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Autore: Enchalott    19/03/2018    8 recensioni
Vegeta la fissò, socchiudendo gli occhi, quasi ammirato dalla sua testardaggine, che tuttavia aveva superato la misura concessa. Lei era incosciente tanto quanto lui, ma non aveva le sue stesse doti fisiche, gli stessi incredibili poteri nel ki. Perché, allora? Perché non era terrorizzata?
“Detesto ripetermi” le disse, spostandosi lentamente nella sua direzione. La guardò come se fosse una sfortunata preda.
Lei seguì il movimento con una certa apprensione, ma rispose con altrettanta sufficienza: “Credi che abbia paura di te?”
“No” ammise lui. Le indirizzò un sorriso freddo: “Ma ne avrai”.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L'imminente conclusione di "Dragon Ball Super" mi rende un po' nostalgica. Ritorno sulla storia d'amore di Bulma e Vegeta (che adoro), con un'altra ipotesi e un altro sviluppo, diversi rispetto a quelli che racconto nella mia precedente "Amare. Senza di te è solo una parola". Qui il filone narrativo è più movimentato e avventuroso. Siamo nel periodo precedente l'arrivo dei cyborg e Vegeta si è ripreso da poco dall'esplosione della gravity room.
Buona lettura e grazie in anticipo! ^^

Primo giorno

Vegeta la fissò con lo sguardo di una belva. Ma non servì. La terrestre continuava a tenergli testa, indirizzandogli un fiume inarrestabile di parole irate. Allarmate. Il principe non sapeva decidere se lo irritasse di più la preoccupazione nei suoi riguardi o la totale assenza in lei di paura, puntualmente esibita ogni volta che, caparbiamente, l’apostrofava in quel modo impudente. Strinse i denti per la rabbia, ma anche per la fitta spasmodica che gli arrivò al cervello.
 
Bulma non fece una piega davanti all’espressione ostile del principe dei Saiyan. La macchia di sangue che si allargava rapidamente sulla benda bianca che gli stringeva la vita attirava la sua attenzione, ancor più degli occhi neri d’onice tagliente di lui. La ferita era abbastanza grave e la sua intollerabile ostinazione nell’allenarsi l’aveva fatta riaprire. Da come teneva la mano premuta sulla medicazione, era certa che gli facesse un male cane, ma non c’era verso di smuoverlo dalla nuova gravity room.
 
Due gocce rosse caddero a terra e Vegeta si piegò, nello sforzo di restare eretto.
“Tu sei completamente pazzo!” gridò la ragazza “Non ci sarà più nessun allenamento oggi! Scendi da questa maledetta capsula e vieni a farti medicare!”.
“Non provare neppure a pensare di potermi dare un ordine, donna” rispose lui, la voce gelida e composta, che strideva con l’espressione furibonda “Levati di torno, se ci tieni alla pelle”.
Lei ignorò la minaccia: “L’ultima volta ti ho portato in infermeria più morto che vivo, sei andato in coma! Vuoi forse ucciderti, Vegeta?!”
Lo sguardo di lui si fece volutamente impenetrabile, nel ripensare alla notte in cui l’aveva vegliato senza posa, mentre si dibatteva tra la vita e la morte, in seguito all’esplosione di cui era rimasto vittima. Neppure allora aveva mostrato alcun timore nello stargli accanto. Quella sicurezza, ostentata da una fragile terrestre, gli risultava insopportabile: un’insolenza che lo lasciava interdetto, ancor più del fatto che lei stesse ospitando a casa sua l’uomo spietato e privo di umanità che aveva tolto la vita ai suoi amici. Era un pianificatore, non tollerava di essere preso in contropiede; era il principe dei Saiyan, non ammetteva di essere giudicato; era un guerriero, non sopportava di essere fissato con immensa dolcezza da quei luminosi occhi del colore dell’acquamarina…
Chi!” sogghignò sprezzante “Non sono debole come gli abitanti di questo insignificante pianeta. Ti conviene uscire da qui, finché puoi farlo con le tue gambe…”.
