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Autore: Kira Eyler    12/03/2018    3 recensioni
[Dedicata alla mia dolce amica Sun] [Presenza di OC!]
[Tematiche delicate accennate]
Ci sono genitori che di genitori hanno solo il nome. Ci sono persone con un'infanzia mai avuta, magari distrutta proprio da chi doveva proteggerli. Allo stesso modo, c'è chi cede e si abbandona ad una vita drammatica; chi prova ad andare avanti, a non cadere, a lasciarsi tutto indietro e a far sorridere gli altri.
"[...] Adesso si chiede se, ogni tanto, pensa a lui e se lo immagina disperato, distrutto, o suicida. Si chiede se di notte riesca a dormire, dopo tutto quello che ha causato. Lui andrà avanti in ogni caso, senza lasciare che il passato lo blocchi in una via di disperazione; l'unica cosa bella che ricorderà di lei, saranno le sue classiche parole: "-Il Sole non smette di splendere, anche se coperto da nuvole nere. Appena queste si diradano, la stella mostra tutto il suo splendore... e così devi fare anche tu.-""
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dedicata a Sun (nome che ti ho dato, eheh!); perché nonostante tutto, riesce ad andare avanti e dà coraggio anche a me. 
Be', dai, in realtà anche perché ti piace questo personaggio.

Mother

-La mamma fa questo perché ti vuole bene-
Il bambino sorride a queste parole: per lui sono una spiegazione. E anche se non riesce più a muoversi per tutti quei lividi sul corpicino già di suo esile, si ritrova a giustificarla e a perdonarla.
Ha la testa appoggiata sul pavimento di pietra, i capelli castani e corti sono impregnati di sangue. La mamma non ci è andata leggera, ma l’ha fatto perché gli vuole bene e lui deve esserne grato.
 
-Tesoro, non odiarmi, ma devi capire che ciò che fai è sbagliato...-
Gli chiude la porta, sente che viene anche usata la chiave. Forse viene bloccata da qualcos’altro.
Questa volta non sorride.
Si siede nell’angolo della cantina, stringe le gambe contro il petto e nasconde il viso tra le ginocchia, chiudendo gli occhi scuri; le catene tintennano tra loro, ma fuori sente delle risate: risate di bambini. E’ arrabbiato perché è costretto a stare chiuso lì, non può uscire a giocare.
“Che ho fatto di male?” si chiede, sospirando “Non dovevo giocare così tanto col gatto... se solo si fosse svegliato dopo questi tre giorni...”
 
-Perché tua mamma ti ha chiamato “Errore”? E’ così brutto!- commenta una bambina.
Non può fare a meno di guardarla, un po’ offeso. Cosa c’è di male in quel nome? Se si chiama così, era perché a lei piaceva. Quindi è un bel nome, no?
Fa spallucce, torna a disegnare; quando sua madre tornerà a prenderlo per portarlo a casa, le mostrerà ogni singolo disegno. Deve raccontarle così tante cose, che al solo pensiero sorride gioioso.
La piccola gli si siede accanto, poggia le mani sul gradino e sbircia sul foglio coperto da linee scure, apparentemente senza senso. Sorride e lo guarda: -Posso chiamarti Idate?-
-Fai pure- risponde.
Non gli piace il nome, però dovrà sopportarlo per poco: prima o poi uscirà dall’orfanotrofio... anche se la mamma ha sempre rimandato e ormai, sono due anni che vive lì!
 
Lei non verrà a prenderlo: ha avuto la fredda conferma. In realtà, gli è stata sbattuta in faccia nello stesso istante in cui è stato sbattuto sul materasso.
Piangere non serve, gli ha detto uno di loro, perché tanto è inutile. La governante ha avuto l’incarico proprio da sua madre, lui ed altri devono lavorare per farle ottenere soldi.
Idate si sente uno schifo, perché i suoi fratelli vivono con ciò che guadagna venendo spogliato, toccato e usato; neanche lo sanno. La odia con tutto se stesso.
Prova a coprire i segni violacei ancora una volta, poiché la sua amica non deve saper niente di tutto ciò.
-Non lo saprà nessuno.-
 
Aveva otto anni quando tutto quel lavoro era iniziato e dieci quando è finito. Adesso ne sono passati di più, di anni.
E col passare del tempo erano venute alla luce molte cose, tra cui il fatto che fosse diverso dagli altri: confondeva il bene e il male, non mostrava alcuna empatia se non verso poche persone, aveva scatti d’ira abbastanza bruschi, violenti e improvvisi. Era anche impulsivo –lo è ancora, ma sta cercando di cambiare; era strano, insomma. E’ strano.
Non riesce a farsi amici, neanche a mantenere relazioni stabili.
-Mostro maledetto, devi morire!- gli grida contro quello che era il suo compagno di stanza. E anche il suo compagno e basta, prima che questo scoprisse che stava allo stesso tempo con una ragazza.
Sbuffa e si passa una mano tra i capelli, che in quel tempo ha sia tinto di bianco, sia fatto allungare fino alle spalle. Non è mica colpa sua se la giovane è rimasta incinta, alla fine! O meglio, questo è ciò che pensa: dà la colpa a lei, perché doveva stare attenta.
Se è diventato così impulsivo è colpa di sua madre. Se è diventato un mostro che tutti odiano e abbandonano, è perché lei gli ha fatto vivere l’inferno.
 
