuto modo di lasciarsi faccia a faccia, quindi questa dà l’impressione di essere realmente la fine. Ryan, immobile, aspetta che sia lei a decidere cosa fare, non vuole turbare il suo equilibrio. Milla fa un passo verso di lui, allarga le braccia e si appoggia al suo petto; lui le avvolge la schiena con le braccia e la stringe forte. A Milla viene da piangere. È finita, è davvero finita. Non pensava ce l’avrebbe mai fatta.
            Rimangono abbracciati quasi un minuto, come per dirsi tutto quello che con le parole non sono riusciti a esprimere. Mi mancherai. Ti voglio bene. Ti prego non sparire, non di nuovo.
            Il treno è arrivato, Ryan la allontana dolcemente e si mette in fila per salire sul regionale che lo porterà dai suoi amici. Milla rimane ferma a guardarlo, a guardarlo andare lontano da lei, come aveva fatto tante altre volta. Ma stavolta per davvero, stavolta per sempre. Mentre il treno si allontana Milla sente un groppo alla gola, una lacrima scivola silenziosamente dagli occhi verso il mento, fino a cadere sulla clavicola. Il cuore è più leggero, però. Non ama più Ryan, ora ne è sicura, ma rimane una persona importante, che le ha cambiato la vita. Una persona che, nonostante tutto, l’ha condizionata per anni, che l’ha frenata e bloccata e non le ha permesso di esprimersi al massimo. Si sente finalmente libera di ricominciare, libera di pensare al futuro, di guardare avanti. Si sente come se fosse riuscita a liberarsi di un peso che la trascinava in fondo, che la riportava giornalmente nel suo incubo personale; ora è pronta ad affrontare di nuovo il demone dentro la sua testa, stavolta è pronta a vincere.
            Così, Milla si rimette in macchina per tornare a casa. La radio si accende, sta passando la loro canzone. Milla alza il volume, abbassa i finestrini e inizia a cantare con le lacrime che le rigano il volto, mentre nel frattempo ride come non faceva da anni.
            Le avevano detto che non avrebbe potuto vivere senza Ryan, e lei ci aveva creduto. Non farà mai più questo errore.
Le avevano detto che non esiste l’Ombra senza il Fuoco. Eppure era ancora lì.
            E avrebbe trovato un modo diverso per esistere.
  
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