An island of glass
and salt
Daenerys
Il
mare era agitato. La schiuma delle onde ribolliva in superficie ed
il sole si rifletteva sull’acqua creando spettacolari giochi di luce.
Gli
spruzzi gelidi sfumavano nell’aria frizzante del mattino ed un gabbiano
volava
basso in cerca di pesce. Le navi della flotta avanzavano con calma,
dondolando
leggermente, le vele nere gonfie al vento.
Daenerys, in piedi sul ponte della nave ammiraglia, scrutava
l’orizzonte. In lontananza, dove il mare ed il cielo si baciavano, si
intravedevano delle rocce appena accennate sullo sfondo turchese.
Dany sospirò, lasciando che il vento le spingesse
all’indietro gli
splendidi capelli argentei che le ondeggiavano con naturalezza sulle
spalle.
Erano quasi tre settimane che erano in viaggio e Daenerys
avvertiva la
stanchezza sulla pelle. Il sale le incrostava i vestiti ed il continuo
movimento dell’imbarcazione le causava una leggera nausea. Continuava a
voltarsi indietro, angosciata dalla paura di essere abbandonata dai
propri
alleati, ma le altre navi erano sempre là, con il suo stemma dipinto
sulle
vele.
I Dothraki avevano dimostrato un’insospettabile destrezza
nell’affrontare le acque velenose e non erano caduti vittima
del mal di
mare come il primo khalasar che Dany aveva condotto ad Astapor. Perfino
i loro
cavalli non si erano lamentati più di tanto della difficile traversata.
Daenerys
alzò lo sguardo in cerca dei suoi figli. Drogon era sempre
quello che si allontanava maggiormente, esplorando le piccole isole che
costeggiavano o le grotte semisommerse dalle maree. Anche Rhaegal stava
acquisendo coraggio, scomparendo per ore, per poi tornare solo al
tramonto, le
scaglie verdi scintillanti come smeraldi. Quindi Daenerys non fu
stupita quando
riconobbe Viserion nel drago che volava in cerchio divorando quello che
sembrava essere un grosso tonno. Il drago bianco era sempre stato il
più schivo tra i
fratelli e raramente abbandonava la protezione delle navi.
Dany udì dei passi alle sue spalle. Si voltò e vide Tyrion
Lannister
che la raggiungeva con la sua buffa andatura ciondolante.
“Maestà” esordì il nano in tono confidenziale, “vedo che il
viaggio
prosegue bene. Non soffri il mal di mare?”
Daenerys scosse il capo.
Tyrion
fece una smorfia.
Daenerys si concesse una breve
risata. Poi tornò seria.
Tyrion si calò immediatamente nei panni del Primo Cavaliere
che ha
tutta la situazione sotto controllo.
Daenerys aggrottò le folte sopracciglia nere.
“Cersei non ha una flotta.”
“E tu come lo sai?”
“Perché si dà il caso che sia stato io a dirigere la difesa
di Approdo
del Re e sono assolutamente certo che l’unica nave di cui la mia dolce
sorella
era in possesso sia esplosa insieme all’Altofuoco.”
Daenerys abbassò il capo.
Stava tornando al luogo in cui era nata, al luogo in cui la
regina
Rhaella Targaryen era morta di parto durante la più terribile tempesta
che i
marinai avessero mai visto. Un luogo di cui non conservo alcun
ricordo.
Quando era piccola Viserys le raccontava spesso storie sulla
loro terra.
La nostra casa, la chiamava, e Daenerys lo ascoltava rapita,
immaginando
il giorno in cui vi avrebbero fatto ritorno. Il popolo l’avrebbe
accolta tra
urla di gioia e si sarebbero dati banchetti in suo onore, con danze e
cibi
squisiti. L’idea di una possibile guerra non l’aveva nemmeno sfiorata.
Poi la
bambina era cresciuta ed aveva imparato a prendersi ciò che le spettava
col
fuoco e col sangue.
Adesso che finalmente stava per coronare il sogno di una
vita, la sua
più grande ambizione, si sentiva a disagio. L’attaccamento febbrile che
Theon e
Yara avevano dimostrato nei confronti delle loro ispide isole, il
nazionalismo
delle Serpi delle Sabbie, la nostalgia provata da Tyrion per un popolo
che
l’aveva sempre disprezzato, erano sentimenti estranei a Daenerys Nata
dalla
Tempesta.
Sto per diventare regina di un regno che non ho mai visto, la
cui
gente non mi conosce, e non ho nessuno al mio fianco.
La notte si rigirava nel letto cercando la presenza
rassicurante di
Daario al suo fianco. Voleva svegliarsi e trovarselo accanto, sentirlo
ridere
senza un reale motivo, accarezzandogli i lunghi capelli castani. Non
rimpiangeva la decisione presa a Meeren, ma non avrebbe mai immaginato
che
sarebbe stato così difficile dimenticare.
Le mancava Daario Naharis, con i suoi modi irrispettosi e
provocanti,
le mancava Barristan Selmy e la sua voce gentile che le raccontava di
Rhaegar,
ma più di tutti le mancava Jorah Mormont.
Quando l’aveva lasciato andare, la polvere tra i capelli ed
un sorriso
sulle labbra, si era resa conto di quanto Jorah significasse per lei.
Nonostante non l’avrebbe mai ammesso neppure a sé stessa, dopo ogni
esilio a
cui l’aveva costretto, il suo cuore aveva sperato disperatamente in un
suo
ritorno, e quando l’aveva visto nell’arena, pronto a combattere e a
morire per
lei, quello stesso suo cuore aveva rischiato di fermarsi. Non era più
Jorah
l’Andalo, Jorah il Traditore o Jorah il Voltagabbana, ma solamente
l’uomo che
l’aveva aiutata a sopravvivere tra i Dothraki, che l’aveva lasciata
libera di
gettarsi tra le fiamme e che le era sempre rimasto vicino nei momenti
più bui.
Ma lei aveva battuto le mani lo stesso.
Una raffica più forte delle altre costrinse Daenerys ad
aggrapparsi al
parapetto. La figura della Roccia del Drago andava delineandosi ed
ormai
dovevano mancare un paio d’ore allo sbarco. Daenerys inspirò
profondamente,
riempiendo i polmoni con aria salmastra.
Decise di scendere sottocoperta a riposarsi e si avviò verso
le scale
scivolose. Nella sua cabina l’attendeva come di consueto Missandei, che
le
sciolse i capelli aiutandola a cambiarsi.
“Devo avvertirti quando siamo arrivati, mia regina?” le
chiese la
giovane scriba spegnendo la lucerna. Dany annuì, nascondendo dietro la
mano un
enorme sbadiglio. Missandei uscì accostando con delicatezza la porta e
Daenerys
si addormentò nel momento stesso in cui posò il capo sul soffice
cuscino di
piume.
Sognò di sedere sul Trono di Spade con Tyrion al suo fianco.
Barristan
era vivo e le sorrideva, Daario le faceva l’occhiolino e Jorah non
aveva tracce
di Morbo Grigio sulla pelle. “Khaleesi” le stava dicendo con affetto. E
Daenerys si ritrovò ad abbracciarlo piangendo.
“Perdonami, ti prego perdonami, Jorah” gli sussurrava tra i
singhiozzi
stringendolo spasmodicamente, “perdonami per tutto quello che ti ho
fatto. Io…”
Jorah perse consistenza dissolvendosi nell’aria. Daenerys si voltò
sconvolta,
il viso rigato ancora dalle lacrime, e si ritrovò sola nella sala del
Trono.
“Vai a Nord” le disse una voce alle sue spalle.
Daenerys si girò sobbalzando e vide una donna alta e magra
avanzare
verso di lei. Aveva i capelli scuri e portava una maschera d’oro sul
viso.
“Chi sei?”
La donna scosse il capo.
Daenerys non
capiva.
La donna rimase
un istante in silenzio.
Fece per andarsene, ma all’ultimo si voltò nuovamente,
parlando ora
con voce grave.
“Ma
sbrigati, Daenerys Madre dei Draghi, oppure, quando l’oscurità ed
il tradimento ti avranno circondata, il Nero cadrà. E sarà morte dal
Ghiaccio,
così come è morte dal Fuoco.”
La donna misteriosa scomparve e Dany aprì gli occhi. La luce
accecante
la colpì come un pugno, mentre Missandei continuava a scuoterla con
delicatezza.
“Maestà, è ora.”
Daenerys si mise a sedere, realizzando che il movimento della
nave era
cessato. Nella sua mente rimbombavano ancora le parole della donna dal
viso
celato. Il Nero cadrà…
ripeteva incerta tra sé e sé. Che
vorrà dire? Sempre
che voglia dire qualcosa, in fondo era solo un sogno.