Idate non ne può più.
Sente la sua presenza anche se non c’è: non la vede da quando ha nove anni, o forse otto, eppure continua a sentire le sue sgridate e i suoi schiaffi. Continua a sentirla mentre lo guida verso una vita che, indirettamente, ha scelto per lui.
Ha sempre detto agli altri di essere forte, di non aver paura, di non piangere mai. Ha sempre detto agli altri che la mamma lo aveva semplicemente lasciato in orfanotrofio perché non lo voleva.
E alla fine è colpa sua, perché se non avesse mai ucciso per sbaglio cani e gatti, se non avesse sviluppato prima di tutto la maledetta setticemia, forse lo avrebbe amato... e niente sarebbe accaduto!
Non era forte: più visitava psichiatri, più capiva che quel problema era reale e lo rendeva solo un debole. Aveva paura di ciò che era diventato, a volte aveva voglia di piangere e farla finita con tutto. Però se lo avesse fatto, l’avrebbe lasciata vincere.
Così aspettava.
-Prima o poi dovrà consumarmi la malattia, no?- dice ai compagni, ai bambini e anche agli altri. Quando lo dice sorride, per buttarla sullo scherzo.
 
Oggi una bambina stava piangendo, seduta su una panchina; gli si era subito avvicinato, poiché odia vedere gli altri piangere, soprattutto se sono bambini.
-Ho litigato con mamma! La odio!- aveva detto, per rispondere alla sua domanda. Diceva di odiarla, ma piangeva e ogni tanto gli chiedeva se, secondo lui, la madre l’avrebbe perdonata.
Idate le accarezza i capelli biondi, la guarda con gli occhi coperti dalle lenti a contatto rosse.
-Stai tranquilla, piccoletta!- la rassicura con un sorriso -Ti vuole bene, anche se l’hai fatta arrabbiare.-
La piccola si asciuga le lacrime dal viso paffuto, ora anche arrossato per il pianto, e lo osserva alla ricerca di maggiori rassicurazioni; gli occhioni sono ancora lucidi, pieni di gocce cristalline.
-Davvero?- gli chiede tra i singhiozzi. Attende una risposta positiva.
L’adulto annuisce; -Una mamma vuole sempre bene al proprio figlio. Anche se a volte si arrabbia, e magari dice cose che non vuole dire, non smette di amarlo- spiega -E’ sempre pronta ad accoglierti e a riempirti di coccole, fidati!-
Avrebbe voluto crederci a quelle parole; o almeno, vorrebbe che fossero vere anche per la sua. Gli è costato tanto pronunciarle, è rimasto con l’amaro nell’anima e una maschera di gioia e convinzione.
La biondina tuttavia sorride, balza giù dalla panchina e gli va davanti. Sembra decisamente più contenta.
-Grazie, signore!- ringrazia, traboccante di allegria. Poi osa una domanda con un po’ di titubanza: -Anche tua mamma quando vi litigavate gridava e... e... poi facevate pace?-
Non risponde, preferisce non farlo.
Non vuole rivivere brutti ricordi, non vuole sembrare una vittima e non vuole rovinare infanzie altrui –ma purtroppo l’ha già fatto. Vuole approfittare dei momenti di lucidità per far vivere agli altri bellissime bugie, poiché da sempre quelle servono a nascondere certe crude realtà.
“La mamma è sempre la mamma”: nel suo caso, quella era una semplice donna che gli aveva donato la vita e se l’era pian piano ripresa.
Però non l’avrebbe lasciata vincere e avrebbe continuato ad andare avanti, nascondendo la maggior parte degli eventi d’infanzia.
Adesso si chiede se, ogni tanto, pensa a lui e se lo immagina disperato, distrutto, o suicida. Si chiede se di notte riesca a dormire, dopo tutto quello che ha causato. Lui andrà avanti in ogni caso, senza lasciare che il passato lo blocchi in una via di disperazione; l'unica cosa bella che ricorderà di lei, saranno le sue classiche parole: "-Il Sole non smette di splendere, anche se coperto da nuvole nere. Appena queste si diradano, la stella mostra tutto il suo splendore... e così devi fare anche tu.-"

Angolo Autrice:
Buona sera gente! Come detto prima, la storia è dedicata a una mia amica. Spero sia piaciuta anche a voi, com'è piaciuta a lei :")
E' la prima volta che scrivo su questo personaggio, ma volevo provare. Si vede che adoro l'angst e che ultimamente lo sto usando tantissimo, vero? xD 
Ho un po' paura per il rating, sinceramente... se notate errori, o avete commenti sul rating, segnalatemi nelle recensioni o.o 
Detto questo, mi dileguo e mi preparo ad essere probabilmente linciata xP devo liberare Word da tutte le storie scritte durante l'assenza, sopportatemi. Un abbraccio,
Kira <3


 
   
 
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