Il sangue stillava tra le sue dita contratte.
“Sei tu che non ti reggi in piedi!” esclamò lei adirata “Basterà aspettare e vedremo chi non riuscirà ad uscire da qui!”.
Vegeta la fissò, socchiudendo gli occhi, quasi ammirato dalla sua testardaggine, che tuttavia aveva superato la misura concessa. Lei era incosciente tanto quanto lui, ma non aveva le sue stesse doti fisiche, gli stessi incredibili poteri nel ki. Perché, allora? Perché non era terrorizzata?
“Detesto ripetermi” le disse, spostandosi lentamente nella sua direzione. La guardò come se fosse una sfortunata preda.
Lei seguì il movimento con una certa apprensione, ma rispose con altrettanta sufficienza: “Credi che abbia paura di te?”
“No” ammise lui. Le indirizzò un sorriso freddo: “Ma ne avrai”.
Con la velocità di una folgore, il principe accese il dispositivo di regolazione della gravità e la impostò a dieci. Bulma si sentì pesante come un macigno e stramazzò a terra, soverchiata, impossibilitata a muoversi, stentando persino a stare seduta. I vestiti che aveva addosso diventarono insopportabili come se fossero intessuti di piombo. Ecco perché lui si addestrava sempre semisvestito. Tentò di reagire, ma non riuscì spostarsi di un millimetro.
“Sei impazzito!?” strillò al suo indirizzo “Spegni quell’affare!”
Per tutta risposta, Vegeta, muovendosi con indifferenza in una gravità che non gli faceva effetto, si diresse verso il quadro di comando della capsula, che era originariamente un’astronave, destinata poi all’uso secondario che lui ne faceva. Premette il pulsante di accensione. Il portellone d’ingresso si chiuse e il veicolo tondeggiante iniziò a vibrare.
Bulma trascolorò.
“Vegeta! Smettila immediatamente!”
Il principe visualizzò le mappe spaziali, senza degnarla di un cenno, la luce azzurrina dello schermo riflessa sul volto intento. Con la familiarità di chi ha svolto quell’operazione un’infinità di volte, impostò una rotta e fece rientrare i supporti che sorreggevano il veicolo, che si alzò da terra in verticale. Alla ragazza mancò il fiato per la velocità ascensionale.
“Vegeta!”
Lui inserì il pilota automatico e scivolò, reggendosi a ciò che trovava, verso la cassetta del pronto soccorso appesa alla parete. Si liberò della benda impregnata di sangue ed esaminò la ferita, corrugando la fronte: per fortuna, non si era del tutto riaperta. Si ripulì, come evidentemente era abituato a fare, arginando l’emorragia come poteva, e si annodò una nuova fasciatura, senza emettere un gemito, nonostante la stretta pressione della medicazione sulla carne viva gli dolesse incredibilmente.
La ragazza lo vide impallidire, ma rimanere ostinatamente in piedi, col sangue che scendeva sulla sua dogi da combattimento.
La capsula continuò a salire verso le stelle. Attraversò l’atmosfera e uscì dall’orbita della Terra, precipitando in una strana penombra, interrotta dal barbagliare rosso e blu delle luci artificiali.
“Vegeta, lascia che ti aiuti!” pregò, più angosciata dalle sue condizioni, che irata per l’improvviso suo colpo di testa.
Lui sollevò il viso e le incollò addosso quegli occhi scuri, feroci e tristi che erano il suo mistero più attraente. La sua bocca piegata all’ingiù prese un’increspatura quasi divertita.
“Aiutarmi?” sorrise freddamente “Pensa a te stessa”.
Si avvicinò e posò un ginocchio a terra per essere alla sua altezza, squadrandola a pochi centimetri di distanza. Bulma continuò a restare suo malgrado puntellata sul pavimento, bloccata dalla gravità, ma non distolse lo sguardo da lui.