Si alzò barcollando, appoggiandosi al braccio di Missandei.
La ragazza
era probabilmente turbata dall’aspetto disorientato della sua regina, e
Daenerys le fu grata per non aver posto domande. Scelse una tunica
verde
smeraldo con ricami grigio-perla che si intrecciavano formando due
draghi che
sputavano fuoco e dei gioielli d’argento che armonizzassero le
calzature dello
stesso colore.
Quando finalmente uscì sul ponte la vista la lasciò a bocca
aperta.
Davanti a lei si apriva una spiaggia meravigliosa, dalla sabbia fine e
nera
come il catrame, punteggiata da conchiglie e delimitata da alti alberi
frondosi. Le loro radici nodose uscivano a tal punto dal terreno da
creare
complicati intrecci di legno e foglie. In lontananza, sulle colline si
distinguevano delle abitazioni, mentre le montagne si stagliavano sullo
sfondo.
Ma l’elemento che maggiormente catturò l’attenzione di
Daenerys fu il
palazzo. Maestoso, possente e massiccio, il castello sembrava essere
muto
guardiano del paesaggio, con le sue alte torri in decadenza e le mura
ricoperte
di rampicanti. Appariva egli stesso parte della natura. Una natura
selvaggia ed
incolta, in cui l’intervento dell’uomo era quasi invisibile. Quella era
l’isola
in cui, secoli addietro, i primi Targaryen si erano stanziati dopo
essere sfuggiti
al Disastro di Valyria, il luogo da cui Aegon e le sue sorelle erano
partiti
per la conquista dei Sette Regni. Daenerys si stupì di trovarsi
commossa.
Poi
il cielo fu attraversato da un suono stridulo e Rhaegal atterrò
goffamente sulla spiaggia. Daenerys rise, vedendo il drago alle prese
con
quella cosa strana che era la sabbia. Poco dopo arrivò anche Viserion,
che
invece preferì appendersi a un leccio che cresceva poco lontano. Come
al solito di Drogon non vi era traccia. Con il tempo Daenerys aveva
imparato a
non preoccuparsi, così non cedette all’ansia nemmeno in quel momento,
occupandosi invece di trovare una sistemazione per l’esercito. Fu solo
grazie
ai saggi consigli e alla pazienza di Varys che l’operazione di sbarco
non
provocò scontri.
“Fai scendere prima i Dothraki, vostra grazia” le aveva
suggerito
l’eunuco, “così si eviteranno risse e si sistemeranno meglio i cavalli.
Dopo di
loro sarà il turno dei Greyjoy e di metà degli Immacolati, che ti
aiuteranno a
mantenere l’ordine, mentre l’altra metà scenderà per ultima così da
provvedere
alla manutenzione delle navi, se necessaria ovviamente.” Daenerys aveva
accolto
ogni consiglio e lo sbarco era proceduto senza incidenti.
Tyrion e la sua diplomazia erano destinati alla ricerca di
una
collocazione per i Dothraki, con l’aiuto di Missandei che faceva da
interprete.
“Quasi tutte le case della Roccia del Drago sono abbandonate”
aveva
spiegato Tyrion, “ai Dothraki possiamo riservare quelle con le stalle,
così da
potersi occupare dei cavalli, mentre gli eserciti alleati possono
occupare le
altre.”
“Non ho alcuna intenzione di occupare una fattoria
maleodorante” intervenne lady Olenna facendosi nervosamente aria con un
ventaglio, “credo proprio che ad una signora di una certa età non vada
nemmeno
proposto.” Tyrion si era affrettato a scusarsi tra le risate generali.
“Voi potrete soggiornare nel palazzo” intervenne Daenerys
rivolta ai
nobili alleati, “così sarete vicini al luogo delle riunioni.” Yara
aveva riso.
“Francamente vostra altezza, io ed il mio adorato fratellino
preferiremmo una bella casetta sul mare, magari un po’ isolata dal
nostro rumoroso
seguito. Non è così Theon?” Theon non rispose, continuando a fissarsi
le punte
dei piedi.
Yara sbuffò. “E va bene” borbottò, “vada per una stanza nel
castello…”
Alla fine Ellaria Sand scelse l’opzione di un’abitazione
divisa con
Tyene, mentre Nymeria ed Obara avrebbero alloggiato al castello.
Daenerys aveva sorriso a tutti, mostrandosi cortese e
disposta ad
esaudire i loro desideri.
Non ho mai visto tante persone così
diverse tutte insieme, pensò
osservandole. E ora sono qui perché
hanno un unico obbiettivo. In
realtà la maggior parte del suo esercito era composta da guerrieri
assetati di
vendetta, se si escludevano gli Immacolati, che almeno teoricamente non
provavano desideri.
Terminata l’estenuante discussione circa le sistemazioni,
Tyrion le
sorrise incoraggiante.
“Ti
sei comportata splendidamente, maestà” la lodò il nano. “Non è
facile tenere insieme un gruppo così eterogeneo. Soprattutto se ad
avere le
palle sono le donne e non gli uomini. Quella lady Olenna è un’arpia ed
ho visto
Nymeria Sand mettere in fuga un Dothraki grosso almeno il quadruplo di
me solamente
schioccando la frusta.” Daenerys scoppiò a ridere, mentre cercava con
lo
sguardo Verme Grigio. Lo trovò all’angolo della sala, immerso in una
fitta
conversazione con Missandei.
“Guarda quei due!” esclamò Tyrion “Fino a poche settimane fa
non
sapevano nemmeno cos’era una conversazione ed ora chiacchierano come
due
ragazzine. Modestamente, è stato tutto merito mio…”
Daenerys
diede disposizione agli Immacolati di controllare le strade,
mentre lasciò alcuni ammiragli Greyjoy a sorvegliare le navi ancorate
in una
baia naturale. Concluse le cerimonie rituali ed onorata l’etichetta,
congedò esausta gli ospiti, ordinando ai servi di correre
immediatamente da lei
qualora Drogon fosse avvistato.
Lasciando Tyrion e Varys alle loro discussioni politiche di
cui lei
poco capiva, Dany si ritirò nella stanza che era stata di sua madre.
Il letto a baldacchino era rivestito con velluto rosso
chiaro, legato
sulle sbarre con cordini d’oro. I libri della libreria erano coperti da
uno
spesso strato di polvere e tra le penne della scrivania erano state
tessute
delle ragnatele.
Daenerys spalancò le finestre uscendo in balcone. Il vento le
accarezzò il viso mentre chiudeva gli occhi e lei lasciò vagare la
mente in
luoghi irraggiungibili: Approdo del Re, la Fortezza Rossa, il Trono di
Spade.
Poi sentì di nuovo la voce del sogno che le sussurrava all’orecchio.
Sbrigati, Daenerys Madre dei Draghi, oppure, quando
l’oscurità ed il
tradimento ti avranno circondata, il Nero cadrà. E sarà morte dal
Ghiaccio,
così com’è morte dal Fuoco.
E Daenerys Targaryen ebbe paura.
Bran
La neve aveva finalmente smesso di cadere. Si era accumulata
sui rami
al punto da spezzarli ed aveva ricoperto qualunque pianta che non
raggiungesse
un’altezza sufficiente. La Barriera si stagliava sul cielo
azzurro-ghiaccio
maestosa e terribile come al solito, la sommità così lontana da
perdersi nelle
nuvole.
Il freddo era così intenso da congelare i nasi ed arrossare
le guance
ed al mattino Bran si svegliava con i capelli coperti di cristalli di
ghiaccio.
Da quando erano arrivati alla Barriera lui e Meera avevano preferito
rimanere
nascosti, anche perché, perduta la slitta, non vi era più nulla che
potesse
essere usato per trasportare Bran. Meera aveva tentato di costruire un
rudimentale carretto intrecciando rami secchi, ma il risultato non era
stato in
grado di soddisfare nemmeno le loro più basse aspettative.
Bran trascorreva le giornate nella grotta che avevano eletto
come
dimora, rifiutandosi di uscire. Da quando aveva avuto l’ultima visione,
si era
chiuso in un doloroso silenzio, troppo preoccupato dai suoi pensieri
per
prestare attenzione al mondo che viveva intorno a lui. Meera aveva
tentato di
coinvolgerlo in qualche attività, ma Bran aveva sempre rifiutato,
sforzandosi
di essere gentile.
La verità era che si sentiva tremendamente in colpa. Se non
fosse
stato così sciocco da tentare quella visione proibita, il Re della
Notte non
l’avrebbe marchiato ed il Corvo con Tre Occhi, Foglia, Estate ed Hodor
sarebbero stati ancora vivi.
