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Autore: Andrea_Vitali    14/03/2018    1 recensioni
Da come si è potuto evincere dai passati eventi della mia esistenza trattati nelle pagine precedenti di questa sudata autobiografia, il dubbio che abbia trascorso una vita piana e senza picchi insidiosi è facilmente ipotizzabile e comprensibile; al contrario, talvolta, capitarono situazioni scioccanti che sconvolsero il mio animo e che ebbi modo di vivere attraverso l'incredulità dei miei stessi occhi.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da come si è potuto evincere dai passati eventi della mia esistenza trattati nelle pagine precedenti di questa sudata autobiografia, il dubbio che abbia trascorso una vita piana e senza picchi insidiosi è facilmente ipotizzabile e comprensibile; al contrario, talvolta, capitarono situazioni scioccanti che sconvolsero il mio animo e che ebbi modo di vivere attraverso l'incredulità dei miei stessi occhi.

A tal proposito ho arbitrariamente deciso di dedicare solo ad una di queste uno spazio, seppur misero, nelle mie memorie: affidandomi a Nostro Signore, lo imploro che non dobbiate mai essere diretti testimoni di simili atrocità e che l'inchiostro di cui il mio polso n'è guida ne faccia da eterno sigillo.

Al tempo – era il 1846 – fui assistente del professor Friedrich Moore, docente di Fisica e Chimica presso la prestigiosa Università di Princeton, New Jersey.

Tutto ciò che è e che fu di mia conoscenza lo devo alla pazienza e alla dedizione con cui il professor Moore mi insegnò tutto ciò che poté imparare nella sua lunga ed illustre carriera, aiutandomi a svelare gli arcani riguardo i misteri della materia e le forze di cui essa è soggetta. Se il lettore dovesse essere a digiuno di questi avvenimenti, sappia che erano anni di fermento nell'universo accademico e non v'era giorno in cui non si gettava luce sulle ombre che avvolgevano la natura e i suoi meccanismi; ciò comportò, d'altro canto, all'incontrollato dilagare di studi indipendenti e poco convenzionali, i quali, per ovvie ragioni, erano tenuti all'oscuro della comunità scientifica, in quanto la maggior parte violava qualsiasi codice etico, statale e divino.

Fu su invito del professor Moore che, in via del tutto informale, andammo ad assistere a uno di questi esperimenti. L'evento avrebbe dovuto aver luogo presso la villa del dottor Faust, nome che alla memoria dei gentiluomini del settore non risulterà di certo alieno: il dottor Faust, prima di causare – in modo del tutto preterintenzionale, a mio parere - quel terribile incendio nei laboratori della facoltà – nel quale perse la vita la signorina Athena Riley, sua personale assistente e mia vecchia compagna di studi – e della sua conseguente radiazione, era direttore del dipartimento di Medicina presso il nostro istituto; la sua professionalità, prima dell'incidente, era universalmente riconosciuta, tanto da rendersi disponibile per preziose consulenze in numerose altre università del nostro paese.

Il professor Moore fu a sua volta, in tempo di gioventù, compagno e amico del dottor Faust; nel corso dei nostri innumerevoli incontri accademici, capitò più volte che mi parlasse – lasciandosi sfuggire una velata ma percepibile invidia - del dottor Faust e di come la sua mente rivoluzionaria avrebbe stravolto i criteri di ricerca e sperimentazione.

«Il limite etico nella ricerca, serva ultima della scienza maestra» era solito dire il dottor Faust, stando a quanto riferitomi «è solo frutto di una predisposizione specifica della coscienza insita nel genere umano, ovvero quello di vacillare laddove il libero arbitro ha posto un confine».

La scienza - dal latino scientia, ovvero conoscenza - non doveva sottostare, per definizione, ad alcun tipo di barriera ideologia o morale e io, all'epoca, condividevo questa linea di pensiero.

Quella sera il dottor Faust inviò il suo nuovo assistente, uno spaventoso giovane possente e duro d'aspetto, a raccoglierci presso la facoltà di Chimica. Il giovane si rivelò essere, con mio imbarazzante stupore, un uomo colto e dalla parlata elegante, prova vivente dell'infruttuosità delle ricerche in campo fisiognomico condotte, negli anni a venire, da un collega italiano.

Arrivammo alla villa in poco tempo e, una volta congiunti a un modesto gruppo di persone, fummo accompagnati all'interno di un ampio e umido scantinato, dove ci aspettava il dottor Faust, seduto accanto a due uomini sdraiati e assicurati a delle vecchie brande d'ospedale.

Il dottor Faust attese che il nostro piccolo gruppo di curiosi si sistemasse attorno a lui, poi iniziò a parlare.