“Nonostante tutto, continui ancora a sfidarmi” le disse il principe, valutando la sua reazione. C’era una sorta di rispetto in quelle parole, che non avevano traccia di risentimento. La terrestre era combattiva, sfacciata e intrigante. Degna di considerazione. Inarcò un sopracciglio, sorprendendosi ad osservarla con un interesse mai provato. Poi in lui prevalsero l’orgoglio e la necessità di essere ritenuto non scalfibile.
“Lo sai come si chiama questo?” domandò lei irata “Rapimento! Sei un dannato…”
Vegeta si mise a ridere, ma con ben poca ilarità. Allungò il braccio, sfilandole la fascia elastica rossa che portava in testa. I capelli azzurri le scesero sulle spalle e sul volto. Lui le scostò una ciocca dalla guancia, ma non ritrasse la mano, fissandola intensamente.
“Ehi!” brontolò la ragazza un po’ sorpresa “Cosa stai cercando di fare?”
Il principe si riscosse e le rivolse nuovamente uno sguardo torvo. Le sganciò dal polso il braccialetto, che cadde con un tintinnio. Eppure lei non intercettò nessun reale pericolo né nella sua vicinanza né in quell’improvviso contatto né nella sua espressione imbronciata. Lui le slacciò la cintura che stringeva il vestito leggero. Bulma si domandò dove volesse arrivare e poi si irrigidì, nel vedere la sua mano scendere ancora verso di lei.
Vegeta iniziò a sbottonarle il coprispalle smanicato che portava sull’abito, senza che lei potesse reagire. Cercò di sollevare un braccio con scarsi risultati. Lui le tolse l’indumento, gettandolo a terra, poi ricominciò a guardarla, imperscrutabile.
Bulma arrossì, ma aggrottò le sopracciglia, sentendo la collera salire.
“Se rimetti la gravità a zero, mi spoglio da sola!” gli urlò in faccia infuriata “Almeno giochiamo ad armi pari! Chissà se hai il fegato di farlo o sei solo un idiota che scopre l’acqua calda! E io che pensavo che fossi intelligente!”
Lui spalancò gli occhi, disorientato davanti a quella replica inaspettata, ingiuriosa, ma non implorante pietà e si fermò. Gli aveva appena appioppato del vigliacco imbecille, pur trovandosi nella peggiore delle posizioni. Sulle sue labbra si disegnò un sorriso obliquo, ma sincero. Si alzò con una lieve smorfia di fatica e si diresse al quadro dei comandi.
Chi!” sbuffò con poca convinzione “Speravo che la gravità potenziata ti bloccasse almeno quella lingua insopportabile!”
Spense il dispositivo e Bulma si rialzò, massaggiandosi le membra indolenzite e sistemandosi l’abito, con l’unico desiderio di lanciargli qualcosa in faccia.
“Se credi di avermi spaventata, ti sbagli di grosso!”
Vegeta si girò di scatto e avanzò verso di lei; la ragazza indietreggiò fino a trovarsi contro la parete robusta del velivolo, che intanto proseguiva la sua corsa nello spazio, la Terra ormai ridotta ad un puntino confuso tra gli astri.
Lui sbatté la mano contro la superficie metallica, a un centimetro dal suo orecchio, facendola sussultare.
“Da dove giunge questa tua incosciente temerarietà, donna? Sei così sicura di cavartela, qui da sola con me?”
Lei riguadagnò l’autocontrollo e si impose di non cedere sulle gambe che tremavano a causa della prolungata immobilità e, soprattutto, della sua vicinanza. Gli sorrise, sfacciata, sapendo che qualsiasi risposta non intimidita era per lui un’ulteriore provocazione.