Il pensiero di Hodor lo devastava. La consapevolezza di aver
distrutto
la vita di quel ragazzo senza nemmeno saperlo, lasciava Bran senza
fiato. Hodor
che era sempre stato gentile, Hodor che lo portava sulla schiena a
Grande
Inverno, Hodor che aveva ripetuto per tutta la vita la parola della sua
condanna. Ed alla fine era morto, per salvare la vita a colui che aveva
causato la sua fine, morto bloccando quella maledetta porta. Hold
the Door, gli
aveva gridato Meera. E lui aveva ubbidito.
Ed è stata tutta colpa mia,
continuava a ripetersi disperato Bran. Come faccio ad essere il Corvo con Tre
Occhi se nemmeno riesco a proteggere i
miei amici? Bran non era mai stato bravo come lord, non era mai
riuscito a mettere
in pratica i consigli di suo padre. Aveva consegnato Grande Inverno a
Theon
credendo di salvare i suoi abitanti, ma aveva ottenuto solamente
macerie
fumanti e la testa mozzata di Rodrik Cassel. Poi aveva tentato di
essere un
bravo fratello maggiore prendendosi cura di Rickon, ma era stato
costretto ad
abbandonarlo chissà dove per andare oltre la Barriera. Infine aveva
provato ad
essere all’altezza del suo ruolo come Corvo con Tre Occhi, ed aveva
avuto la
visione più sconvolgente della sua vita.
Ricordava ogni cosa, ogni dettaglio. La Torre, le scale, il
letto
insanguinato, suo padre che si girava cercando qualcuno, sua zia Lyanna
che
sussurrava qualcosa, tutto era impresso a fuoco nella sua mente. E poi
quel
bambino. Così familiare, così conosciuto. Bran aveva impiegato parecchi
minuti
per realizzare ciò che aveva appena visto e, quando la verità l’aveva
folgorato, era tornato al presente gridando.
“Era mio fratello!” aveva urlato fissando con occhi folli una
Meera
sconvolta “Ho visto mio fratello… Jon… sì sì, era proprio lui ne sono
certo.”
Aveva iniziato a parlare velocemente, scosso da brividi e con le guance
in
fiamme. “Non ci posso credere, mio padre per tutti questi anni ha… No,
no è
impossibile… Ma allora Jon sarebbe mio cugino, e...” Aveva fissato
Meera negli
occhi.
“Chi è suo padre?”
Un oceano di emozioni l’aveva travolto. Mio padre lo
sapeva.
Prima di morire Lyanna aveva mormorato qualcosa a Ned, ma Bran non
aveva avuto
i riflessi abbastanza pronti per avvicinarsi, così non aveva afferrato
nulla
della breve conversazione. Ora le domande lo divoravano.
Bran si era rifiutato di passare la Barriera, preferendo
restare
accanto all’Albero-diga per avere la possibilità di tornare nel
passato. Da
qualche giorno si stava preparando per una nuova visione, desideroso di
apprendere finalmente la verità. Tutta la verità. Stavolta starò attento,
continuava a ripetersi per farsi coraggio. Devo solo fare attenzione a non
interferire con il passato.
Il passato è già scritto, l’inchiostro è
asciutto, così diceva il Corvo con Tre Occhi, ma Bran aveva
comunicato con
suo padre ed Hodor e non intendeva ripetere lo stesso errore una terza
volta.
Sarebbe tornato nel passato ed avrebbe finalmente sciolto il mistero
che
circondava Lyanna Stark e colui che fino a pochi giorni prima aveva
considerato
suo fratello.
Così quella gelida mattina, dopo essersi accertato che Meera
stesse
ancora dormendo profondamente, arrancò puntellandosi sui gomiti fino a
raggiungere l’albero-diga. Fu un’impresa faticosa, ed anche piuttosto
pericolosa poiché qualunque Guardiano della Notte di ronda avrebbe
potuto
vederlo, ma a Bran non interessava.
Magari sarà proprio Jon a trovarmi.
L’ultima volta che aveva visto suo cugino, Jon stava
combattendo al castello di Craster e Bran era stato costretto ad andare
avanti
senza la possibilità di riabbracciarlo. Era stata una delle decisioni
più
difficili della sua vita e Bran era stato perseguitato dai rimpianti
durante
tutto il viaggio, specialmente in seguito alla sua tragica conclusione.
Alzò il viso, incontrando il muto sguardo del volto scolpito
nel legno
e sentì un brivido scendergli lungo la schiena. Quando appoggiò la mano
sudata
sul tronco centenario, pregò tutti gli dei esistenti di aiutarlo a non
commettere errori. Roteò gli occhi e fu inghiottito dalle tenebre.
Galleggiò nel buio qualche secondo prima di ritrovarsi in
piedi in una
radura brulla battuta dal vento. Si guardò disorientato intorno, alla
ricerca
di qualche punto di riferimento, e la sua attenzione fu catturata
dall’imponente
castello nero che si ergeva poco lontano. Le sue mura sembravano essere
state
incendiate e le torri davano l’idea di poter crollare da un momento
all’altro.
Bran tentò di riportare alla mente lezioni di storia di secoli prima,
quando
ancora Grande Inverno esisteva e lui aveva le gambe.
“C’è un castello nelle Terre dei Fiumi” diceva maestro Luwin,
“che è
chiamato Fortezza Maledetta a causa del fantasma che da sempre
si dice
che lo infesti. Si tratta di Harrenhal, il castello distrutto
dall’attacco dei
draghi di Aegon il Conquistatore e da allora ritenuto portatore di
sventura per
i lord che si ritrovano ad abitarci. Ma sono solo storie, Bran.” Bran
sospirò.
“Allora mi trovo ad Harrenhal... Ma quando? E soprattutto,
perché?”
Non fece in tempo a completare i suoi pensieri che dalla
fortezza si
levarono urla estasiate. Bran si precipitò stupito al ponte levatoio,
attraversandolo senza problemi. Ciò che vide lo lasciò senza fiato.
L’enorme arena era circondata da spalti di legno gremiti di
gente.
Vicino agli scranni sventolavano i vessilli dei lord e Bran sentì un
tuffo al
cuore quando scorse il meta-lupo degli Stark. Aguzzando la vista
riconobbe suo
padre, lo zio Benjen e quelli che dovevano essere suo nonno Rickard e
suo zio
Brandon. Sembravano tutti concentrati ad osservare la scena al centro
dell’arena.
Destreggiandosi fra il popolo che assisteva agli scontri in
piedi,
Bran raggiunse la prima fila e tentò di individuare le figure che
stavano
combattendo, nonostante il sole lo accecasse. Uno dei due guerrieri era
di
corporatura massiccia e tratteneva l’enorme cavallo scalpitante con
briglie
dorate. L’altro invece era incredibilmente magro e sembrava scomparire
nell’armatura ammaccata e tutt’altro che splendente. Bran notò uno
strano
disegno sul pettorale del secondo cavaliere, che non assomigliava a
nessuno
stemma che avesse mai visto.
Sembra un albero sorridente.
Dalle voci eccitate della folla che lo circondava, Bran intuì
che si
trattava di un cavaliere misterioso che aveva già vinto numerosi
avversari
durante il torneo. Lo chiamavano il cavaliere dell’Albero che Ride,
un
nome che a Bran non suggeriva nulla.
I due sfidanti si misero in posizione, partendo subito dopo
al
galoppo. Bran rimase esterrefatto davanti all’abilità con cui lo strano
cavaliere dell’albero guidava il cavallo e dovette trattenere un grido
quando
le lance vennero in contatto. Il guerriero massiccio fu sbalzato giù di
sella
con straordinaria forza e colpì il suolo con un tonfo sordo. Un unico
grido di
gioia mescolata ad acclamazione si levò dal pubblico, mentre il
vincitore
cavalcava in cerchio agitando le braccia. Quando si allontanò
dall’arena, Bran
decise di seguirlo, nel tentativo di scoprire la sua vera identità.
Il cavaliere dell’albero di diresse verso le stanze private
dei
partecipanti al torneo e Bran si intrufolò nella camera poco prima che
il
giovane chiudesse la porta a chiave. L’arredamento, piuttosto rustico,
consisteva solamente in una panca ed un manichino su cui riporre
l’armatura.
Alla finestra spesse tende verdi lunghe fino a terra riparavano dagli
sguardi
indiscreti. Il cavaliere sospirò e portò le mani all’elmo dipinto.
Quando lo
tolse, una cascata di capelli castani gli ricadde sulla schiena, fin
quasi alla
vita.
Bran soffocò un’esclamazione. Si trattava di una fanciulla
non più che
sedicenne con folte sopracciglia scure e penetranti occhi grigi. La
naturalezza
con cui armeggiò con i lacci dell’armatura ed il modo in cui incurvava
le
labbra in un sorriso lasciarono Bran senza fiato.