Tenterò di trascrivere ciò che disse il più fedelmente possibile, tuttavia il tempo è un ingannatore formidabile, di conseguenza è probabile che qualche mia licenza poetica andrà a modificare leggermente la realtà, seppur senza stravolgerla. Il lettore saprà sicuramente essere comprensivo.

«Signori, gentiluomini, scienziati illuminati, benvenuti nella mia dimora. Vi porgo i miei più sinceri ringraziamenti per aver accettato il mio invito e, con imbarazzo, vi chiedo perdono se l'ambiente in cui vi trovate ora non rende giustizia al buon gusto a cui siete abituati, tuttavia la situazione impone una certa discrezione; questa notte assisterete al frutto degli studi di una vita nel campo medico e neurologico e, a tal proposito, avviso lor signori che andremo a violare ogni tipo di giurisdizione morale, terrena o sovrannaturale e che ciò che state per vedere sarà per voi di difficile accettazione e comprensione; vi prego per tanto di abbandonare questa stanza se non siete pienamente pronti ad accogliere qualsiasi tipo di conseguenza»

Il dottor Faust attese qualche secondo, mentre noi ci guardavamo, annuendoci a vicenda.

«Bene, molto bene... Come vi dissi poc'anzi, il progresso delle mie ricerche mi ha portato a pormi degli interrogativi: qual è il fine ultimo della ricerca medica? Esistono dei limiti che non possono essere valicati? Ebbene, l'essere umano, dalla sua celeste creazione, cercò da sempre di raggiungere la comprensione dell'universo e di cosa in esso agisce e ne regola gli eventi, arrivando a sacrificare perfino l'occasione di esistere al fianco di Colui che tutto creò, seppur in uno stato di sudditanza. Sacrificò l'immortalità poiché assetato di sapere. Il sacrificio, un concetto ormai effimero in questi frenetici tempi moderni, è essenziale per progredire, per migliorare; niente deve essere trascurato e ogni strada, per quanto tortuosa sia, deve essere percorsa. Sbagliarono forse gli antichi ricercatori che, in tempi bui, profanarono tombe, utilizzando le salme per i loro studi, i quali ci assicurarono un notevole miglioramento qualitativo della salute di tutti noi? Esiste una scintilla, nell'animo umano, che ci spinge ad andare oltre quella coltre di fumo che è la realtà. Io ho guardato oltre quel velo e ho compreso questo, signori: l'uomo è destinato a riprendersi quel posto che gli spetta tra gli astri del firmamento poiché io, Hebert Douglas Faust, ho scoperto come sconfiggere la morte»

Quelle parole ci sconvolsero non poco: un brusio via via sempre più crescente si espanse nello scantinato. Era... vero? Cercai risposte nello sguardo del professor Moore, ma trovai solo altre domande.

«Vi prego di mantenere la calma, signori. Non sono le parole di un assennato, ciò che affermo corrisponde ad assoluta verità ed è con la verità in mano che ho deciso di invitarvi qui, nella mia dimora, per dimostrare pubblicamente e senza artifizi ciò che affermo»

Il dottor Faust si addentrò in un roveto di termini medici molto specifici, i quali, ammetto con estrema vergogna, non compresi con facilità. Egli, parole sue, riuscì a trovare quello che lui chiamava il centro dell'anima: da una piccola ghiandola alla base del cranio, di circa due centimetri di diametro, veniva estratto un liquido, il quale, molto instabile e pericolosamente sensibile alle soluzioni basiche, veniva successivamente trattato; il dottor Faust non ci spiegò con esattezza né i composti utilizzati, né la procedura da lui creata, e ne è facilmente comprensibile il motivo: ad assisterlo, quella sera, non vi erano solo uomini di scienza. Erano presenti anche facoltosi magnati, spietati uomini d'affari, i quali avrebbero speso qualsiasi fortuna per poter avere tra le mani una scoperta che avrebbe rivoluzionato la vita umana e la sua concezione. La scienza era indissolubilmente ancorata al denaro, e viceversa. Inoltre nessuno dei presenti aveva una preparazione sufficientemente adeguata per comprendere, anche solo in minima parte, il machiavellico procedimento creato dal dottor Faust.

«Il prodotto risultato dal trattamento di questa sostanza» ci disse il dottor Faust «l'ho denominato Anima Defuncti; ebbene sì signori, per quanto vi possa sembrare assurdo o ridicolo, l'ingenio umano è riconducibile solamente a qualche centilitro di liquido nauseante e oleoso. Ho invitato per l'occasione il signor Gambino e il signor Palmer, i quali si sono gentilmente offerti di prestarsi a questa dimostrazione»

I signori Gambino e Palmer erano i due uomini che vidi sdraiati quando entrammo nello scantinato: il signor Gambino era un uomo molto anziano, dal forte accento italiano e dall'incarnato itterico, segno di una cirrosi epatica allo stadio terminale; il signor Palmer era un uomo di mezza età, dal fisico smunto e secco; era evidente che fosse un senza tetto allettato dalla promessa di qualche dollaro e, forse, una bottiglia d'alcool. Era al corrente di quello che stava per accadere? Mi domandai a me stesso la stessa cosa.