“Ho visto di peggio, se vuoi saperlo!” proferì irritata “Scienziati pazzi, creature disgustose, organizzazioni criminali segrete, mostri di ogni genere, demoni sfuggiti all’aldilà, esseri che complottavano ogni sorta di scelleratezza, alieni con smanie di conquista, morti, feriti, fantasmi, reincarnazioni…! E l’elenco sarebbe ancora lungo! Ti assicuro che tu sei il problema minore!”
Il principe si incupì ulteriormente a quell’offesa non troppo velata, ma non recedette, deciso ad aver ragione di lei, a capire perché lo avesse aiutato. Vegliato. Mai lasciato solo. Senza paura. Perché era quello il pensiero che continuava a mulinargli in testa, indipendentemente dai suoi tentativi di ignorarlo.
“Complimenti, un bel curriculum…” le disse ironico.
Poi riprese le redini della situazione, rivolgendole quella domanda, nella voce una durezza in grado di scavare una voragine in un pianeta: “Che cosa ti ha fatto credere che io non avrei abusato di te? O che non intenda farlo ora?”.
Bulma trasalì. La risposta che affiorò per prima le diede un nodo in gola. La tenne per sé. A lui fornì la seconda, meno privata ma ugualmente veritiera. Terribilmente più drastica.
“Ma per favore!” esclamò esasperata “Non ti lasci toccare da nessuno, non sopporti la vicinanza altrui neppure quando sei mezzo morto! Ti ritieni superiore ai terrestri e ti infastidisce anche solo condividere l’aria con noi! Detesti persino essere fissato per più di qualche secondo! Sei talmente arrogante e pieno di te, che dubito che tu ti sia mai degnato di sfiorare una donna nella tua vita in qualsiasi modo! O semplicemente di notarla, nel tuo delirio di onnipotenza! Figuriamoci sbatterla a terra, volente o nolente, e concederle una sola cellula dell’impareggiabile principe dei Saiyan!”
Vegeta rimase impietrito difronte a quel torrente inarrestabile di parole, che bruciava più della ferita che aveva sul corpo, perché incomprensibilmente faceva male all’anima. Un oltraggio che aveva il sapore amaro della verità, che aveva inspiegabilmente ascoltato senza interrompere, pur avendone tutte le facoltà. Voleva sentire, ma voleva anche che lei tacesse, che la smettesse di inchiodargli parole incandescenti nel cuore. La fissò scioccato, pensando a come ridurla al silenzio, a come impedirle di osare oltre. Se concederle l’ardire di vivere, dopo aver scoperchiato in lui una vulnerabilità.
“Stai zitta!” ringhiò afferrandola per il collo. Ma non strinse. Anzi, fu più un accostamento che un atto violento di minaccia. Non aveva fatto altro che posare le dita sulla sua nuca, il pollice sulla sua gola.
Bulma continuò il discorso, come se lui non fosse capace di spezzarle il respiro all’istante: “Bel tentativo, bravo! Non capisco perché tu ci tenga tanto a vedermi tremante! Sei davvero un insopportabile prepotente…”
“In un modo o nell’altro…!” la interruppe lui, gridando furente, con un guizzo d’energia azzurra nella mano libera, puntata al suo cuore.
“Vedi di ammazzarmi subito, almeno” mormorò lei, stringendogli il polso, come se volesse agevolare l’atto omicida.
La luce che balenò negli occhi neri e profondi di Vegeta reclamò che non parlasse più. Che non si opponesse, quando le si avvicinò ulteriormente e fece rientrare il ki, estinguendo il bagliore così come l’aveva generato. La sua voce si ridusse a un sussurro e terminò la frase in sospeso: “…dovrai tacere”.
La baciò. E, per tutte le galassie, lei ricambiò il bacio. Non era una reciproca concessione. Era un ardente desiderio, concentrato sulle loro labbra, che continuarono a unirsi ed a sfiorarsi con voluttà per un tempo incalcolabile.
 
   
 
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