“Allora siete voi, lady Lyanna!” esclamò una voce alle loro
spalle e
Bran si voltò di scatto.
Le tende si scostarono bruscamente, rivelando un ragazzo che
osservava
divertito la scena appoggiato alla finestra. Era straordinariamente
attraente,
con lunghi capelli che sembravano argento liquido e gli occhi di un
viola
intenso. Bran non aveva mai visto un uomo simile in vita sua. Lyanna,
superato
lo stupore iniziale, si lasciò andare ad una risata genuina che riempì
la
stanzetta angusta.
“Oh povera me, mi avete scoperto, mio principe” disse
fingendosi
disperata, “ora cosa farete? Mi consegnerete a vostro padre perché
possa
punirmi? Cosa diranno tutti quei cavalieri scoprendo di essere stati
battuti da
una donna?” Quello che Bran aveva intuito essere il principe avanzò di
qualche
passo sorridendo.
“Non credo sia necessario arrivare a tanto” disse con voce
profonda,
“ma dovete ritirarvi dalla competizione, lady Lyanna.”
Lyanna sbuffò.
“Quando voi la smetterete di chiamarmi principe.”
Lyanna sembrò apprezzare la risposta. “Dunque, Rhaegar,”
disse
in tono canzonatorio “possiamo darci del tu?” Rhaegar annuì.
“Bene” continuò Lyanna, “cosa intendi fare con me? E ti pare
questo il
modo di incontrare una fanciulla indifesa? Nella sua stanza mentre si
sta
cambiando?” Rhaegar arrossì. “In realtà non avrei mai immaginato che
dietro a
quell’armatura ci potesse essere una donna…” spiegò imbarazzato.
Lyanna fece
una faccia offesa.
“Non avevo mai incontrato una donna che avesse la tua grinta”
ammise
Rhaegar abbassando lo sguardo. Calò il silenzio.
Bran era confuso: Rhaegar appariva gentile e comprensivo,
così
distante dalle terribili storie che si raccontavano su di lui a Nord.
In quel
momento Lyanna si avvicinò al principe.
“Non ti denuncerò, Lyanna, credo che sia giusto che le donne
scelgano
da sole la propria vocazione, che sia il cucito o la spada. Ma questo
torneo è
pericoloso e, se dovesse capitarti qualcosa, tutti scoprirebbero la tua
identità in ogni caso. Devi ritirarti.”
Lyanna parve pensarci un po’ su. “Alla fine avevo deciso di
partecipare solo per riscattare l’onore di Howland Reed” osservò, “ed
ho
sconfitto tutti quegli idioti che l’avevano maltrattato. E’ ora che il
Cavaliere dell’Albero che Ride si faccia da parte.” Si avviò verso la
porta,
per poi voltarsi un’ultima volta.
“Grazie” borbottò guardando a terra, “per avermi lasciata
libera.
Spero che sarai tu il vincitore di questo stupido torneo.”
Bran non ebbe il tempo di ragionare sulla scena a cui aveva
appena
assistito, che il buio l’avvolse ancora una volta. Si ritrovò nella
luce del
sole, in piedi in mezzo alla confusione. Realizzò di essere nuovamente
tra il
pubblico dell’arena, sugli spalti questa volta. Sopra la sua testa
sventolava
il vessillo degli Stark.
Bran si avvicinò agli scranni e vide Lyanna sorridente che
seguiva con
lo sguardo il cavaliere che galoppava nell’arena.
“Non mi sarei mai aspettato che il principe Rhaegar potesse
sconfiggere Barristan Semly” stava dicendo Ned a sua sorella, “anzi,
non avrei
mai immaginato che avrebbe vinto il torneo.”
“Io sì” intervenne Lyanna. Benjen e Ned la fissarono stupiti.
“Voglio
dire, se lo merita” si affrettò ad aggiungere lei.
Benjen sbuffò.
In quel momento il cavaliere vincitore sfilò l’elmo decorato
con tre
teste di drago e le ragazze di tutto il pubblico sospirarono alla vista
dei
suoi capelli scintillanti. Tutte tranne Lyanna.
“Ora incoronerà la donna più bella dei Sette Regni” disse
eccitata una
ragazza “Come vorrei che scegliesse me…” L’amica che le sedeva accanto
rise.
“Quanto sei sciocca” le disse alzando gli occhi al cielo, “è ovvio che
incoronerà sua moglie.”
“Elia
Martell è così fortunata” sospirò la ragazza che
aveva parlato per prima. Così
fortunata da essere barbaramente uccisa insieme
ai suoi figli, pensò Bran scuotendo la testa.
Nel frattempo Rhaegar, con la corona di rose blu tra le mani,
stava
rallentando l’andatura del cavallo via via che si avvicinava al palco
reale. Ma
Rhaegar non si fermò e quando tutti i bisbigli si estinsero in uno
sconcertato
silenzio Bran intuì cosa stava per accadere. Così il principe lasciò
cadere la
corona in grembo a Lyanna, che sorrise impercettibilmente. Si udì un
rumore
secco provenire dal palco dei Baratheon e Bran vide un giovanissimo
Robert
rovesciare con rabbia la sedia ed allontanarsi ignorando le suppliche
del suo
fratellino Renly, che doveva avere massimo sei anni.
Questa parte della storia
non me l’hanno mai raccontata, pensò Bran
seguendo con lo sguardo Rhaegar che si allontanava. Come può essere che un
uomo così delicato come Rhaegar abbia rapito ed ucciso mia zia?
Tornò con la mente alla Torre della Gioia, cercando di far
riemergere
le emozioni di Lyanna. Non vi era stata rabbia nei suoi occhi, né odio
o
rancore, solo paura, paura per il suo bambino. Se Robert lo scopre
lo
ucciderà, questo aveva sussurrato Lyanna morendo. E all’improvviso
Bran
capì.
Rhaegar, Jon è figlio di Rhaegar.
Ma se Lyanna aveva avuto così a cuore la sorte di quel
bambino voleva
dire che…
“Si amavano” sussurrò Bran stringendo i pugni, “Rhaegar non
ha rapito
Lyanna, sono fuggiti insieme!”
Prima che avesse tempo e modo di giungere ad altre
conclusioni, il
buio lo avvolse, catapultandolo ancora nel suo doloroso presente.
Brienne
Le stelle andavano finalmente spegnendosi ed il cielo si
tingeva di
una calda tonalità rosa pastello così in antitesi con il gelo che
imprigionava
la terra. I primi raggi del sole facevano capolino da dietro le colline
innevate e le nuvole si preparavano già ad intercettarli senza pietà.
Minacciose nubi grigie dilagavano ad oriente e Brienne si ritrovò a
scrutare
con apprensione il cielo ogni qual volta l’andatura non proprio
regolare del
cavallo lo permetteva.
Se continuiamo con questa
velocità non arriveremo mai a Grande
Inverno prima del temporale, pensò facendo dei rapidi calcoli a
mente. Si girò
quindi verso Podrick, che le arrancava dietro.
“Se non ti dai una mossa ci beccheremo la pioggia” gli urlò
per
sovrastare lo stormire del vento.
Il ragazzo sobbalzò sulla sella, lasciando le redini. Il
cavallo nitrì
infastidito, fermandosi di soprassalto. Brienne alzò gli occhi al cielo
e tornò
sui suoi passi. Podrick stava cercando disperatamente di convincere la
bestia a
proseguire, ma il cavallo sembrava sordo a suppliche e minacce.
“Mi dispiace, mia signora” farfugliò imbarazzato Podrick, “ma
questo
qui non vuole collaborare.”
“Sente la tua paura” gli spiegò pazientemente Brienne
afferrando le
redini, “sa che sei inesperto e vuole prendersi gioco di te. Dimmi,
Podrick, ti
piace farti prendere in giro da un cavallo?”
Podrick scosse la testa deciso.
“Bene” continuò Brienne, “allora tieniti stretto alle redini
e
velocizza la tua andatura: lady Sansa vuole che torniamo a Nord il più
presto
possibile.” Podrick annuì e Brienne dovette ammettere che per le miglia
successive il ragazzo si sforzò davvero di imporsi sul cavallo
selvaggio.
Goffo, insicuro ed incapace,
pensò Brienne osservandolo con la coda
dell’occhio. Però ha un gran cuore,
non c’è che dire. D’altronde non è che
quei due cavalli acquistati da un allevatore di dubbia affidabilità
presso Moat
Cailin fossero le bestie più docili del Continente Occidentale. Perfino
Brienne
aveva dovuto riconoscere di aver incontrato una certa difficoltà ad
ammaestrare
il proprio, era normale che Podrick non ci fosse riuscito.