«Il signor Gambino, mi scuserà la mancanza di tatto, è ormai giunto alla fine della sua vita. Come potrà confermarvi, non è stato obbligato a partecipare, né è stato informato di disposizioni differenti da quelle che vi ho esposto poco fa»

L'uomo anziano annuì debolmente e iniziò a pregare nella sua lingua natia.

«Se il signor Gambino è pronto, possiamo iniziare. Descriverò ogni azione che io o il mio assistente compieremo, in modo che voi possiate controllare che non ci avverrà nessuna manipolazione di alcun tipo. Ora inietteremo 10cc di morfina: questo dosaggio, seppur molto esiguo, porterà il signor Gambino ad addormentarsi senza provare alcun dolore. La morte sopraggiungerà all'incirca tra i venti minuti e l'ora»

Ci volle circa mezzora: il dottor Faust controllò con uno specchietto posto sotto al naso del signor Gambino per vedere se respirava ancora, ma la vita lo aveva ormai abbandonato. Ci invitò a verificare di persona e, vi posso assicurare, era morto senza sofferenza alcuna.

Prese una grossa siringa e, dalla base posteriore del cranio, estrasse, incontrando una certa resistenza, una modesta quantità di liquido torbido; successivamente, l'assistente porse al dottore un grosso becher contenente una soluzione trasparente e inodore. Potemmo osservare tutto il procedimento da vicino, ma il dottor Faust era restio a spiegarci con precisione cosa contenesse la soluzione da lui composta.

Ci chiese di allontanarci mentre mischiava i due liquidi, poiché vi era la possibilità di una forte reazione esotermica – ovvero una reazione in cui viene sviluppata una forte quantità di calore.

In quel momento nella mia mente riecheggiarono ricordi e pensieri riguardo all'incidente che lo fece radiare, alla mia vecchia amica e alla correlazione dei due eventi. Stava tentando di stabilizzare la formula del composto? Nei mesi a seguire – e prego Nostro Signore di non dover mai più vivere una simile esperienza – avrei avuto una risposta a questa domanda.

Passò una quarantina di minuti – un lunghissimo lasso di tempo in cui io e il professor Moore discutemmo sulla possibilità teorica di quello che il dottor Faust ipotizzava - e la soluzione si stabilizzò: il liquido – o Anima Defuncti – era torbido, nauseante e molto viscoso, simile a bile appena prodotta.

«Ora inietteremo questa soluzione nella stessa ghiandola del signor Palmer»

L'assistente legò al letto il signor Palmer con delle cinghie di cuoio, facendolo sdraiare sul fianco sinistro; l'uomo era inaspettatamente tranquillo, come se i suoi pensieri fossero altrove, lontano dal fermento di quello scantinato; tuttavia, non appena il dottor Faust iniziò a iniettare – con estrema cura - l'Anima Defuncti alla base del suo cranio, io, l'assistente e altri tre uomini dovemmo bloccarlo saldamente. L'assistente gli mise un morso nella bocca, sia per aiutarlo a sopportare quel che doveva essere un dolore straziante, sia per limitare i rumori che avrebbero rivelato al tranquillo vicinato la natura di quell'incontro.

Avrei dovuto aiutare il signor Palmer, avrei dovuto fermare tutto... finché ero ancora in tempo! Ma la sete di conoscenza prese il sopravvento; ero diventato una bestia selvatica, priva di raziocinio, il cui unico scopo era constatare se la sofferenza di un uomo ci avrebbe rivelato la più sconcertante delle verità. Esisteva un anima? E tramite la manipolazione di essa era possibile vincere la morte?

«Il pieno effetto del trattamento dovrebbe attestarsi in circa cinque minuti»

Il signor Palmer, lentamente, smise di dimenarsi e iniziò a fissare il vuoto davanti a sé. Solo lui e il demonio sanno cosa stesse provando il quel momento.

«Signor Palmer, sono il dottor Faust. Riesce a sentirmi?» gli chiese, accovacciandosi al fianco del letto; un tic al labbro inferiore ci rese palese un'impaziente voglia di scoprire se ci fossero stati dei risultati.

Tutti ci protraemmo, cercando di aguzzare l'udito; il signor Palmer non rispondeva, ma il suo volto lasciava trasparire una lieve e rassicurante sensazione di beatitudine.

«Signor... Gambino?»

«Sì...?»