La notizia della vittoria che Jon e Sansa avevano riportato
su Ramsay
Bolton aveva rapidamente raggiunto ogni angolo del Nord, fino al
villaggio
sperduto nelle paludi dell’Incollatura dove Brienne e Podrick avevano
soggiornato qualche giorno prima. Brienne aveva provato un moto
d’orgoglio
misto a sollievo apprendendo la lieta novità. Dopo il rifiuto del Pesce
Nero e
la caduta di Delta delle Acque in mano ai Frey, Brienne aveva temuto
che la
campagna militare di Sansa si sarebbe conclusa tragicamente. Aveva
giurato di
proteggerla, ma credeva che non avrebbe potuto impedire a Ramsay di
metterle di
nuovo le mani addosso.
Ma la Battaglia dei Bastardi, così la chiamavano ora, era
stata vinta
dagli Stark e Ramsay era morto in circostanze imprecisate e già avvolte
nella
leggenda. Brienne si era scoperta incredula più che felice e non
riusciva a
smettere di domandarsi come Sansa fosse riuscita ad ottenere più
uomini. Poi la
risposta le era apparsa nitida davanti agli occhi. Ditocorto aveva pensato
con amarezza. Chissà cosa mai avrà
preteso quell’essere in cambio di un aiuto
così decisivo. Non poteva fare a meno di immaginare cosa
Sansa avrebbe
potuto concedergli per sdebitarsi.
Brienne strinse la mano intorno all’elsa tempestata di rubini
di
Giuramento. Con un uomo del genere Sansa non era al sicuro. Brienne
ricordava
bene come Baelish l’avesse usata nei suoi giochi di potere con i
Bolton, come
l’avesse abbandonata a Ramsay per poi ricomparire alla Barriera
fingendo che
nulla fosse successo. Sansa era dovuta fuggire da sola e Brienne
continuava a
maledirsi per quel suo stupido errore.
Se non fossi stata così
accecata dalla voglia di uccidere Stannis,
Sansa non avrebbe mai rischiato la vita, continuava a ripetersi
Brienne senza
darsi pace. Avrebbe volentieri affrontato tutte le guardie di Grande
Inverno,
Ramsay Bolton ed i suoi mastini se necessario pur di portare Sansa via
da
quell’inferno.
E invece era stato quel ragazzetto terrorizzato, quel Theon
Greyjoy,
ad aiutarla a saltare dalle mura, ad attraversare il fiume gelido e a
nascondersi nella foresta. Quando si erano separati, Sansa l’aveva
abbracciato
come un fratello, nonostante, da quanto Brienne aveva potuto capire,
quel
ragazzo era il responsabile della conquista di Grande Inverno e della
presunta
uccisione di Bran e Rickon. Alla Barriera Brienne era stata costretta
ad
abbandonare nuovamente Sansa, ma stavolta si era allontanata meno
angosciata,
sapendola in compagnia del fratello. Jon Snow, con quella sua aria
malinconica
ed ingenua, le ispirava fiducia e ciò accadeva di rado.
Durante la propria vita Brienne aveva imparato a proprie
spese a
diffidare degli uomini. Credono che
le donne siano inferiori solo perché
sembrano più fragili, era solita pensare quando era ancora
bambina. Ma si
sbagliano.
Così era andata in giro per il mondo a dimostrare quanto si
sbagliassero ed ogni volta aveva visto confermate le proprie
convinzioni. Poi
c’era stato Renly Baratheon. Brienne non aveva mai incontrato una
persona tanto
gentile e generosa. Mentre i cavalieri la schermivano e la deridevano,
Renly la
proteggeva permettendole di restargli vicina. Sarebbe stato un ottimo
re, se
solo suo fratello non l’avesse fatto uccidere da quella Donna Rossa.
L’ombra
che silente scivolava fuori dalle tende pugnalando Renly alle spalle
turbava
ancora i sogni di Brienne.
A lungo era vissuta nella convinzione che non avrebbe mai
trovato un
uomo come Renly, almeno finché Jaime Lannister non le aveva aperto
l’anima in
quel bagno saturo di vapori ad Harrenhal.
“Siamo arrivati, mia signora!” L’urlo di Podrick la riportò
prepotentemente alla realtà.
Le ultime ore di viaggio erano volate e le possenti mura di
Grande
Inverno si stagliavano sul cielo perlaceo. Brienne sorrise fiera
notando i
vessilli del meta-lupo sventolare su tutte le torri. Quando giunsero al
portone, scoprirono che questo era crollato. Buttato giù da un gigante,
dicevano le voci.
“Chi siete voi?” chiese un cavaliere dai lunghi capelli scuri
che
faceva da guardia.
Brienne lo fissò torvo: il suo tono ostile l’aveva
innervosita.
“Tu non dai ordini qua, donna” ribatté l’uomo sputando per
terra, “io
non ti ho mai visto, ma lord Baelish ci ha raccomandato la massima
prudenza. Ha
detto che una donna vestita da uomo con un ragazzino al suo seguito
sarebbe
presto arrivata e noi avremmo dovuto proibirle l’accesso.”
Brienne sentiva il
sangue ribollirle nelle vene.
L’uomo la fissò con disprezzo.
Brienne fece un passo avanti.
Brienne sfoderò Giuramento e si preparò ad attaccare. Le
altre guardie
restarono indecise alle loro postazioni per un attimo, poi intervennero
in
aiuto della sentinella arrogante dai capelli scuri. Brienne ne respinse
facilmente due o tre, incontrando maggiori difficoltà quando iniziarono
ad attaccarla
tutti insieme. Podrick era rimasto paralizzato sul suo cavallo, troppo
intento
a controllare la bestia per potersi occupare del combattimento. Brienne
schivò
con abilità alcuni fendenti, cercando contemporaneamente il punto
debole
dell’avversario.
“BASTA COSI’!”
Sul portone era appena apparso Jon Snow. Sembrava furioso ed
avanzò
verso di loro scuro in volto.
“Perché la stai attaccando?” chiese con voce tagliente alla
sentinella
che aveva ancora la spada stretta in pugno “Mi sembra di ricordare che
mia
sorella avesse dato precise istruzioni riguardo a Brienne. Lei è
un’ospite di
lady Sansa.”
La sentinella sembrava spaesata.
Jon
non disse nulla, ma Brienne notò il furore divampare dentro di lui. “La
prossima volta che lord Baelish ti dà degli ordini” disse freddamente
“tu
verrai a riferirmeli prima di metterli in pratica. Sono stato chiaro?”
La
guardia annuì spaventata. Jon fece un cenno con la testa e sorrise a
Brienne.
“Perdona l’accoglienza, lady Brienne” le disse con
gentilezza, “Sansa
aspetta il tuo ritorno con ansia. Vieni pure con me, stiamo discutendo
di
questioni importanti che credo ti riguardino di persona.” Brienne annuì
cercando di ritrovare il contegno, e seguì il giovane Re del Nord
all’interno
delle mura, non prima di aver lanciato una breve occhiata trionfante
alla
guardia immobile davanti all’entrata. Podrick trotterellò dietro agli
stallieri
per occuparsi dei cavalli.
Jon la guidò attraverso i cortili e Brienne non poté far
altro che
seguirlo, tentando di non superarlo con la sua andatura veloce. Quando
raggiunsero il corridoio, quasi si scontrarono con Ditocorto. Brienne
era certa
che lo sguardo che quell’uomo le rivolse fosse di irritazione e sdegno,
ma il
volto di Baelish non tradì alcuna emozione.
“Lady Brienne” disse con squisita cortesia, “vedo che siete
tornata a
Grande Inverno.”
Jon gli lanciò un’occhiata di puro veleno.
Ditocorto sorrise.
Jon incurvò appena gli angoli della bocca.
“Oh, è stato tutto un terribile equivoco” disse assumendo
un’aria
dispiaciuta. “Mi erano giunte voci contrastanti dal Sud, voci che
sostenevano
che Brienne avesse stretto un’alleanza con lo Sterminatore di Re. Il
corvo con
la versione completa dei fatti mi è arrivato pochi minuti fa e stavo
giusto
andando ad annullare il mio ordine. Sono davvero desolato, lady
Brienne, per la
mia scortesia, ma da qualche giorno le notizie dalle Terre dei Fiumi
sono
sempre più rare.” Brienne tentò di contenere la rabbia. Mi vuole
lontana da
Sansa per poter continuare indisturbato i suoi complotti.
Per fortuna Jon sembrava del suo stesso parere, nonostante il
cortese
congedo nei confronti di Ditocorto.
Rimasti
soli, il Re del Nord si voltò a
guardarla.
Brienne annuì ed insieme entrarono nella Sala Grande, da dove
proveniva un vociare confuso. Intorno al lungo tavolo di mogano vi
erano alcuni
lord intenti a parlottare indicando una cartina stesa davanti a loro.
Brienne
riconobbe Davos e il rozzo bruto con la barba rossa, che appena la vide
sgranò
gli occhi. Lei non ebbe tempo per l’imbarazzo perché Sansa le corse
incontro.
Brienne non l’aveva mai vista così serena e radiosa, così
libera da
angosce e preoccupazioni. Assomiglia così tanto a lady Catelyn.
“Sono così felice di rivederti, Brienne” esclamò Sansa
abbracciandola,
“mi chiedevo quando saresti arrivata.”
Brienne si liberò dalla stretta con
delicatezza.
Il bruto spostò rumorosamente la sedia per sedersi accanto a
lei. Gli
altri lord sghignazzarono e perfino Jon si concesse un pallido sorriso.
“Tormund, credo che Brienne abbia bisogno di spazio” disse prendendo
posto sul
trono di legno. Tormund esitò qualche istante prima di allontanarsi
nuovamente
con espressione delusa.
Jon si schiarì la voce.
“Per quanto riguarda la scorta, dobbiamo decidere quali…”
“Se permetti, Jon” lo interruppe Davos, “preferirei viaggiare
da solo.
Un esercito attirerebbe l’attenzione dei Lannister e presto tu avrai
bisogno di
tutti gli uomini che riuscirai a trovare qui, al Nord. Conosco bene
Roccia del
Drago, non avrò problemi.” Jon sembrò soppesare la proposta.
“D’accordo” decise
infine “mi sembra un’idea ragionevole.”
“Ma come farà ad arrivare alla Roccia del Drago senza nave?”
chiese un
lord che a giudicare dalla spilla a forma di tritone doveva essere un
Manderly.
“Noi abbiamo delle navi” spiegò Jon, “le navi che Stannis mi
aveva
lasciato per mettere in salvo i bruti ad Aspra Dimora. Ho scritto a Edd
al
Castello Nero e le navi sono state portate dal Forte Orientale fino a
Porto
Bianco. Ed è da lì che partirai Davos.” Davos annuì pensieroso.
Brienne non
poteva che essere felice del suo allontanamento. Non mi piace il suo
comportamento, si disse stringendo le labbra. Dov’era quando ho giustiziato
Stannis? Perché non ha servito fino alla morte il suo re? In
quel momento si
accorse dell’assenza di Melisandre.
Dove sarà finita quella strega?
“C’è un problema” stava dicendo in quel momento Tormund, “da
quel che
ricordo Davos non è mai stato bravo a combattere, sbaglio?” Davos fece
una smorfia.
“Affatto” rispose, “è stato un miracolo se sono uscito vivo dalla
Battaglia dei
Bastardi. Diciamo che me la cavo meglio con le parole piuttosto che con
la
spada.”
“E se venisse attaccato?” chiese una ragazzina che per
Brienne poteva
avere massimo undici anni “Cosa farà se non è in grado di difendersi?”
“Per questo Brienne andrà con lui” si intromise a sorpresa
Sansa.
Tutti si voltarono a fissarla e Brienne rimase a bocca
aperta. In
viaggio insieme a quell’uomo?
“Sansa” iniziò indeciso Jon, “credo che Brienne sia più utile
al tuo
fianco per proteggerti e…”
“Mi basta Spettro” tagliò corto lei. “Brienne è perfetta per
questa
missione. Non darà troppo nell’occhio, ma in caso di pericolo saprà
battersi e
vincere. Mi fido ciecamente di lei e vi dico che è la persona giusta.”
Qualcuno
borbottò mezze frasi in cui si distinse solamente la parola donna,
ma
nessuno obbiettò. Sansa sembrava soddisfatta, ma Brienne notò che
evitava di
guardare dalla sua parte. Chissà
cos’avrà in mente, pensò confusa. Sono appena
tornata e già mi manda via.
Davos appariva serio e determinato, mentre Tormund aveva
chinato il
capo rassegnato. Almeno sarò lontana da lui.
Poi Jon prese la parola. “E sia” disse fissando sua sorella e
Brienne
intuì che nemmeno lui aveva capito il gioco di Sansa. “Brienne, accetti
questa
missione?”
Brienne cercò lo sguardo di Sansa, che tuttavia continuò ad
ignorarla. Se almeno mi spiegasse,
pensò affranta. Prese un bel respiro.
“Accetto questo incarico e mi impegno a portarlo a termine in nome di
lady
Sansa e re Jon della casa Stark.” Pronunciò queste parole con voce
solenne,
cercando di mascherare la malinconia, ma evitò di estrarre la spada. Non
è
il caso.
Jon si alzò. “Ti ringrazio, Brienne” disse gentilmente, “il
Nord ti è
debitore. L’incontro è concluso, siete liberi di andare. Tormund, vieni
con me
che ti devo parlare.”
Il piccolo gruppo si riversò nel cortile. Brienne cercò di
intercettare Sansa, ma si era già allontanata. Ma cos’è successo? si chiese Prima mi abbraccia e poi mi ignora? Cos’ho
detto o fatto di sbagliato?
Abbassò
lo sguardo pensando a questo viaggio fuori programma.
All’improvviso un pensiero la colpì ed il cuore accelerò suo malgrado.
Scosse
la testa irritata dai suoi stessi pensieri. Per un attimo, uno solo,
aveva
sperato di poter incontrare nuovamente Jaime a Sud. Anche se ciò avesse
significato affrontare un intero esercito Lannister.
Jon
La fiaccola continuava ad ardere. La galleria si snodava
nelle viscere
della terra ed il buio avvolgeva quel luogo umido e freddo. I suoni
erano
ovattati e sembravano arrivare da qualche altro cunicolo oltre la
spessa parete
di roccia.
Jon avanzava tentando inutilmente di abituare gli occhi
all’oscurità.
Le statue lo osservavano silenti. Giunto al termine dell’angusto
corridoio, si
accorse di essersi spinto così in profondità per cercare qualcosa. Ma
la statua
era sparita. Al suo posto due oggetti brillavano sul pavimento e Jon
piegò un
ginocchio per raccogliere la strana corona. Consisteva in un semplice
anello
d’oro con incastonati una dozzina di piccoli rubini scintillanti come
stelle.
Sulla parte destinata ad ornare la fronte erano scolpiti a rilievo tre
draghi.
Jon la rigirò curioso tra le mani prima che la sua attenzione
fosse
attratta dall’altro oggetto. Si trattava di un’arpa d’argento di medie
dimensioni e, aguzzando la vista, si potevano scorgere incisioni che
richiamavano il fuoco e di nuovo i draghi.
Titubante, Jon sfiorò le corde lisce come seta e la melodia
che si
propagò per la galleria era così dolce ed armoniosa da scaldare il
cuore e
tingere l’anima. Jon si ritrovò a muovere le labbra intorno a parole
che non
ricordava, ma che sentiva essere sempre state parte di lui. La
canzone
sembrava riconoscerlo, accettarlo, e si levava alta intrecciandosi con
la
melodia.
Jon sentì le lacrime pizzicargli gli occhi e portò le dita a
sfiorarsi
il viso. Ma la mano aveva preso fuoco.
Jon si svegliò di soprassalto con le sue stesse urla che gli
perforavano le orecchie.
Sollevò tremante la mano come per assicurarsi di trovarla
intatta e
flesse due o tre volte le falangi per essere certo di poterlo ancora
fare. La
coperta gli si era incollata al petto madido di sudore ed il cuore non
accennava a rallentare. Qualcuno picchiava forte alla porta.
“V-vostra grazia” stava dicendo una voce, “mi dispiace
svegliarti,
m-ma mi avevi raccomandato di venirti a chiamare all’ora degli
allenamenti.”
Jon spalancò la bocca realizzando solo in quel momento la
situazione.
“Certo,
vostra grazia” assicurò quello che Jon aveva intuito
essere Podrick.
Appena l’eco dei passi si perse nel corridoio Jon provò ad
alzarsi. Il
mondo gli danzava intorno e rischiò di perdere l’equilibrio più volte.
Dovette
aggrapparsi alla spalliera del letto per non cadere, le schegge di
legno che
gli si conficcavano nella carne. Soffocando un gemito di dolore, Jon
raggiunse
a tentoni la sedia su cui aveva preparato gli abiti che avrebbe
indossato. Da
quando aveva lasciato i Guardiani della Notte aveva anche abbandonato
l’abitudine di vestire sempre di nero e quella mattina lo attendevano
delle
braghe marroni ed un farsetto rosso scuro. Indossare colori diversi da
quello
che lo aveva accompagnato nella morte lo metteva a disagio, gli
suscitava una
sensazione di inadeguatezza.
In quel momento però, mentre le sue mani armeggiavano con il
fermaglio
a forma di lupo del mantello, i suoi pensieri erano altrove.