Ogni uomo in quella stanza ebbe un sussulto nel sentire il suono della voce del signor Palmer: era totalmente cambiata, acquisendo uno spiccato accento italiano. Stava fingendo? Era tutta una messinscena? Il mio cervello elaborò in pochi istanti centinaia e centinaia di spiegazioni più o meno fantastiche, giungendo però alla medesima conclusione: era veramente la voce del signor Gambino!

«Come sta?»

«Sono... vivo?»

«Sì signore. L'esperimento ha avuto pieno successo. Riesce a muoversi?»

«No... Non sento le braccia... Non sento... Dove mi trovo?»

«Ci troviamo nel medesimo posto, non l'abbiamo spostata»

«No... Questo è... l'inferno! NO! NO!»

Il corpo del signor Palmer – o forse è meglio identificarlo come signor Gambino? - improvvisamente fu preda di atroci convulsioni che ci tennero impegnati per circa due minuti; poi smise di muoversi. Era morto. Di nuovo.

Il dottor Faust non si scompose e ci spiegò che il trattamento Anima Defuncti era ancora in piena fase di sperimentazione; tutto ciò di cui aveva bisogno ruotava attorno al tempo e al denaro, denaro che sarebbe piovuto a fiumi dalle mani dei signori lì presenti. Non fu per nulla scosso per la straordinaria brevità dell'effetto da lui indotto; al contrario, si mostrò decisamente entusiasta del risultato!

Io non fui dello stesso avviso: la mia giovane mente non era pronta per quel diabolico spettacolo e dovetti uscire in strada in tutta corsa - seguito dopo breve tempo da un altrettanto preoccupato professor Moore - quasi come se il mio istinto mi chiedesse di scappare lontano dal dottor Faust e dalla sua macabra scoperta. Eppure ne ero stranamente al contempo attratto e affascinato.

Non passò notte in cui non pensassi a quella sera e alle possibili implicazioni che un evento di quella portata avrebbe portato nel mondo tumultuoso di quei giorni.

Ebbi modo, nei mesi a seguire, di organizzare nuovamente degli incontri con il dottor Faust presso la sua abitazione, ovviamente accompagnato dal professor Moore e dall'assistente del dottore; gli esposi i miei dubbi e lui fu felice di rispondere a ogni domanda gli ponessi: il siero aveva centuplicato il suo effetto, rendendo semi-permanente la presenza di una coscienza in un corpo ad essa estraneo; il quantitativo di liquido originale era drasticamente calato e non era più necessario reperirlo da un corpo fresco, nonostante il tempo lo rendesse facilmente deperibile; era stato stimato che in circa un caso su venti – con la formula attuale – le coscienze potessero coesistere, generando rapido collasso del sistema nervoso, portando il soggetto in uno stato regressivo di puro istinto e violenza, sebbene il dottor Faust ci teorizzò che, con le giuste modifiche, il siero avrebbe azzerato questa fastidiosa possibilità.

Aveva calcolato freddamente ogni imperfezione e il metodo più idoneo per rimuoverla, ma non passò molto tempo che – oddio – capimmo che i suoi calcoli risultarono errati. Il lettore voglia scusare l'evidente crollo stilistico, ma il ricordo di quell'evento mi incute ancora oggi un forte timore e mi offusca l'invettiva, nonostante siano passati più di cinquant'anni.

Trascorsero circa sette mesi dal mio primo incontro con il dottor Faust fino a quanto, una sera, fummo contattati con urgenza dall'assistente del dottore, il quale ci prelevò nuovamente dalla nostra facoltà. Durante il breve tragitto, mentre guidava la carrozza a una velocità insensata, ci disse soltanto che il dottore non stava bene e aveva chiesto il nostro aiuto; il suo volto era stravolto, come se si fosse trovato dinnanzi il demonio in persona.

Quando arrivammo alla villa, impietrito, capii che non ebbi un'ipotesi molto differente: notammo con estremo orrore che era invasa dalle fiamme. Accorremmo all'aiuto di altri uomini che, nel frattempo, si erano armati di numerosi secchi d'acqua per scavarsi una via per poter raggiungere il dottor Faust e trarlo in salvo.

E fu in quel momento, mentre lottavamo incessantemente col fuoco, che udii delle urla raccapriccianti, delle urla dal timbro femminile e familiare che non hanno mai abbandonato le mie notti insonni. Era un unico concatenarsi di frasi, come se provenissero da un solo individuo, ma al tempo stesso erano estranee, differenti e io – che il Signore abbia pietà di noi – capii dall'ultimo urlo, prima che la casa ci rovinasse davanti, cosa era accaduto, cosa aveva spinto il dottor Faust a velocizzare la sperimentazione e l'origine di quella voce.

«Bruciate, dottor Faust, bruciate come io bruciai per voi!»

   
 
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