Quel canto, io l’avevo già ascoltato… Ma dove? Perché sento
di
conoscerlo?
Sforzò la memoria tentando di afferrare qualche ricordo
lontano. I
banchetti a Grande Inverno, i cantastorie che facevano tappa al
castello,
chiunque avrebbe potuto cantare quella canzone, ma Jon era certo di non
averla
udita in quelle circostanze. Inconsciamente la collegava ad un momento
felice,
ad un luogo caldo e a un abbraccio sicuro.
“Come una ninnananna” mormorò Jon passandosi una mano tra i
capelli e
legandoli all’indietro. Ma mai nessuno gliene aveva cantata una, di
questo Jon
era dolorosamente certo. Scosse la testa, tentando di tornare al
presente. Finì
di allacciarsi le scarpe ed uscì. Ci
penserò più tardi, promise a sé stesso.
Raggiunse la Sala Grande e la trovò stranamente semivuota.
Aveva dato
il permesso ai lord che giungevano a Grande Inverno da ogni angolo del
Nord di
vagare tranquillamente per il castello e d’allora le stanze erano state
piuttosto affollate. Quella mattina però al lungo tavolo di legno
avevano preso
posto solo Sansa, lord Cerwyn e qualche bruto. Di Tormund non vi era
traccia.
Davos e Brienne erano partiti la sera prima e Jon aveva urgente bisogno
di
parlare con Sansa.
Cercando per quanto possibile di non farsi notare, le fece
cenno di
raggiungerlo nel corridoio. Sansa si alzò di malavoglia, probabilmente
intuendo
il discorso che Jon avrebbe affrontato. Il Re del Nord attese che sua
sorella
gli fosse accanto e chiuse a chiave la porta che dava sulla Sala
Grande.
“Jon, i lord si innervosiranno presto” lo avvertì Sansa con
voce
annoiata, “li hai appena chiusi dentro.”
“Dovranno attendere, è con te che voglio parlare.”
Sansa alzò gli
occhi fissandolo con sufficienza.
“Nessuno” ribatté Jon, “ma io lo farei se fossi in te. Che
cosa ti sta
succedendo, Sansa? Ti ho visto chiedere ogni santo giorno notizie su
Brienne,
controllare i corvi alla ricerca di qualche messaggio, recarti sulle
mura a
fissare gli orizzonti.” Fece una pausa. “L’hai abbracciata ed eri
felice di
rivederla. Ma allora perché l’hai cacciata? Perché l’hai costretta a
questa
missione con un uomo che disprezza? Brienne mi aveva giurato che ti
avrebbe
protetto, ha quasi pianto quando ieri non sei venuta a
salutarla.”
L’armatura di cortesia di Sansa sembrò creparsi e Jon seppe di aver
fatto
breccia.
“Jon, io… io non volevo” balbettò lei torcendosi le mani,
“non
pensavo… io… Oh déi, com’è difficile spiegare… Ho dovuto
allontanarla,
Jon! Avevo sentito Ditocorto parlare a lord Royce di come indebolire il
Nord.
Quando Brienne è entrata nella Sala poco dopo l’uscita di Baelish,
avevo capito
che aveva tentato di non farla entrare a Grande Inverno, e che tu
ringraziando
gli déi l’avevi intercettato. Ma non c’erano prove, anche questo ho
capito, non
si hanno mai prove contro Ditocorto. Baelish vuole che io resti sola in
modo da
credere di poter manipolarmi. Avrebbe colpito Brienne, Jon. Un giorno
ci
sarebbe stato un tragico incidente e Brienne sarebbe rimasta uccisa. Ho
dovuto
allontanarla.”
Jon era rimasto a bocca aperta, stupito dalla capacità di
reazione di
Sansa, dal suo ingegno. “Hai fatto bene” ammise infine, “ma perché non
l’hai
più degnata di uno sguardo? Perché non l’hai salutata?” Gli occhi di
Sansa si
riempirono di lacrime. “Per questo motivo, Jon” spiegò asciugandosi gli
occhi,
“se l’avessi guardata, se l’avessi abbracciata, non avrei più avuto la
forza di
fare quello che andava fatto. Non volevo metterla in pericolo, ma non
volevo
neppure che lei fosse ossessionata dall’idea che io avessi paura. Non
giudicarmi
male, ti prego.”
Jon sorrise protendendosi in avanti per abbracciarla.
Sansa ricambiò la stretta prima di allontanarsi.
Jon rise e girò la chiave
nella toppa mentre sua sorella scompariva su per le scale.
Si accorse di non essere affatto affamato e si diresse
direttamente
verso l’armeria. Represse a stento una risata quando vide Tormund alle
prese
con lo stile di combattimento occidentale.
“Quindi tu mi stai dicendo che non posso colpire il mio
avversario
alle palle?” stava chiedendo esterrefatto il bruto ad un giovanissimo
Cavaliere
della Valle.
“Non è onorevole…”
“Al diavolo l’onore!” ruggì Tormund roteando l’ascia “Credi
forse che
agli Estranei importi? Credi forse che quando ci attaccheranno
chiederanno il
permesso? Giocano sporco ed è proprio quello che dobbiamo fare noi.
Anche voi
onorevoli uomini del Sud non perdete l’occasione di ingannare i nemici,
o non è
forse vero ragazzino?”
“Adesso basta, Tormund” intervenne Jon. I due combattenti si
voltarono
a fissarlo. “C’è differenza tra le imboscate ed il gioco sporco.
L’onore è ciò
che ci distingue da loro, è un valore importante.”
Tormund grugnì.
“Sai bene che non è così” sussurrò Jon avvicinandosi. “Se
avessi
seguito ciò che il codice dell’onore suggerisce ora io sarei ancora
l’amato
lord Comandante dei Guardiani della Notte, tu saresti stato giustiziato
ed il
tuo popolo vagherebbe chissà dove in balìa degli Estranei.” Tormund era
ammutolito.
Jon sorrise.
“Willys, vostra grazia.”
“Bene, Willys” disse Jon raccogliendo una spada da
allenamento, “che ne
dici di far vedere a Tormund come si battono i cavalieri di Westeros?”
Il
ragazzo arrossì violentemente. “S-se lo dici tu, maestà” balbettò a
disagio.
Iniziarono a muoversi in cerchio sotto lo sguardo curioso di
Tormund.
Il ragazzo sembrava incerto e piuttosto goffo e Jon riusciva a
prevedere ogni
sua mossa.
“Allenta la presa” gli suggerì colpendolo delicatamente al
fianco,
“non devi stringere troppo la spada, altrimenti sprecherai energia. Ora
prova
un affondo.” Willys si lanciò in un rozzo attacco, che Jon deviò con la
spada.
“Non ci siamo” spiegò, “sei troppo lento. Se la mia spada fosse stata
d’acciaio
ti avrei colpito già una quindicina di volte.”
Infilzali con la punta.
Il ricordo di Arya lo folgorò e Jon abbassò il braccio,
improvvisamente privo di forze. Willys, concentrato com’era, non si
accorse che
il suo re era in difficoltà e tentò un secondo attacco imprimendo alla
lama
tutta la sua forza. Jon accusò il colpo, riuscendo comunque a disarmare
l’avversario. Il petto gli bruciava: Willys aveva colpito proprio una
delle
ferite della morte.
“Jon, stai bene?” chiese Tormund avvicinandosi preoccupato.
Willys era
terrorizzato. “I-io non volevo colpirlo” si scusò subito.
“E’ tutto a posto” intervenne rassicurante Jon. Si sforzò di
sorridere. “Sei stato molto bravo, mi hai quasi fatto cadere.” Il viso
del
ragazzo fu illuminato da un sorriso.
Jon si accorse che il cortile era stato lentamente circondato
da una
folla di curiosi. Vecchi e giovani, nobili e poveri, tutti guardavo
esterrefatti il loro re allenarsi nella polvere.
“Volete unirvi a noi?” chiese Jon fissando i visi curiosi che
l’osservavano “Venite, qui c’è spazio per tutti. Tormund, procura una
spada ed
uno scudo a tutti coloro che vorranno partecipare.” Tormund gli lanciò
un’occhiata assassina, ma Jon non se ne curò.
All’inizio solo pochi ragazzi coraggiosi si fecero avanti, ma
in breve
il cortile fu pervaso dalle urla emozionate dei combattenti. Era così
strano
vedere persone così diverse andare d’accordo. Nemmeno lord Eddard aveva
mai
aperto in tal modo le porte di Grande Inverno se non per scopi
difensivi. Jon
sentiva il peso delle occhiate di tutti, ma si sforzò di comportarsi
con
naturalezza. Rideva con i bambini, dava consigli ai ragazzi, sfidava
gli
adulti. E tutti lo cercavano, lo chiamavano, volevano vederlo.
Era una situazione paradossale, questo Jon lo sapeva. Non
aveva mai
augurato alcun male alla sua famiglia, ma il male l’aveva colpita
ugualmente. E
solo adesso lui poteva dire di sentirsi veramente felice. Forse era un
pensiero
egoista, ma Jon non se ne curava più.
Mentre correggeva la postura di un ragazzo, vide un gruppetto
di
bambine che fissavano desiderose il cortile. Andò loro incontro.
“Volete partecipare per caso?” Le bambine lo guardarono con
gli occhi
traboccanti di meraviglia.
“E tu chi sei?” chiese una ragazzina imbronciata. “Idiota, è
il re!”
la redarguì la vicina.
La
bambina non cambiò minimante atteggiamento.
Jon la condusse al centro del cortile e le
diede una spada di legno.
Sansa aveva raccontato di come Brienne avesse incontrato Arya
uccidendo il Mastino per salvarla, ma d’allora erano passati mesi e di
Arya si
erano perse le tracce. “E’ morta, Jon” gli aveva detto Sansa piangendo.
“L’ultima volta che l’ho vista stavamo litigando ad Approdo del Re,
sono stata
una pessima sorella.” E Jon aveva dovuto consolarla, mentre Spettro le
leccava
via le lacrime dal viso. Anche di Bran non si avevano notizie. Era
andato oltre
la Barriera e poi più nulla. Jon aveva sperato di trovarlo al Castello
di
Craster, ma così non era stato. E’
morto, aveva pensato Jon, evitando tuttavia
di dar voce alle sue angosce.
Maryanne continuava a colpirlo furiosamente, quando arrivò
una
sentinella.
“Vostra grazia, mi duole interromperti, ma è appena giunta
una persona
che vorrebbe conversare con te e lady Sansa.”
Jon rimase un secondo fermo per
la sorpresa, più che sufficiente per essere colpito in pieno da
Maryanne.
“Torno subito” disse scompigliando i capelli alla bambina, “tu allenati
con le
tue amiche.”
Jon seguì la guardia lungo i corridoi del castello. “Di chi
si
tratta?” chiese curioso “Chi vuole parlare con noi?”
“Alys Karstark, vostra grazia.”
Jon sgranò gli occhi, sforzandosi di rammentare dove avesse
udito quel
nome. La guardia aprì la porta della Sala Grande e Jon si precipitò
all’interno. Sansa era già dentro con lord Cerwyn e lady Mormont.
In piedi davanti a loro, con aria smarrita, vi era una
fanciulla che
doveva avere pressappoco l’età di Sansa. Aveva il viso a forma di cuore
e
l’incarnato pallido, con folte sopracciglia e labbra color ciliegia.
Gli occhi
erano grandi e ambrati, ma a colpire Jon furono i suoi capelli. Lunghi
fino
alla vita, erano di un colore luminoso che variava dall’oro al miele.
Trecce
sottili le incorniciavano il volto, trattenute sulla nuca da una
reticella
scintillante. La fanciulla, di corporatura esile, indossava un lungo
vestito
verde muschio sul quale era buttato con disinvoltura un mantello grigio
che
fungeva anche da strascico. Nessun gioiello le ornava il lungo collo o
le dita
affusolate. Appena vide Jon, la ragazza si esibì in un aggraziato
inchino, i
suoi occhi fissi in quelli del sovrano.
“Maestà” disse con voce melodiosa. “Io sono Alys Karstark,
legittima
lady di Karhold. E’ un piacere fare la tua conoscenza.” Parlava in tono
pacato
e l’iniziale incertezza sembrava essersi dileguata.
“Una Karstark?” chiese perplessa Sansa “Sapevo che vi eravate
schierati con i Bolton…” Alys le lanciò una strana occhiata. “Mio zio
Arnolf ha
appoggiato Ramsay Bolton, mia lady” spiegò tornando a guardare Jon, “ma
mi
aveva sottratto il titolo che mi spetta dalla nascita. Ora è morto e io
sono
venuta a Grande Inverno per giurare fedeltà al Re del Nord.”
“E perché mai dovresti farlo?” chiese bruscamente Sansa “Mio
fratello
Robb ha giustiziato tuo padre e voi lo avete abbandonato, perché
dovremmo
fidarci di te?” Jon era stupito dall’atteggiamento di Sansa: come mai
attaccava
quella ragazza in quel modo?
Ma Alys non era per nulla scossa.
“Ha ucciso due ragazzini indifesi” la interruppe Sansa, “ha
fatto bene
mio fratello a mozzargli il capo.”
“Con questo ragionamento potrei dire la stessa cosa di vostro
padre” ribatté Alys, “anche lui era accusato di tradimento dopotutto.”
Prima
che Sansa potesse parlare, intervenne Jon.
“Adesso basta, questo litigio non porta a nulla. Lord Rickard
ha
sbagliato ad uccidere due innocenti e Robb ha esagerato con la
punizione. E
vorrei chiarire una cosa, lady Alys: mio padre non ha mai tradito il re
e non
tollererò che si manchi di rispetto alla sua memoria.”
Alys abbassò il capo.
“Quindi ci appoggerete?” chiese alla fine Lyanna Mormont
preferendo andare al
punto.
Alys sorrise.
“Mormont”
rispose la piccola. “I conti non tornano” intervenne Cley
Cerwyn, “Rickard aveva un altro figlio maschio oltre ai due morti,
dov’è ora?”
Alys si fece improvvisamente triste. “Harrion aveva voluto
seguire
nostro padre in battaglia. Fu preso prigioniero a Maidenpool da quanto
ne so.
Adesso è morto.”
Cerwyn la fissò poco convinto.
“Purtroppo sì” annuì Alys chiudendo gli occhi.
Jon capì che era il momento di prendere una decisione.
Sbirciò
Sansa, che sedeva rigida. Era evidente che l’ospite la mettesse a
disagio.
Jon
sospirò profondamente.
“Hai la mia parola” disse chinando il capo con reverenza.
Quando lo rialzò, Jon fu assalito dai dubbi. Una parte di lui voleva credere di aver fatto la cosa giusta, un’altra urlava all’errore e al disastro. Ma Jon, d’altronde, non aveva mai saputo nulla.
"Hai il sonno, che è immagine della morte."
N.D.A.
Ben tornati! Eccomi qui con il secondo capitolo, dove fa la sua comparsa Daenerys. Che ne pensate di lei? E' tra i vostri personaggi preferiti o la odiate terribilmente? Brienne è appena tornata e già si vede costretta a ripartire XD, come pensate andrà il suo viaggio con Davos? Riusciranno a superare certe divergenze? E qual è il ruolo di questi sogni?
Vorrei specificare un paio di cose... All'inizio di questa storia Bran non sa ancora bene controllare i suoi poteri, quindi naturalmente non è in grado di capire immediatamente ogni cosa, né sa come andare a ricercare nel passato le informazioni che gli servono. Lo vedrete crescere e migliorare, ma all'inizio sarà piuttosto impacciato e non ancora pronto a rivestire il ruolo di Corvo con Tre Occhi. Quindi è normale impieghi più tempo per arrivare a conclusioni che ci sembrano ovvie :-)
Poi Alys Karstark... Avrà un ruolo importante nella storia, ma dimenticate qualunque cosa sapete di lei. Il mio personaggio ha solamente il nome e la storia di quello di Martin, per il resto l'ho completamente cambiato, come avrete già notato. Mi sono presa questa libertà perchè avevo bisogno di un personaggio che si opponesse moralmente a Sansa (anche se ciò non vuol dire assolutamente che Alys sia cattiva) e mi sembrava un'ottima soluzione. Scoprirete altro di lei piano piano, per ora posso solo dirvi che è molto furba e ambiziosa, ma che nasconde la parte più sensibile di sé.
Ringrazio tutti coloro che hanno lasciato una recensione al primo capitolo: ragazzi vi adoro tutti, non sapete quanto mi rendete felice! In ordine: NigthLion, giona, Fandoms_are_life, Azaliv87 (di cui vi invito a leggere Tales se amate Rhaegar e Lyanna), Red_Heart96, Iside13, leila91, GiuLy93 e Nirvana_04.... Un grosso bacio a tutte voi e spero di risentirvi presto!
Un ringraziamento speciale anche a tutti quelli che hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate: spero avrete voglia di uscire allo scoperto e far sentire il vostro parere, non desidero altro!
Spero davvero anche questo capitolo vi piaccia e mi raccomando recensite: è sempre bello confrontare le idee!
A presto!
NB: stavolta la citazione è del grande Cicerone XD, un piccolo rimando a questi sogni tormentati e di cattivi presagi :-)